Chapter 23

Allyson's Pov

Quando Isabel lasciò di fretta il nostro gruppo, notai Niall fare un veloce passo in avanti pronto ad andarle dietro.

«Niall, lasciala stare.» Dissi toccandogli un braccio per fermare la sua impresa.

Il ragazzo biondo si girò puntando i suoi occhi azzurri nei miei accennando un sorriso triste,
«lo so che non vuoi che la faccia soffrire, Allyson. Ma non posso smettere di combattere senza che lei sappia la verità.»

«E quale sarebbe la verità?» Domandai sarcastica poggiando una mano su un fianco tenendo gli occhi fissi nei suoi.

Le sue labbra si curvarono ancora di più in un sorriso, stavolta timido. Ebbi quasi l'impressione di vederlo arrossire, tanto che dovetti sbattere le palpebre più volte per essere certa di quello che avevo visto.
Non ricevetti risposta, semplicemente si guardò indietro, e le corse dietro.

Un piccolo sorriso si formò sulle mie labbra mentre guardavo la scena di Niall che tentava di afferrare il polso di mia sorella invano.
Era davvero deciso a riaverla, e speravo per lei che ci riuscisse. Almeno lei sarebbe stata felice.
I miei pensieri vennero interrotti dalla mano di Liam che mi toccò la spalla, prima di avvolgerla con un braccio. Lo guardai rivolgermi un sorriso gentile.

«Non avevi anche tu lezione di Biologia?» Domandò indicando l'orologio bianco sopra le nostre teste, appeso alla parete anch'essa bianca. Seguii il suo sguardo guardando l'orario. Sentii le gambe tremarmi, diamine. Ero in ritardo.

«Cazzo, è tardissimo.» imprecai raccogliendo la borsa da terra.

Quando mi rialzai però, incrociai quei due smeraldi verdi che avevo cercato di ignorare per tutto il tempo. Mi guardavano privi di espressione, di un verde più scuro di quello che ero solita ammirare. Immediatamente, ogni singola parola detta quella dannata sera percorse la mia mente. Le urla tremendamente vivide mi rimbombavano nella testa, facendo ridurre in briciole ancora più piccole il mio cuore già a pezzi.

Le sue labbra si separarono appena, ma non gli diedi tempo di proferir parola, che già ero lontana da loro, da lui.

Entrai di fretta e furia nell'aula, dove il professore già aveva cominciato la sua inutile lezione.
Fantastico, un ritardo. Il primo dell'anno.
I volti degli studenti e del professore erano tutti rivolti verso di me. Alcune espressioni erano divertite, altre indifferenti, mentre il professore, lanciandomi un'occhiata glaciale mi incitò bruscamente a prendere posto.

«Signorina White, potremmo conoscere i motivi del suo insolito ritardo?» agitò le braccia teatralmente per poi poggiarsi alla cattedra con le braccia, con un ghigno malefico sul volto.

Odiavo quell'uomo di mezza età. Sarebbe stato la mia rovina, per fortuna che andavo bene in biologia.
Nonostante in quel momento avessi i nervi alle stelle, abbassai la testa, girandomi i pollici in senso di nervosismo.

«Mi dispiace, la sveglia è suonata in ritardo.» balbettai inventando una scusa all'istante, sapendo che però nessuno ci avesse creduto.
Per fortuna però, il vecchio non si spinse oltre e continuò tranquillamente, o quasi, la sua lezione.

Le prime ore passarono con tremenda lentezza. Non potevo far a meno di pensare all'espressione assente che aveva Harry. Magari gli mancavo..
Ma andiamo, non dire idiozie Allyson. È solo una tattica per farti sentire in colpa e cadere ai suoi piedi. Non è ovvio?
No, non lo è.

Un forte rumore di qualcosa che sbatteva contro gli armadietti mi risvegliò da quello strano stato di trance, costringendomi a voltarmi verso quel rumore assordante.
A qualche metro di distanza una cerchia di studenti era intenta a guardare qualcosa o qualcuno. A giudicare dal fracasso non doveva essere niente di buono, così mi avvicinai. La mia altezza purtroppo non mi permetteva di vedere oltre quella massa di persone, così mi feci spazio, spingendomi in avanti fra la folla, riuscendo ad arrivare avanti.
Quello che vidi fu l'ultima cosa che mi sarei mai aspettata di vedere.
Un ragazzo dai capelli neri era premuto con violenza contro gli armadietti, la sua espressione era terrorizzata mentre guardava ad occhi sgranati il ragazzo che lo teneva con così tanta forza. Aveva il labbro leggermente spaccato, il sangue colava da esso tingendogli il labbro inferiore di rosso. Sangue usciva anche dal naso, mentre la sua camicia bianca era completamente stravolta. Quando osservai il ragazzo che aveva compiuto questa cattiveria, ci misi meno di un secondo a capire di chi si trattasse. Tutto il resto successe in una frazione di secondo.

