(6)

Cora aprì gli occhi quando ormai il giorno aveva nuovamente lasciato posto alla notte. Sul proprio letto, raggomitolata sul fianco sinistro. Sola.

Quello fu il primo particolare che notò, dopo essersi passata la mano destra sulle palpebre: non c’era nessun altro insieme a lei, eppure quando aveva chiuso gli occhi c’era Rich a suo fianco. Se lo ricordava molto bene, perché aveva appoggiato la testa contro il suo petto, aveva chiuso gli occhi e si era addormentata ascoltando il battito calmo e regolare del suo cuore. E ricordava anche che mentre stava scivolando nel sonno si era perfino chiesta se gli era mai capitato di andare nel panico, o di ritrovarsi col cuore sul punto di esplodere dalla paura.

La giovane si alzò dal letto ed uscì dalla stanza per cercare il suo coinquilino. Le bastò una rapidissima occhiata per vedere che non si trovava né in cucina né in salotto; bussò allora alla porta del bagno in comune, ma non ottenne alcuna risposta dall’interno, ed alla fine l’aprì solo per scoprire che era vuoto. Passò allora alla porta della sua camera da letto: bussò anche a quella ed anche da quella non ricevette alcuna risposta. Spinta dalla tentazione provò a girare il pomello verso destra per entrare, ma non accadde nulla: la porta della camera da letto era stata chiusa a chiave.

Cora avvertì una piccola fitta al petto, certa che Rich avesse chiuso a chiave la porta della sua camera per evitare che lei potesse curiosare al suo interno, e quella mancanza di fiducia le faceva male. Lei, al contrario, non lo faceva più da diverso tempo, perché aveva deciso di fidarsi di lui. Era ferita, ma al tempo stesso quel particolare non faceva altro che accrescere la curiosità che nutriva nei confronti del suo coinquilino.

Non riusciva a capire per quale motivo non voleva assolutamente che mettesse piede nella sua stanza, ed allo stesso modo non riusciva a capire dove andasse ogni notte, perché ormai era chiaro che non c’era nell’appartamento perché era uscito per l’ennesima volta. E quando usciva, stava fuori l’intera notte, per poi rientrare solo il mattino seguente. A volte anche nel primo pomeriggio.

No, non era proprio esatto. Non aveva dalla propria parte delle prove inconfutabili, ma abbastanza indizi che lasciavano intuire quello che il suo coinquilino faceva quando andava via dall’appartamento per tutte quelle ore. I lividi sugli avambracci, la familiarità con i furti e la violenza a cui era abituato portavano ad un’unica risposta di cui era assolutamente sicura.

La ragazza si spostò in cucina, cercò qualcosa da mangiare ed alla fine si ritrovò a fissare senza alcun interesse una tazza che aveva riempito con del latte e dei cereali, mescolando quest’ultimi di tanto in tanto con un cucchiaio.

Rich era coinvolto in un giro di spaccio di droga, oltre che di consumo: quella era la sua idea, ne era convinta ed al tempo stesso terrorizzata.

Era l’ultima persona sulla faccia della Terra autorizzata a fargli la morale a riguardo, con la libera professione che lei stessa si era scelta per prima, e non le importava se già la notte precedente avevano litigato perché secondo lui quelli non erano affari che la riguardavano: aveva intenzione di affrontare l’argomento al suo ritorno perché non poteva continuare a rischiare in quel modo, soprattutto dopo quello che era successo tra loro due.

Cora ripensò a quei momenti che avrebbe voluto non finissero mai e si ritrovò a rabbrividire. Dal piacere.

Dopo aver detto a Rich che aveva il proprio permesso di continuare, era iniziata quella che non poteva definire in nessun altro modo se non una lenta tortura.

Aveva colto nel segno con le parole che le aveva mormorato poco prima, prima di consigliarle di rilassarsi: nessuno dei suoi clienti si era mai preoccupato delle sue necessità, nemmeno Austin che era comunque diverso dagli altri. Tutti l’avevano sempre pagata con l’unico scopo di obbedire senza discutere, nessuno si era mai chiesto se quello che ordinavano le piacesse o la disgustasse. Nessuno si era mai soffermato a prendere in considerazione il suo piacere. E difatti ogni volta aveva finto. Aveva fatto vedere loro quello che volevano vedere, ma in realtà non aveva mai sentito nulla.

Con Rich era stato diverso, invece. Con lui non aveva finto. Quando aveva infilato la mano dentro i pantaloni aveva iniziato fin da subito a contorcersi.

