The beginning
Allyson's pov
Il rumore fastidioso della sveglia risuonò nell'aria, io ed Isabel eravamo già sveglie e pronte per il nostro primo emozionante giorno di scuola.
Sarebbe stato emozionante per chiunque altro adolescente voglioso di conoscere nuove persone, di fare nuove amicizie, di visitare posti di una città sconosciuta, o almeno di ambientarsi al più presto. Ma per noi non c'era nulla di emozionante o fantastico nel primo giorno di scuola.
Non avevamo per niente voglia di fare nuove amicizie o di risultare simpatiche a persone che avremmo visto solamente per qualche mese prima di cambiare nuovamente città.
La cara zia Emily ci rassicurò dicendoci:«Tranquille tesori, non sarà per molto, giusto qualche mese, ho trovato lavoro in questa caffetteria, il tempo di guadagnare abbastanza soldi e poi ce ne andremo via. Non rimarremo per molto, il tempo passerà prima di quanto immaginiate».
Ci avevamo creduto. Avevamo creduto davvero alle parole rassicuranti della dolce zia, anche perchè, avevamo altra scelta?
Ora che solo la zia Emily ci era rimasta non potevamo permetterci di non fidarci, anche se in fondo, sapevamo che non sarebbe stato poco tempo e che dovevamo cercare di ambientarci il più velocemente possibile.
Era giunto il momento, quello sarebbe stato l'inizio della nostra nuova vita. Da lì sarebbe cambiato tutto, ogni singola cosa. In quel momento nessuno ci conosceva, nessuno ci avrebbe guardate più con quella pietà negli occhi consapevole del nostro dolore, consapevole di quello che avevano passato. Ora avremmo potuto ricominciare, a modo nostro.
I passi leggeri di Isabel fecero eco nella cucina, la zia Emily era impegnata a preparare il caffè, che, sapeva, noi tanto amavamo. La giovane mora salutò con una voce strana la zia. Sì, una voce strana, perchè erano anni che non usava quella voce, era allegra, era viva.
«Allegra stamattina?» le sorrise la donna.
«Già, magari oggi riusciamo a conoscere qualcuno» disse Isabel sedendosi, mentre afferrava delicatamente la tazzina di caffè che le porse la zia.
«Ma certo che farete nuove amicizie oggi, siete delle ragazze stupende, se ne accorgeranno.» La incoraggiò Emily, prima che io, ancora assonnata entrassi nella stanza con un sorriso stampato sul volto, quella mattina, luminoso.
«Sapete vero che mentre voi chiacchierate l'autobus non aspetta noi?» disse la ragazza dagli occhi castani con alcune sfumature di verde, con un luccichio divertito in essi.
Isabel ridacchiò, sistemandosi la lunga coda di cavallo.
«Certo, hai ragione, andiamo» disse, prendendomi a braccetto, e non persi tempo a scoccare un bacio sulla guancia della zia.
«A dopo zia Emily, ci vediamo a pranzo.» Cantilenai, trascinando Isabel via.
Le nostre risate allegre si sentirono anche dopo che la porta fu chiusa, poi, dopo un altro paio di passi, il silenzio.
La zia Emily guardò mentre ci allontanavamo allontanarsi con gli zaini da scuola in spalla, ancora con i nostri sorrisi sul volto giovanile, mentre ci dirigevamo alla fermata dell'autobus.
Stava sicuramente riflettendo per qualche secondo sul fatto che le sue adorate bambine, ormai, non erano più da considerare tali. Pur avendo appena 19 anni, dopo tutto quello che avevano passato, stavano diventando vere e proprie donne. Le sue piccole donne.
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Le porte del college si aprirono, e i nostri occhi scrutarono con attenzione l'ambiente.
Dagli infiniti armadietti di colore rosso acceso alle masse di ragazzi che schiamazzavano e ridevano spostandosi da un posto all'altro.
Man mano che avanzavamo lungo l'immenso corridoio, gli occhi degli studenti lasciarono quello che stavano facendo e si fissarono su di noi.
Ci guardammo infastidite, cercando di ignorare quella sensazione fastidiosa allo stomaco che si ripresentava ogni qualvolta eravamo al centro dell'attenzione.
Isabel strinse il bigliettino che aveva fra le mani, contenente il numero dell'armadietto e il codice per aprirlo. Era infastidita, e preoccupata, ma decise di focalizzarsi su di me alle prese con il mio armadietto.