Senza rendermene conto mi spinsi velocemente in avanti, afferrando il braccio del ragazzo riccio pronto a sferrare l'ennesimo pugno in volto al povero ragazzo troppo debole e spaventato perfino per reagire.
Quando quel paio di occhi color della giada furono nei miei, la sua espressione feroce mutò in un nulla. I muscoli delle braccia si rilassarono immediatamente. Mollò la presa sul ragazzo che cadde in ginocchio, ma subito colse l'occasione per strisciare via da quel luogo.

«Allyson...io...» balbettò con voce roca, lasciando cadere le sue braccia lungo i fianchi.
Lo guardai. Centinaia di emozioni mi travolsero in quel momento. Odio, tristezza, dolore, ribrezzo, paura, amore. E sapevo che lui le vedeva tutte. Lui sapeva leggermi, io no.

«Cosa Harry? Cosa? Cosa diamine ti passa per quella testa?» alzai il tono di voce, sotto gli occhi stupiti degli studenti che non avevano altro da fare che assistere alle discussioni altrui.

«Te.» sussurrò cautamente, quasi come se stesse confidando un segreto ad un bambino. Persi un battito. Il suono della sua voce che sussurrava, i suoi occhi pieni di senso di colpa, non facevano altro che accendere una microscopica speranza in me.

«Non è vero. Non è così. Ora sei arrivato al punto di picchiare un povero ragazzo! Ti rendi conto? Cazzo Harry tu sei impazzito! Io..io non ti riconosco più!» portai le mani alla testa chiudendo per qualche secondo gli occhi cercando di recuperare la calma.

Uno sbuffo lasciò le sue labbra,
«cazzo Allyson, se vuoi che gli chieda scusa lo farò. Ero solo incazzato. Non gli avrei fatto del male, lo sai.»

A quelle parole lo guardai incredula, «Eri incazzato e te la prendi con lui che non ha fatto nulla? Tu sei pazzo!» mi presi una pausa per poi continuare a parlare,
«però gli hai fatto del male, ed io non posso credere di averti avuto affianco per un mese senza conoscere questo te!» Dissi esasperata, voltandomi pronta ad allontanarmi, ma la sua mano si avvolse in una morsa di ferro attorno al mio polso, costringendomi a girarmi.

«Sono uno stronzo. Un emerito coglione che non sa tenere i nervi a bada, che fa del male alla gente che gli sta attorno, anche a quella che più ama. E fa del male anche a se stesso.» sputò fuori, per poi prendere una pausa e passarsi come al suo solito una mano fra i capelli, che stranamente notai essere più scuri e meno morbidi. Diede un'occhiata veloce alla gente attorno a lui, poi tornò a parlare, «ma non avrei mai potuto immaginare di fare del male a te. Non dopo tutto quello che hai passato. Te che mostri di essere così forte e dura, quando in realtà sei così piccola ed innocente..Non avrei mai potuto fare quello a te.» sussurrò l'ultima frase avvicinandosi a me a tal punto da far sfiorare i nostri petti.

Con il suo respiro ad accarezzarmi le guance, i suoi occhi verdi fissi nei miei, e le sue dita che delicatamente sfioravano le mie braccia salendo e scendendo provocando migliaia di brividi lungo la mia spina dorsale. Un insolito formicolio lungo il basso ventre metteva a dura prova la mia concentrazione. Lo vidi passarsi la lingua fra le piene labbra rosse così dannatamente invitanti.

«Perché?» fu l'unica cosa che riuscì a pronunciare in quel mio stato di trance. Non riuscivo a connettere.

Non riuscivo a comandare il mio corpo, non sapevo cosa stessi facendo nemmeno quando mi ritrovai ad avvicinare il viso al suo, totalmente e irrazionalmente persa a fissare quelle labbra rosse.

«Perché io a te ci tengo fottutamente tanto, cazzo.» Disse, posizionando una mano sul retro della mia schiena e attirandomi verso di lui.

Adesso eravamo realmente vicini.
Mi si mozzò il fiato quando quelle parole lasciarono la sua bocca. Feci per dire qualcosa, ma non riuscii ad emettere suoni.
L'accenno di un sorriso comparve sulle sue labbra. Abbassò gli occhi sulla mia mano, per poi incrociarla con la sua. Restai a guardare quel gesto sbalordita. Lo guardai.

Aveva davvero detto che a me ci teneva.
Avrei desiderato così tanto farmi stringere da quelle braccia ancora una volta, perdermi nel suo profumo così inebriante, e dirgli che non importava, che lo avevo perdonato già da quando si era lasciato la porta di casa mia alle spalle. Avrei voluto unire le nostre labbra così tanto, assaporarne il sapore lentamente, per cercare di recuperare tutto il tempo perso a soffrire. Ma non feci nulla di tutte queste cose.

