Settimo
Steve era davvero allibito, ogni piccolo passo in avanti da parte di Bucky lo spingeva ad avere speranza, poteva, anzi, doveva aiutarlo fino alla fine.
«Bene, il letto è pronto, puoi andare a dormire se vuoi, sarai stanco.» Disse al moro mentre sistemava una coperta sul divano, dove avrebbe passato la notte.
«Grazie...tu dormi qui?» Chiese imbarazzato Bucky, trovandosi parecchio a disagio. Steve stava cedendo il suo letto per lui, per un povero assassino che non meritava nemmeno tutte quelle attenzioni.
«Certamente, non preoccuparti.» Rispose Cap sorridendo, sdraiandosi sul piccolo divano.
James si diresse verso la piccola camera di Rogers, chiudendo la porta alle sue spalle e sdraiandosi sul morbido letto sistemato con cura per lui. Voltò il viso sul cuscino ispirando profondamente, sentendo l'odore della fodera, quell'odore così familiare e dolce: L'odore di Steve. Quel caldo profumo fece sorridere Bucky, che tornò alla sua posizione da sdraiato, cercando di prendere sonno. Guardava come incantato il soffitto, quel soffitto bianco, spoglio, ma che lo aiutava a concentrarsi piuttosto che andare fuori di testa.
Anche Steve aveva qualche problemino nel prendere sonno; fantasticava sul futuro di Bucky, adesso, convinto che sarebbe guarito, che sarebbe ritornato il ragazzo sfacciato sempre pronto a stringerlo al petto: ma aveva una sensazione, come se qualcosa non andasse. Cercò di ignorare quel fastidioso presentimento, ma era più forte di lui, iniziando ad agitarsi, finché non si alzò e si diresse nella stanza di Bucky. Era un urlo silenzioso che stava rimbombando nelle pareti di quella piccola casa, che solo Steve riusciva a percepire.
«Tutto bene?» Chiese imbarazzato, bussando timidamente alla porta. Non ricevette nessuna riposta. Forse Bucky stava dormendo, forse era tutta un'illusione della sua preoccupazione, ma, prima di ritornare a dormire, Steve sentì un lamento strozzato provenire da quella stanza buia. Di scatto portò l'orecchio alla porta, domandando, stavolta preoccupato: «Bucky?»
Ancora una volta, nessuna risposta, se non quei continui mugugni contenuti inutilmente, così, istintivamente, aprì la porta. Accese la debole luce del lampadario, che fastidiosamente fece focalizzare ai suoi occhi quello straziante spettacolo.
Bucky era seduto con le gambe incrociate sul letto, con le lenzuola disfatte un po' in terra ed un po' addosso, sudato, quasi in lacrime. Cercava invano di infilare le unghie sotto la protesi, sulla piega rosea della cicatrice nella spalla, come se volesse staccarsela di dosso, provocandosi soltanto graffi ed escoriazioni sanguinolente, aprendo persino alcuni punti non ancora asciutti dall'intervento.
«No, no, sta calmo!» Disse Cal allarmato, andandogli incontro, e bloccandogli il polso. Si fermarono per un istante, la luce giallastra proveniente dal soffitto fece vedere alcune unghie quasi staccate dalle dita, che sanguinavano. Bucky guardò negli occhi Steve. Stava quasi per piangere, terrorizzato.
«Voglio sbarazzarmi della causa di tutto questo.» mugugnò il moro con un filo di voce. Quel gesto tanto cruento era stato provocato da uno scatto improvviso di panico, perché, quando aveva cercato di prendere sonno, nel buio della sua mente aveva visto il viso gonfio di Steve dai suoi pugni di metallo, freddi e dolorosi, su quell'hovercraft quasi distrutto.
Come aveva potuto fare una cosa del genere? Come aveva potuto farlo a Steve?
All'unica persona capace di far battere all'impazzata il suo cuore malato.
«Oh Bucky.» Sussurrò Cap con voce storpia, provando pena e tristezza infinita per quel gesto. Istintivamente tirò il suo polso tremolante verso di se, costringendo Bucky a poggiarsi su di lui, avvolgendolo con le sue forti braccia intorno la schiena, proteggendolo con la sua calda stretta. James chiuse gli occhi, aggrappandosi con il braccio 'non di carne' alla maglietta bianca che odorava di pulito, volendo cercare in qualche modo di trovare la forza, la forza che aveva perso da troppo tempo.
Iniziò a singhiozzare, stringendosi forte al petto robusto del biondo, continuando a domandarsi: «Perché? Perché non muoio?!»
