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Un’esperienza formativa positiva per il suo futuro professionale: così il suo professore aveva definito lo stage.

Nonostante il poco tempo a propria disposizione, Rosa era riuscita a trovare una sistemazione momentanea per il periodo dello stage: dopo aver visto, da sola, diversi appartamenti la sua scelta era ricaduta una casetta bianca ed azzurra a due piani; era piccola, graziosa e si affacciava sull’oceano. Quando l’aveva vista, la sua scelta era ricaduta su essa senza alcun dubbio; quelli che ancora nutriva erano tutti quanti per l’opportunità che era stata costretta ad accettare.
Lo aveva fatto con riluttanza, con diverse riserve, non pienamente convinta, ma a propria disposizione non aveva avuto nessun’altra scelta. La sua stessa vita si era sempre svolta in quel modo dacché ne aveva ricordo: una lunga serie di scelte che avrebbe preferito non fare ma che era stata costretta a fare perché non aveva nessuna seconda opzione.

La giovane si lasciò andare sul divano in salotto dopo aver sistemato i propri effetti personali che aveva portato con sé da casa, allungò la mano destra verso il telefono e prese in mano la cornetta. Austin aveva raccomandato di chiamarlo immediatamente una volta sistemato tutto e lei sentiva il bisogno di parlare un po’ dal momento che non lo aveva fisicamente accanto a sé e che non lo avrebbe rivisto fino al weekend successivo.

Compose il numero di casa, e non rimase affatto sorpresa quando lui risposte al primo squillo. Riusciva quasi ad immaginarselo, per tutto quel tempo seduto affianco al telefono in attesa della sua chiamata. Magari a fumare una sigaretta dopo l’altra, un vizio che aveva quand’era particolarmente nervoso e non riusciva a reggere lo stress.

“Stavo iniziando a preoccuparmi seriamente. Cinque minuti in più ed avrei preso la macchina per raggiungerti”.

Le sue prime parole la fecero scoppiare a ridere, e le prese come una semplice battuta.

“Preoccuparti per cosa? Ti ho chiamato subito quando sono arrivata, Austin. Sapevi che adesso stavo semplicemente sistemando gli scatoloni e che ti avrei richiamato una volta finito. Così inizi proprio col piede sbagliato”

Scusami, è più forte di me, che ci vuoi fare?” ribatté lui con una risata imbarazzata, e Rosa scosse la testa; con l’indice della mano destra stava giocando col filo della cornetta “io ci provo a non preoccuparti, ma non è semplice dal momento che ci troviamo a sei ore di distanza l’uno dall’altra e tu sei completamente sola. Devo farci l’abitudine… Se mai ci riuscirò

“Ricordati quello che ti ho detto: si tratta solo di una situazione momentanea che passerà in fretta. Uno o due anni trascorrono con la stessa rapidità di un battito di ciglia. Guarda, ne sono già passati otto da quando ci siamo conosciui” rispose la giovane, soffermandosi solo per un momento a pensare che erano trascorsi a tutti gli effetti otto anni da quella notte. Otto anni da quell’estate “pensa piuttosto a venerdì prossimo, a quando finalmente ci vedremo, e non ai giorni che prima devono trascorrere. Mi aspetto qualcosa di molto speciale per il mio primo rientro a casa… Ed anche per i prossimi, ovviamente”

“E lo avrai, non ti preoccupare, ci sto già pensando ma non ti dirò nulla in anticipo” le parole di Austin strapparono un sorriso a Rosa ed in contemporanea le fecero provare una piccola fitta di nostalgia per casa. Per un attimo anche lei si ritrovò a desiderare che fosse già il venerdì successivo “come sta andando l’ambientazione? Com’è la casa? E la Contea di Marin?”

“Per il momento ho visto solo il panorama fuori dalle finestre. Non sono ancora andata ad esplorare i dintorni da quando sono arrivata, e non ho nemmeno alcuna voglia di farlo. Voglio essere riposata per domani, per la prima settimana che mi aspetta… Però non sembra male come posto. C’è l’oceano, lo vedo dalla finestra della cucina. Anche la casetta è molto graziosa, Austin, è una di quelle tipiche abitazioni da zone marittine”

“Credevo fossi andata a vedere il posto in cui lavorerai per curiosità

“Ci sono passata davanti mentre venivo qui. È stata l’unica tappa che ho fatto”

E cosa ne pensi? Come ti è sembrato come posto a primo impatto?”

“Non lo so, è difficile farsi un’impressione precisa osservando un edificio dall’esterno solo per pochi secondi. Fa strano pensare a quello che accade al suo interno. Ti confesso di essere un po’ nervosa, Austin, ma immagino che sia normale, no? Tu eri nervoso al tuo primo giorno di lavoro?”

Non molto in realtà, perché l’azienda era dei miei genitori” rispose il giovane con una risata “ma capisco la tua preoccupazione. E quello che preoccupa me è che sarai a contatto con persone che possono diventare anche molto pericolose e scostanti in assenza di sostanze stupefacenti”

“Lo so, me ne rendo conto, ma il mio professore mi ha assicurato che vengono prese tutte le precauzioni possibili affinché non si verifichi alcun tipo d’incidente di questo genere. È un centro di riabilitazione, sanno quali situazioni si possono presentare… Ma sì, un po’ do nervosismo ce l’ho comunque. Forse è anche la paura di non fare una buona impressione”

“La farai. Di questo non devi assolutamente preoccuparti”

“Sì, ma se così non fosse?”

“Sei la migliore del tuo corso

“Essere bravi nella teoria non implica, in automatico, esserlo anche nella pratica” ribatté Rosa, passando dal giocherellare col filo del telefono allo stringerlo con forza “e se fossi un totale disastro? Se fossi una delusione così grande da spingere il direttore del posto a sollevarmi dal mio incarico per darlo a qualcuno di più competente? Come potrei tornare all’università? Come farei a guardare di nuovo in faccia il mio professore dopo che è stato lui a fare direttamente il mio nome al suo amico? Sarebbe una vergogna tremenda”

“Non accadrà, non lasciarti prendere dall’ansia in questo modo. Vedrai che domani, quando sarà il momento e ti troverai lì, saprai esattamente che cosa fare”

“Mi aspetta anche il turno di notte. Non so quando, ma me lo ha accennato il professore quando gli ho comunicato che avrei accettato” sospirò la giovane “questo è il mio primo lavoro, e per giunta con la prospettiva di dover stare sveglia l’intera notte prima o poi… E se dovessi addormentarmi? E se nonostante tutti i miei sforzi gli occhi dovessero chiudersi lo stesso da soli? Ohh, sai che vergogna che sarebbe se qualcuno dovesse trovarmi addormentata sul lavoro? Anche in quel caso sarebbe completamente la fine per me”

“Rosa, fino alla scorsa settimana eri tu che cercavi di convincere me che quella dello stage era una buona idea, e adesso i ruoli si sono ribaltati? Non mi starai cercando di dire che hai cambiato idea e vorresti tornare indietro proprio adesso che sei lì e domani mattina devi iniziare?”