Lentamente mi allontanai, senza interrompere il contatto visivo. Lo vidi poggiarsi con la schiena agli armadietti, sfinito. Ormai non ce la faceva più nemmeno lui a combattere. Avrei voluto davvero perdonarlo. Avrei voluto dimenticare tutto ciò che era accaduto. Ma non potevo. Non ci riuscivo.

«I-io..non posso. Io non posso Harry.» sussurrai, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.

Odiavo piangere. Odiavo mostrarmi debole davanti a chi mi aveva fatta soffrire. Ma con lui tutto era diverso. Con lui non ero più me stessa. Con lui avevo scoperto una me che non credevo esistesse. Che non doveva esistere.

Lo vidi abbassare il capo, e scuoterlo leggermente mentre una risata triste lasciò le sue labbra. Ecco come ci ritrovavamo ogni volta. Stremati, feriti.
Prima di potermi mostrare ulteriormente in quello stato di debolezza, iniziai ad allontanarmi da lì a passo deciso, consapevole che non mi avrebbe fermata.
E infatti, nessuno mi chiamò.

La mensa a quell'ora era completamente piena. Non c'era nemmeno un posto libero. Alcuni ragazzi erano costretti a mangiare fuori sul prato, seduti a cerchio, mentre tra una chiacchiera e l'altra consumavano l'odioso pasto di quella scuola.
Superata la fila per prendere il cibo, mi ritrovai di fronte a quel bancone contenente tre vasche nelle quali si trovava la scelta del giorno. Uova, del riso, un'insalata. Rimasi a fissare per qualche secondo il cibo, mentre i miei occhi passavano da una pietanza all'altra, sotto gli occhi irritati della cuoca. La osservai. Era la stessa praticamente da quando ero arrivata in quella scuola. I capelli neri raccolti in una cipolla disordinata, con un piccolo cappello bianco sulla testa. Gli occhi grigi che contrastavano con delle profonde occhiaie scure. Completamente priva di trucco, l'espressione severa enfatizzava la sua imponenza. Una donna alta e grossa, sempre con la solita espressione imbronciata, sulla cinquantina d'anni.

«Andiamo ragazza, muoviti, ho altri animali da sfamare.» brontolò agitando il mestolo d'acciaio che aveva fra le mani.

Annuii fermamente, e mi ripetei che perdere tempo a scegliere cosa mangiare sarebbe stato inutile, tanto nulla sarebbe stato commestibile.

«Delle uova, grazie.» alzai la voce in modo che mi sentisse, a causa dello schiamazzo creatosi nella mensa.

La donna, come se fosse un gesto abituale, impugnò saldamente il grosso mestolo, e colpì con esso tre volte, violentemente una pentola. Il forte rumore si espanse per tutta la sala, facendo cadere così un silenzio tombale.
Mi tappai velocemente le orecchie al suo gesto.
Afferrai rapidamente quel che doveva essere il mio cibo, e mi avviai verso il tavolo dove già si trovavano Louis e Isabel.

Un'espressione soddisfatta giaceva sul volto del ragazzo dagli occhi color del ghiaccio, che mi fece un occhiolino in cenno di saluto quando presi posto.

«Come mai queste facce? Capisco quanto sia importante la mia presenza, ma vi prego non fatemi emozio-» cercai di finire la frase, mentre una Isabel con una strana luce di speranza negli occhi, mi interruppe.

«Louis ha trovato le mittenti del messaggio.»
La forchetta che avevo appena afferrato, cadde rumorosamente sul piatto, mentre le mie labbra assunsero una forma ad "o".

«Sono un genio? Puoi dirlo forte, Babe. E ti dirò di più. Oltre a questi due bellissimi nomi, sono riuscito a scoprire anche qualcos'altro. Lo so, avrei dovuto lavorare per l'FBI.» si vantò, passandosi una mano fra i capelli Louis, per poi poggiare un foglietto sul tavolo bianco.

Raccolsi il foglio, stringendo gli occhi in due fessure per riuscire a decifrare la scrittura di Louis. Evidentemente non era delle migliori.

«Andiamo, non fa così pena.» commentò il ragazzo, come se avesse letto la mia espressione confusa.
Scossi la testa ridendo, prima di leggere ad alta voce.

Jessica Davis
Brooklyn Jones

Guardai mia sorella. Il suo volto concentrato celava tutte le emozioni contrastanti che provava in quel momento. Riuscivo a capire cosa provasse. Le provavo anche io. Probabilmente non avevo mai provato emozioni così forti e diverse allo stesso tempo. Non avevo la minima idea di chi fossero queste ragazze, non sapevo perfettamente nulla di loro, ma sapevo che c'entravano qualcosa con Harry e Niall. Sapevo, che per quanto Harry avesse provato a tenermi nascosto il suo passato, e talvolta anche se stesso, non era servito a molto, perchè adesso tutto sarebbe stato chiaro. Adesso facevo parte della sua vita, e ne avrei conosciute le conseguenze.

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