Trentaduesimo

«James Barnes ha avuto un arresto cardiaco. Dopo un tentativo di rianimazione durato quasi otto minuti, il cuore ha ripreso a battere. La terapia farmaceutica di riabilitazione ha causato la crisi, anche se non ne siamo certi per i precedenti e gravi problemi che il paziente presentava di già. Le sue condizioni sono  stabili, l'elettrocardiogramma evidenzia degli ascessi nelle vene arteriose e nei vasi sanguigni collegati alla protesi.» Il medico teneva in mano una cartella sulla quale c'era scritto tutto ciò che era stato spiegato a Steve.
Rogers non aveva dubbi che sarebbe accaduto qualcosa di così grave, non aveva dubbi sul fatto che lo avrebbe perso ancora.
«Ad ogni modo, la conclusione che il reparto di cardiochirurgia ha preso, è di tentare ancora di asportare l'atro di metallo.»
Il sangue raggelò nelle vene a Steve.
«Ci avete già provato, ed avete detto che era troppo rischioso.» gli fece notare incrociando le braccia.
«Ha ragione, ma per la situazione che si ci presenta davanti, conviene tentare piuttosto che lasciarlo in balìa della sorte, aspettando che un altro attacco si ripresenti.»
Cap si massaggiò le tempie con le mani, guardando verso il basso;
«Dovrei prendere una decisione adesso? Dovrei rischiare di poterlo uccidere? Se non sbaglio, anche il medicinale che ha scatenato tutto questo avrebbe dovuto essere a favore della sua salute.»
«Ha ragione anche qui, ma la prego di essere ragionevole capitano, il farmaco non era stato testato su nessun altro paziente prima di lui, dovevamo aspettarci delle controindicazioni, ma adesso ne vale davvero la vita di James.»
Steve fissò l'uomo con ostinazione; dopo tutto quel tempo, passato a sperare di poterlo rivedere vivo, di poter sperare che Bucky potesse salvarsi, in quel momento, Steve aveva una vera occasione di potergli salvare la vita.
E se sarebbe andata male?
In quel caso avrebbe reso felice Bucky. Il dolore di non averlo mai più con lui sarebbe stato senza dubbio straziante, lo aveva già provato, sapeva a cosa andava incontro, ma per la prima volta, Steve pensò alla felicità di Bucky. Dopo quella vita di dolore, forse, poteva avere una via d'uscita, ed anche se avrebbe fatto più male a Cap che a lui, il biondo era pronto ad affrontare una cosa simile. Per Bucky.
«D'accordo, fate ciò che serve. Ma salvategli la vita.»
Girò le spalle ed andò a sedersi in una spaziosa sala d'aspetto, proprio vicino a delle riviste di moda che non avrebbe letto mai, proprio accanto all'orologio appeso sul muro che non avrebbe visto mai.
Contare il tempo che passava era una tortura lenta che lo portava ad aumentare le sue ansie.
Bucky era entrato in sala operatoria, ancora una volta, in quella stanza gelida ed illuminata da forti luci bianche.
Un tavolo metallico pieno di oggetti operatori accanto al giaciglio del soldato, flebo e macchine attaccati al suo corpo, e una squadra di persone in camice verde intorno a lui.
A tenerlo in vita non erano i respiratori o gli aghi sotto la sua pelle, né tantomeno le mani dei medici; l'unica cosa che faceva respirare il mercenario era il pensiero inconscio del piccolo ragazzino di Brooklyn nei suoi sogni.
Lo vedeva nitido nel buio dei suoi occhi chiusi. Ed era bellissimo.
Quella rassicurante sensazione che collega i pensieri al calore di casa, quell'immagine serena che cancellava dalla mente di Bucky ogni cosa cattiva.
Steve.
Dopo circa cinque ore Cap venne chiamato da un'infermiera, che lo portò nella stanza di Barnes. Rogers so morse l'interno della guancia mentre si avvicinò al letto candido su cui era disteso quel corpo stanco. Era come lo aveva lasciato, come se stesse dormendo sul divano di casa. Pochi sondini e respiratori attaccati addosso, che impedivano di deturpare il suo viso apparentemente sereno.
Tutto sembrava andare bene, tutto sembrava normale, tranne che per un grosso particolare impossibile da ignorare. Il braccio di metallo mancante.