Non si era vergognata di essersi lasciata andare, non si era vergognata di aver sussurrato più volte il suo nome, di averlo pregato di non fermarsi per nessuna ragione al mondo e di aver raggiunto l’orgasmo come non le era mai capitato prima. Era stato tutto bellissimo, in un certo senso poteva dire che quella era stata la sua prima vera esperienza con un ragazzo, e proprio per quello al tempo stesso era stato anche spaventoso, e ne era ancora terrorizzata. Era terrorizzata proprio per le emozioni che aveva provato e perché non aveva la minima idea di quello che il suo coinquilino pensava a riguardo.

Era stato solo un attimo di svago, oppure anche lui sentiva qualcosa? Perché Cora ormai ne era certa: per lei qualcosa era cambiato e non sapeva come gestirlo.

La giovane si lasciò andare contro lo schienale della sedia e sollevò lo sguardo verso un orologio a parete: non aveva appetito, erano appena le nove e mezza e con ogni probabilità Rich non sarebbe rientrato prima della mattina successiva. Aveva ancora l’intera notte davanti a sé, era troppo stanca e scossa per uscire per strada e quindi aveva tutto il tempo necessario per preparare il miglior discorso possibile da fare al suo rientro. Era intenzionata a parlargli, sia della vita pericolosa che conduceva e sia di quello che era accaduto tra loro due e come doveva interpretarlo.

Si augurava solo di non dover fare i conti con una doccia ghiacciata, in caso contrario non aveva la più pallida idea di come avrebbe potuto continuare a vivere sotto lo stesso tetto come se nulla fosse, e non desiderava nemmeno ritrovarsi di nuovo a vivere per strada dopo aver già rischiato la vita diverse volte.

Cora abbandonò la tazza col latte ed i cereali sopra la tavola ed andò a sdraiarsi sul divano, intenzionata ad attendere lì il rientro di Rich; si ritrovò a fissare il soffitto ed arrovellarsi il cervello alla ricerca delle parole migliori da usare con lui, senza però riuscirci, ed alla fine si addormentò, girata sul fianco sinistro, quasi senza rendersene conto. Socchiuse gli occhi diverse ore dopo, confusa, con la testa che girava e pulsava, perché aveva sentito un rumore.

Pensò di esserselo solo immaginato dato che le luci erano ancora tutte spente, ma dopo qualche secondo vide comparire il suo coinquilino e capì che il rumore che aveva sentito era stato provocato dalla sua copia delle chiavi che girava dentro la serratura della porta; la giovane stava per tirarsi su col busto ed attirare la sua attenzione quando si accorse di uno strano particolare: Rich si era fermato proprio davanti ad una delle finestre del salotto e la luce che proveniva dall’esterno illuminava in parte la sua figura ed il suo viso, leggermente piegato in avanti perché stava controllando un oggetto che aveva in mano. Aveva qualcosa sul viso e sulle mani, era sporco, ma Cora non riusciva a metterlo bene a fuoco a causa della stanchezza e del mal di testa, così forte da farle venire quasi le lacrime agli occhi.

Quando ci riuscì, dopo aver sbattuto le palpebre, li sgranò e s’irrigidì: quello che il ragazzo aveva sul viso e sulle mani, a chiazze, era un liquido rosso ed in apparenza viscoso. Non aveva prove, ma una voce nella sua testa gridò subito sangue. Era ricoperto di sangue. E per fortuna in quel momento tutte le luci erano ancora spente e non si era accorto che lo stava fissando sconcertata.

Non riusciva a muovere un solo muscolo del corpo ed il tempo sembrava essersi fermato; quando Rich si mosse, le sembrò che fosse trascorsa un’eternità in cui aveva sperato che non si accorgesse degli occhi che aveva puntati su di sé. Lo vide sorridere soddisfatto mentre ancora guardava l’oggetto che aveva in mano, entrare per qualche istante nella sua camera da letto, uscire di nuovo ed entrare nel bagno in comune. Qualche attimo di silenzio assoluto e poi il rumore del getto dell’acqua. Si stava facendo una doccia, per eliminare ogni traccia del liquido rosso (sangue) che aveva addosso.

E per la fretta aveva lasciato la porta della camera da letto aperta.

Gli occhi di Cora puntarono subito verso quella direzione e la sua mente andò all’oggetto che il giovane aveva guardato con un sorriso soddisfatto e che lei non era riuscita a focalizzare. Dal divano alla camera del suo coinquilino erano pochi passi, e lui di sicuro ci avrebbe impiegato un bel po’ prima di uscire dal bagno. Era un’idea stupida, ma ormai aveva preso forma nella mente della giovane, proiettata verso un’unica cosa: l’oggetto che Rich aveva in mano.

