Torniamo
La pietra sospesa a mezz'aria comincia a vibrare, il tempo di osservarla meglio e non c'è più.
Una specie di dolore meraviglioso attraversa il petto di Ermet, poi, una vertigine lo chiama a sé, per farlo sprofondare, tremante, in una combinazione di sensazioni. La forza dei muscoli, la vita che scorre negli organi del corpo, la capacità di sentire e il modo di osservare, il calore, la pressione dei vestiti sulla pelle, persino lo scricchiolio delle ossa nel cranio, tutto in lui è più acuto. Un rumore assordante segue la luce biancoazzurra che gli risplende vicino, svelando ai suoi occhi una ragazza sconosciuta. È incantevole. Balla e canta di fronte allo specchio di camera sua, convinta che nessuno la stia osservando. La fessura che l'anta in legno dell'armadio lascia aperta, regala a Ermet una perfetta visuale a scudo: dalla sua posizione può sbirciare, senza essere visto, mentre la musica ad alto volume anima ogni cosa. C'è uno strano stato di disordine, che il ragazzo non riesce a comprendere. Quel posto è assolutamente inospitale e l'aria, l'aria è troppo densa e troppo calda. Una cosa, però, è subito chiara al Tiariano: in quella ragazza arde qualcosa che può tenere vivo l'universo intero. Qualcosa in cui anche lui desidera essere coinvolto, qualcosa che lo invita a esistere in lei. Ignara, sbatte ritmicamente la testa castana a destra e sinistra, rendendo i capelli bagnati perfette piste di lancio per milioni di goccioline. Ermet cerca di andare oltre il potere ipnotico del modo con cui muove i fianchi, oltre quella forza attraente che la fa danzare, cerca di scorgerne il colore degli occhi, ma viene sopraffatto da una profonda e acuta consapevolezza di appartenenza alla ragazza. Tutto gli chiarisce quanto non sia possibile resisterle, quanto non sia possibile esistere senza lei. È come un magnete: ogni parte di lui è attraversata da un leggero pizzicore indefinibile che lo porta a tendere verso la ragazza. Un piccolo gatto rossiccio le si struscia sulle caviglie puntellate di efelidi brune, e il vorticare di sensazioni di Ermet si ferma. "Micio, micio..." sussurra dolcemente la fanciulla, rivolgendosi al felino, mentre le lunghe dita delle mani le si attorcigliano abili a formare una treccia di capelli bagnati. La ragazza abbandona distrattamente la stanza, seguita dal cucciolo di animale ed Ermet senza esitare, sguscia fuori dal nascondiglio. Spaesato e confuso, comincia a guardarsi intorno quando, appoggiato sulla scrivania, vede qualcosa che conosce bene.
Ricerco costantemente te. So che ti senti un Distinto, che senti di aver bisogno di qualcun altro, e che quando ti incontrerò, ti sarà tutto più chiaro. Una volta allineate le nostre energie, sarai in grado di svelare il mistero che si cela dentro l'anima di chi incontri, di capire ogni cosa...
Ermet è confuso, le sopracciglia aggrottate, quello che ha letto è scritto con la stessa calligrafia di tutti gli indizi che ha trovato a Tiara, e ora è convinto di non trovarsi nel suo mondo.
Sono le stesse parole che ha già letto, in uno degli indizi, però, c'è di più, altre frasi, che mai gli sono pervenute.
Sono sempre lì, in mezzo a teste sconosciute, e illumino ciò che osservo. Sono certa di essere collegata a lui, ma devo capire come fare. La magia che si compie quando si dorme, quest'arte antica e ignota ai più, devo farla conoscere al mondo. Saper sfruttare il proprio sonno, indirizzare i propri sogni, sì, il segreto dei tempi, conosciuto da un gruppo ristretto di persone. Eppure, c'è dell'altro, qualcosa di potente. Sto coltivando le mie conoscenze, o forse le ho già studiate. Di certo, questo potere deve essere protetto.
Ermet intuisce che si tratta di una specie di diario, e scorre alcune pagine all'indietro, verso l'inizio.
"Io e il Professor Caveglio viaggiavamo verso la Pietra della Mila in sella alla mia moto. Era il mezzo più veloce e sicuro in nostro possesso. Avevo deciso di guidare io, e lui non si era potuto opporre, considerando che la sua dimestichezza con i motori è da sempre inversamente proporzionale a quella che ha con l'archeologia. A Roma c'erano circa trenta gradi, il cielo era blu, limpido, senza l'ombra di una nuvola, e ... in quella notte luccicante ebbi la certezza di poter cambiare le cose. In quella notte, diventai la guardiana di uno dei segreti più grandi mai esistiti. In quella notte, quando tutto cominciò, le prime cose che apparvero ai miei occhi, per gli altri erano solo grossi blocchi di pietra squadrata.
...La natura ama nascondersi, diceva il mio caro amico Eraclito, e finalmente avevo scoperto che per quanto mi ostinassi a cercare nella vita uno spazio autonomo, un territorio inaccessibile di purezza, questo non esisteva, non esisteva davvero, ne avevo la prova, nemmeno nei sogni. Una parte dentro di noi, anche quella più inconscia, pure quando sogna è dominata da qualcosa, da dell'altro. Quando sogniamo possiamo fare cose che ci fanno sentire invincibili, ma c'è, sempre, un'idea suprema sotto il cui influsso si agisce anche nei sogni. Si tratta di condizionamenti che persino nel sogno sono incontrollabili. Scoprirlo mi ha in qualche modo aiutata, del resto si tratta di una verità svelata già in tempi molto remoti da un'antica religione; si diceva che il Creatore, sentendosi annoiato e solo, fece il Mondo. Fu molto soddisfatto di ciò che aveva realizzato, finché non sentì sulla propria testa una luce, qualcosa che non aveva creato lui. Fu allora che scoprì che esistevano altri mondi, decisamente più belli e incantevoli del suo. L'idea di essere l'unica scelta, l'unica possibilità nella creazione gli apparve molto limitante. Ho scoperto che di fatto non permettiamo che accada nemmeno nei sogni. L'idea che esista dell'altro oltre a noi, ci permette di accedere a mondi inesplorati, a meraviglie che non potremmo immaginare. È per questo che far conoscere a qualcuno il proprio intimo tesoro, è il più grande potere che si possa offrire a una persona. Quel tesoro ha da sempre interessato gli uomini più arguti e ambiziosi, io lo custodirò."
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