La spalla era ancora coperta dalla corazza argentea, che si estendeva fino ad una piccola sporgenza che dava forma alla minima parte rimanente dell'altro.
Steve si bagnò le labbra, vedendo in quella perdita, un bagliore di speranza.
«Buck, riesci a sentirmi?» sorrise ingenuamente, allungando una mano verso di lui.
Lui mugugnò dolorosamente, aggrottando la fronte ed aprendo gli occhi, sforzandosi di abituarsi alla luce.
Si guardò intorno, le macchine ospedaliere con i loro bip lo infastidirono.
«Cos'è successo?» domandò stranito, voltandosi verso il biondo.
«Quel farmaco che hai preso per la tua mente, ti ha causato un attacco di cuore. Adesso va meglio, sei salvo, ma il tuo braccio non se la passa molto bene.» cercò di sdrammatizzare Steve, facendo puntare l'attenzione del moro su quel particolare arto.
Bucky fissò il pezzo mancante, ancora sotto l'effetto dell'anestetico, sgarrando gli occhi sotto shock.
La sua reazione fu inaspettata, invece di ostentare paura, in quel viso segnato dalla stanchezza comparve un grande sorriso.
Era felice, il semplice fatto di non poter più fare del male a qualcuno con quell'arma, lo faceva sentire più sicuro. Sicuro che non sarebbe più riuscito a sfregiare Steve con quella gelida mano.
«Wow, credevo non potesse essere possibile, insomma...» le labbra di Steve interruppero le sue parole.
Quelle carnose e rosee di James emanavano l'amaro della medicina, secche e screpolate.
Le mani del biondo presero con più forza le guance del soldato, che chiuse gli occhi poggiando con più sicurezza la fonte contro quella di Cap, mentre i suoi capelli si intrecciarono fra quelle dita bianche.
«Ho avuto il terrore di aver fatto la scelta sbagliata, ho avuto il terrore di averti potuto uccidere, ancora.» sussurrò Steve con un filo di voce.
«Non avresti mai fatto la scelta sbagliata, tu sei il mio angelo custode.» rispose Bucky sorridendogli, sfiorando le labbra di Cap con le sue.
«Andrà tutto bene adesso, lo giuro, non permetterò che ti accada più nulla, sei tornato Bucky. Molliamo tutto e scappiamo a Brooklyn, come i vecchi tempi.» gli occhiali azzurri di Steve luccicarono, guardando con entusiasmo Bucky.
Barnes sorrise per l'impulsiva affermazione del compagno, scuotendo la testa: «Devi salvare il mondo capitano, non puoi permetterti di fuggire in questo modo.»
«Non mi importa, adesso ho te, non mi importa più di nulla.»
Bucky continuò a sorridere, il tono di Steve era molto più sicuro ed eccitato, quando un breve momento di silenzio fece diventare serio il Soldato D'inverno.
Bucky fece mente locale e ripensò a tutto quello che era successo prima che potesse addormentarsi sotto i ferri.
Pensó a quello che il medico gli aveva detto, pensò senza sosta alla dolorosa verità che gli si presentava davanti agli occhi: aveva ricordato, ma i fantasmi nella sua testa non erano ancora scomparsi.
E poi quelle parole, come un incantesimo.
Avrebbero potuto trasformarlo ancora una volta in un mostro, se solo qualcuno le avesse pronunciate.
«Hai giurato che mi avresti ascoltato, avresti seguito ciò che ti avrei detto se sarei uscito di testa. Ricordi?»
«Si, ma non so dove tu voglia arrivare, non hai fatto del male a nessuno.» Cap gesticolò, confuso.
«Hai ragione, ma nemmeno loro sono riusciti a curarmi, e non posso vivere rischiando ogni giorno di poter fare del male a te o a chiunque io abbia intorno.»
«Bucky smettila.» il tono di Steve era freddo e autoritario.
«Quelle parole continuano ancora a controllarmi. Tu devi aiutarmi a fare qualcosa. Devi starmi accanto.»
«Sarò sempre al tuo fianco, Buck. Sono qui.» la mano calda del vendicatore strinse quella del soldato, avvolta da flebo.
«Allora ascoltami, ti prego. Se mi ami, fallo.»
Steve deglutì, cercando di capire cosa avesse in mente Bucky, limitandosi ad annuire, anche se insicuro, assecondando ciò che gli aveva chiesto lui.
Glielo aveva promesso.

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