Cap 4

Yunho POV

«Cosa?»

«Alla fine ho trovato ciò che più mi aggradava, madre. Anche se in ritardo.»

«Dove sta, figliolo?»

Mi passai una mano sui capelli che tenevo sciolti in quel momento. Ero tornato da poco e mia madre non aveva perso tempo a fare mille domande sul mio nuovo "acquisto".

«Al piano delle mie stanze, dove dovrebbe rimanere e rimarrà.»

Non lo avrei messo di sicuro nella stanza dei servi comuni. Lui era mio e potevo tenerlo con me.

Ripensai ai suoi occhi spaventati e a quel corpo magro, ma ben sviluppato stretto al mio, la prima volta che i nostri sguardi si incrociarono e chiusi gli occhi per riaprirli in seguito, allontanando quel dolce scenario.

«Sapete che deve...»

«Madre, rimarrà lì. Anche durante i miei viaggi, non voglio che venga spostato.»

Lei mi guardò e non aggiunse altro, ritornando a leggere il suo libro. Il discorso era chiuso lì, anche se sapevo che, la mia decisione, non le era andata molto bene.

Mi alzai e feci un leggero inchino, salendo verso le mie stanze. Sarei andato subito a vedere il giovane cerbiatto.

Si sarà svegliato? Stava bene?

Erano molte le domande che solo dietro quella porta chiusa potevano ricevere risposte.

Mi fermai e bussai, sentendo due voci che parlavano.

«No, ma vivrai qui, come suo schiavo.»

Riuscì a capire che era Kyuhyun ad aver parlato, prima di dire "avanti" ed entrai.

Era sul letto, il camice bianco e delicato che ricopriva tutto il suo corpo e le gambe quasi esili. I capelli scompigliati gli davano un tocco sbarazzino e quei suoi occhi... i suoi occhi erano un mondo che non avrei mai smesso di guardare.

Kyuhyun si alzò e si inchinò velocemente, notando che ero io.

«Signore, buongiorno. Ho fatto come mi avete ordinato.»

Rimase chinato e la sua voce aveva un che di spaventato. Avevo ben ordinato che nessuno doveva parlare con quel cerbiatto, ma vedendo la sua espressione, capì che Kyu aveva fatto bene.

Non aveva quello sguardo spaventato come quando lo trovai in quella capanna. La paura si, c'era, ma era anche avvolta da un misto di curiosità, mentre osservava me e Kyu.

«Grazie. Ora penso che tu possa andare. In cucina hanno bisogno.»

Lui si alzò e guardò per un momento quel ragazzo sul letto, per poi passarmi accanto ed uscire con la piccola bacinella d'acqua.
Quando le porte si chiusero alle mie spalle, mi avvicinai a lui, in modo lento e calmo.

Lui mi guardò e cercò di allontanarsi un po' ma finì con il toccare la testiera del letto.

«Non avere paura... non voglio farti del male.»

Dissi in modo calmo, avvicinandomi al letto. Riuscivo a sentire il profumo della sua pelle e non c'era paragone con quello delle rose che albergava nella stanza. Era il profumo più bello che avessi mai sentito.

Alle mie parole, si rilasso, ma non distolse lo sguardo dal mio viso. Mi sedetti e cercai di non metterlo a disagio, tenendo una buona distanza.

«Hai riposato bene?»

Lui annuì e tirò appena su la coperta, nascondendo la spalla scoperta dall'abito troppo largo.

«Ha anche mangiato qualcosa? Dopo questa dormita, deduco che possa avere fame.»

Lui scosse la testa e, in tutta risposta, la sua pancia cominciò a brontolare, il che lo fece arrossire, facendomi sorridere.

«Ti porteranno qualcosa, non preoccuparti. Ma dimmi... come mai sei finito lì? Debiti?»

Lui scosse la testa ed abbassò lo sguardo.

«Per cosa allora? Non parli...?»

«Anche se parlassi... avrebbe importanza? Nessuno mi ha ascoltato fino ad ora...»

Disse sollevando lo sguardo ed incrociando nuovamente i miei occhi. Per un attimo il tempo sembrò arrestarsi nuovamente al suono di quella voce che sembrava il più dolce del suono dei flauti e solo dopo un po' parlai.

«Io ti sto ascoltando, come vedi. Allora... per cosa?»

«Un malinteso. Un errore. Io non ho mai rubato nulla e mai ho pensato di farlo, anche dopo aver vissuto una vita nella povertà. Perché dovrei farlo oggi, sapendo anche di mettere a rischio la mia famiglia?»

I suoi occhi si fecero lucidi e non smise di guardare i miei.