“No, non voglio tirarmi indietro, ma ho paura di non essere all’altezza. E se il professore avesse sbagliato a riporre tutta la sua fiducia in me?”

“Sai qual è il tuo più grande difetto? La scarsa, anzi scarsissima, fiducia che nutri nei tuoi confronti. Non pensare troppo e troppo insistentemente a domani, altrimenti ti agiti ancora di più inutilmente. Pensa a venerdì prossimo, a quando ci vedremo ed alla sorpresa speciale che ti aspetta”.

La giovane rise in risposta alle parole del marito e si sentì leggermente meglio, anche se l’ansia non se ne era andata via del tutto. Era certa che sarebbe tornata, più forte di prima, non appena avesse posato la cornetta. Nel frattempo, però, non doveva destare altra preoccupazione in Austin; l’ultima cosa che desiderava in quel momento era che arrivasse davvero al punto di prendere la macchina e raggiungerla a Marin.

Rosa” disse il giovane uomo dopo che entrambi erano rimasti in silenzio per qualche istante, al termine della risata di lei “non voglio metterti ulteriore pressione, ma mi manchi di già

“Anche io sento la tua mancanza” sospirò di nuovo la giovane, per poi spostare l’attenzione su argomenti più frivoli. Chiacchierarono del più e del meno, salutandosi con la promessa di risentirsi il giorno seguente non appena lei sarebbe rientrata dal suo primo giorno di stage al ‘centro di recupero’. Nello stesso momento in cui Rosa allontanò la cornetta dall’orecchio destro per appoggiarla nuovamente al supporto, una fitta le strinse la gola.

Era paura ed ansia per il giorno seguente, per quello che l’aspettava. Ma erano anche i sensi di colpa per la bugia che continuava a portare avanti alle spalle di Austin, che non nutriva il minimo sospetto a riguardo.

La finestra in cucina non si affacciava solo sull’oceano: attraverso quella, Rosa riusciva anche a vedere in lontananza la prigione di San Quentin. Il vero posto in cui si sarebbe svolto il suo stage per i successivi sei mesi.

La giovane si alzò dal divano, si avvicinò alla finestra della cucina e scostò la tendina bianca per poter guardare dall’altra parte del vetro chiuso. In contemporanea, la stretta alla gola diventò più salda. Aveva avvertito una strana sensazione quando, durante il viaggio, era passata affianco all’imponente struttura e l’avvertì di nuovo in quel momento che la stava fissando ancora. Un’inquietudine che non riusciva a spiegarsi, ma che al tempo stesso era facilmente riconducibile alle esperienze vissute nel proprio passato. E quell’inquietudine continuava a farla dubitare della scelta presa.

“Hai fatto quello che dovevi, non c’è niente d’aggiungere a riguardo” disse a sé stessa a bassa voce, senza staccare lo sguardo dall’edificio in lontananza “non potevi rifiutare l’offerta del professore perché ne avresti pagato le conseguenze, e la bugia ad Austin è stata necessaria per non farlo preoccupare ulteriormente. Sarà complicato, ma con un po’ di fortuna puoi portarla avanti fino alla fine. Magari quando sarà tutto finito e troverai un nuovo posto vicino casa potrai anche raccontargli la verità, ma non prima. Prima sarebbe ancora in grado di fare un casino”

Tu non gli dirai mai un bel niente se questa bugia dovesse avere la fortuna di reggere fino alla fine. E non gli hai raccontato la verità non per non farlo preoccupare, ma perché temi che possa mettersi in testa strane idee. Non ne avete mai parlato perché lui ha sempre evitato qualunque domanda a riguardo, ma sai benissimo che Austin, a differenza tua, non è uno stupido e che dentro di sé non ha mai creduto alla storia della semplice amicizia’

“Basta” Rosa parlò ad alta voce, perché per la prima volta non doveva preoccuparsi di essere vista da qualcuno. C’era solo lei all’interno di quella casa e così sarebbe stato per i prossimi giorni fino al venerdì, ed era spaventata dalla prospettiva che la voce nella propria testa ne avrebbe approfittato per tormentarla ancora di più “quello che andrò a fare domani non ha nulla a che vedere con il mio passato. Non l’ho scelto io, è stata solo che una grande coincidenza. Non temo la reazione di Austin, ma a volte per avere un buon matrimonio ci sono cose che è meglio tacere. Non è un bene raccontare sempre tutto al proprio partner”

Come la questione che non vuoi avere figli e finora hai continuato a prendere la pillola del giorno dopo di nascosto? O come la questione di come ti piace ultimamente essere presa a letto? Le bugie hanno le gambe corte, e le tue sono così patetiche che è scontato che abbiano vita breve. Lo stage ti ha aiutata a prendere un po’ di tempo, ma quando terminerà che cosa farai? Sappiamo benissimo entrambe che tra uno o due anni la tua idea riguardo la questione ‘famiglia’ sarà rimasta la stessa, quindi cosa t’inventerai? Austin prima o poi capirà che c’è qualcosa che non quadra, farà le sue indagini personali e potrebbe arrivare al punto di scoprire da solo la scatola di pillole che tieni nascosta. Arriverà a quello, come arriverà a capire perché non vuoi più fare del sesso normale

“In uno o due anni possono accadere moltissime cose, ne so qualcosa a riguardo. E non c’è nulla di sbagliato nel voler mettere un po’ di pepe in un rapporto. Moltissime coppie lo fanno, soprattutto quelle sposate, per non cadere nella noia della routine”

Le coppie sposate arrivano a fare questi discorsi quando sono vicine ad una crisi coniugale, quella di dare un po’ di pepe alla propria routine sessuale è solo una cazzata che s’inventano per non guardare in faccia la realtà. Ma tanto prima o poi sono comunque costretti a farlo’

“Io ed Austin non siamo in crisi”

‘Ohh, certo’ la giovane spalancò gli occhi, spaventata, perché le era sembrato di sentire una risata risuonare nella propria mente. E la risata in questione apparteneva ad una voce completamente diversa dalla propria ‘per lui di sicuro non esiste alcuna crisi, ma per te? Per te è la stessa cosa? Pensi davvero di essere sposata con il principe azzurro dei tuoi sogni? È lui l’uomo che vuoi al tuo fianco per il resto della tua vita? Lo ami? Quante volte gli hai detto un ‘ti amo’ in risposta al suo? Hai accettato la sua proposta di matrimonio perché era quello che volevi o perché era la tua garanzia per continuare a vivere una vita che la maggior parte della gente può solo immaginare nei propri sogni?’

“Con tutto quello che ho passato in diciannove anni, credo che una vita così sia il minimo che merito”

Questa non è una risposta

“Io amo Austin” disse la giovane con voce ferma, concentrando lo sguardo sul proprio riflesso alla finestra “ed è lui l’uomo che voglio avere a mio fianco per il resto della mia vita”.

Rosa non sentì più nulla. Pensò di essere riuscita a mettere a tacere la voce fino a quando non la sentì ridere di nuovo. Era una risata sprezzante.

