(4)
Una macchina sportiva attirò l’attenzione di Cora, che si avvicinò subito per non lasciarsela sfuggire; il finestrino anteriore del passeggero si abbassò, rivelando la figura del conducente.
“Ciao” disse lui, in tono confidenziale “mi riconosci?”.
Cora lo riconobbe eccome, e rispose alla sua domanda annuendo con un sorriso: era il bel ragazzo biondo con gli occhi azzurri a cui i suoi tre amici avevano voluto fare una sorpresa speciale per il suo compleanno. Ricordava perfino il suo nome, Austin. Non lo vedeva dalla notte che avevano trascorso insieme nella suite di un hotel.
“Ohh, menomale, perché non immagini da quanto tempo sto cercando di rintracciarti”
“Davvero? Lo prendo come un complimento” disse la giovane, inarcando le sopracciglia sorpresa “scommetto che si tratta di una lunga storia che hai voglia di raccontarmi, ma per farlo devi prima scendere e pagare. Resterei volentieri a parlare con te qui per tutta la notte, ma non è così che funziona. Le chiacchiere a lato della strada non mi permettono di mettere il pane sotto i denti e di pagare un tetto sopra la testa”
“D’accordo, che ne dici di salire in macchina e di cercare un posto tranquillo dove proseguire con calma la nostra chiacchierata?”
“No, Austin, non funziona in questo modo. Coi tuoi amici ho fatto un’eccezione che non posso ripetere un’altra volta, mi dispiace. Io non esco dalla mia zona, ma fortunatamente l’hotel alle mie spalle ha una vasta quantità di camere tra cui scegliere”
“Mh” dall’occhiata che il giovane lanciò all’imponente edificio, Cora intuì che era piuttosto titubante a seguirla al suo interno. E non aveva tutti i torti visto tutto quello che accadeva lì.
“Puoi stare tranquillo perché sei con me. Fidati. Non è così male come sembra da fuori”
“Se i miei amici mi vedessero adesso direbbero che sono un pazzo, ma io voglio fidarmi” disse Austin scendendo dalla macchina; Cora sorrise e lo prese per mano. Già pregustava un folto mazzetto di banconote come la volta precedente.
Guidò il suo giovane cliente fino ad una camera al quinto piano a cui corrispondeva la chiave che le avevano allungato alla reception, entrò per prima ed accese le luci.
“Visto?” disse volteggiando una volta su sé stessa “te l’ho detto che non è così male come sembra, ha solo bisogno di essere sistemato un po’. L’arredamento è un po’ datato. E dovrebbero passare più spesso a dare una pulita”
“Ci vieni spesso qui?”
“Io ci abito qui dentro”
“Ci abiti?” Cora per poco non scoppiò a ridere davanti all’espressione di totale incredulità che apparve sul volto di Austin. Per lui, abituato com’era di sicuro ai lussi della vita di un figlio di papà, doveva essere inconcepibile pensare che una persona potesse vivere all’interno di un posto simile.
“All’ultimo piano ci sono degli appartamenti che si possono prendere in affitto, ed al momento sono tutti occupati. Che tu ci creda o no, posso assicurarti che qui dentro ci abita molta più gente di quello che puoi immaginare”
“Non hai paura a stare in un posto come questo?”
“Ohh, cielo, che cos’è questo? Un interrogatorio? Sei per caso un poliziotto in copertura? Perché non sento altro che parole e non ho ancora visto l’ombra di una banconota”.
Austin non si scompose, prese il portafoglio dai pantaloni e tirò fuori una banconota verde che mostrò alla giovane. Cora sentì un brivido, era da cento dollari.
“Questi sono sufficienti per l’intera notte?” domandò “o devo aggiungere un’altra banconota simile?”
“Mettili lì sopra” rispose Cora, indicando con la testa un tavolino “per questa volta possono bastare, ma non posso garantirti che sia così anche per la prossima. E visto che sei così ansioso di avermi per te per tutta la notte, direi che questo è un altro buon motivo per smettere di parlare e passare ad altro di più divertente. Vieni qui, coraggio, o vuoi che anche stavolta sia io a dirigere i giochi?”