Un sospiro stanco uscì dalle mie labbra quando non riuscii ad aprire il mio armadietto, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
«Lascia, faccio io. Cerca di stare calma, andrà bene.» Mi incoraggiò Isabel, girando la manovella dell'armadietto, prima di aprirlo senza molto sforzo.
«Non lo so, vedi come ci guardano? Già ci hanno etichettato per le nuove sfigate della situazione. Non posso farcela, non posso sopportare quella situazione di nuovo, e tu lo sai» dissi esasperata, puntando gli occhi in quelli di mia sorella e mordendomi il labbro dalla frustrazione.
Sentivo gli occhi pungere, ma non potevo mostrarsi debole, non di nuovo. La mano calda di Isabel mi sfiorò la guancia prima di curvare le labbra di un sorriso che mi infuse fiducia e calma, riuscendo a far tacere quelle paranoie che si ripresentavano di continuo senza sosta da anni ormai.
«Tranquilla, okay?»
«Okay.» Mi arresi infine, roteando gli occhi al cielo. Quegli occhi, gli stessi occhi di nostra madre, che le ricordavano sempre più quella fantastica e dolce donna, che aveva fino all'ultimo secondo prima di lasciare le sue due adorate figlie per sempre.
Le ore passarono veloci, e la mensa della scuola iniziò a riempirsi verso l'ora di pranzo. Centinaia di studenti erano indaffarati ad occupare il loro solito posto, tranne noi.
Con l'aria smarrita e con i vassoi con dentro della pasta e delle patatine fritte fra le mani, ci muovevamo con la nostra solita eleganza fra i tavoli, cercando di non disturbare nessuno studente troppo occupato a consumare il suo cibo.
Trovammo finalmente posto in un angolino della grande sala, e iniziammo a mangiare in silenzio.
Nessuna delle due osava aprire bocca in un momento come quello, troppo delicato, con troppi pensieri e troppi ricordi impressi nella mente, perché anche in quel momento, per l'ennesima volta, eravamo sole.
«Ehm..scusate ragazze, il posto è libero?» La voce tremolante di una ragazza bionda e dagli occhi di un blu oceano tale che, a fissarlo ancora per molto, avrebbe ammaliato lo spettatore tanta era la loro profondità e dolcezza.
Le labbra tinte da un rossetto pesca e gli occhi truccati da un mascara leggero evidenziavano il suo bel viso, decorato da una sorprendente espressione dolce.
In tutto il giorno, nessuno aveva rivolto loro la parola, e pensare che finalmente qualcuno si era deciso a parlare loro riempì il cuore di gioia ad entrambe, e fece dipingere un sorriso meraviglioso sulle nostre labbra.
«Ma certo!» rispondemmo in coro, senza volerlo.
Ci guardammo stranite prima di scoppiare a ridere, seguite dalla ragazza bionda ancora in piedi davanti al tavolo, poi, senza aggiungere altro, si sedette.
«Comunque tanto piacere, sono Hope. Non vi ho mai viste da queste parti..e già gira voce che sono arrivate due nuove matricole, ed è strano, perchè è già marzo. Siete voi giusto?» disse con un sorriso divertito sulle labbra, senza accennare però alcuna traccia di cattiveria.
«Sì, siamo proprio noi. Chissà perché non mi stupisce che la voce si sia già diffusa, succede sempre. Comunque piacere, Isabel» commentò Isabel.
«Allyson.» Sorrisi, «di dove sei Hope? Non hai l'accento di qui»
«Sono francese» commentò fiera la bionda. «Mi sono trasferita qui all'inizio dell'anno quindi non è molto che frequento questo posto. Quando ho iniziato mi sono trovata nella vostra stessa situazione. Nessuno mi rivolgeva un singolo sguardo, almeno non prima di Liam.»
«Chi?» chiesi curiosa, notando la scintilla negli occhi della nuova amica.
«Liam, pensavo l'aveste già sentito nominare. Sapete, lui e i suoi amici sono tra gli argomenti più discussi tra le ragazzine e le oche qui dentro.» Rise, ma con una nota di fastidio della voce. Hope, si guardò intorno con fare quasi frenetico, come se stesse cercando qualcuno. E, in fondo, qualcuno stava cercando.
