Ottavo

«Su, vestiti, usciamo.» Disse Steve a Bucky, seduto a tavola a fissare con il suo ormai solito sguardo vuoto il contenitore arancione con le sue pasticche. Il biondo si era svegliato di buon umore, senza sapere del bacio ricevuto dal soldato.
James si vestì un po' controvoglia, salendo in macchina di Steve, che non accennò la meta in cui sarebbero andati.
Bucky era particolarmente silenzioso, ancora dolorante dall'incidente della sera precedente, il suo ottimismo sul voltare pagina e ricominciare da capo era andato in fumo. In assoluto, la cosa che Bucky odiava di più era dover prendere gli psicofarmaci. Non poteva dare torto ai medici, in fondo, rischiare un attacco violento non era nei suoi piani, ma per i due anni in cui aveva vissuto nella solitudine dei suoi poveri ricordi, era stato bene. Forse era proprio la solitudine a curarlo.
«Dove ti piacerebbe andare?» Chiese Steve dolcemente.
Bucky rimase in silenzio per un breve momento, guardando il paesaggio dal finestrino che sfrecciava velocemente.
«Mi piacerebbe fare una passeggiata...» Rispose non staccando gli occhi dalla strada, con voce depressa, cercando però di tralasciare uno spiraglio di entusiasmo. Non sapeva se quella delle passeggiate fosse una cosa che gli era sempre piaciuta, o che aveva apprezzato solamente da uomo libero, ma lo faceva sentire leggero, stranamente sollevato.
Così Steve, deciso a tirarlo su, lo portò in un parco non molto distante da casa; un luogo pieno di alberi alti, che con il vento sembrava quasi che parlassero. Quando Bucky scese dall'auto, i suoi occhi brillarono; quel luogo gli dava un tale senso di tranquillità, che avrebbe voluto rimanere lì per sempre, lontano da qualsiasi cosa.
I due iniziarono a passeggiare lungo un piccolo sentiero cullato dal rumore delle foglie che cadevano in terra.
Trovarono una vecchia panchina in legno in mezzo alla boscaglia, dove Steve propose al moro di sedersi, spaventato che fosse troppo stanco.
«Ti va di parlare?» Domandò Steve guardandolo negli occhi, consapevole di poter toccare un tasto dolente, ma rischiando il tutto per tutto pur di aiutare in qualche modo il compagno.
«Beh... Vuoi sapere come mi sento?» Aggiunse Bucky agitato.
«Se questo ti farà star meglio, allora sono tutto orecchi.»
Il mercenario sospirò, guardando in terra : «Tutto questo è surreale; noi non dovremo essere qui. Io non dovrei avere questa cosa.- gesticolò indicando la protesi- Dovremo essere morti. Sto così male, perché so di aver avuto una vita, ma di non ricordare assolutamente nulla. Tu eri la mia missione; il mio unico scopo di vita era ucciderti e adesso scopro che...che ci amavamo. Io non so quanto questa storia possa andare avanti, quanto ancora io possa sopportare tutto questo.»
«Di una cosa sola sono sicuro : finché sarò in vita, farò di tutto per aiutarti.»
Sentendo il suono di quella voce rassicurante, Barnes alzò il capo, e lo guardò, con una ciocca di capelli scura davanti agli occhi, e la luce dentro l'anima. Era così bello.
«Non so cosa eravamo prima, ma mi piaceva.» il biondo sorrise, ironico, nemmeno lui sapeva cosa fossero prima di tutta quella storia, pur non avendo perso la memoria. Si erano definiti fidanzati una volta, sotto il ponte, ma ad essere sinceri, non riusciva a definire il loro amore, talmente diverso e sbagliato.
«Sai, quando ti ho visto cadere da quel maledetto treno in corsa, il mio cuore ha smesso di battere. Da allora una parte di me è morta. Buck, non ti perderò un'altra volta.» Disse Steve con gli occhi lucidi, non potendo far a meno di guardare quel viso marcato dal dolore, e rivedere la sua ultima espressione, quella terrorizzata dalla morte.
