(25)

Cora non si faceva mai accompagnare fin davanti casa; anche quando sapeva per certo che suo padre non c’era non voleva correre l’inutile rischio di essere scoperta dalla madre. Diceva sempre al ragazzo di farla scendere qualche quartiere prima, dove si sentiva al sicuro, con la solita scusa che i suoi genitori erano molto protettivi e non le avevano ancora dato il permesso di frequentare i ragazzi.

Lui non le aveva mai chiesto nulla in più a riguardo, ma non era affatto stupido e Cora sapeva che prima o poi avrebbe scoperto la verità perché bugie come quelle non erano mai destinate a durare a lungo. Poteva essere lei a fare il primo passo, ma per il momento non voleva inquinare i loro momenti con lo sporco che si portava appresso da casa. Le ore che trascorrevano insieme erano una boccata di ossigeno, una breve parentesi nella propria prigionia, e voleva continuare a viverle come tali.
La ragazza lo salutò con un bacio sulla guancia e con la promessa di vedersi il lunedì successivo fuori dal cancello della scuola, e quando scese rimase a guardare la macchina allontanarsi sempre di più. Non aveva la minima idea di dove lui trascorresse tutto il resto del suo tempo, ma non aveva alcuna importanza finché continuava ad essere al suo fianco.

Cora s’incamminò pensando proprio a loro due, con in mano un sacchetto con dentro i suoi vestiti sporchi. A meno che qualcosa non fosse cambiato all’improvviso, da lì a poche settimane sarebbero stati due mesi da quando avevano iniziato a trascorrere il loro tempo insieme. Lui non le aveva mai chiesto di essere una coppia in modo diretto, lei nemmeno, ma a conti fatti lo erano a tutti gli effetti. Se non le aveva mentito, aveva perfino confessato di non vedere nessun’altra al di fuori di lei.

Non aveva alcuna intenzione di tornare a casa subito, tanto al suo rientro avrebbe trovato o l’abitazione vuota o la madre in compagnia di uno dei suoi ‘amici’ che doveva fingere di non vedere, e di conseguenza entrò in un negozietto simile a quello che era stato il luogo del loro primo incontro. Camminò senza alcuna fretta tra le corsie, osservando senza un reale interesse i diversi oggetti esposti, finché la sua attenzione non venne catturata dalla sezione riservata agli oggetti di bigiotteria; in particolar modo, i suoi occhi scuri si posarono su una collanina maschile con attaccato un ciondolo a forma di teschio.

Cora la prese in mano e, mentre la osservava, pensò che fosse perfetta per lui perché rispecchiava in pieno il suo stile. Non erano formalmente una coppia, ma ciò non significava che non poteva fargli un piccolo regalo senza pretendere nulla in cambio; l’unico problema era che, come nel caso del regalo per Julia, non aveva con sé nemmeno qualche spicciolo. Poteva rimettere la collanina al proprio posto e tornare quando avrebbe avuto con sé del denaro, ma i suoi genitori non le lasciavano mai nulla (aveva iniziato ad avere il sospetto che non le volessero mai dare del denaro per timore che lo usasse per scappare da casa), e se anche fosse riuscita a procurarsi in qualche modo quello che le serviva per comprarla, al suo ritorno la collanina poteva già essere stata venduta a qualcun altro. Quella che aveva davanti ai propri occhi era un’occasione che non poteva perdere, non avrebbe mai più trovato un altro regalo così perfetto per lui.

La giovane si guardò attorno, colta da un’idea improvvisa: rubare la collanina, con la possibilità di essere nuovamente colta in flagranza di reato. E questa volta non ci sarebbe stato lui pronto a coprire le spalle di nuovo, ad evitare che venisse portata alla centrale di polizia ed i suoi genitori avvisati.
Stava rischiando grosso ed inutilmente, ma nel corso delle settimane precedenti lei ed il ragazzo erano entrati spesso in minimarket e lui le aveva fatto vedere in diverse occasioni come doveva fare per rubare e non essere scoperta; aveva capito fin da subito che aveva un talento naturale e che si era allenato per diverso tempo, ed ogni volta lo aveva ascoltato ed osservato in silenzio, con dentro di sé la paura, però, di essere visti da qualcuno. Non era mai successo, ed ora aveva l’occasione di dimostrargli di avere appreso dai suoi insegnamenti e di non essere una ragazzina stupida che aveva sempre bisogno di qualcuno pronto a coprirle le spalle.

Cora si guardò di nuovo attorno, la corsia era completamente vuota, ma da lì riusciva a vedere in parte la donna dietro il bancone della cassa. Posizionò il braccio destro lungo il fianco e lasciò cadere a terra la collanina, che non provocò alcun rumore. Diede un’altra rapida occhiata in giro, per accertarsi di non avere alcuna telecamera puntata contro, e solo allora s’inginocchiò sul pavimento, posando la busta di plastica, fingendo di doversi allacciare la scarpa da ginnastica destra. Mentre trafficava con i lacci, afferrò la collanina con un movimento furtivo e la nascoste nel risvolto dei pantaloni da ginnastica. Lui le aveva spiegato, come prima cosa, che il posto peggiore da usare come nascondiglio erano le tasche dei vestiti, perché venivano setacciate subito; doveva avere invettiva, cercare il nascondiglio meno pensabile e poteva sperare di cavarsela.

Il tutto durò appena una manciata di secondi. Cora riprese in mano la borsetta di plastica, si alzò e fece un altro breve giro per il negozietto per non destare alcun sospetto; dopo aver osservato un altro paio di corsie decise che era arrivato finalmente il momento in cui poteva uscire e, per avere ancora di più un aspetto innocente, mentre passava davanti al bancone della cassa rivolse un sorriso alla proprietaria. Una volta all’esterno, s’incamminò verso casa a passo veloce, dopo aver superato le vetrine del negozietto, senza mai voltarsi indietro, fermandosi solo quando fu abbastanza lontana. Nessuno l’aveva inseguita, nessuno era uscito dal negozio richiamandola ad alta voce: capì di avercela fatta e tirò un profondo sospiro di sollievo. Sentiva il cuore battere più forte e l’adrenalina scorrere nelle vene; era pronta a rifarlo di nuovo, ma riuscì a tenere sottocontrollo l’impulso perché non era il caso di esagerare. Era stata brava, ma aveva avuto dalla propria parte anche la fortuna dei principianti.

Si chinò in avanti e controllò che la collanina fosse ancora all’interno del risvolto dei pantaloni da ginnastica. C’era, ed osservandola sotto la luce del sole si convinse ancora di più di quanto fosse perfetta per lui. Infilò la collanina dentro la tasca destra dei pantaloni e riprese a camminare chiedendosi quale sarebbe stata la sua reazione quando gli avrebbe dato il regalo.










Cora aveva un piccolo nascondiglio segreto in camera sua: poco tempo dopo il trasferimento aveva scoperto, per puro caso, che una delle assi del pavimento non era fissata bene; l’aveva sollevata per curiosità e sotto vi aveva trovato un’intercapedine. Mise lì, dopo averli portati in una lavanderia a gettoni e piegati con cura, i vestiti che il ragazzo le aveva prestato insieme alla collanina con il ciondolo a forma di teschio. Non poteva permettere che né il padre né la madre vedessero quegli oggetti, altrimenti per lei sarebbe stata la fine, e quello era il posto più sicuro dove custodirli fino al momento in cui li avrebbe restituiti al loro legittimo proprietario.