Bugiarda’ le disse ‘e non sei convincente nemmeno un po’’

“Ora basta!” esclamò la ragazza, al limite dell’esasperazione. Lasciò andare la tenda e tornò in salotto per effettuare una seconda chiamata. La sua intenzione era quella di contattare di nuovo la sua ex dottoressa che l’aveva avuta in cura per cinque anni, ma si bloccò con la cornetta in mano a causa di un ripensamento improvviso.

Se le avesse raccontato in modo più approfondito della voce per sapere che cosa doveva fare a riguardo, avrebbe dovuto anche raccontarle nello specifico la parte del proprio passato che le aveva tenuto nascosto… E se poi lo avesse raccontato a qualcuno? E se poi lo avesse detto ad Austin? Ohh, certo, poteva modificare qualche dettaglio come aveva fatto quando si erano viste per l’ultima volta, ma poteva comunque intuire la verità. O la poteva intuire benissimo Austin qualora lei lo avesse contattato per metterlo al corrente della telefonata.

Poteva davvero fidarsi della sua ex dottoressa fino infondo?

No, certo che non poteva. Non aveva la minima intenzione di riporre di nuovo la propria fiducia in qualcuno che non fosse Austin, correndo il rischio di essere nuovamente presa in giro. Di mazzate sui denti ne aveva affrontate già troppe.
Rosa posò nuovamente la cornetta sul supporto, allontanò la mano e prese un profondo respiro ad occhi chiusi per calmarsi e cercare di rallentare il battito del proprio cuore. Non era necessario contattare la dottoressa e correre rischi inutili che avrebbero potuto mettere a repentaglio il suo stage: tutto ciò che doveva tenere a mente era che non esisteva nessuna voce nella propria testa e tenersi occupata in qualunque modo possibile fino al mattino seguente.

Era certa che nel corso della settimana sarebbe rientrata a casa così stanca da non avere nemmeno la forza mentale necessaria per soffermarsi a riflettere su qualunque cosa. E poi, c’erano anche le chiamate ad Austin che l’aspettavano di giorno in giorno, ed anche quello sarebbe stato un buon modo per tenere la mente occupata.

Era pomeriggio, gli scatoloni erano stati tutti svuotati e la giovane decise d’ingannare il tempo ripassando qualche materia per i vari esami che l’aspettavano a fine anno: prese alcuni libri di scuola da una mensola su cui li aveva sistemati e tornò a sedersi sul divano. Passò in quel modo il resto del pomeriggio, senza essere nuovamente disturbata dalla voce, e quando allontanò lo sguardo dalle pagine per stropicciarsi gli occhi con la mano destra, si accorse che fuori era diventato buio. Guardò in direzione di un orologio a muro e vide che incredibilmente erano già le otto passate; a quel punto decise di riporre i libri e di prepararsi qualcosa da mangiare, per poi andare a letto.

Rosa non aveva alcuna voglia di mettersi ai fornelli né di uscire alla ricerca di un posto che facesse qualcosa take away, per cui si preparò un semplicissimo panino con burro d’arachidi e marmellata di fragole insieme ad un bicchiere di latte, e si sedette di nuovo sul divano per consumare la sua frugale cena davanti alla tv accesa. Non aveva mai mangiato un panino al burro d’arachidi e marmellata di fragole prima di conoscere Austin: nessuno gliel’aveva mai preparato durante l’infanzia e l’adolescenza, era stato lui a farglielo scoprire poco dopo l’inizio della loro convivenza e la giovane aveva scoperto di apprezzare molto quella strana combinazione tra dolce e salato.

Rosa diede il primo morso al panino mentre faceva zapping da un canale all’altro; s’imbatté per puro caso in un programma che stava trattando di alcuni casi di cronaca nera, ma cambiò all’istante per cercare qualcos’altro. Era rimasta profondamente sconvolta quando si era resa conto di quante trasmissioni di cronaca nera esistevano; non riusciva a capire perché la gente in generale nutrisse un interesse così morboso verso argomenti così macabri. Lei che si era trovata in parte coinvolta in prima persona, non desiderava altro che poter rimuovere quella parte del proprio passato in modo definitivo.

E invece continuava a ricordarla bene, era solo relegata in un angolo della propria mente. Al contrario, non riusciva ad afferrare appieno i ricordi legati ai mesi precedenti all’aggressione violenta che aveva subìto a sedici anni.

Non c’era nulla d’interessante in tv, nemmeno un programma di cucina da cui poteva trarre ispirazione per una nuova ricetta. Alla fine la giovane guardò senza alcun interesse un film e spense non appena terminò l’ultimo boccone di panino e l’ultimo sorso di latte freddo; dopo aver lavato il piattino ed il bicchiere, spense le luci del piano terra e salì al primo per farsi una doccia calda prima di ritirarsi nella sua nuova camera da letto.

Sotto il getto d’acqua calda della doccia, la ragazza emise un sospiro e si godette appieno il silenzio che regnava nella stanza; silenzio che, però, iniziò a diventare fin troppo opprimente quando si sdraiò a letto sotto le coperte, reso ancora più tangibile dal materasso matrimoniale su cui era sdraiata. Silenzio che la portò a formulare un pensiero all’improvviso: quand’era stata l’ultima volta che si era ritrovata ad essere sola? Veramente, totalmente, sola?

Ed era certa di avere chiuso la porta e le finestre al pianoterra? Tutte quante?

Quel dubbio assalì a tal punto la mente della giovane da spingerla ad alzarsi dal letto ed a scendere di nuovo al pianoterra; controllò più volte sia la porta d’entrata che le singole finestre, guardò al di là del vetro di ciascuna, ma non notò nulla di strano all’esterno: non c’era nessuno per strada, era una notte serena ed in lontananza riusciva a sentire il rumore delle onde del mare che s’infrangevano contro gli scogli. Ritornò in camera più serena, ma quando si sdraiò nuovamente sul materasso matrimoniale il sonno se n’era andato del tutto e l’ansia per l’indomani era tornata a fare capolino.

C’era un telefono anche lì in camera, sul comodino, proprio vicino alla sveglia coi numeri e le lancette fosforescenti: Rosa guardò la cornetta e per un momento venne assalita dall’impulso di sollevarla e di chiamare di nuovo Austin per avere un po’ di compagnia, ma s’impose di resistere e si girò dall’altra parte per non essere nuovamente tentata. Se lo avesse chiamato a quell’ora di notte per dirgli che si era appena resa conto di non essere più abituata a stare completamente da sola, lo avrebbe solo fatto preoccupare inutilmente. Doveva, piuttosto, cercare di liberare la mente, chiudere gli occhi e scivolare semplicemente nel sonno, altrimenti ne avrebbe pagato le conseguenze il giorno seguente e non poteva permettersi di fare brutte figure proprio nel suo primo giorno di stage, ma era un consiglio più semplice da seguire in teoria che in pratica: quando la giovane chiuse gli occhi, difatti, numerosi pensieri ritornarono ad affollare la mente.