Facendo attenzione a non urtare alcun mobile, la ragazza si alzò dal divano, lanciò una rapida occhiata in direzione della porta del bagno, ed entrò furtivamente nella camera da letto di Rich; anche lì dentro era buio, ed anche lì dentro l’unica illuminazione proveniva da una finestra. In un’altra occasione, la giovane non avrebbe esitato a guardarsi attorno per scoprire finalmente com’era fatta la stanza del suo coinquilino, ma in quel momento era interessata solo ed esclusivamente all’oggetto che gli aveva visto in mano, e che identificò subito come una piccola scatola di legno posizionata sopra il comodino.

Capì senza alcun indugio che l’oggetto in questione era proprio quello perché anche sopra la superficie liscia c’erano delle macchie scure; ne toccò una con le dita che tremavano e quando le avvicinò al viso per osservare meglio, ogni possibile dubbio sparì dalla sua mente: il liquido sulla scatola, sul viso e sulle mani di Rich era sangue. Sangue fresco.

Cora allontanò la mano destra dal viso ed abbassò lo sguardo sul piccolo oggetto di legno, terrorizzata come se davanti ai propri occhi ci fosse una bomba da disinnescare pronta ad esplodere; voleva aprire la scatola, ma al tempo stesso era terrorizzata dal semplice pensiero di quello che avrebbe potuto trovare al suo interno. E non poteva tentennare ancora a lungo, perché Rich poteva uscire in qualunque momento dal bagno e se l’avesse sorpresa lì dentro non ne sarebbe stato affatto contento. Anzi. Nemmeno voleva provare ad immaginare la sua reazione.

Aveva visto coi propri occhi che cos’era in grado di fare.

Prese in mano la scatolina, sporca di sangue, e la smosse leggermente. Sentì qualcosa al suo interno, ed era leggera. Molto più leggera di quello che si aspettava. Ora più che mai non riusciva a capire che cosa potesse esserci al suo interno e soprattutto perché Rich aveva sorriso in quel modo guardandone il contenuto.

Alla fine si decise ad aprirla, sollevando il coperchio con un gesto secco, come si faceva con un cerotto per non sentire il dolore; abbassò lo sguardo e subito, complice la scarsa illuminazione, non riuscì a capire che cosa ci fosse all’interno della piccola scatolina. Piano piano iniziò a distinguere le sagome di due piccoli oggetti, rotondi e delle medesime dimensioni. Con le dita che tremavano, allungò la mano destra per sfiorarne uno e prenderlo in mano. Era morbido. Molliccio. Umido. Aveva una consistenza strana, che le provocava repulsione, ma ancora non riusciva a capire di che cosa si trattava con esattezza.

Poi, sempre piano piano, iniziò a realizzare, lasciò la presa e lanciò un urlo di terrore quando si rese conto che il piccolo oggetto posato sul palmo della mano destra stava ricambiando il suo sguardo.










Cora si svegliò urlando, ed urlò ancora più forte quando sentì qualcuno afferrarla per entrambe le braccia; iniziò a dimenarsi, a scalciare ed a gridare di essere lasciata immediatamente.

“Cora, smettila, sono io. Non mi riconosci?” provò a calmarla Rich, ma le urla della ragazza aumentarono solo d’intensità; Cora si alzò di scatto dal letto e retrocedette fino a sbattere con la schiena addosso ad una parete, ritrovandosi letteralmente con le spalle contro il muro. Teneva le braccia distese in avanti in posizione di difesa e guardava il suo coinquilino, che a sua volta la guardava confuso, con un’espressione di puro terrore negli occhi. Nella sua mente aveva ancora ben impresse le condizioni in cui era tornato a casa, la scatolina di legno ed il suo contenuto.

“Stai lontano da me! Non sto scherzando, stai lontano da me!”

“Cora, ma si può sapere che cosa ti prende? Smettila di gridare o finirai per svegliare tutto l’hotel!”

“No, io non ho alcuna intenzione di smetterla perché ti ho visto!”

“Mi hai visto?”

“Sì, ti ho visto! Ti ho visto quando sei rientrato, anche se eri convinto che stessi dormendo sul divano” la giovane aveva addosso ancora i vestiti rubati due giorni prima in lavanderia, e senza staccare gli occhi dal ragazzo frugò dentro una tasca dei pantaloni alla ricerca del coltello che proprio lui le aveva riconsegnato, e glielo puntò addosso “guarda che non sto scherzando, e questa ne è la prova”

“D’accordo, Cora, lo vedo, ma non riesco a capire a che cosa ti stai riferendo”

“Non prendermi in giro!” gridò ancora lei “ti ho già detto che ho visto tutto! Ti ho visto rientrare ricoperto di sangue, e ti ho visto con quella scatola in mano! Non provare a mentire!”