“Non mi dispiacerebbe affatto, ma questa volta preferirei essere io a comando”.
Cora sorrise e lo lasciò fare. Le piaceva quel ragazzo, benché fosse solo la seconda volta che s’incontravano.
Austin era diverso dai clienti con cui aveva a che fare di solito. Loro la trattavano come un oggetto che acquistavano momentaneamente, lui come una persona. Loro una volta terminati i loro porci comodi se ne andavano senza degnarla più di uno sguardo o di una parola, alcuni perfino le lanciavano i soldi in modo sprezzante; lui, invece, dopo aver fatto sesso le passò un braccio attorno alle spalle e la invitò ad appoggiargli la testa sul petto.
Cora posò il lato destro della testa in corrispondenza del cuore e lo sentì battere forte. Quel suono ritmico conciliava il sonno, e con ogni probabilità si sarebbe addormentata se Austin non avesse ripreso a parlare.
“Adesso che abbiamo fatto quello che volevi tu possiamo fare quello che voglio io?”
“Cavolo, sei già pronto a ricominciare? Hai una resistenza notevole” commentò la giovane sorridendo di nuovo “credevo avessimo già fatto quello che volevi tu, o stai per propormi qualcosa di particolare? Perché le richieste particolari possono essere soddisfatte se non sono troppo estreme, ma ovviamente hanno il loro costo extra”
“Veramente, la richiesta che sto per farti è molto meno particolare di quello che puoi immaginare: vorrei parlare un po’ con te”
“Parlare?”
“Sì, parlare”.
Cora sollevò il viso per guardare Austin negli occhi e vide che era serio. Non la stava prendendo in giro, voleva veramente parlare.
“Beh, allora ti sbagli eccome perché questa è la richiesta extra più particolare che abbia mai ricevuto. Nessun cliente finora mi ha mai chiesto semplicemente di parlare. Loro in genere vogliono ben altro”
“E qualcuno di loro ha mai impiegato giorni interi a cercarti perché dopo essere stato con te una volta voleva rivederti ancora?”
“Se è successo non saprei dirlo. Nessuno mi ha mai detto nulla di simile”
“A me è successo, e te lo sto proprio dicendo ora”
“Davvero?”
“Tre giorni” Austin sollevò il pollice, l’indice ed il dito medio della mano destra “sono tre giorni che ti sto cercando e ne ho impiegati ancora di più per convincere i miei amici a dirmi qual’era la zona in cui ti hanno incontrata, Cora”
“Ti ricordi il mio nome?” chiese la giovane, sempre più stupefatta, e lui annuì con la testa.
“Sì che me lo ricordo, anche se l’ho sentito una volta sola. Come avrei mai potuto dimenticarlo?”.
Cora non sapeva cosa dire e si limitò a sorridere di nuovo, felice come una bambina. Tutto quello era troppo bello per essere vero, sembrava quasi un sogno.
“Rich! Rich!”.
Cora rientrò nell’appartamento la mattina seguente, dopo aver trascorso l’intera notte con il suo giovane cliente e dopo aver fatto colazione con lui. Austin era stato così gentile da offrirgliela, ed al momento di salutarsi le aveva chiesto quando potevano rivedersi, e lei gli aveva risposto in qualunque momento, perché l’avrebbe trovata sempre lì e sempre pronta per lui. Austin aveva sorriso e le aveva allungato un biglietto su cui aveva scritto il suo numero di telefono.
La giovane era ansiosa di mostrare al suo coinquilino il risultato di un’altra notte fruttuosa con quel ragazzo dei quartieri alti, ma lui non c’era; provò a chiamarlo ad alta voce ancora una volta, ma le tornò indietro nient’altro che il silenzio più assoluto: non c’era nessun altro nell’appartamento oltre a lei. Anche lui aveva trascorso l’ennesima notte fuori. Chissà dove.
Una domanda improvvisa si formò nella mente di Cora per la prima volta, dopo settimane che lei e Rich abitavano sotto lo stesso tetto: dove trascorreva le notti il suo coinquilino?
Che cosa faceva quando usciva? E perché rientrava sempre di mattina?