Riguardo alla lavanderia a gettoni era stata estremamente fortunata perché aveva trovato una signora anziana che gliene aveva regalato un paio vedendola in difficoltà, e tra i vestiti suoi e quelli di lui aveva scelto di lavare ed asciugare quelli di lui. I propri li aveva appallottolati e nascosti sul fondo della cesta della roba sporca, con la speranza che non suscitassero alcun sospetto. Dopo aver dato un’ultima occhiata ai vestiti ed al gioiello di bigiotteria, la ragazza sistemò con cura l’asse di legno e si coricò a letto. Si lasciò cadere sul materasso singolo e fissò il soffitto. Non aveva affatto sonno, e non c’entravano nulla i rumori che provenivano dalla camera della madre, che in quel momento era in compagnia di uno dei suoi ‘amici’ con cui era rientrata a casa dopo avere cenato chissà dove; non riusciva a dormire perché continuava a ripensare al pomeriggio trascorso insieme al ragazzo ed a pensare a quello che l’aspettava lunedì mattina.

Aveva smesso di raccontare dei loro incontri a Julia. Le dispiaceva non potersi confidare riguardo a quello con la sua unica amica, ma era stanca di sentirsi ripetere in continuazione che avrebbe fatto meglio a stare il più lontana possibile da quel ragazzo, e così avevano finito per parlare di tutto tranne che di quello, per non discutere, litigare e togliersi la parola a vicenda. Cora non voleva litigare con Julia, ma per quanto tenesse a lei non era minimamente intenzionata a rinunciare a lui. Con lei stava bene, ma con lui era tutta un’altra cosa.

Credeva che nella vita non sarebbe mai riuscita a provare nulla per un ragazzo, ed invece lui era riuscito a stravolgere tutto, a farle perfino dimenticare per un po’ l’inferno che viveva tra le pareti di casa propria. Quando pensava a lui avvertiva le stesse sensazioni descritte dai romanzi d’amore che leggeva di nascosto in camera: il cuore che batteva all’impazzata, le guance calde, uno strano ma piacevole formicolio all’altezza dello stomaco, le cosiddette farfalle che iniziavano a svolazzare. Se pensava ad una vita lontana dalla prigionia in cui era bloccata la vedeva solo ed esclusivamente insieme a lui. Non aveva importanza se dentro una bella casetta tutta loro o se di albergo in albergo, l’unica cosa che contava davvero era essere insieme a lui.

Era innamorata.

Ormai non poteva più mentire a sé stessa, non poteva più continuare a nasconderlo per non essere costretta a fare i conti con una verità che avrebbe potuto essere dolorosa: era perdutamente innamorata di lui, ed ogni volta che trascorrevano del tempo insieme doveva prestare attenzione a non lasciarsi sfuggire quelle due parole che avrebbero potuto rovinare ogni cosa; quando poi avevano i loro momenti d’intimità e lui le faceva perdere il controllo, diventava ancora più difficile trattenerle in bocca.

Cora staccò lo sguardo dal soffitto e si girò sul fianco destro, rivolgendo il viso e lo sguardo verso la finestra socchiusa. Da quando lui era apparso sul davanzale, quasi due mesi prima, gli aveva detto di non farlo mai più per non farla finire in guai seri, ma più di una volta aveva desiderato che disobbedisse alla sua richiesta e che le facesse visita nel cuore della notte. Poi c’erano i momenti in cui era sollevata che non lo avesse mai fatto, perché non osava immaginare che cosa sarebbe accaduto se fosse entrato mentre era presente suo padre. Non osava immaginare la reazione di suo padre e non osava immaginare nemmeno quella di lui.

La ragazza staccò il viso anche dalla finestra e si girò dall’altra parte; provò a chiudere gli occhi e si addormentò pensando al ragazzo, rivivendo nella mente i momenti che trascorrevano insieme. Il suo pensiero era l’unica cosa che riusciva a tenere lontani gl’incubi e quella notte ne ebbe l’ennesima dimostrazione: sognò che erano in macchina insieme e che si stavano lasciando quella polverosa e noiosa città alle spalle per sempre per ricominciare una nuova vita lontano, e nel sogno provò una sensazione di felicità e libertà che mai aveva assaporato. Era tutto così perfetto, reale e palpabile che il risveglio fu un vero e proprio trauma.

Avrebbe voluto restare sotto le coperte ancora per un po’, richiudere gli occhi e cullarsi in quella dolce illusione, ma c’era la casa da sistemare ed era compito suo. Se non fosse scesa da lì a subito, sarebbe entrata in camera la madre e ci avrebbe pensato lei a tirarla fuori dal letto senza la minima gentilezza. Era domenica, doveva resistere solo un altro giorno e poi sarebbe arrivato il lunedì mattina: il giorno che tanto attendeva con ansia.

Quel pensiero le provocò un brivido di piacere e le diede la spinta di alzarsi, cambiarsi e scendere al pianoterra. Consumò una fugace colazione ed iniziò subito a spolverare, partendo proprio dalla cucina; mentre ripuliva i ripiani dalla polvere, la sua mente andò ancora alla mattina seguente, alla camera d’albergo ed alla collanina nascosta sotto l’asse del pavimento della sua camera da letto; si chiese ancora come lui avrebbe reagito e provò ad immaginare la scena. In un primo momento sarebbe rimasto sorpreso e poi, con ogni probabilità, avrebbe sorriso. O sarebbe scoppiato a ridere.

Adorava vederlo sorridere. Quando incurvava all’insù gli angoli della bocca diventava ancora più bello. Era impossibile credere che non avesse nessun’altra ragazza che gli ronzava attorno o con cui si vedeva a sua insaputa.

Cora urtò inavvertitamente un soprammobile con il gomito destro, impegnata com’era a visualizzare con gli occhi della mente il volto sorridente del ragazzo con cui si stava frequentando, e non riuscì a prenderlo in tempo: il piccolo oggetto cadde a terra, sfracellandosi, proprio nel momento in cui la madre scese dal piano di sopra. Gli occhi della ragazza si spalancarono all’istante, le sue labbra provarono ad aprirsi per dare delle spiegazioni, ma non le venne lasciato il tempo.

La donna la raggiunse in un istante, col volto che aveva già cambiato espressione, e la sua mano destra si abbattè sul viso di Cora senza alcuna pietà, colpendola così forte da far risuonare il suono dello schiaffo nell’aria. La giovane si ritrovò senza fiato e con la bocca socchiusa perché non si aspettava una simile violenza per una sciocchezza.

“Guarda cosa hai fatto!” le stava dicendo la madre mentre ancora lei la guardava sconvolta “che cos’ho fatto di male per meritarmi una stupida come te? Possibile che tu non sappia fare nulla senza combinare un disastro? Guarda! Prima siamo costretti a trasferirci di nuovo perché non sei altro che una troietta, ed ora ti sei messa in testa di rompere tutte le mie cose! Quanto sei stupida!”.

Cora non riuscì a ripararsi in tempo da un altro schiaffo.

“Stupida ed inutile! Non sei nemmeno in grado di pulire senza rompere qualcosa! Che cosa ci potrà mai trovare un uomo in te? Avanti, adesso pulisci questo disastro, e se rompi ancora qualcosa giuro che ti faccio raccogliere i cocci con la lingua ed i denti”.

La giovane non ribatté e, con gli occhi colmi di lacrime per il dolore e le guance che pulsavano, s’inginocchiò in automatico per porre rimedio al disastro combinato; ma mentre prendeva i primi cocci di porcellana, con mani che tremavano, pensò ancora a lui. E pensò che non gli sarebbe piaciuto affatto vederla in quelle condizioni. Cora si sentì invasa da una rabbia improvvisa, lasciò cadere a terra il coccio di porcellana e, ricacciando indietro le lacrime, si voltò verso la madre che la stava guardando in attesa che pulisse.

“No” quel monosillabo le uscì dalle labbra con enorme sorpresa di entrambe.