Uno fra tutti, era quello legato al proprio pezzo di passato che non era ancora riuscita a recuperare. Non sapeva perché quella faccenda le fosse tornata in mente proprio in quel momento, ma ora non riusciva più a togliersela dalla testa. Se anche trascorrevano intere settimane in cui non ci pensava più, prima o poi ritornava sempre in mente quel piccolo tassello incompleto che non voleva incastrarsi nel posto giusto.

Rosa ricordava che nei mesi precedenti l’incidente si era trasferita per l’ennesima volta con quelli che all’epoca credeva essere i suoi genitori nell’ennesima nuova città. Ricordava che era calda, polverosa e che tutt’attorno c’era il deserto, ma non il suo nome.

Ricordava di essere riuscita a fare amicizia con una ragazza, ma non il suo aspetto ed il suo nome.

Ricordava di aver conosciuto un ragazzo, ma anche in quel caso non riusciva a riportare alla mente né il suo nome né il suo aspetto fisico. Ricordava che insieme avevano trascorso moltissimo tempo, le sensazioni che aveva provato insieme a lui, ma tutto il resto era ancora, e chissà per quanto lo sarebbe restato, un enorme buco nero.

La giovane chiuse gli occhi scuri e provò a concentrarsi nel tentativo di ricordare, dato che dormire per il momento era un’opzione fuori discussione: cercò di svuotare completamente la mente e di rivedere i pochi ricordi frammentati che aveva di quel periodo, ma era un’impresa impossibile; lui continuava a restare una figura sfuocata a cui non riusciva a dare un corpo e soprattutto un volto, e più ci provava, più la nebbia si faceva fitta. Al contrario, ricordava molto chiaramente com’era stato trascorrere il tempo con lui. Le venne in mente un episodio in particolare, in cui lei si era svegliata perché lui le stava accarezzando il viso.

Se si sforzava abbastanza, riusciva ancora a sentirlo, vivido come se fosse davanti ai suoi occhi: il suo tocco sulla pelle della propria guancia destra, le dita che l’accarezzavano. Ricordava che aveva delle bellissime mani grandi, dalle dita lunghe ed affusolate.

Anche ad Austin piaceva accarezzarle il viso ed i capelli quando si accoccolavano l’uno accanto all’altra dopo aver consumato un rapporto sessuale, ed il suo tocco la rilassava, ma con lui non aveva mai provato nulla di simile a quello che aveva provato con quel ragazzo. C’era stata solo un’altra persona in grado di farle sentire sensazioni simili.

Le immagini nella mente di Rosa cambiarono all’improvviso, sfuggendo al suo controllo: il ricordo che non riusciva ad afferrare del tutto si trasformò nell’immagine di un ragazzo semisdraiato su un divano, che si portava alle labbra uno spinello che lui stesso aveva rollato con le proprie mani poco prima. Rosa ricordava benissimo da dove proveniva quell’immagine: era della notte in cui era stata costretta ad accoltellare una prostituta per autodifesa e successivamente a seppellire il suo corpo in una buca nel deserto, fuori città; in quella stessa occasione lei e Rich avevano trascorso qualche ora all’interno di una bellissima villetta, all’insaputa dei proprietari che in quel momento dovevano essere in vacanza fuori città.

Rich, la giovane riaprì gli occhi e si tirò su col busto, da quanto tempo non pensava a lui? Ed ora il suo volto aveva fatto capolino nella sua mente all’improvviso, all’interno di un ricordo così vivido che poteva essere accaduto appena il giorno precedente e non ben otto anni prima.

Otto anni prima.

Erano già trascorsi otto anni da quell’estate, a volte sembrava tanto tempo, a volte pochissimo, a volte Rosa aveva perfino dei dubbi riguardo a quel periodo, al punto d’arrivare a chiedersi se era accaduto tutto veramente o se in realtà era stato solo un brutto incubo che aveva fatto. Puntualmente, c’erano i giornali a ricordare che si trattava di una storia fin troppo vera.

Avrebbe dovuto capire già tutto quanto quella notte, anziché perdere tempo a guardare il suo viso ed a fantasticare. Le strane battute che aveva fatto, la proposta di entrare in una di quelle bellissime villette, la disinvoltura con cui l’aveva fatto… Il vestito.

Il vestito blu a pois bianchi, quello che aveva visto in quella casa. E quello terribilmente simile che aveva ricevuto in regalo da Rich qualche mese dopo, senza alcuna etichetta e con delle strane macchie rosse. Lui le aveva giustificate dicendo che si era ferito alla mano sinistra, ma lei non ci aveva mai creduto fino infondo, anche se le aveva effettivamente fatto vedere un taglio sul dorso.

Quando Austin le aveva dato, seppur con riluttanza, tutti i giornali che aveva conservato e che ripercorrevano i brutali omicidi ed aggressioni avvenuti nel corso dell’estate, era rimasta particolarmente colpita dall’attacco ad una ragazzina di sedici anni che era miracolosamente sopravvissuta. Non ricordava quale fosse la zona della villetta in cui si era intrufolata con Rich, né i volti delle persone che abitavano lì dentro e che aveva visto nelle foto appese lungo le scale, ma ricordava che c’era una ragazza adolescente ed era stato proprio nella sua camera da letto che aveva trovato il vestito di cui si era innamorata perdutamente a prima vista, e da quel momento non era riuscita più a separare le due cose.

Aveva la terribile sensazione di essere stata usata da Rich in quell’occasione allo scopo di cercare l’abitazione migliore in cui colpire. E la scelta dell’abito aveva segnato la condanna di quella povera ragazza, che pur essendo sopravvissuta avrebbe portato con sé dei segni a vita. Rosa ne sapeva qualcosa a riguardo. E quella ragazza aveva appena tre anni in meno di lei.

Rosa sentì gli occhi inumidirsi e la voglia improvvisa di piangere; lasciò che le lacrime iniziassero a scendere lungo le guance perché non c’era nessuno che potesse vederla e chiederle spiegazioni, anche se non sapeva con esattezza per che cosa stesse piangendo. Era un po’ un misto: un po’ per i sensi di colpa, un po’ per quella povera ragazza che non aveva fatto niente di male a nessuno, un po’ per come lui l’aveva usata senza mai farsi alcuno scrupolo.

E la notte in cui le aveva dato l’abito, se solo ci ripensava sentiva un brivido lungo la schiena. L’aveva svegliata puntandole contro la luce di una torcia, e le aveva detto che prima l’aveva osservata per un po’. Che cosa aveva pensato mentre l’aveva osservata? Era rimasto lì a lottare contro l’impulso di fracassarle la testa con un oggetto contundente, oppure di pugnalarla ripetutamente al petto per poi reciderle la gola da orecchio ad orecchio? Per quante notti, a propria insaputa, era entrato nella sua camera e l’aveva osservata dormire?

