21. Bomba a orologeria
Evitare Amelia si stava rivelando più complicato del previsto.
Quando eravamo in casa non c'erano problemi: io mi chiudevo nella mia stanza a doppia mandata e sparavo la musica a tutto volume nelle cuffie così, anche se veniva a bussare alla mia porta, non l'avrei sentita; a cena, invece, ero salva perché lei non avrebbe mai scoperchiato il vaso di Pandora davanti al resto della famiglia.
Mi sarebbe tanto piaciuto sapere quale scusa si sarebbe inventata per giustificare le sue menzogne, per averci nascosto una relazione e, soprattutto, per aver nascosto a me che le piacevano anche le ragazze. Tuttavia, preferivo vivere nell'ignoto almeno finché non avrei sbollito la rabbia dato che mi sentivo una bomba a orologeria pronta a esplodere al minimo sollecito.
La situazione si complicava a scuola, dove riusciva a inseguirmi ovunque pur di scambiare due parole con me. Almeno lo faceva da sola, senza portarsi Margot sempre dietro. Non che ce l'avessi con lei, anzi, tutt'altro. Mi era sempre sembrata una ragazza simpatica e continuavo a mantenere con lei toni cordiali, anche se la prima volta che ci eravamo incontrate nei corridoi aveva tentato di infilarsi in un'aula vuota pur di evitarmi.
Probabilmente temeva che non la ritenessi all'altezza di mia sorella o, peggio, che non accettassi la loro relazione, ma la realtà era che non me ne importava assolutamente nulla. Io ce l'avevo con Amelia solo perché me l'aveva tenuto nascosto.
Non mi curavo affatto dei musi lunghi che sfoggiava da giorni, pensando che, intenerendo mamma e papà, loro mi avrebbero convinto a parlarle. Sapevano perfettamente di non doversi immischiare nelle nostre faccende da gemelle e si guardavano bene dallo schierarsi per l'una o per l'altra parte.
Lucas, invece, si trovava esattamente in mezzo al fuoco incrociato e tentava di fare da paciere senza rimetterci la pelle. Purtroppo per lui, io non ero affatto disposta a fare un passo indietro quella volta, per cui si limitava a consolare la triste Amelia bistrattata dalla gemella cattiva.
Pft, stronza.
Se avesse saputo il motivo del litigio, probabilmente ci avrebbe colpite entrambe con un corpo contundente per farci rinsavire; dubitavo si rendesse conto della gravità della situazione, di quanto quel tradimento fosse imperdonabile per me. Lo ritenevo una mancanza di fiducia bella e buona e non sarebbe stato grazie al suo bel visino che l'avrei perdonata.
«Sam, sei pronta? Lucas e Amy ti aspettano in soggiorno.»
La mamma entrò nella mia stanza mentre allacciavo il cinturino dei décolleté intorno alla caviglia. «Tacchi a spillo? Di tua volontà?» chiuse la porta alle sue spalle con un sorriso malandrino. «C'è qualcosa che dovrei sapere?»
«No, in effetti, niente» per ora. Spero. «Solo che andrò con Austin alla festa, passerà a prendermi tra dieci minuti, quindi Lucas e Amelia possono andare.»
«Passate un sacco di tempo insieme, tu e Austin...» insinuò, accomodandosi sul letto mentre io, alla scrivania, spazzolavo per l'ennesima volta i capelli già liscissimi.
Ero nervosa - era palese - ma non solo perché sarei andata alla festa insieme a un ragazzo bellissimo di cui non mi sentivo affatto all'altezza. Ero nervosa perché non avevo potuto contare sull'aiuto di mia sorella, sulle sue rassicurazioni e sulle sue battute che avrebbero stemperato la tensione.
«Posso supporre che ci sia del tenero?» domandò mamma direttamente, notando come continuavo a stare in silenzio, evitando le sue insinuazioni.
Avvampai di colpo e sperai che il rossore non fosse percepibile sotto al fondotinta, ma dal ghigno saputo di Maeve Miller mi accorsi di essere stata colta con le mani nel barattolo della marmellata.
O del miele, in questo caso, dato che i capelli di Austin ne ricordano il colore.
«Diciamo che potrebbe esserci... magari in futuro» rimasi sul vago. In effetti, sebbene io stessi acquistando consapevolezza riguardo la mia cotta, non potevo dire lo stesso del mio accompagnatore, al quale, per quanto ne sapevo, potevo essere totalmente indifferente.
Mamma si alzò dal tetto, sfilandomi la spazzola dalle mani per impedirmi di strappare tutti i capelli a furia di pettinarli. «Questo c'entra qualcosa col motivo per cui tu e Amelia siete in lite? Mi è sembrato di capire che a lei non andasse molto a genio...»
Mi irrigidii quando mise in mezzo i miei problemi con Amy, ma mi sforzai di mantenere la calma per non dare adito a supposizioni non veritiere.
«No, io e Amelia abbiamo discusso per qualcosa che riguarda lei» sentenziai, dura, e mia madre comprese che non avrei aggiunto altro.