“Che cosa hai detto?”

“Ho detto di no, hai sentito benissimo” ripeté la ragazza, prendendo coraggio, con il cuore che batteva all’impazzata “raccogli tu i cocci, se vuoi, ma io non lo farò. Non l’ho rotto apposta e non meritavo affatto gli schiaffi che mi hai dato, è stato solo un incidente. Se sei frustrata per conto tuo, perché magari la notte non è andata come speravi, non devi sfogarti su di me. Sono stufa di essere la serva di questo posto!”

“Che cosa hai detto?” la donna alzò la voce, sgranò gli occhi ed afferrò Cora per una ciocca di capelli “rimangiati subito quello che hai appena detto o giuro che ti faccio rimpiangere i due schiaffi che ti ho dato, perché non saranno niente in confronto a quello che sto per farti, stupida ragazzina che non sei altro”

“No, cazzo, io non mi rimangio niente e tu devi smetterla di parlarmi in questo modo!” Cora alzò la voce a sua volta e si liberò dalla presa della madre “vuoi colpirmi? È proprio quello che vuoi fare? Avanti, allora, coraggio, provaci! Ma ricordati che io conosco il tuo segreto e sono pronta a spifferarlo in qualunque momento! Quanto pensi che sarà contento di sapere che quando non è in casa non senti la sua mancanza perché è un continuo via vai di uomini?”

“Non osare nemmeno provarci”

“Perché? Perché altrimenti me la faresti pagare o perché sai che tra me e te sarebbe a me che crederebbe senza alcun dubbio? Vuoi davvero che facciamo una prova quando ritornerà la prossima settimana? Colpiscimi, avanti, e quando mi chiederà che cosa sono i lividi che ho sul volto, svuoterò il sacco all’istante. Avanti” la giovane fissò la madre con uno sguardo di sfida, senza mai distoglierlo, finché non fu l’altra a cedere per prima; incredibilmente, seppur controvoglia e ribollente di rabbia, la donna s’inginocchiò per raccogliere quello che restava del soprammobile. Cora non poteva credere ai propri occhi: per la prima volta in vita sua si era ribellata ad un volere della madre e non era stata massacrata di botte. Sentiva nelle proprie vene scorrere l’adrenalina mista ad euforia.

“Almeno cerca di renderti utile in qualcosa e prepara il pranzo, visto che tuo padre sarà qui tra poche ore”.

L’adrenalina e l’euforia si fermarono all’istante e sul viso della giovane si fecero strada il panico ed il terrore.

‘No, non di nuovo, ti prego’

“Ma non deve tornare la prossima settimana?”

“Hanno terminato i lavori prima del previsto. Gli hanno concesso una pausa più lunga” rispose la madre, per poi sollevare lo sguardo. Quello che aveva impresso sulle labbra sembrava più un ghigno che un sorriso “non sei contenta?”.

No, non era affatto contenta perché il ritorno anticipato del padre significava l’inizio di un nuovo incubo e rovinare di nuovo tutto quanto. Non poteva ritrovarsi di nuovo in bagno a vomitare, non poteva rovinare anche il loro secondo appuntamento in albergo, altrimenti lui si sarebbe stancato di lei. O le avrebbe chiesto spiegazioni, lei non avrebbe risposto e se ne sarebbe andato comunque. Lo avrebbe perso per sempre, in entrambi i casi, con le proprie mani.

“Perché te ne stai lì, immobile? Va in cucina e prepara qualcosa!”.

La ragazza non diede alcuna risposta alla madre, ma le voltò comunque le spalle per spostarsi nell’altra stanza ed iniziare i preparativi per il pranzo. Non c’era molto né all’interno del frigo né nella dispensa, ed in ogni caso non era quello il suo principale pensiero quando controllò sia all’interno di uno che dell’altra. La sua unica preoccupazione, al momento, era trovare il modo per evitare che il padre entrasse in camera sua quella stessa notte. La piccola ribellione nei confronti della madre aveva fatto scattare qualcosa nella sua testa, un meccanismo che si era azionato e non aveva alcuna intenzione di fermarsi.










La madre non era mai intervenuta una sola volta, in camera sua, nel cuore della notte. Perché non le importava minimamente, perché non le credeva e perché prima di coricarsi a letto prendeva delle gocce di sonnifero altrimenti, come l’aveva sentita dire una volta, non riusciva a chiudere occhio.

La giovane pensò che quelle gocce di sonnifero fossero proprio quello di cui aveva bisogno, la soluzione al problema che non avrebbe fatto sorgere alcun tipo di sospetto nei suoi confronti. I suoi genitori non badavano minimamente a lei nel corso del giorno, a meno che non avessero bisogno di sfogare la propria frustrazione, per cui riuscì a sottrarre momentaneamente la boccetta dal comodino senza essere vista, ed allo stesso modo riuscì a mettere delle gocce nella birra del padre. Non aveva tempo per leggere le dosi, non sapeva nemmeno quante gocce servissero alla madre per dormire l’intera notte senza mai svegliarsi, ed alla fine optò per dieci: lasciò cadere dieci gocce trasparenti e senza gusto all’interno della lattina di birra che aveva già aperto, controllando prima di non essere vista, e rimise ogni cosa al proprio posto.

Durante la cena cercò di comportarsi nel modo più naturale possibile, mantenendo lo sguardo fisso sul proprio piatto, per resistere alla tentazione di sbirciare di tanto in tanto in direzione del padre ogni volta che prendeva in mano la lattina e mandava giù un sorso di birra. Le gocce di sonnifero non avevano alcun gusto e si perdevano all’interno della birra, ma sentiva la paura irrazionale che in qualche modo si accorgesse lo stesso che c’era qualcosa di strano e che la responsabilità fosse sua. Se l’avesse scoperta, l’avrebbe ammazzata. Non c’era via di scampo in quel caso.

La birra all’interno della lattina terminò senza che ci fosse la minima ombra di sospetto che fosse stata contaminata e Cora potè tirare un piccolo sospiro di sollievo mentalmente; il sollievo, però, durò pochissimi istante e venne nuovamente sostituito dall’ansia. Ansia di avere messo abbastanza gocce da ottenere l’effetto desiderato.

Dopo cena, e dopo aver sparecchiato la tavola e lavato i piatti, la giovane si ritirò subito nella propria camera con la scusa che il giorno seguente doveva alzarsi presto perché c’era la scuola. Si cambiò, s’infilò a letto e si ritrovò a fissare il soffitto come la notte precedente; e come la notte precedente pensò a lui, a quello che l’aspettava la mattina successiva e pregò, a mani congiunte, che la porta non si aprisse.

“Per favore, per favore, per favore” continuò a ripetere a bassa voce, a denti stretti “per favore, non questa volta. Non questa volta. Non questa volta. Non può rovinare tutto di nuovo. No. No. No.”.

Cora rimase in quella posizione per moltissimo tempo, almeno così sembrò ai suoi occhi, senza che accadesse nulla. La porta non si aprì, dall’altra parte regnava il silenzio assoluto e dopo aver aspettato un altro po’ per sicurezza si sentì finalmente libera di tirare un sospiro di sollievo. Le gocce avevano funzionato, per quella notte era fuori pericolo e si girò dall’altra parte, chiudendo gli occhi e pensando di nuovo a lui, come faceva per tutta la maggior parte del tempo quando non erano insieme.