Non voleva pensare a lui, ma l’incredibile coincidenza che il suo stage prevedeva che lavorasse nell’infermeria di un carcere aveva inevitabilmente riaperto le porte a quei ricordi. Non aveva cercato alcuna informazione su di lui, dopo il verdetto a cui aveva assistito in prima persona; non sapeva dove si trovava, se la data della sua esecuzione era stata fissata o se era ancora in attesa… Non sapeva nemmeno se fosse ancora vivo, eppure adesso quelle domande non volevano darle tregua, anche se lei cercava di ricacciarle indietro. E non era mai riuscita a capire se nel giorno del verdetto lui l’avesse vista quando aveva girato la testa verso la zona in cui era seduta. Era durato tutto così pochi secondi, ed in più aveva addosso delle lenti scure che non permettevano di vedere gli occhi ed il suo sguardo dov’era rivolto.

“Ohh… Cazzo” mormorò la giovane, tirando su col naso e facendo un profondo respiro; si asciugò le lacrime con il dorso della mano destra e s’impose di calmarsi e di riprendere il controllo. Non poteva avere un crollo nervoso proprio la notte prima del suo primo giorno di stage. Doveva smetterla di pensare, chiudere gli occhi e cercare in qualche modo di dormire per un po’ di ore.

O almeno provarci.












Quando la sveglia sul comodino suonò, a Rosa sembrarono essere passati appena che pochi minuti dal momento in cui era riuscita a chiudere gli occhi ed a scivolare nel sonno, e poteva anche essere vero dato che per diverso tempo aveva continuato e continuato a rigirarsi sul materasso da un fianco all’altro alla ricerca della posizione migliore che le concigliasse il sonno. Prese in mano la sveglia, stopicciandosi gli occhi, per controllare di non averla inserita in modo errato, ma non c’era stato nessuno sbaglio: era mattina, ed era arrivato il momento di alzarsi, come testimoniava anche la fioca luce dalle sfumature arancioni che proveniva dall’esterno.

La giovane si alzò dal letto, dopo aver preso un profondo respiro ad occhi chiusi e dopo essersi goduta un altro po’ il piacevole tepore delle coperte, ed andò proprio in direzione della finestra in camera per godersi il panorama. Guardò l’oceano calmo, su cui si riflettevano i primi raggi di sole, e le sembrò completamente diverso da quello che ogni giorno ammirava dal balcone della propria abitazione; pensò ad Austin, a sei ore di distanza da lei, e si chiese se in quel momento era anche lui già sveglio o se stava ancora dormendo. Si chiese anche se lui fosse riuscito a dormire serenamente o se a sua volta si era rigirato senza sosta sul materasso prima di lasciare andare la tenda e spostarsi in bagno per una doccia, portando con sé gli abiti che avrebbe indossato. Aveva optato per qualcosa di semplice ma elegante, ed allo stesso tempo comodo per la prima giornata di stage che l’aspettava: un paio di pantaloni ed un maglioncino a collo alto, perché la vicinanza con l’oceano rendeva l’aria ancora più fredda.

Ma anche se fosse stata estate, visto il posto in cui era diretta, si sarebbe altrettanto preoccupata di nascondere ogni centimetro di pelle che non fosse essenziale.
Mettere qualcosa sotto i denti era fuori discussione. Rosa era certa che se avesse anche solo provato a dare un semplice morso ad un biscotto il suo stomaco gliel’avrebbe fatta pagare all’istante. Dal momento che era ancora presto per uscire, provò a sedersi davanti al tavolo della cucina per ingannare l’attesa, ma si ritrovò a tamburellare le dita della mano destra contro la superficie di legno ed a lanciare continue occhiate in direzione dell’orologio. Esasperata, la giovane si spostò in salotto, sul divano, e questa volta, a differenza della notte appena trascorsa, non riuscì a resistere al forte impulso di sollevare la cornetta del telefono per chiamare Austin.
Come accaduto il pomeriggio precedente, il giovane uomo rispose quasi immediatamente.

“Wow” mormorò la giovane impressionata “ancora un po’ e non mi lascerai nemmeno il tempo di alzare la cornetta e digitare il numero di telefono”

Hai chiamato proprio nel momento in cui sono passato davanti al telefono. Incredibile come coincidenza, vero?”

“Ti sei appena alzato?”

“Sì, tu? Com’è andata la prima notte nella nuova casa?”

“Lunga. Interminabile. Un vero incubo. Non so per quante ore mi sono rigirata sul letto senza riuscire a prendere sonno. Quando è suonata la sveglia mi è sembrato di aver chiuso gli occhi appena cinque minuti prima, e adesso non so che cosa darei per poter tornare sotto le coperte al caldo e restarci per tutto il giorno” rispose la giovane con un sospiro; iniziava già a sentirsi un po’ meglio adesso che era al telefono con Austin “ieri mi ero ripromessa di essere riposata per oggi, e invece è accaduto proprio ciò che temevo di più”

Stai solo sperimentando un po’ di ansia. Vedrai che dopo i primi minuti che sarai là se ne andrà via da sola. Devi solo vedere che sarà tutto molto meno terribile di quello che immagini

“Già… Ansia…” mormorò Rosa con un altro sospiro. Lei e la sua dottoressa avevano parlato a lungo dell’ansia nel corso degli anni in cui era stata sua paziente; la dottoressa aveva anche illustrato una tecnica per mantenerla sotto controllo, basata su profondi respiri da prendere, ma non aveva mai funzionato veramente del tutto le volte in cui aveva provato a metterla in pratica. Il metodo che utilizzava otto anni prima era sempre stato molto più efficace: con una dose in vena di cocaina, ogni problema inclusa l’ansia sparivano all’istante “e se non se ne andasse? E se al mio arrivo non dovesse fare altro che peggiorare?”

“Non accadrà, Rosa. Cerca solo di essere te stessa e di non dimenticare nulla a casa. C’è qualcosa in particolare che ti hanno detto che devi portare? Fai un breve riepilogo con me, così posso esserti d’aiuto

“Solo un tesserino che mi ha dato il mio professore quando ho accettato la proposta. Non devo fare altro che esibirlo al mio arrivo perché nella struttura possono entrare solo le persone che vi lavorano. Sono molto rigidi nei controlli”

“Beh, mi sembra normale visto il posto in cui andrai

“Già” mormorò di nuovo la giovane, sentendosi a disagio come accadeva ogni volta che parlavano dello stage, perché Austin era ancora fermamente convinto che prevedeva l’assistenza a ragazzi difficili che dovevano disintossicarsi dalla droga. I suoi occhi scuri si spostarono sull’orologio a parete “Austin, è quasi ora di partire e non mi sento affatto pronta. Non sono nemmeno riuscita a fare colazione. Se queste sono le premesse, come farò a superare i prossimi sei mesi? Non voglio che l’amico del mio professore gli dica di non essere per niente soddisfatto di me, che cosa devo fare?”