Non riuscì a darsi nessuna possibile risposta perché sentì il rumore inconfondibile di una chiave che veniva inserita nella serratura di una porta: Rich stava rientrando, e la giovane pensò che quella era l’occasione perfetta per fargli vedere che aveva imparato qualcosa dalle lezioni che le aveva dato; si nascose, aspettò che aprisse la porta ed una volta dentro lo attaccò alle spalle con l’intenzione di coglierlo alla sprovvista e di puntargli il coltello che le aveva dato contro la gola, ma il suo stesso gioco le si ritorse contro in una manciata di secondi e si ritrovò ad essere lei quella bloccata contro il pavimento. Rich le aveva stretto una mano attorno al collo e non stava scherzando.
“Rich, sono io!” gridò la giovane, annaspando alla ricerca di aria “fermati!”.
Il giovane sembrò riconoscerla solo in quel momento ed allontanò subito la mano; Cora rotolò sul fianco destro, tossì ed inspirò avidamente aria. Tremava come una foglia, da testa a piedi.
Lei era spaventata tanto quanto lui era furioso.
“Cora, ma cosa cazzo volevi fare?”
“Tu piuttosto che cosa cazzo volevi fare!” gridò la giovane dopo aver ripreso fiato “mi hai stretto una mano alla gola! Non riuscivo a respirare!”
“E tu non puoi sorprendere una persona alle spalle in quel modo ed aspettarti che non reagisca! Se tu mi aggredisci, io mi difendo!”
“Difeso? E quella la chiami difesa? Mi hai stretto una mano attorno al collo! Dove te ne stai andando?” Cora guardò Rich voltarle le spalle ed allontanarsi “ho detto: dove te ne stai andando?”
“In camera mia, a dormire. Non ho alcuna voglia di discutere con una bambina che non capisce nulla e che è così stupida da attaccare una persona alle spalle”
“Io non sono stupida, e noi due non abbiamo finito di parlare. E se proprio vuoi saperlo, non ti avrei sorpreso alle spalle se fossi stato qui, ma tu trascorri tutte le notti fuori! E chissà dove!”
“Cora, non farmi incazzare”
“Ohh, ma davvero? Altrimenti cosa mi fai?”
“Smettila subito di provocarmi”.
Il sorriso beffardo sulle labbra di Cora si spense non appena il giovane si voltò a guardarla di scatto. Non stava scherzando. Era veramente incazzato, e la stava trafiggendo con lo sguardo. Uccidendo forse era un termine più appropriato.
La ragazza si zittì all’istante, per nulla ansiosa di scoprire di che cosa sarebbe stato capace il suo coinquilino se avesse continuato a provocarlo, e lui entrò nella sua camera, sbattendo la porta con forza; passò qualche minuto di silenzio assoluto, e la giovane sussultò quando dalla camera di Rich partì della musica a tutto volume, sparata da una radio.
Quella musica così forte era insopportabile, e doveva essere anche una vendetta nei suoi confronti.
Quel comportamento assurdo era troppo. Cora si alzò dal pavimento ed andò dritta a bussare alla porta della camera da letto del suo coinquilino; batté con forza il pugno destro contro il legno per sovrastare tutto quel rumore.
“Rich!” si ritrovò costretta anche a gridare con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Non riusciva nemmeno a capire come lui riuscisse a stare lì dentro senza che la testa ed i timpani gli scoppiassero “Rich, smettila, adesso stai esagerando! Continui a ripetermi che non vuoi avere guai con le altre persone che abitano qui dentro e poi ti metti a fare queste stronzate? Rich!”.
Dall’interno non giunse alcuna risposta, solo la musica assordante.
“Rich!” gridò ancora la giovane, facendo un secondo tentativo “ascolta, hai ragione. Ho sbagliato, me ne sono resa conto e ti sto chiedendo scusa, ma non puoi farmela pagare in questo modo perché rischiamo che da un momento all’altro qualcuno bussi inferocito alla porta. Guarda che così facendo stai dimostrando di essere tu il bambino stupido tra noi due! Rich? Rich! Mi hai proprio stufata! Non m’interessa se questa è la tua camera e si tratta di uno spazio tuo personale, io adesso entro e spengo la musica perché non ci tengo a finire in altri guai oltre a quelli in cui mi trovo già. Ti avverto, adesso entro!”.