Li riaprì all’improvviso ed irrigidì i muscoli delle spalle quando sentì il cigolio inconfondibile della porta che si apriva. Pensò di esserselo immaginato, invece il rumore di passi che si avvicinavano cancellò all’istante ogni dubbio e la gettò di nuovo nel terrore assoluto. Provò a chiudere gli occhi di nuovo ed a fingere di dormire, ma si fregò da sola, sussultando quando sentì una mano posarsi sulla spalla destra. Il panico le attanagliò la gola; pensò alla finestra socchiusa, ma nessuno sarebbe apparso all’improvviso per salvarla. Era sola, il suo piano aveva miseramente fallito e non aveva alcuna speranza di farcela.

“Lo so che non stai dormendo. Ogni volta fai questo giochetto ed ogni volta va a finire nello stesso modo. Devi imparare ad essere più convincente”

“Non stavo fingendo. Dormivo sul serio” rispose lei, in un sussurro, tirandosi su col busto, ritraendosi leggermente “domani c’è la scuola ed alla prima ora ho un test importante. Devo essere concentrata e riposata”

“Hai sempre test importanti”

“È… In questo modo che funziona la scuola”

“Come ti sei comportata durante la mia assenza?”

“Bene, non c’è molto da raccontare a riguardo” mormorò Cora; strinse le ginocchia contro il petto per non far vedere che stava tremando leggermente “la routine è sempre stata la stessa: scuola, casa, studio. Esco solo per andare a lezione ed in biblioteca per i libri che mi servono… Nient’altro”

“Nient’altro?”

“No”

“Sei proprio sicura di non nascondermi qualcosa?”

“No, non sto nascondendo nulla” Cora cercò di restare calma esteriormente, ma dentro di sé il panico le aveva già stretto lo stomaco. Ripensò alle settimane precedenti in cui il padre era stato assente ed a tutto quello che aveva fatto; pensò a quelli che potevano essere stati i passi falsi che aveva commesso, ma non ne trovò nessuno. Sua madre non l’aveva mai scoperta, di conseguenza era impossibile che lui da solo avesse capito qualcosa. Quello che aveva nascosto sotto l’asse danneggiata del pavimento era ancora al suo posto, e lei era ancora l’unica a conoscenza di quell’anfratto. Quello che le stava ponendo, probabilmente, era a tutti gli effetti un trabocchetto in cui doveva far attenzione a non cadere “e la mamma te lo può confermare”

“Sei sempre stata una pessima bugiarda. È come quando fingi di dormire: ci provi, ma non è mai abbastanza” la giovane si sentì afferrare con forza per una ciocca di capelli e si lasciò scappare un gridolino di paura e dolore. Non riusciva a capire che cosa avesse fatto o come il padre fosse riuscito ad intuire qualcosa dato che aveva sempre prestato la massima attenzione. Forse qualcuno che lui conosceva li aveva visti? C’era qualcuno che la spiava a distanza per conto suo e non se ne era mai resa conto? “ma voglio darti una possibilità, una soltanto, e sta a te scegliere se sprecarla o meno: dimmi la verità, e forse la punizione sarà meno severa”

“Non so di che cosa stai parlando, lo giuro!” esclamò lei, ad occhi sgranati, nel panico assoluto “non ti sto nascondendo niente, te lo posso assicurare. Quando non sono a scuola sono a casa od in biblioteca per i libri e per lo studio. Perché non mi vuoi credere? Ti sto dicendo la verità!”

“Perché ho visto i vestiti!” Cora spalancò ancora di più gli occhi ed impallidì, era convinta che il padre si stesse riferendo ai vestiti del ragazzo che aveva nascosto nell’intercapedine del pavimento, ma subito dopo pensò che era impossibile. Lui non era mai salito in camera sua nel corso della giornata, e li aveva sistemati lì ancora il giorno precedente, molto prima del suo ritorno. Nemmeno la madre l’aveva sorpresa nel momento in cui aveva sollevato l’asse rotta “i vestiti in bagno, Cora. La cannottiera. I pantaloni. Gli slip”.

L’uomo stava parlando degli indumenti sporchi ed appiccicosi di cocacola. La ragazza tirò un sospiro di sollievo perché fortunatamente non si era tradita in alcun modo, ma il pericolo non era ancora passato. Non era servito a nulla nasconderli in fondo alla cesta dei panni sporchi. Suo padre li aveva comunque trovati. Era andato apposta alla ricerca di qualcosa che non quadrasse e quel pensiero le provocò un brivido.

“Non è come pensi” mormorò in propria difesa, pur non avendo la minima idea del chiodo fisso che il genitore si era messo in testa “io e la mia amica siamo andate a mangiare qualcosa dopo aver studiato in biblioteca. Si chiama Julia, è una mia compagna di classe. Per sbaglio ho rovesciato la mia coca cola ed è successo un disastro”

“E ti aspetti che io creda a questa storia assurda?” ribatté l’uomo, stringendo la ciocca di capelli con ancora più forza “non è, invece, che non esiste nessuna amica di nome Julia ed al posto suo sei uscita con un ragazzo e ti vedi ancora con lui a mia insaputa? Non ci credo che una ragazza carina come te non abbia nessun ammiratore a scuola”

“No, no, no, non c’è nessun ragazzo. Devi credermi” Cora era ormai disperata ed aveva la vista appannata a causa delle lacrime che minacciavano di traboccare da un momento all’altro. Pensava di essere vicina alla propria fine, ma non aveva alcuna intenzione di rivelare l’esistenza del ragazzo che frequentava. Era convinta che prima di fargliela pagare a lei, suo padre sarebbe andato alla ricerca di lui per ammazzarlo con le proprie mani “non li guardo nemmeno gli altri ragazzi, loro non… Non m’interessano. Non mi sono mai interessati. Vuoi sapere la verità? La verità e che io e la mia amica non ci siamo incontrate per… Studiare”.

Cora era disperata e nella disperazione, per salvare sé stessa ed il ragazzo che stava frequentando, aveva detto la prima cosa convincente che le era passata per la mente. Poteva essere un’arma a doppio taglio, ma in quel momento non le era venuto in mente niente di meglio che fingere che quella tra lei e Julia non fosse una semplice amicizia. Aveva visto spesso, non vista, il padre a tarda notte guardare film a luci rosse che coinvolgevano solo donne e sotto il letto dei genitori aveva trovato riviste pornografiche sempre di quel tipo. Ora lui la stava fissando in silenzio, ma nella penombra della stanza non riusciva a decifrare con esattezza l’espressione che aveva sul volto.

“E cosa avete fatto tu e la tua amica?”

“Io non… Penso che sia ovvio dopo quello che ho…”

“No, non è ovvio” rispose l’uomo; la sua voce era cambiata e la ragazza sentì la presa sui capelli allentare fino a sparire del tutto. Ce l’aveva fatta, ma non poteva ancora tirare il sospiro di sollievo definitivo perché non era ancora salva “voglio che tu mi racconti ogni cosa, nei più piccoli particolari. Senza tralasciare nulla”

“Ho bisogno di bere qualcosa prima” mormorò la giovane con un filo di voce, fingendo di schiarirsi la gola “posso andare a prendere qualcosa in frigo, per favore?”.

Incredibilmente il padre le diede il proprio consenso, a patto che facesse in fretta altrimenti sarebbe sceso a controllare personalmente; Cora lo rassicurò dicendo che sarebbe tornata subito, e dopodiché uscì dalla camera e chiuse la porta alle proprie spalle. Senza fare rumore, evitando i punti in cui le assi del pavimento cigolavano, entrò nella stanza dei genitori e si avvicinò al comodino della madre, che in quel momento stava dormendo profondamente grazie alle gocce. Gocce che nel suo caso non erano state d’alcun aiuto, sicuramente perché aveva sbagliato le dosi. Cercò il flaconcino all’interno del secondo cassetto; il suo piano prevedeva di prendere due lattine di birra dal frigo e di mettere altre gocce in quella che avrebbe offerto al padre, con la speranza che il secondo tentativo andasse meglio rispetto al primo, ma trovò un’altra scatola. Era nuova, dal blister mancavano solo un paio di pillole, e leggendo le scritte sulla confezione, vide che si trattava di un altro tipo di sonnifero. Pensò che la madre doveva essersi ormai asuefatta alle gocce, viste le quantità che di sicuro assumeva, ed era passata a qualcosa di molto più forte per ricominciare a dormire tutta la notte.