“Rosa, dal momento che non posso partire per venirti a prendere e tu non puoi tirarti indietro a questo punto, l’unico consiglio che posso darti è di non pensarci troppo. Non ci pensare, vai e basta, e sii te stessa. Quanti dubbi avevi quando hai deciso di riprendere in mano gli studi, mh? Eppure guarda ora: sei la migliore del tuo corso. Vedrai che sarà lo stesso anche con lo stage, la tua scheda di valutazione sarà più che soddisfacente e riuscirai a trovare presto un posto molto più vicino a casa. Ed in tutto questo, a fine anno finirai il corso con voti altissimi. Ed io sarò super fiero di te come lo sono già adesso”.

La giovane sorrise e distolse lo sguardo dall’orologio e dalle lancette che continuavano inesorabilmente ad andare avanti, ricordandole che di quel passo rischiava di arrivare in ritardo proprio al suo primo giorno di stage.

“Grazie, Austin. Non so proprio come farei se non ci fossi tu”.










Le parole del marito erano servite a rincuorarla, ma il sollievo era stato tanto immediato quanto breve: una volta uscita di casa Rosa avvertì di nuovo una morsa allo stomaco che divenne più stretta dopo aver percorso il breve tragitto in macchina che la separava dall’immensa struttura penitenziaria.

I visitatori utilizzavano un parcheggio esterno, mentre coloro che lavoravano nell’immensa struttura ne usavano uno al di là del cancello, interno; ogni ingresso doveva essere rigorosamente autorizzato, e Rosa si ritrovò ovviamente costretta a mostrare il tesserino che il suo professore le aveva dato ad un uomo in divisa appostato all’interno di un gabbiotto. La giovane era così nervosa da avere le mani che tremavano visibilmente ed impiegò un po’ prima di tirare fuori dalla borsetta il documento, e la telecamera a circuito chiuso che aveva puntata addosso non era affatto d’aiuto. Quell’occhio elettronico fisso sul suo volto la metteva a disagio, sembrava quasi sondarla in profondità, alla ricerca dei suoi più oscuri segreti.

Rosa riuscì a respirare di nuovo normalmente solo quando le venne restituito il tesserino senza alcuna domanda e l’uomo in divisa schiacciò un pulsante che servì ad aprire il cancello per poi darle indicazioni in merito a dove si trovava il parcheggio in cui doveva andare; lei lo ringraziò mormorando qualche parola e poi si rimise alla guida della macchina. Prese un profondo respiro e buttò fuori l’aria dalle labbra socchiuse, mentre dentro di sé continuava a ripetersi che non poteva andare avanti così, altrimenti non sarebbe riuscita ad arrivare infondo né a quella giornata né alle successive che l’aspettavano.

Austin aveva detto che non doveva pensarci troppo e lei doveva sforzarsi di seguire il suo consiglio. Doveva farsi vedere tranquilla e spigliata, altrimenti non c’era alcuna speranza che lo stage si trasformasse in un vero e proprio lavoro. Non doveva fare altro che indossare una maschera, e quello era un concetto che non le era affatto nuovo: ne aveva indossata una per tantissimo tempo, ogni volta che era stata costretta ad andare a letto con uomini per guadagnare i soldi che le servivano per vivere ed aveva dovuto fingere in modo convincente di essere esattamente dove voleva e con la persona che voleva. Come se una ragazza adolescente potesse davvero essere contenta di dividere lo stesso letto con un uomo che poteva essere benissimo suo padre o, peggio ancora, suo nonno.
“Ce la puoi fare” si disse, guardandosi attraverso lo specchietto retrovisore “di tutto quello che sei stata costretta a fare dacché ne hai memoria, questa è di sicuro la cosa più piacevole. Non hai alcun motivo per essere così nervosa”.

Dopo aver pronunciato quelle parole auto motivazionali, la giovane prese la propria borsetta e scese dalla macchina senza più alcuna esitazione perché ora rischiava davvero di essere in ritardo. Lanciò appena una brevissima occhiata alla struttura prima d’incamminarsi a passo veloce verso l’ingresso principale, perché se la guardava troppo a lungo iniziava ad essere di nuovo nervosa. C’era qualcosa in quell’edificio che le suscitava un’ansia profonda, ma probabilmente era riconducibile al particolare che fosse una prigione e che al suo interno c’erano persone davvero molto pericolose.

Rosa varcò la porta a vetri dell’ingresso principale, mosse qualche passo in avanti per non essere d’intralcio alle persone che dovevano entrare od uscire e guardandosi attorno si rese conto di un particolare che fino a quel momento aveva ignorato: le era stato dato il tesserino necessario per entrare, ma nessuno le aveva fornito indicazioni su come doveva muoversi una volta all’interno dell’edificio.

Cosa doveva dire? Da chi doveva andare? Doveva rivolgersi a qualcuno o qualcuno sarebbe arrivato direttamente da lei a spiegare tutto quello che doveva fare ed a condurla nel reparto giusto? Avrebbe incontrato il direttore in persona, il caro amico del suo professore?

“Ehi… Rosa?”.

Rosa trovò quasi subito la risposta alle proprie domande, fortunatamente prima che il panico potesse farsi strada in lei. Si guardò attorno ed identificò la fonte della voce che l’aveva chiamata per nome nella donna che stava andando verso la sua direzione. Quando, nell’incrociare il suo sguardo, la vide sorridere si rese conto di non essersi sbagliata.

“Sei tu la nuova arrivata, vero? Rosa…” la donna, dopo essersi fermata davanti a lei, sfogliò in fretta dei fogli che aveva in mano “… Aniston, giusto?”

“Sì” confermò l’altra giovane, annuendo, incerta riguardo a ciò che doveva aggiungere o meno “sì, sono io Rosa Aniston”

“Molto bene, seguimi allora. Da questa parte”  la donna le fece cenno con la mano destra di seguirla, voltò le spalle ed iniziò a camminare a passo veloce. Rosa si ritrovò costretta a camminare a sua volta a passo veloce per non rischiare di perderla “io sono Martha, comunque”

“Rosa” rispose in automatico l’altra, rendendosi conto troppo tardi della figuraccia che aveva appena fatto “ma questo lo sai già dato che mi hai chiamata con il mio nome e cognome”.

Martha non rispose, si girò il tempo necessario per un veloce sorriso e l’intera faccenda finì lì; Rosa pensò che fosse meglio così dal momento che il suo primo discorso con qualcuno che lavorava lì dentro non aveva brillato in fatto d’intelligenza. La seguì lungo un dedalo di corridoi che sembravano l’uno l’esatta replica dell’altro finchè non arrivarono ad una porta, ed al di là della porta c’era una vera e propria infermeria. Avrebbe potuto essere l’ambiente di un ospedale, se non fosse stato per un piccolo particolare che ricordava immediatamente in quale posto si trovavano: le sbarre di metallo al di là del vetro di ogni singola finestra.

Rosa raggiunse la più vicina e guardò incuriosita le sbarre. Da quel posto era pressoché impossibile scappare.

“Eccoci qua. Questo sarà il tuo campo di battaglia per i prossimi mesi… Per quanto tempo sarai dei nostri?”

