Ventiseiesimo
Bucky aprì a fatica gli occhi, grattandosi la testa con forza, dolorante, trovandosi addosso a Steve.
«Ma che diavolo...?» Si domandò confuso fra se e se, e poi, un capogiro ed un fortissimo senso di nausea lo costrinsero rimanere fermo, in un vano tentativo di riprendersi; improvvisamente si alzò dal divano e corse in bagno, svegliando Steve con un forte rumore causato dal suo conato di vomito.
«Bucky?» Chiese lui preoccupato, cercando di avvicinare a se la sedia a rotelle.
«T-tutto bene Steve, arrivo.» Rispose Bucky, balbettante dal bagno, rigurgitando dolorosamente la sua calda bile.
Ritornò da Steve poco dopo, con la maglietta sporca di vomito e una faccia davvero sconvolta.
«Non prendevo una sbronza così dal 45.» Ridacchiò.
«Non è mai troppo tardi per recuperare.» Disse Steve sarcasticamente, mentre Bucky lo caricò a fatica sulla sedia.
«Ah, andiamo, togli questa sudicia maglietta.» Affermò divertito Cap, che lo spinse alla sua altezza e gli sfilò la t-shirt inzuppata di vomito.
«E adesso va a lavarti.»
«Ma...»
«Niente ma, sai che non permetto che tu vada in giro ridotto così.»
Bucky sospirò sorridendo, ascoltando il saggio Steve, che non aveva poi tutti i torti.
«Steve, ho detto qualcosa di stupido mentre ero brillo?» Chiese sfinito James mentre sorseggiava una tazza di tè, sotto consiglio di Rogers.
«Beh, a parte che hai letteralmente limonato con la bottiglia, nulla di preoccupante.»
«Oh diavolo, te l'avevo detto che non avremmo dovuto esagerare.»
«Ma io non ero geloso.»
«Che ne dici di continuare con gli esercizi?»
«Oggi mi sento particolarmente attivo sergente.»
«Ed io mi sento tutto il contrario capitano.» concluse Bucky, ridendo, alzandosi in piedi e portando Steve in salotto.
«Sai Bucky, oggi vorrei proprio provare a stare in piedi.» Disse impertinente Steve, guardando basso.
«Come vuoi tu, punk.» Lo rassicurò il moro con voce scherzosa, porgendogli le braccia. Cap lo guardò ostinato aggrappandosi ai suoi forti bicipiti, o perlomeno, anche a quello di metallo.
«Pronto?» Chiese dolcemente Bucky; Steve annuì ostinato, tirandosi su esattamente come se le sue gambe funzionassero. Barnes lo afferrò immediatamente, evitando che finisse in terra; Il biondo stava in piedi solamente grazie all'aiuto di Bucky e a quello delle sue braccia, faticando immensamente.
«S-Steve, concentrati. F-fai come... Fai come quando abbiamo ballato in camera tua; poggia i tuoi piedi sui miei.» Balbettò sforzandosi Bucky.
«C-cosa? T-tu ricordi?» Chiese Steve incredulo sentendo quella frase, sentendo uscire dalla bocca di Bucky quelle parole, e ricordando quel momento; quando avevano sedici anni, ed avevano litigato, Bucky aveva iniziato a cantare un motivetto che Steve odiava. Il ragazzaccio di Brooklyn lo prese per mano e lo tirò in pista, stringendo quel gracile ragazzo a se, avvolgendolo del tutto fra le sue braccia, e, dato che il povero Steve era basso quasi quanto un bambino, lui lo incitò a poggiare i piedi su i suoi, per guidarlo durante il ballo, per portalo quasi alla sua altezza.
«Certo.» Rispose ovviamente Bucky, guardandolo negli occhi.
Steve decise di reagire : mosse piano e dolorosamente un piede su quello di Bucky, facendo lo stesso subito dopo con l'altro.
Stava iniziando a reggersi sulle sue gambe, ad allentare la presa su di Bucky.
«Bene Steve, adesso prova a mettere i piedi per terra.» Lo incoraggiò dolcemente il maggiore.
Steve guardò per terra, studiando bene il pavimento, un po' insicuro, poggiando i piedi scalzi sul freddo parquet.
Alzò in fretta lo sguardo, sorridendo verso Bucky, ma cambiando subito espressione.
Il soldato lo aveva lasciato, stava davanti a lui con le braccia conserte e un sorriso di approvazione che incoraggiava uno sconvolto Cap.
«Hai fatto tutto da solo.»
«D-davvero?» Chiese incredulo.
«Davvero. Guardati, sei in piedi amico.»
Steve guardò ancora più sconvolto la scena intorno a lui : era in piedi, da solo.
Bucky si allontanò pochi centimetri da lui stuzzicandolo; «Adesso prova a raggiungermi.»
«Avanti Bucky non esagerare.» Disse Steve con tono intimorito.
«Immagina che io me ne stia andando. Fermami.» Continuò a punzecchiarlo.
Steve deglutì, aprendo le braccia, come per trovare equilibrio, e piano, mettendo avanti prima un piede, e poi l'altro. Piccoli e lenti passi, ma che riuscirono a fargli raggiungere più velocemente possibile la sua meta.