La ragazza ne prese un paio, per sicurezza, rimise la confezione al suo posto ed uscì in fretta dalla stanza, con il pugno destro ben stretto per non lasciarsi scappare le due piccole pillole bianche che potevano essere la sua unica salvezza. Mentre scendeva le scale pregò più e più volte che lo fossero.
Non sapeva se fossero o meno solubili, nemmeno aveva avuto il tempo per leggere le modalità d’uso, per cui una volta in cucina, dopo aver preso dal frigo ed aperto due lattine di birra, prese un coltello e schiacciò entrambe le pillole con la lama, riducendole ad una polverina bianca che mise all’interno della lattina destinata al padre. Lavò la lama per rimuovere qualunque traccia della polverina, e mentre l’asciugava con un panno s’incantò a guardare il proprio riflesso nella penombra. Un pensiero fugace le attraversò la mente, mentre con l’indice destro percorreva il contorno dell’estremità del coltello. Pensò che quella lama così affilata poteva essere la fine di tutti i suoi problemi; doveva solo risalire i scalini, tornare in camera della madre e squarciarle la gola da parte a parte, un taglio netto e profondo. Lei non si sarebbe svegliata né avrebbe urlato perché era imbottita di sonniferi e sarebbe morta nel giro di pochi minuti, soffocata nel proprio sangue. Poi doveva rientrare nella propria, sfruttare l’elemento sorpresa e riservare al padre lo stesso trattamento. Ed a quel punto sarebbe stata libera, libera come mai lo era stata prima. A quel punto poteva scappare, andare da lui e partire insieme in macchina senza una destinazione precisa.

Poteva vedere tutto quanto con estrema chiarezza nella propria mente, come se lo avesse già fatto. Il cuore della giovane prese a battere più forte e mollò all’improvviso la presa dal coltello, che cadde all’interno del lavandino provocando un rumore metallico che risuonò nella stanza. Cora non badò minimamente a quel particolare, troppo presa com’era dai propri pensieri, ed il suo sguardo era ancora rivolto all’arma bianca affilata.

Quel pensiero così estremo sarebbe stato la sua salvezza, ma anche la sua rovina. Sentiva di non avere il coraggio necessario per compiere un atto così violento, e se uno dei suoi genitori avesse opposto resistenza in qualche modo per lei sarebbe stata la fine. E se anche fosse riuscita nell’impresa di compiere un doppio omicidio, quanto tempo pensava di avere prima di essere fermata ed arrestata? E lui? Lui cosa avrebbe detto se l’avesse vista corrergli incontro ricoperta di sangue? Ne sarebbe rimasto orripilato, e sarebbe rimasto ancora più orripilato quando gli avrebbe raccontato il perché.
“Che stai facendo?”.

Cora sussultò e si girò di scatto. Era così concentrata nei propri pensieri da non aver sentito l’arrivo del padre, ed ora era proprio di fronte a lei. Per fortuna aveva già lasciato cadere le pastiglie frantumate nella birra destinata a lui ed il coltello giaceva nel lavandino; fosse arrivato poco prima si sarebbe ritrovata in mezzo a guai ancora più grandi. Si spostò leggermente a sinistra per coprire il lavandino e quello che c’era al suo interno.

“Non riuscivo a trovare la birra” mormorò, dicendo la prima cosa sensata che le venne in mente “ho trovato queste per caso nel ripiano più in basso. Ormai avevo perso le speranze”.

Prese in mano la lattina con le pastiglie e l’allungò al padre, con la speranza di essere stata abbastanza convincente. Pregò che non avesse nessun sospetto, che le pastiglie funzionassero e che non notasse alcun gusto strano. Per colpa della lama del coltello e dei pensieri che le aveva scaturito, non era riuscita a sentire se dalla lattina proveniva qualche strano odore. L’uomo prese la lattina e poi afferrò Cora per il polso destro, trascinandola in direzione del divano ed ordinando di sedersi.

Lei obbedì, non c’era altro che potesse fare, e quasi non si rese conto di trattenere il fiato quando finalmente vide il padre avvicinare il bordo della lattina alle labbra e mandare giù un lungo sorso di birra. Non vide apparire nessuna strana espressione sul suo viso, non arrivò nessuna domanda allarmante e riuscì a rilassarsi in parte: i sonniferi erano insapore, e lui non aveva alcun sospetto riguardo la birra che era stata manomessa. Adesso c’era solo da sperare che le pillole facessero l’effetto sperato che le gocce non avevano avuto, ma Cora temeva che non sarebbe stato così immediato e che c’era bisogno di bere altra birra. Ma come poteva convincere il padre a bere altra birra senza destare alcun sospetto? Lui per primo aveva detto in camera che era sempre stata una pessima bugiarda e che ancora lo era.

“Avanti. Racconta”

“Non… Non sarebbe meglio risalire in camera?” provò a chiedere la giovane con un filo di voce, ed in risposta ottenne uno schiaffo così forte che il rumore risuonò nell’intera stanza immersa nel silenzio. Si ritrovò di nuovo senza fiato, e di nuovo venne afferrata per i capelli.

“Ti ho detto racconta. Io dico quello che devi fare e tu obbedisci, senza replicare. Vuoi farmi arrabbiare? Ritorno a casa per un giorno dopo due settimane e tutto quello che vuoi è farmi arrabbiare, anziché essere dolce e premurosa nei miei confronti?”

“N…No”

“Allora cerca di non provocarmi più ed inizia a raccontare di te e la tua amica. Voglio sapere tutto. Non dimenticare nessun particolare” l’uomo era sceso in cucina con addosso solo un paio di boxer, Cora lo vide abbassarli e girò in automatico il viso dall’altra parte. Si sentì prendere la mano destra e chiuderla di forza attorno alla sua erezione, ed in contemporanea sentì risalire dallo stomaco la sensazione di nausea che ormai conosceva fin troppo bene ed a cui aveva fatto l’abitudine. Di nuovo, sola com’era ed indifesa, non aveva altra scelta se non quella di obbedire ed iniziò a muovere la mano su e giù con lo sguardo rivolto altrove. Pensò che era meno terribile delle volte in cui era costretta a subìre un rapporto sessuale completo, ma quel pensiero non la fece sentire affatto meglio. Pregò solo che tutto finisse il prima possibile, ma ogni volta, quando era costretta a trascorrere la notte in compagnia del padre, i minuti sembravano trasformarsi in ore e le ore in giorni interi.