“Sei mesi per il momento. È quello che prevede lo stage che mi ha proposto il mio professore” disse la giovane in risposta alla domanda di Martha, voltandosi a guardarla “mi ha detto che c’era urgenza di trovare qualcuno di nuovo perché una ragazza si è licenziata senza alcun preavviso”

“Ohh, sì, quella. Lasciala perdere, non ricordo nemmeno il suo nome. Da un giorno all’altro ha deciso di non presentarsi più senza dare alcun preavviso, sono stata costretta io a chiamarla ed a chiederle spiegazioni, renditi conto. Mi auguro che tu sia una persona molto più seria, perché non ho alcuna voglia di ritrovarmi al punto di partenza tra qualche settimana”

“Non farei mai nulla di simile. A maggior ragione se di mezzo c’è il mio futuro ed il mio andamento scolastico. A fine anno ci sono gli esami che mi aspettano”

“Non sei un po’ troppo grande per andare ancora a scuola? Quanti anni hai?”

“Quest’anno ne compio ventisette. Ho deciso di riprendere in mano gli studi perché a suo tempo non sono riuscita a finirli per… Per una lunga serie di motivi. È una storia un po’ lunga e complicata da spiegare” rispose la giovane, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro, sfiorando con i polpastrelli una delle tante cicatrici che aveva sul cuoio capelluto e che mai sarebbero sparite del tutto. Fortunatamente Martha non indagò oltre: tutto quello che a lei interessava era di avere una persona che non le giocasse altri brutti scherzi come sparire all’improvviso da lavoro per sempre.

Illustrò a Rosa com’era organizzato e sviluppato il reparto ospedaliero della struttura, mostrandole prima la stanza adibita ad infermeria (quella in cui erano entrate) per le cure più lievi od i controlli di routine, e poi quella con i lettini nei casi in cui qualcuno dovesse trascorrere la notte sotto osservazione. Infine la portò a vedere uno stanzino che fungeva da piccolo magazzino in cui c’erano scaffali su scaffali di farmaci.

“Quello che devi sapere è semplice, e vale per qualunque posto in cui andrai: fai la tua parte, non lamentarti, domanda se hai bisogno ma cerca d’imparare in fretta perché non ho tutto il tempo del mondo per insegnare, d’accordo? In questo periodo, poi, siamo un po’ a corto di personale e siamo solo in tre a gestirci i turni”

“Tre?”

“Sì, tre, e dobbiamo coprire tutto l’arco di una giornata, bella fregatura, ehh? Ma non ti preoccupare: per questa prima settimana starò con te per aiutarti a capire come devi muoverti, poi però dalla prossima devi imparare a camminare con le tue gambe. Per questa settimana dovrai ricoprire il turno della mattina, che va dalle sei alle due, la successiva quello del pomeriggio, che va dalle due alle dieci, e quella dopo ancora quello di notte, che ricopre la fascia oraria dalle dieci alle sei, e poi ricominci da capo… Pensi di avere capito tutto? Hai qualche dubbio? Qualche domanda? Altrimenti possiamo iniziare”

“Sì… Io… In effetti avrei un piccolo dubbio… Non proprio un dubbio, è più una domanda… O un’osservazione…”

“Quale? Sentiamo” dal tono di voce della giovane donna, Rosa capì che non era affatto contenta di dover rispondere ad una domanda.

“Credevo che nei turni saremo state almeno in due… Possiamo davvero essere solo in una ad occuparci di tutto quello che può succedere? E se dovesse…”

“No, certo che no, la teoria prevede che non debba mai verificarsi una possibilità del genere perché bisognerebbe sempre essere in almeno due qui dentro, ma la pratica è tutta un’altra cosa. Questa è la tua prima esperienza lavorativa, vero Rosa? Beh, preparati a scoprire che ci sono tantissime differenze tra quello che dovrebbe essere fatto e quello che in realtà viene fatto. Stiamo attraversando un periodo in cui è difficile trovare qualcuna disposta a lavorare qui dentro perché non è il posto a cui qualunque giovane infermiera aspira. Sarò onesta con te: in tante sono scappate dopo pochissimo tempo”

“Anche io voglio essere onesta: ho avuto molte riserve prima di accettare la proposta del mio professore perché… Insomma… Stiamo…”

“Perché stiamo parlando di un carcere, vero? Sì, so quello che pensi. È quello che pensano tutte quante. Ed è anche il motivo per cui ti spaventa l’idea di essere qui dentro da sola, soprattutto nel turno di notte, ma ti posso assicurare che non è affatto così. Non è come in televisione, e tutte quelle che sono scappate lo hanno fatto perché si sono lasciate suggestionare da un’idea sbagliata che avevano in testa” disse la giovane donna scuotendo i capelli “credi che qui dentro siamo così esposte? Figurati, la maggior parte delle persone che vengono qui dentro sono guardie che hanno bisogno di medicazioni per qualche piccolo incidente, è di loro che ti devi preoccupare di più. Vengono qui per passare il tempo… Ci provano… Pensano che qualunque donna non possa resistere al potere della divisa… Sono dei palloni gonfiati, ma dei palloni gonfiati innocui”

“E per quanto riguarda i detenuti?”

“Ohh, ne vedrai davvero molti meno di quello che t’immagini, a parte le poche eccezioni che hanno bisogno di controlli di routine giornalieri. E sono sempre scortati, ammanettati e sorvegliati a vista. Quelli che per qualche motivo devono trascorrere la notte qui dentro sono ammanettati al lettino, ma situazioni del genere non succedono sorprendentemente spesso. Anzi, al contrario. Scommetto che la tua idea di carcere prevede risse ed accoltellamenti ogni singolo giorno, vero? Ed un reparto ospedaliero che sembra essere allestito nel bel mezzo di un campo di battaglia, ho indovinato?”

“Immagino che la maggior parte delle persone siano convinte che il reparto ospedaliero di un carcere funzioni così”
“Beh, è proprio il contrario invece” ribatté la giovane donna “per giunta, nel nostro caso è situato da tutt’altra parte rispetto ai blocchi in cui sono suddivisi i diversi detenuti, quindi è praticamente impossibile entrare in contatto con uno di loro, a meno che non venga scortato fin qui da una guardia con tutte le precauzioni possibili… Allora, adesso che ti ho spiegato come funziona veramente all’interno di una struttura come questa, ti senti più tranquilla? Perché se hai qualche dubbio e preferisci rinunciare è meglio per te se lo fai ora piuttosto che rifilarmi un pacco tra qualche giorno”

“No, mi sento molto più tranquilla ora” mormorò la giovane, annuendo, con un sorriso che doveva essere convincente. In realtà era ancora molto agitata, soprattutto dinanzi alla prospettiva di affrontare il turno di notte completamente sola, ma non voleva irritare maggiormente Martha, che già aveva risposto alle sue domande in modo piuttosto stizzito.










“Allora?” le chiese immediatamente la voce ansiosa di Austin al telefono quella sera stessa, dopo i saluti “come è andato il suo primo giorno di lavoro, dottoressa Aniston?”