«È così che sono...morto?» gli chiese Bucky; era strano dirlo, ma poteva essere una mezza verità.
«Si, ed è stata tutta colpa mia.» aspettava di poter dire quelle parole da settant'anni: la verità, il terribile demone che lo perseguitava, quel mostro che aveva il nome della morte di Bucky.
Il moro notò il suo senso di colpa, non capendo: «In fondo al mio cuore, sono consapevole di amarti Steve, è qualcosa che va oltre ogni cosa.» lo disse a bassa voce, stingendogli la mano. I due si guardarono negli occhi, gli bastava solo quello per essere felici in quel momento, un semplice gesto negatogli loro da troppo tempo.

Mentre erano in auto sulla strada per tornare a casa di Steve, Bucky sentì improvvisamente un senso di totale assenza; non sarebbe riuscito a controllarsi ancora per molto, quella sensazione che da troppo tempo non lo disturbava, stava per inghiottirlo. Fissava la mano metallica. La fissava in modo sadico, qualcosa di inquietante, di spaventoso.
Steve se ne accorse, preoccupato gli domandò : «Tutto bene?»
Il soldato voltò piano la testa verso di lui, guardandolo con un sorrisetto maligno, e fu allora che Rogers capì che quello non era Bucky.
Barens, ormai fuori di testa, diede un pugno in faccia Steve, che sbandò con l'auto, cercando un posto dove sostare e nel frattempo, cercare di contenere la rabbia del compagno.
«Bucky! Bucky sta calmo!» Gli urlò, continuando a ricevere colpi in testa, sull'addome, sul viso, senza una valida motivazione, senza un senso logico. Era accaduto così, senza preavviso, aveva spazzato via ogni sicurezza.
Cercava di tener fermo con un braccio il corpo di Bucky scagliato su di lui, mentre con l'altro, teneva il volante.
Sgarrò lo sguardo davanti a lui, andando a sbattere contro una carreggiata fuori strada.
Bucky uscì dall'auto quasi distrutta respirando a fatica, mentre piano ritornava ad essere se stesso, ad abbandonare i suoi fantasmi.
«NO!» Urlò James con le mani testa, aprendo lo sportello dal lato del guidatore e tirando fuori dalle lamiere Steve che non aveva ancora perso i sensi.
«STEVE!» Gli urlò sotto shock, sentendosi un mostro per ciò che aveva fatto, mentre il biondo cercava di alzarsi dall'asfalto.
«È tutto okay...D-dobbiamo solo andare in ospedale, non preoccuparti.» Lo rassicurò Steve, sorreggendosi sullo sportello quasi distrutto dall'impatto.
«È TUTTA COLPA MIA!» Continuò ad urlare Bucky, in preda al panico, non tanto per la sua improvvisa ricaduta, ma per il gesto violento ed i controllato nei confronti di Cap.
«No, Bucky, non è vero. Sei ferito?» Chiese preoccupato Steve, non ricevendo alcuna riposta da un Bucky completamene sotto shock.
Il minore guidò fino al pronto soccorso con quello che rimaneva dell'auto.
James non aveva riportato nessun danno grave né tantomeno le condizioni  del capitano erano disperate; l'unica ferita di Bucky era soltanto il senso di colpa; l'unica che era davvero combinata male era l'auto, ormai distrutta.
Tornarono a casa la sera. Erano in un silenzio imbarazzante, quando Steve andò a farsi una doccia, lasciando Bucky sul divano, che si torturava per ciò che aveva fatto: del male a Steve.
No, non poteva accettarlo. Steve, colui che lo stava aiutando, che provava qualcosa nei suoi confronti, che lo conosceva da quando era uno stupido bambino. La sua missione. No, non poteva ucciderlo, non poteva mettere a rischio la sua vita per i suoi scatti improvvisi. Cap non poteva sopportare una zavorra del genere, un meschino malato, che avrebbe meritato soltanto di marcire in qualche ospedale psichiatrico.