“In… In realtà siamo andate a studiare in biblioteca, prima, e poi abbiamo preso qualcosa da mangiare in un fast food e siamo andate a casa sua perché era libera. Non c’era nessuno della sua famiglia e credo che sia per questo motivo che… Che mi abbia chiesto di andare… Penso che avesse già in mente tutto quanto. Siamo salite in camera sua ed abbiamo iniziato a mangiare…” Cora si fermò per un momento, per combattere contro la nausea, e si ripeté mentalmente che quello che stava facendo era necessario per allontanare ogni sospetto che il padre aveva nei confronti di una sua frequentazione con un ragazzo. Doveva solo fare come tutte le altre volte: estraniarsi con la mente e sperare che tutto finisse il prima possibile “è stata lei a fare il primo passo, è partito come un gioco, almeno è quello che pensavo che fosse. Anche quando mi ha rovesciato la cocacola addosso, sulla cannottiera. Mi sono un po’ arrabbiata perché era uno scherzo stupido, ma lo consideravo comunque uno scherzo… Ma poi si è avvicinata e… E mi ha tirato giù le spalline della cannottiera… Io le ho chiesto che cosa stava facendo e lei non ha risposto. Si è avvicinata e… Beh… Ha fatto quello che ha fatto”

“Dettagli, Cora” la presa sui capelli ritornò, più salda di prima “cosa ti ho detto prima? Tutto quanto, senza tralasciare il più piccolo dettaglio. Avanti. Non fare la bambina che non lo sei più da tanto tempo. E non fare nemmeno la pura e vergognosa, perché quello che stai raccontando dimostra l’esatto opposto. E smettila di andare così veloce apposta e di affondare la mano. Non è molto piacevole, ed impiego un attimo a farti vedere quante altre cose possono essere ben poco piacevoli, ci siamo capiti?”.

La ragazza strinse i denti con forza ed obbedì per l’ennesima volta, muovendo la mano su e giù piano, come se quello che stava facendo fosse di suo gradimento. Ma era necessario. Nella propria mente, però, rivide di nuovo l’immagine di sé stessa che impugnava il coltello e lo affondava nella gola di entrambi i genitori.

“Ha abbassato le spalline della cannottiera ed ha iniziato a leccarmi e succhiarmi il seno. Io ero sconvolta, ho provato a scostarmi, l’ho spinta via e le ho dato uno schiaffo. Le ho chiesto che cazzo stava facendo e di smetterla, ma lei ha ricominciato e… E io l’ho lasciata fare… Perché… Perché in realtà mi piaceva”

“E poi?” domandò l’uomo con il fiato corto. Cora sentì su di sé la sua mano destra, che abbassò le spalline della cannottiera da notte che indossava, in modo da lasciare scoperto il seno. A quel punto la mano si spostò sul seno destro e con le dita iniziò a stimolare il capezzolo. Sentì la pelle diventare dura e tesa e provò ancora di più nausea per sé stessa e odio per la reazione fisica che aveva il suo corpo e che non riusciva a controllare.

“E poi è scesa sempre più giù… Quando è arrivata ai pantaloni li ha sbottonati, abbassati ed ha rovesciato sugli slip quello che restava della mia coca cola. Ha iniziato a leccare la stoffa e poi ha tirato giù anche gli slip… E ha iniziato a leccarmi tra le gambe”

“E tu? Hai opposto di nuovo resistenza?”

“Sì, all’inizio sì, poi l’ho lasciata fare di nuovo perché mi piaceva”

“E poi?”

“Poi le ho restituito il favore. Abbiamo passato così l’intero pomeriggio”.
L’uomo emise un singulto e, con la mano ancora stretta attorno ad una ciocca di capelli, le spinse la testa in avanti e lei si ritrovò con la sua erezione in bocca. Con la mano le spingeva la testa avanti ed indietro, e la giovane iniziò a succhiare in modo meccanico, senza pensare a nulla, con sempre e solo l’unica speranza che tutto quanto finisse il prima possibile. L’uomo le tirò la testa all’indietro all’improvviso, con così tanta forza da farle salire le lacrime agli occhi, e la colpì con un altro schiaffo in pieno viso.

“Questo è per aver disubbidito per l’ennesima volta ai miei ordini. Quando ti ho detto di stare lontana dai ragazzi non immaginavo che ti saresti interessata alle ragazze, non ti credevo così perversa” la stretta attorno ai capelli svanì, trasformandosi in una carezza sul viso nel punto in cui era arrivato lo schiaffo; Cora s’irrigidì perché quei momenti di tenerezza la terrorizzavano ancora di più e le facevano capire quanto avesse a che fare con una persona scostante ed estremamente pericolosa, che un attimo prima poteva farle una carezza ed un attimo dopo poteva sbatterle la testa contro un muro. La mano scese di nuovo, e dal viso si soffermò sul seno sinistro “ohh, non avere paura. Potrai vedere ancora la tua amica, ed hai anche il permesso di invitarla qui per un pigiama party, ma hai comunque disobbedito e meriti una punizione. E voglio essere certo che non ti metta in testa strane idee, come per esempio che la tua amica sia l’unica in grado di soddisfarti”

“Questo è impossibile. L’unico sei tu. Sei l’unica persona in grado di farlo e l’unico uomo che io guardo. Non c’è bisogno di nessuna punizione. Quello tra me e lei è stato solo un gioco innocente. Per favore” lo pregò la ragazza, con uno sguardo supplicante, ma in risposta ottenne una risata sarcastica.

“La prossima volta esercitati davanti allo specchio e magari riuscirai ad apparire più convincente. Stai tranquilla, non ho alcuna intenzione di costringerti a non vedere più la tua amica o di prendere una decisione drastica come quella di abbandonare tutto e trasferirci di nuovo, lontano da qui” la ragazza a quelle parole non riuscì a trattenere un piccolo sussulto. La gettava nel panico totale la sola idea di dover ripartire per nell’ennesima volta nel cuore della notte con la consapevolezza che non avrebbe mai più rivisto il ragazzo con cui si stava vedendo “ma hai comunque disobbedito, sei stata una bambina cattiva e meriti una punizione per questo. Ed è necessario che rimarchi il mio territorio. Togliti i vestiti, ora”.









“Alzati e vai a farti una doccia. Hai un aspetto indecente”.

Cora obbedì all’istante, come del resto era stata costretta a fare fino a quel momento e nel corso di tante notti simili, si alzò dal divano e raccattò dal pavimento i suoi indumenti sparsi qua e là. Salì in fretta al piano di sopra e andò in bagno. Mentre chiudeva la porta alle proprie spalle sentì il respiro pesante della madre, che per tutto il tempo aveva continuato a dormire ignara, grazie alle pillole che aveva preso. Pillole che nel suo caso invece non avevano ottenuto lo stesso effetto desiderato perché non era riuscita a convincere il padre a bere l’intera lattina di birra; l’unico sorso che aveva mandato giù non era stato sufficiente.

La ragazza lasciò cadere gl’indumenti a terra ed entrò subito in doccia. Era ansiosa di cancellare dal proprio corpo tutte le tracce di quello che era appena successo, ma l’acqua calda ed il sapone non potevano fare nulla contro i ricordi. Quelle immagini le aveva ben scolpite nella mente e puntualmente tornavano a tormentarla durante la notte, quando voleva solo chiudere gli occhi pensando al tempo che trascorreva insieme al ragazzo che frequentava. A lui. Uscì dalla doccia ripulita, ma sentendosi peggio di prima; aveva una voglia tremenda di piangere e qualche volta lo aveva fatto. Era successo quando quell’incubo aveva avuto inizio, le prime volte, poi aveva smesso dopo aver capito che le proprie lacrime non avrebbero fatto alcuna differenza e non l’avrebbero di certo salvata da un’altra notte.

Entrò nella propria camera e si rivestì con dei vestiti puliti, gli altri li aveva gettati nel cesto degli indumenti sporchi, circondata dal silenzio e dal buio; s’inginocchiò sul pavimento e sollevò l’asse rotta; prese in mano la maglietta preferita di lui e la strinse a sé, appoggiandosi con la schiena al letto, affondando il viso nella stoffa. Non aveva più il suo odore da quando l’aveva portata in lavanderia, ma riuscì comunque a calmarla ed a farle passare la voglia di piangere. Al contrario, iniziava a sentire un’enorme rabbia bruciare nel petto. Rabbia per quello che era stata costretta a fare per l’ennesima volta perché non aveva alternativa e rabbia perché di nuovo era successo alla vigilia di quello che doveva essere il giorno più bello della sua vita. Ma questa volta non era intenzionata a cascarci di nuovo, esattamente come non aveva alcuna intenzione di trascorrere il resto della notte tra le mura di casa.