Rogers a quelle parole si morse il labbro, stringendo i disordinati capelli castani di Bucky, per poi baciargli la testa, senza aver timore di qualsiasi forma di imbarazzo o sdolcinatezza.
«Non puoi morire, finché ci sono io, tu non morirai.» Gli sussurrò, facendolo smettere di piangere, perché il suono di quella voce, ed il solletico che le sue labbra rosse provocavano alle sue orecchie, lo faceva stare meglio.
Steve lo portò davanti a se, guardandolo con un dolce sorriso; Allungò le mani e tirò indietro i capelli dal viso di Bucky, liberandoli da quel misto umido di lacrime e sudore.
Abbassò piano la sua morbida mano sulle guance ruvide del moro, asciugandole e facendo comparire su quelle labbra secche, uno di quei sorrisi che aveva tante volte disegnato sulla carta, nella loro vecchia casa, da ragazzi.
Prese del cotone e del disinfettante, bagnando i bianchi batuffoli morbidi di quel liquido dall'odore pungente, passandoli sulle dita insanguinate, come se stesse facendo una manicure all'infastidito Bucky. Prese dei cerotti e li avvolse nelle dita più malconce. Prese altro cotone, inzuppandolo abbondantemente di altro disinfettante, e tamponandolo lungo i profondi tagli auto inflitti lungo la spalla. Trovava incredibile il modo in cui neanche un briciolo di dolore deformasse l'espressione di Bucky. Come se anni di esperimenti avessero cancellato ogni traccia di emozione su quel volto.
«Okay, adesso lasciamo stare per un bel po' questo coso... Che ne dici se domani ti portassi dal barbiere ad accorciare questa chioma ribelle?» Propose scherzosamente Steve, tenendo bassa la voce. Bucky annuì timidamente, allora Cap si alzò senza preavviso, uscendo dalla stanza e ritornando con in mano un accendino e un pacco di sigarette. Lo aprì e ne poggiò una fra le tenere labbra di Bucky, accendendola, sorridendo caldamente.
«È vero che sono contrario alla storia delle sigarette...ma credo che potrei chiudere un occhio per stavolta.» Gli disse facendogli l'occhiolino.
James fumò con piacere quella sigaretta, che in quel momento lo stava tirando su, meglio di qualsiasi psicofarmaco o ramanzina sdolcinata.
Steve gli portò un bicchiere d'acqua, lo fece sdraiare a letto e gli rimboccò le lenzuola, qualcosa che spesso aveva fatto sua madre Sarah, qualcosa che il moro aveva fatto su di lui quando stava male, quando il suo vecchio amico asma lo costringeva a letto.
«Adesso dormi, io sono qui, sta tranquillo» gli disse il biondo con voce rassicurante, sedendosi su una polverosa poltrona in fondo alla stanza.
Per l'ennesima volta il capitano stava dormendo su una piccola sedia per non abbandonarlo. Non gli importava, era il minimo che potesse fare, pur di stargli accanto.
Il buio li aveva cullati ancora, i loro sospiri stanchi erano quasi in sintonia.
«Steve?» domandò restio il moro.
«Cosa, Bucky?» chiese stanco il minore.
«Niente...» aveva quelle parole sulla punta della lingua, come se qualcuno avesse già fatto quel breve dialogo.
Poi ricordò, qualcosa di breve e lento, delle immagini veloci nella sua mente: un arruolamento nell'esercito, la sua ultima notte assieme a quel ragazzino biondo con cui aveva fatto l'amore poco prima di addormentarsi. Quel ragazzo sghembo che aveva fatto le sue stesse domande.
«Steve?- sospirò con la fronte aggrottata- resta con me.»
La mattina seguente Bucky si alzò, trovando Cap addormentato sulla poltrona, che russava di gusto. Aveva passato la notte su quella scomoda cosa per lui, e quel gesto lo aveva colpito molto; si avvicinò a Steve, sfiorandogli con la mano un ciuffo di capelli biondo che era in mezzo alla fronte di Cap.
Qualcosa, qualcosa di forte e incontenibile inghiottì Bucky. Un sentimento di amore, qualcosa che gli faceva palpitare forte il cuore, impedendogli di controllare ogni istinto.
Si avvicinò alle labbra di Steve, addormentato, e lo baciò, accarezzandogli gli zigomi. Il biondo non si svegliò, era troppo stanco, forse nemmeno un bombardamento lo avrebbe svegliato in quel momento.
Bucky guardò divertito il suo Steve, coprendolo con un lenzuolo, e andando a sedersi in cucina.
Fissava una tazza con del latte freddo, l'unica cosa che aveva trovato per riempirsi lo stomaco, dopo aver preso le sue pillole amare.
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