Sospirò, probabilmente avrebbe voluto saperne di più, ma al contempo non voleva impicciarsi né forzarci a parlare. Lei e papà non si erano mai intromessi nei litigi fraterni, tranne quando eravamo piccoli e dovevano sedare le liti più violente, perché sostenevano che avremmo dovuto imparare a chiarire da soli.
In effetti avevamo appreso bene la lezione, tuttavia in quel caso non era applicabile.
«Va bene, vado a dire a Lucas e Amy di non aspettarti» mi passò una mano sul capo, una carezza leggera che era sempre in grado di donarmi tranquillità. «E muoviti, sono quasi le otto!»
Non appena uscì dalla mia stanza, tirai un sospiro di sollievo. Mamma aveva la capacità di farti sputare il rospo solo guardandoti negli occhi, ma raccontare ciò che era accaduto non spettava a me; per quanto fossi arrabbiata con Amelia, non mi sarei mai permessa di fare outing per mia sorella.
La vibrazione del mio cellulare mi riscosse: si trattava di un messaggio da parte di Austin.
"Non ho dimenticato di passare a prenderti, sono solo in ritardo di cinque minuti. Aspettami."
Sorrisi. Che bisogno c'era di specificare che avrei dovuto aspettarlo? Non mi sarei presentata alla festa senza lui, avevamo un appuntamento, e io non avevo intenzione di perdermelo.
Prima di scendere al piano di sotto, dove i miei genitori mi stavano aspettando, mi rimirai allo specchio l'ultima volta: indossavo un abito nero con lunghe maniche a sbuffo che arrivava fino al ginocchio e un paio di tacchi a spillo perfetti per slanciare la mia figura - iniziavo a rivalutare quegli strumenti di tortura medievale; ero stata costretta ad accontentarmi di un trucco copiato da un tutorial su youtube dato che mi rifiutavo di chiedere aiuto ad Amelia, ma nel complesso ero soddisfatta del risultato.
Scesi le scale con il solo tintinnio dei miei passi a rimbombare nell'ambiente, dunque i miei fratelli dovevano essere già usciti. Mamma e papà erano seduti sul divano, abbracciati come due giovani innamorati, e guardavano una serie tv.
«Ciao» li salutai, affacciandomi in salotto e sventolando la mano.
«Qui qualcuno vuole fare strage di cuori» mi prese in giro papà, che di certo era già stato messo al corrente della conversazione avuta con mamma pochi minuti prima.
Scrollai le spalle con finta espressione indifferente. «Che ci vuoi fare, quando sei bella è questo che ti tocca.»
Papà rise fragorosamente mentre mamma scuoteva il capo, ridacchiando anch'ella. Sapeva quanto io fossi autoironica e quanto mi piacesse scherzare sul mio aspetto, ma continuava a non capirne il motivo.
«State attenti e non tornate tardi» si raccomandò papà, terminato il momento di gaudio.
«E dici ad Austin di andare piano con la macchina!» aggiunse la mamma. Lavorare in pronto soccorso le aveva fatto sviluppare un timore eccessivo per le automobili a causa delle vittime di numerosi incidenti, spesso anche giovanissime, che si era vista arrivare in fin di vita.
«Ricevuto» alzai il pollice mentre il cellulare nell'altra mano vibrò ancora. Controllai al volo solo per accertarmi che fosse Austin, poi salutai con un bacio i miei genitori e mi incamminai verso il cancelletto.
A ogni passo percorso che accorciava la distanza tra di noi, sentivo il mio cuore rimbombare più forte nel petto. Ogni volta che i tacchi scricchiolavano lungo il viale, sentivo qualcosa scricchiolare nel mio corpo, come a volermi impedire di raggiungerlo.
Una serie di quesiti che mai mi ero posta prima presero a bombardare il mio cervello: e se non dovessi piacergli? Se mi trovasse troppo alta con questi tacchi? Se mi preferisse in jeans e t-shirt? Se ritenesse i miei polpacci troppo muscolosi per una ragazza? Se non mi reputasse... femminile?
Più volte fui tentata di voltarmi e darmi alla fuga, ma mi costrinsi a resistere. Samantha Miller non si era mai fatta tutte quelle paranoie, figurarsi se avrebbe iniziato per un ragazzo. Per quanto bello, gentile, simpatico e intelligente lo considerassi, non avrei permesso a nessuno di intaccare il mio modo di essere.
Ero una contraddizione vivente e me ne rendevo conto: avevo indossato dodici tacchetti per ben 90 minuti quel pomeriggio e, una volta a casa, li avevo sostituiti con un tacco 12. Eppure ero sempre io, sempre la stessa Sam, quella che puzzava come uno scaricatore di porto dopo gli allenamenti e che si metteva in tiro per il primo appuntamento con un ragazzo da sogno.
È così strano sentirsi a proprio agio in due maniere all'apparenza così differenti?
Bastò che Austin scendesse dalla macchina per aprirmi la portiera, da bravo gentleman, e il suo sorriso diradò i miei dubbi. I suoi magnetici occhi blu parevano brillare nonostante la penombra e la consapevolezza che quel luccichio fosse destinato a me, solamente a me, mi mandò in brodo di giuggiole.