Dopo aver gridato quelle parole, Cora attuò la propria minaccia: spalancò la porta che fortunatamente non era stata chiusa a chiave, e spalancò anche gli occhi alla vista di quello che vide dall’altra parte; si aspettava di trovare il ragazzo sdraiato sul letto, indifferente, a fumare una sigaretta (od uno spinello. Quelli li fumava con una certa frequenza) ed invece era a terra, al centro del pavimento.
“Rich!” Cora urlò il nome del giovane, spaventata; andò a spegnere la radio e poi s’inginocchiò affianco a lui. Voleva aiutarlo, ma la paura che provava era così profonda da paralizzarla: anziché correre al telefono per chiamare un’ambulanza, osservò ad occhi sgranati il corpo del ragazzo che tremava, in preda alle convulsioni.
Quando le convulsioni cessarono, dopo quella che sembrò un’eternità, Cora trovò il coraggio di scuotere leggermente Rich, chiamandolo ancora per nome, che ora se ne stava immobile, con le palpebre abbassate, privo di coscienza; dopo qualche istante il giovane socchiuse gli occhi, confuso, e si tirò su col busto. Contemporaneamente, la giovane scoppiò in lacrime, sollevata, e gli buttò le braccia attorno al collo con così tanto slancio che rischiò di fargli perdere l’equilibrio all’indietro.
“Mio dio, mi sono spaventata tantissimo” singhiozzò, senza riuscire a smettere di piangere “credevo fossi morto. L’ho creduto davvero per qualche istante”
“Sto bene” mormorò lui “ma se non mi lasci andare sarai tu ad uccidermi, Cora. Non riesco a respirare se continui a stritolarmi così”
“Scusami” la ragazza sciolse subito la presa ed asciugò le lacrime che rigavano il suo viso “non muoverti, d’accordo? Stai fermo qui e non fare nessuno sforzo inutile, io vado subito a chiamare un’ambulanza”
“Non serve”
“Che cosa?” la giovane si era già alzata per correre in salotto, e si voltò di scatto a guardare il suo coinquilino, ancora seduto sul pavimento “stai scherzando spero”
“Ti sembra che stia scherzando? Ho detto che non ho bisogno di nessun’ambulanza. Qui dentro funziona così, ormai dovresti saperlo: ognuno si fa i fatti propri e non si chiama nessuno dall’esterno, compresi soccorsi e poliziotti. Soprattutto soccorsi e poliziotti. Chi trasgredisce ha le ore contate”
“Non m’interessa, in questo caso è una regola stupida e priva di senso. Eri a terra con le convulsioni e non rispondevi. Non è normale. Hai bisogno di essere visitato da qualcuno”
“Sto bene. Ormai ci sono abituato. Non ho bisogno di vedere nessuno”
“Che vuol dire che ci sei abituato? Stai dicendo che questa non è la prima volta che ti capita un episodio del genere?”
“Cora, ho detto che sto bene. Fine della faccenda” sospirò Rich, esasperato “ma se proprio vuoi renderti utile e fare qualcosa, vai in cucina a prendermi un bicchiere d’acqua”.
Cora non replicò, anche se non era d’accordo; per lei era stupido non rivolgersi ad un dottore dopo un episodio così grave, ma si ritrovò costretta a cedere ed andò in cucina a prendere un bicchiere d’acqua fresca per il suo coinquilino, che ancora non si era alzato dal pavimento.
Quando ritornò in camera, Rich allungò il braccio destro per prendere il bicchiere; era piena estate, e la maglietta a maniche corte che indossava permise alla giovane di vedere i segni che aveva nella parte interna dell’avambraccio. Alcuni erano più recenti, altri più vecchi, ma tutti erano circondati da dei piccoli lividi violacei.
Cora non li aveva mai visti di persona fino a quel momento, ma non era una stupida, a contrario di quello che Rich le ripeteva in continuazione. Sapeva benissimo che segni e lividi come quelli erano provocati dall’intrusione di un ago nella pelle.
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