Cora rimise al proprio posto la maglietta, dopo averla ripiegata con cura, ed al suo posto prese la collanina che il giorno precedente era riuscita a rubare senza essere vista. Infilò l’unico paio di scarpe da ginnastica che possedeva ed uscì di nuovo dalla camera; scese le scale senza fare rumore e si fermò alla fine. Da lì riusciva a vedere il salotto e notò subito la sagoma sul divano. Si avvicinò in silenzio, con passo felpato. Suo padre si era addormentato ed ora, davanti a lui, la ragazza venne assalita di nuovo dalla tentazione di prendere il coltello che giaceva ancora nel lavandino della cucina. Quella che aveva davanti ai propri occhi era l’occasione perfetta: avrebbe sorpreso il padre nel sonno e così non sarebbe riuscito a reagire; quando avrebbe realizzato quello che stava succedendo sarebbe stato troppo tardi, ed a quel punto non doveva fare altro che salire di nuovo le scale  e riservare lo stesso trattamento alla madre. Con lei sarebbe stato tutto ancora più semplice perché era sotto l’effetto dei sonniferi. Un taglio alla gola, anzi due, e tutto sarebbe finito.

Il cuore della giovane riprese a battere più forte, l’adrenalina iniziò a scorrere nelle vene, ma si bloccò appena in tempo, prima di muovere il primo passo in direzione dell’altra stanza. Ripensò alle conseguenze, a come la sua fuga sarebbe stata breve, all’esistenza che l’aspettava in carcere ed a come avrebbe perso per sempre l’unico ragazzo di cui era innamorata e cancellò quell’assurdo pensiero dalla mente. Uscì di casa prima di essere tentata ancora ed iniziò a correre, respirando l’aria calda, estiva, che regnava come una cappa nella città sia di giorno che di notte.

Nella mente, adesso, aveva un unico pensiero: lui. Aveva bisogno di vederlo. Aveva bisogno di trovarlo a qualunque costo. Aveva bisogno di tuffarsi tra le sue braccia e di sentirle attorno ai propri fianchi. Aveva bisogno di sentire le sue labbra sulle proprie, ed aveva bisogno di fare l’amore con lui quella notte stessa per cancellare definitivamente tutto lo sporco che si portava appresso. E poi gli avrebbe chiesto di andare via insieme, perché non aveva alcuna intenzione di tornare indietro, nemmeno per recuperare i propri effetti personali.

Corse fino a casa sua, a qualche isolato di distanza dalla propria. Si fermò all’inizio del vialetto e si piegò in avanti, con le mani appoggiate alle ginocchia, per riprendere fiato; guardò la grande e modesta abitazione davanti a sé, le luci spente al di là delle finestre e poi s’incamminò verso il lato sinistro della casa. La finestra che corrispondeva a quella della sua camera da letto era quella in alto a sinistra, al primo piano; Cora raccolse un sassolino da terra e lo lanciò contro il vetro. Dopo un paio di tentativi riuscì a centrare il bersaglio e rimase in attesa, ma nessuno apparve alla finestra. Lo chiamò per nome, tentò con altri sassolini ed alla fine si ritrovò costretta ad arrendersi prima di svegliare qualcuno della famiglia od uno dei vicini. Ritornò davanti alla facciata principale e vide che il portone del garage era sollevato e dentro non c’era nessuna macchina, particolare che prima era sfuggito al suo sguardo.

Ripensò alla prima notte che avevano trascorso insieme nel deserto e si diede della sciocca per averlo cercato a casa sua; in più di un’occasione le aveva detto che trascorreva le notti in giro perché non riusciva quasi a chiudere occhio. E quando gli aveva chiesto il perché, lui si era limitato a scrollare le spalle ed a prendere una boccata di fumo dalla sigaretta che aveva acceso.

Cora si guardò attorno, passandosi la mano destra tra i capelli tinti di biondo. Girare sola per le strade deserte di una città non era affatto sicuro per una ragazza come lei, ma qualunque posto era meglio di casa sua, e lui in quel momento poteva essere ovunque. Poteva essere a fumare nel deserto. Poteva essere nella città accanto più vicina, quella in cui si fermavano sempre al solito fastfood. O poteva essere da qualche altra parte di cui lei non sapeva nulla; sentiva che erano ancora tante le cose sul suo conto che non le aveva raccontato.
L’unica informazione certa che aveva dalla propria parte era che era uscito con la propria macchina, e lei la conosceva benissimo, e conosceva benissimo anche la targa.

La giovane si allontanò dal quartiere in cui il ragazzo abitava e si spinse in direzione del centro città. Sembrava non esserci nessun altro in giro a parte lei; il silenzio era assoluto e quasi sinistro, ma non vi fece caso: era troppo impegnata a sondare con lo sguardo tutte le macchine che vedeva od a scorgere in lontananza una figura che potesse essere vagamente familiare e riconducibile a quella di lui. Trascorse un’ora e mezza in quel modo, a vagare senza una meta precisa nella città in cui si era trasferita pochi mesi prima, ed alla fine si sedette nei pressi di un vicolo cieco per fare una piccola pausa, stanca e demoralizzata, certa che più il tempo passava senza ottenere alcun risultato e più le speranze di trovarlo da qualche parte s’affievolivano.

Mentre si lasciava andare ad un sospiro di sconforto, catturò un movimento con la coda dell’occhio e girò di scatto il viso verso la strada. Sul marciapiede dall’altra parte era apparsa una figura, ma apparteneva ad una donna. Osservandola camminare avanti e indietro, ed il modo in cui era vestita, Cora dedusse che si trattava di una prostituta ed avvertì un nodo allo stomaco. Pensò che lei e quella donna che non conosceva non erano poi così diverse, con l’unica eccezione che la donna sconosciuta vendeva il proprio corpo per guadagnare soldi, lei invece perché non aveva alternativa.

La guardò andare avanti ed indietro finché non si fermò, attirata da qualcosa, ed affianco a lei apparve un’altra figura, questa volta maschile.

Gli occhi di Cora s’incollarono alla figura maschile; anche se si trovava dall’altra parte della strada non era così distante dal vicolo in cui si era fermata per riprendere fiato, riusciva a vederla bene, insieme a quella della prostituta, e le sembrava fin troppo simile a quella di lui. Si disse che doveva trattarsi di una coincidenza, di un’autosuggestione, ma quando la figura maschile mosse qualche altro passo in avanti e si fermò proprio sotto la luce di un lampione acceso, la giovane si rese conto che i suoi occhi non le avevano giocato nessun brutto scherzo: si trattava proprio del ragazzo che stava frequentando.

Era lui. I tratti erano i suoi, i capelli ondulati erano i suoi ed i vestiti neri che indossava erano gli stessi che aveva addosso due giorni prima, quando erano andati al fast food. Cora osservò i due parlare brevemente, allontanarsi insieme e scomparire all’interno di un vicolo secondario poco più avanti; si sentiva confusa, come sotto l’effetto di un forte anestetizzante, non sapeva cosa pensare ed una voce dentro di lei le disse di imboccare la strada opposta ed andarsene perché non c’era altro da vedere, e invece lei fece l’esatto opposto: attraversò la strada deserta, percorse la stessa strada che i due avevano fatto e si fermò poco prima dello svincolo a destra. Desiderava tanto che i suoi occhi l’avessero ingannata, ma i suoni che provenivano dall’interno del vicolo lasciavano ben poco spazio all’immaginazione.