Stranamente, quello che diceva mi sembrava vero, ma lui ormai era mio. Lo avevo comprato ed atteso.

«É sposato? Cosa faceva di mestiere?»

Portò le ginocchia al petto e le avvolse con le braccia, dondolando appena.

«Non sono sposato, Signore... vivo con mia madre e mia sorella e faccio il...»

Si interruppe, appena sentì bussare.

«Il pranzo è servito.»

Un altro servo entrò nella stanza con un vassoio d'argento che portò verso il letto, posandolo. Fece un leggero inchino e se ne andò, lasciandoci nuovamente soli.

Non avevo ordinato ancora nulla per lui, ma potei immaginare chi l'aveva fatto.

La pancia del giovane brontolava nel sentire quel profumo e, senza dir nulla, spostai il coperchio del piatto, rivelando il suo contenuto: un bel piatto di anatra con delle verdure che facevano da contorno e due panini appena sfornati.

Evidentemente lui non sapeva che fare e fui io a dirglielo.

«Prego, mangia pure. Se vuoi io andrò via, in modo che tu possa rimanere qui e consumare il pasto in tranquillità.»

Feci per alzarmi, ma lui mi fermò, prendendo un lembo della mia manica.

«No... no, la prego... resti con me.»

Non me lo aspettai di certo, ma ritornai a sedermi, mentre lui avvicinò il vassoio con il piatto a sé e cominciò a mangiare in modo quasi vorace.

"Non avrà toccato cibo da un bel po'..."

Pensai guardandolo. Si sporcò le labbra e del sugo scivolò lungo il suo mento. Allungai una mano e lo asciugai con il pollice, in modo delicato.
Lui si fermò ed alzò lo sguardo, imbarazzato.

«Continua pure... non volevo ti sporcassi.»

«La... la ringrazio...»

Attesi quindici minuti, lasciandogli tutto il tempo che volesse per mangiare. Una volta finito, spostò il vassoio su di se e prese il calice con dentro dell'acqua, bevendolo tutto in un sorso.
Io presi il vassoio, alzandomi e portandolo su un tavolo, in modo da tenere libero quel letto.

Posò il calice sulla sua gamba destra, vuota e si leccò le labbra.

«È stato di tuo gradimento?»

Chiesi ritornando sul letto e sedendomi.

«Si... si, la ringrazio ancora. Non so come ringraziarla per avermi portato fuori di lì...»

«Non è me che deve ringraziare, ma le circostanze. Se non avessi avuto bisogno di uno schiavo e se non fossi venuto lì quel giorno, dubito che ci saremo visti.»

Alle mie parole, lui deglutì e socchiuse le labbra.

«Quindi... quindi sono realmente un suo schiavo...? Vivrò come vostro schiavo? Io... io non posso. La prego, mi lasci andare. Le ripagherò del denaro che ha perso comprandomi, ma la prego... mi lasci tornare dalla mia famiglia. Mia madre... mia sorella, hanno bisogno di me.»

Si aggrappò al mio braccio e la sua voce si fece implorante, come anche il suo sguardo.

«Questo non posso farlo, sai? Non è il denaro che voglio da te.»

«E cosa vorrebbe? Le darò tutto, ma la prego... mi lasci andare...»

«Ciò che voglio me lo puoi dare solo stando qui. La sua completa compagnia e...»

Posai una mano sulla sua spalla, scoprendo la pelle ed accarezzandola con le dita. Lui inorridì e si allontanò, lasciando il mio braccio e coprendosi con la coperta, lasciando scivolare il calice a terra che si frantumò.

Nei suoi occhi c'era quella stessa paura che avevo visto nella capanna. Avrei dovuto immaginare cosa gli stava facendo Jae, prima che arrivassi.

Senza dire altro, mi alzai e mi diressi verso la porta. Quel rifiuto era anche troppo e, se fossi rimasto lì...

«Lei non potrà mai uscire da questa casa, se lo ricordi, non senza di me.»

Aprì la porta, quasi infuriato e vidi Kyuhyun lì, in attesa che sussultò.

«Ha rotto un calice, vedi di pulire.»

«Si, mio Signore.»

Si affrettò ad entrare e chiuse la porta, mentre andai nella mia camera, che non era molto lontano da quella del giovane.
Una volta dentro, presi una bottiglia e la aprì, versando il contenuto in un calice che mandai giù senza troppi complimenti.

Gli occhi di quel ragazzo erano ancora nella mia mente e anche il modo in cui si allontanò dal mio tocco.

Mi lasciai andare su una poltrona e chiusi gli occhi.

Quello schiavo sarebbe stato una sfida troppo grande per me.

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