“Non voglio prenderti in giro, ma non so proprio di che cosa stai parlando. Questi che ho addosso sono i vestiti con cui sono uscito stanotte e come puoi vedere non sono affatto sporchi di sangue. E non capisco a quale scatola ti stai riferendo”

“Sai benissimo a quale scatola mi sto riferendo, quella piccola in legno che avevi con te quando sei rientrato. Quella che hai lasciato in camera tua prima di andare in bagno per togliere tutto il sangue che avevi addosso! So cosa c’è al suo interno perché hai commesso l’errore di non chiudere a chiave la porta”

“Cora, ma cos…”.

La giovane era stanca delle bugie che il suo coinquilino stava cercando di rifilarle, ed era certa di quello che aveva visto coi propri occhi e lo dimostravano le immagini che aveva ancora ben impresse nella mente; uscì di corsa dalla propria camera da letto e per fortuna trovò la porta di quella di Rich aperta e si fiondò al suo interno, intenzionata a dimostrargli di non essere una stupida ragazzina che poteva essere plagiata così facilmente, e difatti la scatolina in legno era lì, al suo posto, ed era proprio come se la ricordava.

La prese in mano e la spinse contro il petto del ragazzo, che nel frattempo l’aveva raggiunta e continuava a fissarla con sconcerto.

“Ecco qua!” esclamò, soddisfatta “ed ora aprila davanti a me e prova ancora a negare l’evidenza, se ne hai il coraggio!”.

Rich obbedì; senza scomporsi minimamente sollevò il coperchietto della scatolina e tirò fuori gli oggetti racchiusi al suo interno: una bustina trasparente con dell’erba dentro e due spinelli già rollati.

Cora spalancò gli occhi e socchiuse le labbra, perché quello non era possibile. Si sporse in avanti per guardare coi propri occhi e non vide altro. Si accorse anche che il legno non era più sporco di sangue. Eppure la scatolina era quella. Ne era certa come era certa di chiamarsi Cora e di quello che aveva visto.

“Non è possibile” mormorò, più a sé stessa che al ragazzo che stava sistemando di nuovo tutto dentro alla scatola “non… Non è possibile…”

“Questa è la roba di buona qualità che ho trovato dentro la villetta che abbiamo visitato. L’ho messa qui dentro appena siamo rientrati. La scatolina, invece, non ricordo dove l’ho trovata”

“Ma io l’ho vista ieri sera” mormorò ancora la ragazza, incredula, senza riuscire a staccare lo sguardo dal piccolo oggetto tra le mani di Rich “ho visto te ricoperto di sangue che sorridevi mentre guardavi la scatola. Così quando hai lasciato la porta aperta della camera sono entrata per vedere. Ricordo che l’hai posata sopra il comodino ed era sporca di sangue. L’ho aperta e dentro c’erano…”

“Che cosa c’era dentro?”.

La giovane si ritrovò costretta a deglutire prima di rispondere. Le sembrava ancora di sentire sul palmo della mano destra quell’orribile consistenza molliccia ed umida.

“C’erano due occhi lì dentro”

“Cora, quando sono rientrato non stavi dormendo sul divano e dentro questa scatola non ci sono mai stati degli occhi. Non ti sei mai mossa dalla tua camera e sono entrato solo quando ti ho sentita gridare” il ragazzo allungò la mano sinistra e posò le dita lunghe ed affusolate sulla fronte della giovane “tu scotti terribilmente. Hai la febbre. Credo che quella notte movimentata abbia avuto un impatto negativo sul tuo fisico e che queste siano le conseguenze”

“Io non…” Cora non sapeva cosa dire e non riusciva nemmeno a pensare a causa della testa che pulsava e girava; effettivamente non si sentiva affatto bene, aveva il corpo scosso da brividi di freddo e lo stomaco sottosopra “non riesco a capire”

“In realtà è tutto molto più semplice di quello che credi: la febbre alta ti ha causato delle allucinazioni piuttosto realistiche. È meglio se torni a riposare prima di crollare a terra. Ti accompagno in camera tua e poi provo a cercare qualcosa per abbassare la febbre”.

Cora si lasciò accompagnare senza più ribattere e si sdraiò sul letto senza protestare; stava troppo male per continuare la discussione, eppure al tempo stesso non riusciva a smettere di pensare, nonostante il mal di testa, che quello che aveva visto era stato tutto fin troppo reale per essere delle semplici allucinazioni dovute ad una febbre alta.

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