Il biondo tornò in salotto, trovando il divano vuoto, dirigendosi in cucina, sperando di trovare Bucky seduto a tavola che, magari, stesse mangiando qualcosa.
In effetti era così, ma Bucky non teneva fra le mani una tazza di caffè, bensì una pistola calibro 22.
Steve aveva fatto sparire tutto ciò che poteva essere usato come arma, per non rischiare, appunto, uno scatto improvviso dall'instabilità mentale del suo compagno, ma una cosa aveva dimenticato: la pistola, consegnatagli da Fury in persona.
La stessa che Bucky aveva chiesto di usare in caso di emergenze, per ucciderlo, per salvarsi la vita.
Come poteva essere stato così stupido e ingenuo? Come poteva aver lasciato incustodita quell'arma?
In verità, l'aveva nascosta abbastanza bene, ma il semplice fatto che il Soldato D'inverno fosse incredibilmente stato allenato in ogni tipo di strategia, aveva spiazzato l'astuzia del capitano.
Bucky maneggiava di profilo la scura e pesante pistola, con un'espressione soddisfatta e serena.
«Bucky, per favore, posa quella pistola.» Disse Steve con voce ferma.
Dapprima sorrise, poi la sua espressione cambiò piano, quasi sfregiata dal pianto.
«Ho perso la guerra Steve.» Disse Bucky piagnucolando, puntando la canna dell'arma verso il suo viso.
«BUCKY, FERMATI.» urlò il biondo, fiondandosi su di lui, e bloccandolo sul pavimento.
Velocemente, il soldato sottomise Cap, che si trovò immobilizzato da quel peso ormai fuori controllo, il peso di un morto che continuava a respirare.
Nei suoi occhi verdi vide il male, il terrore, rossi e pieni di collera, si posarono sulle mani di James, che puntava la pistola contro la fronte di Steve.
Con entrambe le mani, riusciva a tenere lontani polsi di Bucky dal suo viso, ma non le dita, strette sul grilletto.
«TI PREGO!- annaspò Rogers cercando di risolvere la situazione senza conseguenze gravi- BUCK STA CALMO!»
Lo sguardo perso del soldato tornò ad essere quello di Bucky, nel sentir chiamare quel breve nomignolo che solamente Steve gli affibbiava, quella frase che aveva già sentito da quella stessa tenera voce da piccoli, in un particolare episodio dove il moro si era fatto male, qualcosa che non riusciva a ricordare del tutto.
Le sue mani si lasciarono guidare da quelle di Steve, che persero il controllo quando gli avambracci di Bucky si irrigidirono, e puntarono la pistola contro se stesso.
«Se davvero mi hai amato, se davvero mi ami, allora uccidimi!» sbraitò James rigido.
«No!» sbottò incredulo Steve sottomesso sotto di lui, cercando di allontanare le mani dalla stretta gelida di cui era prigioniero.
«Sei solo un fottuto codardo! Coraggio, premi il grilletto!» la sua voce era talmente acuta, da far venire il mal di testa, e le sue parole talmente amare da stringere lo stomaco.
Steve strizzò gli occhi, e poi li riaprì quando il tremolio compulsivo della mano di carne di Bucky si calmò, cogliendo quegli occhi sereni, e quel sorriso tatuato nella sua memoria.
«Per favore Stevie, per favore.» quello era il modo dolce in cui il suo Bucky lo chiamava. Ed era bellissimo.
Deglutì il nodo alla gola, guardò quell'uomo davanti a lui che di Bucky aveva a mal appena il volto, pensando se lo avrebbe mai riavuto indietro.
Il vuoto lo inghiottì.
Strinse le dita intorno alla pistola, e chiuse gli occhi.

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