Bucky gli spostò uno dei suoi ciuffi biondo dal viso.
Il sorriso di Steve spontaneo, gli illuminò anche gli occhi.
In quel momento, di qualunque cosa fosse fatta l'anima, le loro erano costituite dalla stessa cosa.
James lo fece sedere sul divano, in silenzio, con un velo di stupore e stanchezza nell'aria.
Poi nella sua mente martoriata ritornò il ricordo della lettera;
«Scrivevo lettere?» domandò di scatto, come se fosse spaventato di poterselo dimenticare.
«Beh, più che lettere, preferivi scarabocchiare parole a caso.» Steve fece spallucce.
James scrollò la testa più concentrato:
«No, io ho scritto delle lettere per te... In guerra.»
Il cuore di Rogers sussultò, quasi aveva dimenticato quel meraviglioso particolare.
Avevano fatto l'amore, in casa, nella loro completa solitudine. I genitori di Steve erano morti, il sergente Barnes sarebbe salpato per l'addestramento la mattina seguente, ed il loro dolore per la separazione era troppo grande.
Allora, quando il ragazzo asmatico aveva aperto gli occhi alle prime luci dell'alba, speranzoso di poterlo trovare al suo fianco per dargli un ultimo saluto, si ritrovò a ridere difronte alla pagina del loro quaderno su cui James aveva scritto una lettera per lui.
Quelle parole erano ossigeno puro in quel momento. Nascose quel cumulo di fogli in soffitta, l'ultima cosa che ricordò.
«Si, hai ragione.» annuì malinconico.
«Abitavamo a New York...» più he un'affermazione era un'ipotesi, sussurrata con tono confuso da parte di Bucky.
«Brooklyn.» Steve lo corresse con un sorriso dolce. Ripensare a quel buco di città in cui avevano vissuto la loro storia lo fece sentire sereno, stranamente felice.
Gli occhi di James si puntarono verso il biondo, vispi e curiosi:
«Possiamo ritornarci?»
Cap scrollò la testa sorridendo, facendo pulsare la ferita coperta da un grosso cerotto bianco.
«Se avessimo i soldi, lo farei anche oggi stesso.»
Bucky placò il suo entusiasmo, abbassando il capo, dispiaciuto.
«Rumlow.» mormorò Steve; quel nome mise immediatamente sulla difensiva Bucky.
«Cosa ti ha fatto?» gli domandò severo Rogers.
Era una delle tante domande che Steve avrebbe voluto fargli, una di quelle che non poteva tenere per se.
Il moro rigirò i pollici, bagnandosi le labbra, e cerando di guardarlo con più calma possibile:
«Non so come possa definirsi il rapporto che abbiamo avuto in questi anni.... Forse un rapporto di amicizia, o di fiducia reciproca; forse mi vedeva solamente con un povero uomo distrutto dal dolore, o come una bambola per i suoi giochi...»
«Cosa intendi?» domandò Steve freddamente.
«Beh, Brock è stato l'unico che ha avuto un briciolo di umanità nei miei confronti durante la mia permanenza all'HYDRA; mi portava i pasti, mi faceva compagnia, mi rivolgeva la parola, e non un comando o una minaccia, lui mi parlava di discorsi che dovrebbero essere normali fra due persone. Mi ha salvato la vita molte volte, mi ha tenuto compagnia quando stavo male, ma, ha provato anche a fare della cose con me.»
Il tono di Cap era gelido, preoccupato da cosa avrebbe potuto raccontare Bucky, gli chiese:
«Che tipo di cose?»
James fece silenzio per un momento, sospirando. Sapeva che quelle rivelazioni avrebbero ferito Steve.
«Le prime volte era facile respingerlo, non era molto insistente, al contrario, era gentile e premuroso... Ma alcune volte si faceva più violento.»
Il soldato stava girando intorno alla verità, troppo dolorosa.
«Dimmelo, Bucky. Dimmi cosa ti ha fatto.»
Non era una minaccia, ma quel tono era duro e serio, più di prima.
Bucky calò lo sguardo, imbarazzato:
«Mi ha costretto ad avere rapporti con lui... Nulla di troppo spinto o fisico, ma mi ha fatto fare delle cose...»
Steve gesticolò contrariato, la pelle accapponata dal disgusto, e la rabbia in circolo nel sangue.
«D'accordo, ho capito...»
Bucky si avvicinò a lui, dolcemente, accarezzandogli il volto con la mano di carne, e sorridendo.
Voleva solamente rassicuralo.
«Non te la prendere, è tutto finito ormai.»
«Come faccio a non prendermela con quel bastardo che ti ha toccato?! Come?!» sbraitò Steve infuriato.
Barnes sorrise ancora, con più serenità:
«Pensando a noi due nel nostro vecchio appartamento a Brooklyn.»
Steve lo guardò, Bucky ricambiò quello scambio muto di parole bellissime, quell'intreccio di colori cristallini nelle loro iridi, che facevano l'amore.
Quegli occhi che facevano l'amore, come avevano sempre fatto.
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