«Sei bellissima» sussurrò a un passo da me, come se pronunciare quelle parole a voce alta le avrebbe rese meno veritiere.
Arrossii, ma sperai che la penombra e il fondotinta fossero miei alleati. «Anche tu non sei male.»
Austin rise, carezzandomi delicatamente la spalla per invitarmi ad avvicinarmi all'auto. Prima di lasciarmi entrare, posò delicatamente le labbra sulla mia guancia in un bacio timido, poi mi aprì la portiera e attese che mi sistemassi per chiuderla.
Nel tempo che impiegò per fare il giro, tutte le belle sensazioni furono scacciate da pensieri oscuri, dubbi, quesiti che parevano infilzarmi come spini e punzecchiarmi la pelle. Continuavo a ripetermi che non ce n'era motivo, che non avrei avuto nulla di cui preoccuparmi, ma solo i suoi occhi luminosi riuscirono a diradare una volta per tutte i miei pensieri infausti.
Parlare con Austin era facile. Bastava incrociare gli sguardi e le parole scivolavano via dalla bocca come un fiume in piena che scende verso la valle a grande velocità.
Aveva esordito con un provocatorio: «Insomma, non hai segnato oggi. Direi proprio che mi devi una cena» e da lì la conversazione non si era mai interrotta. Persino alla festa, in mezzo a tanta gente, avevamo salutato i nostri amici insieme, senza mai separarci.
Era stato strano andare da mio fratello Lucas. A parte qualche battuta - e qualche minaccia, sia mai che questo scimmione si smentisca - era stato indolore, almeno per me. La stretta di mano che aveva riservato ad Austin mi era parsa fin troppo vigorosa, ma chi ero io per privare mio fratello del divertimento derivante da un po' di sana violenza psicologica?
Dopo aver attirato le occhiate curiose di qualche compagno di squadra e aver evitato per un soffio il placcaggio di Kate che, già ubriaca, ci aveva eletto coppia dell'anno dopo esserci quasi finita addosso, avevamo cercato un posto tranquillo e ci eravamo appartati sul ballatoio delle scale.
Austin aveva avuto l'accortezza di non domandare mai di Amelia, tuttavia gli potei leggere negli occhi la curiosità quando lei ci passò accanto insieme a Margot e io non la degnai di uno sguardo. Salutai la sua amica e poi voltai il capo, decisa a evitarla ancora per un bel po'.
«Deduco che tu non abbia chiarito con tua sorella.»
Sagace. Che considerazione degna di nota!
Sospirai rumorosamente per sottolineare il disappunto riguardo l'argomento. «In effetti no.»
Austin si mosse sul posto, come se all'improvviso una serie di spilli gli avessero reso scomoda la sua posizione. Si grattò il capo, forse indeciso sul da farsi, ma decise comunque di proseguire quella crociata che non gli apparteneva. Avrebbe fatto meglio a tacere.
«Secondo me dovresti parlarle, sono certa che ci sarà un motivo se te l'ha tenuto nascosto» tentò ancora, forse sperando di smuovere qualche reazione. In effetti ne stava smuovendo alcune, ma dubito fossero quelle sperate.
Feci un respiro profondo, chiudendo gli occhi per cercare di mantenere una calma apparente che in realtà non mi apparteneva. Piegai persino le labbra in un falso sorriso, ma dato che non trovai parole abbastanza gentili per rivolgermi a lui, preferii alzare i tacchi e andare a imprecare in un posto isolato.
Austin ebbe bisogno di un attimo per recepire che lo stavo lasciando lì, senza neppure degnarlo di risposta, e con un paio di falcate mi fu di nuovo dietro. «Sam, aspetta, dove vai?» domandò, afferrandomi il braccio per non perdermi tra la folla.
«Lontano» sentenziai celere. «Da sola.»
Ero consapevole di essere alquanto melodrammatica, ma non riuscivo proprio a farne a meno, non in quella situazione, non dopo quel tradimento che aveva innescato l'ordigno. Mi sentivo una bomba a orologeria e sarebbe bastato un nonnulla per farmi esplodere.
«Ah, ecco la nuova coppia dell'anno! Non mi dire, Miller, ti sei accorta che voleva solo controllare che fossi davvero... femmina?»
Persino quell'idiota di Martin Hurt.
Lo so che mi state odiando... Ma non è colpa mia, Hurt si è messo in mezzo da solo!
Chi ha letto Anche se non voglio probabilmente noterà qualche analogia, pare che i cliff hanger e le intromissioni nei momenti meno opportuni siano il mio modus operandi ahahahah
Btw, Sam non sta affrontando la situazione con la maturità che dovrebbe avere, ma ricordiamoci che ha 16 anni e ogni tanto questi colpi di testa si hanno. Certo, è ingiusta nel coinvolgere Austin, ma non la ragionevolezza non è mai stata una sua qualità
Luna Freya Nives
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