«No, in verità no, sai, non abbiamo avuto modo di fermarci molto oggi, eravamo troppo occupate a perderci nella scuola per colpa di Allyson» rispose Isabel, facendo la finta stizzita verso di me, che la guardavo a bocca aperta. Formava una buffissima "o" che l'avrebbe fatta ridere sicuramente, se non fosse stata una brava attrice.
«Ma se sei stata tu a fidarti di me e del mio senso dell'orientamento! Non potevi di certo aspettarti che sapessi a memoria ogni singolo angolo di questo labirinto essendoci stata neanche mezza volta» dissi mentre gesticolavo con le mani al vento facendo la finta offesa, prima di sorridere dispettosa, «e poi, di certo il tuo senso di orientamento non è migliore del mio.»
«Uhm, uno a zero per te.» Rise mia sorella, sconfitta. Puntò poi gli occhi sulla bionda, taciturna da un po'. «Tutto bene? Perché non parli?»
La ragazza tenne il viso girato verso la porta della mensa, mentre un rossore sempre più forte si espanse sulle sue guance, e un sorriso timido si dipinse sulle sue labbra.
«L'abbiamo persa?» Ridacchiai, sventolandole una mano sul viso. La ragazza batté gli occhi oceano e mi guardò confusa, come se si fosse appena ripresa da uno stato di trance.
«Bentornata fra noi comuni mortali principessa.» Cantilenò Isabel sorridendo. La ragazza senza dire nulla, tornò a fissare la porta, mentre un gruppo di ragazzi l'attraversava.
Erano tutti sui 19 anni, alti e con dei fisici ben definiti. Non c'era ragazza nella sala che non avesse gli occhi puntati su quei ragazzi. Un ragazzo in particolare si fermò poco lontano dal tavolo dove erano sedute le tre amiche, e sorrise dolcemente alla bionda, strizzandole l'occhio. I suoi capelli castano chiaro si abbinavano perfettamente ai suoi occhi color nocciola, e le sue labbra umide erano curve in un sorriso mentre pronunciava il nome della ragazza, in un modo tale che se avesse potuto si sarebbe sciolta davanti a tutti.
«Hey Hope, oggi non siedi vicino a noi?»
«Oh no Liam, credo farò amicizia con queste ragazze. Loro sono Isabel ed Allyson. Ragazze, lui è Liam.» Ci presentò velocemente , capovolgendo la situazione e ponendo noi al centro dell'attenzione.
«Piacere ragazze, io sono Liam, e loro sono Louis, Zayn, Niall ed Harry. Volete unirvi a noi?» Sorrise gentilmente il ragazzo indicando uno ad uno i ragazzi lì con lui.
Ognuno di loro ci salutò con un sorriso o con un cenno del capo, tutti tranne gli ultimi due.
Un ragazzo biondo dagli occhi color del mare, così scuri e vuoti da poterti dare l'impressione di affogarci dentro. Un'espressione dura stampata sul volto, che non rendeva giustizia ai lineamenti perfettamente equilibrati del suo viso, che sarebbero stati dolci, se non avesse indossato quella maschera insensibile. La pelle chiara accentuata dalla maglietta a maniche corte bianca che non faceva altro che accentuare il fisico scolpito.
Un altro ragazzo, che sembrava essere il più alto fra i cinque, aveva le braccia incrociate al petto, mettendo in mostra i muscoli tesi e definiti delle braccia toniche. I capelli ricci color cioccolato contrastavano con degli smeraldi al posto degli occhi, contornati da lunghe ciglia scure.
Al contrario di quello biondo e degli altri era vestito completamente di nero, mentre sbuffando incitava con una mano l'amico dagli occhi color del mare tanto stupendi quanto pericolosi ad andarsene a sedere.
Fu allora, che girando i volti verso il tavolo delle tre, i loro occhi si incrociarono con i nostri.
Rimanemmo a fissarci negli occhi per un tempo che parve infinito. Una sensazione di vuoto ci pervase lo stomaco e nessuno dei quattro accennò ad interrompere il contatto visivo. Eravamo come paralizzati.
E fu allora, in quell'istante, che si creò il legame che nessuno dei quattro aveva idea si fosse creato. E nessuno poteva immaginare che quell'istante sarebbe stato solamente l'inizio della fine.
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