“Io non sono una dottoressa e mai lo sarò” rispose Rosa con una breve risata, stringendosi nel morbido e caldo pigiama che indossava “mi sto specializzando per essere una semplice infermiera”

“Mai dire mai nella vita, dovresti saperlo meglio degli altri. Ti vedrei benissimo come dottoressa

“Adesso stai correndo un po’ troppo con la fantasia”

“Perché? Perché secondo me saresti stupenda con un camice bianco addosso? Lo penso eccome e lo ribadisco: saresti stupenda con un camice addosso… Soprattutto se sotto non avessi nient’altro” commentò il giovane uomo, strappando una risata alla giovane donna, che però era incerta se quella frase fosse solo una battuta o se invece lui fosse serio “scherzi a parte, dimmi come è andato il tuo primo giorno, coraggio. È tutto il giorno che sto aspettando questo momento. Com’è stato? Qual è il tuo commento a caldo?”

“Il mio commento a caldo? Vediamo… Meno peggio di quello che pensavo, ma avrebbe potuto andare anche molto meglio. Ho fatto la mia prima figuraccia non appena sono arrivata, presentandomi ad una persona che poco prima si era rivolta a me chiamandomi per nome e cognome”

“Ohh, dai, Rosa. È stato solo un brutto scherzo causato dal nervosismo, sono certo che lo avrà capito

“Ed io invece sono altrettanto certa che mi consideri già una totale cretina. Non è stata per niente gentile con me, ed anche se mi ha chiesto se avevo delle domande da rivolgerle, quando l’ho fatto mi ha risposto stizzita. Ha detto che nei prossimi giorni mi affiancherà per aiutarmi ad inserirmi nell’ambiente, ma che già dalla prossima settimana devo arrangiarmi da sola. Vuole che sia veloce ad imparare, ma così mi sembra un po’ troppo esagerato. È una stronza”

Chi è?”

“Un’altra infermiera. È stata lei a spiegarmi tutto quanto, quindi immagino che lì dentro sia lei a ricoprire il ruolo più in alto. E vuoi sapere una cosa assurda, ma promettimi che non andrai fuori di testa non appena te la dico? Al momento sono un po’ carenti dal punto di vista del personale, quindi saremo solo in tre a suddividerci i turni. Una settimana faccio quello alla mattina, una quello al pomeriggio… Ed una quello di notte. Fantastico, vero?”

“Cioè, mi stai dicendo che non ci sarà nessun altro insieme a te?”

“No, esatto. Ecco perché vuole che impari in fretta nell’arco di questa settimana”

“E possono farlo oppure va contro il regolamento? Non mi sembra molto sicuro”

“Martha mi ha spiegato che ben presto imparerò molto bene la differenza che c’è tra la teoria e la pratica. Penso che in questo caso intendesse dire che hanno le mani legate dal momento che non riescono a trovare qualcun altro disposto a lavorare lì dentro. È piuttosto comprensibile”

Ahh, e per questo motivo hanno ripiegato su una studentessa che non ha la minima esperienza e che sarà costretta a ritrovarsi fin da subito da sola? Rosa, mi dispiace, ma questa situazione non mi piace affatto. Forse è il caso che domani faccia un colpo di telefono al tuo professore e scambi qualche parola con lui. Questo non è il modo adatto di organizzare uno stage, ma stiamo scherzando? Qui ci sono tutti i presupposti per far scattare una bella denuncia”

“No!” esclamò d’istinto la giovane, sussultando e spalancando gli occhi. Non poteva permettere ad Austin di parlare con il suo professore, altrimenti il suo castello di carte sarebbe crollato come sotto una piccola brezza di vento “e distruggere definitivamente ogni possibilità di uscire con un ottimo risultato a fine anno? No, Austin, tu non farai nessuna telefonata del genere. Te lo chiedo per favore”

“Ma Rosa, guarda che la situazione è seria. Non puoi ritrovarti da sola a gestire un’ infermeria senza nessuno a cui chiedere assistenza, e per giunta in quel tipo di struttura. Ed in caso di qualunque genere d’incidente? Se dovesse accadere qualcosa, a chi puoi chiedere aiuto? Riceverai un intervento tempestivo?”

“Lo so che questa possibilità ti fa paura e fa un po’ paura anche a me, ma quando il professor Johnson ha insistito affinché accettassi questo stage mi ha rassicurato in qualunque modo possibile. Ha ripetuto non so quante volte che non mi avrebbe mai offerto un lavoro pericoloso se avesse avuto qualche sospetto in merito. Il direttore del posto, per giunta, è un suo caro amico. Nessun paziente viene lasciato da solo in infermeria, sono sempre controllati a vista in modo che non accada nulla del genere”

Questo non è pienamente rassicurante

“Ecco, vedi? Avrei fatto meglio a non dirtelo. Ti sto dicendo che non hai nulla di cui preoccuparti e tu fai l’esatto opposto. Credimi se ti dico che non c’è alcun pericolo. Oggi, per esempio, mi sono occupata solo di scartoffie, di farmaci appena arrivati che dovevano essere catalogati: non è accaduto nulla di particolare, non c’è stato alcun paziente che avesse bisogno dell’infermeria e Martha mi ha assicurato che è così per la maggior parte delle giornate. È un lavoro molto più tranquillo e noioso di quello che può sembrare, e ti assicuro che ad un certo punto le lancette dell’orologio sembravano essersi bloccate: mi è sembrato di essere stata là dentro un’intera giornata, non solo otto ore”

“Ma sei mesi sono lunghi… Ed ancora più lungo è un anno o due” commentò il giovane uomo con un profondo sospiro “scusami, Rosa, io ci provo a non fare così, ma non è semplice. Forse lo sarebbe molto di più se questo centro di recupero fosse vicino casa e non a sei ore di distanza”

“Quella che c’è adesso è solo una situazione momentanea, vedrai che molto presto assumeranno altre persone e non sarà più così, nel frattempo non posso fare altro che adattarmi senza protestare, altrimenti ne pagherà le conseguenze la mia scheda di valutazione. Avanti, non pensare a questo. Pensa piuttosto che un giorno è andato e ne mancano appena altri tre a venerdi, e non appena finirò il turno mi metterò subito alla guida per raggiungerti, d’accordo?”.

Rosa sentì un altro profondo sospiro dall’altra parte della cornetta.

“D’accordo, ma come ti ho detto sarebbe tutto molto più semplice se fossi qui vicino e non a così tante ore di distanza. Ho sempre paura di ricevere una chiamata in cui mi avvertono che ti è capitato qualcosa di brutto… Capisci?”

“Stai tranquillo” mormorò la giovane, girando il viso in direzione della finestra della cucina. La tenda era aperta in quel momento, e nonostante fosse seduta sul divano in salotto riusciva comunque a distinguere la sagoma in lontananza della struttura carceraria, che sembrava quasi incombere su di lei da quando aveva messo piede nella contea “non mi accadrà nulla. Dico davvero”.

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