La voce nella mente le ripeté di tornare indietro e lei di nuovo disobbedì, tanto non sarebbe mai riuscita ad andarsene e fare finta di non aver visto nulla. Appoggiò la mano destra sulla parete dell’edificio che sorgeva lì accanto e si affacciò sul vicolo cieco. L’illuminazione lì era scarsa e proveniva solo dal lampione sul marciapiede, ma era fin troppo sufficiente per quello che doveva vedere. I due si erano fermati poco più avanti, in quello che doveva essere il punto più riparato del vicolo; la donna aveva il viso rivolto verso il muro di un altro edificio ed i palmi delle mani appoggiati ad esso, ed era leggermente piegata in avanti. Lui le stava dietro. Le aveva sollevato il corto vestito da sera, abbassato gli slip ed aveva abbassato anche i propri pantaloni, ed ora stavano consumando un rapporto anale.

La ragazza rimase ad osservare l’intera scena senza sbattere le palpebre e senza essere vista. Era nauseata, ma al tempo stesso non riusciva a muovere un passo per andarsene, e quei due erano troppo presi da quello che stavano facendo per notare di non essere più soli. Se ne accorse la donna per prima, a rapporto concluso, e lui girò il viso a sua volta poco dopo, vedendo che stava guardando qualcosa. Cora incrociò finalmente il suo sguardo, lo vide spalancare gli occhi ed a quel punto se ne andò, perché non c’era nient’altro da vedere.

Attraversò di nuovo la strada e si allontanò a passo veloce, senza prestare particolarmente attenzione a dove stava andando. Non le importava di ritrovarsi da tutt’altra parte rispetto alla zona di casa propria, quello che contava davvero era lasciarsi alle spalle il prima possibile il vicolo cieco e quello che aveva visto. All’improvviso si sentì chiamare per nome e resistette all’impulso di fermarsi sul marciapiede; al contrario, cercò di accelerare ancora di più il passo perché non voleva essere bloccata ed affrontare qualunque genere di conversazione, ma lui era più veloce, e finì non solo per raggiungerla, ma addirittura a pararsi davanti a lei, bloccando di conseguenza qualunque passaggio. La giovane provò ad arginare l’ostacolo spostandosi prima a destra e poi a sinistra, ma inutilmente.

“Lasciami passare” disse a denti stretti e con lo sguardo rivolto verso il marciapiede; era così nauseata da non riuscire a guardarlo negli occhi “lasciami passare e non farmelo ripetere di nuovo”

“Nancy, ti prego, aspetta un momento”

“No!” esclamò lei, tirando indietro il braccio destro quando il giovane tentò di prenderla per il polso “no, non mi toccare. Non provare a toccarmi con quelle mani. Stai lontano da me. Non sfiorarmi nemmeno con un dito”

“Lasciami almeno spiegare…”

“Spiegare?” strillò Cora, ed a quel punto sollevò il viso di scatto. Alla vista dell’espressione disperata di lui avvertì un’ondata di rabbia e gli diede una spinta all’altezza del petto “e che cosa cazzo ci sarebbe da spiegare? In che modo vorresti spiegare quello che ho appena visto?”

“Ti giuro che non è come sembra, ma prima ti devi calmare per…”

“Non è come sembra?” strillò ancora più forte la ragazza, assestandogli una seconda spinta alla quale lui non rispose “e cosa dovrebbe essere allora? Vaffanculo, non venirmi a dire cazzate come ‘è stato solo un incidente’ perché ti do un pugno! Cosa stai per dire, eh? Che è successo tutto per sbaglio? Quindi accidentalmente lei si è abbassata gli slip, tu i pantaloni e sempre accidentalmente l’hai penetrata più e più volte? Ma vaffanculo! Ed io dovrei credere ad una spiegazione del genere? Solo perché ho sedici anni non significa che sono una bambina stupida, pronta a credere a qualunque cazzata, brutto figlio di puttana!”

“Puoi fare silenzio?” Cora si ritrovò con la mano sinistra del ragazzo premuta contro la propria bocca “smettila di gridare in questo modo, altrimenti finirai per svegliare tutti gli abitanti del quartiere e quello sì che sarebbe un bel problema. Ascoltami, ti capisco. Capisco quello che ti sta passando per la testa in questo momento, ma devi credermi: non è come sembra. Lasciami spiegare, per favore. Puoi lasciarmi spiegare?”.

In tutta risposta, la ragazza gli morse le dita, strappandogli un verso di dolore. Lo morse così forte da fargli uscire delle gocce di sangue.

“Che cazzo c’è da spiegare se non che sei proprio come tutti gli altri?”

“La spiegazione c’è, ma sei tu che non mi lasci la possibilità di dirtela!”

“E allora sentiamola, avanti! Sentiamo quale sarebbe questa fantomatica spiegazione che dovrebbe cambiare tutto quanto il senso di quello che ho visto!” disse in tono di scherno la giovane, incrociando le braccia sotto il seno “avanti, sto aspettando. Hai pochi secondi prima che ricominci ad insultarti come meriti, brutto figlio di puttana”

“Ehi, mia madre non c’entra nulla, d’accordo? Lasciala fuori dai tuoi insulti”

“Allora va meglio se ti chiamo brutto coglione e testa di cazzo? Lenisco di meno la tua sensibilità così? Oppure se mi lasci qualche minuto per pensare, così posso inventare qualche termine nuovo. Tanto con quello che hai fatto ho una scelta vastissima di termini tra cui posso scegliere”.

Il ragazzo emise un sospiro rassegnato e si passò entrambe le mani tra i capelli. Cora sentì ancora più forte la voglia di assestargli un pugno sul naso.
“Non è come sembra”

“Questo l’hai già detto. Non hai fatto altro che ripeterlo, ma io voglio sentire il resto”

“E lo avrai se solo mi lasci la possibilità di parlare, invece di continuare ad interrompermi” ribatté lui, sospirando di nuovo, e di nuovo si passò le mani tra i capelli “non è come sembra, d’accordo? So che sei convinta del contrario, ma non è così. Ho… Ho dovuto farlo”

“Hai dovuto farlo? Ohh, vaffanculo, che cazzo vuol dire che hai dovuto farlo? Non mi sembra di aver visto qualcuno che ti stava puntando una pistola contro! Sappi che più continui a parlare e più stai peggiorando la tua posizione, ti conviene stare zitto perché sei già abbastanza penoso così”

“Io sto solo cercando di farti capire che…” il ragazzo si bloccò scuotendo la testa, e Cora lo guardò dare un calcio ad un sasso per sfogare la frustrazione “come faccio a spiegarti questa cosa quando tu per prima non hai alcuna intenzione di ascoltarmi? Non avresti dovuto essere qui. Che cosa ci fai in giro per le strade da sola, a quest’ora di notte?”

“Stai per caso dicendo che la colpa è mia?” disse la giovane, alzando di nuovo la voce e spalancando gli occhi scuri “stai seriamente cercando di scaricare la colpa su di me? Per fortuna che ero qui e che ho scoperto la verità! Chissà quante altre volte lo hai fatto alle mie spalle, che schifo… Che cosa ci faccio qui? Ohh, non lo so più che cosa ci faccio qui… Sono uscita per cercarti, perché avevo bisogno di vederti, ma ora… Ora puoi andare a farti fottere, davvero”

“Nancy”

“Non mi toccare!” strillò di nuovo Cora, sentendosi afferrare per un polso. Tirò indietro il braccio destro e colpì in pieno viso il ragazzo; sentì all’istante una scarica di dolore lungo tutto il pugno ed il polso, ma in compenso centrò in pieno il naso. Lui lasciò la presa all’istante e si coprì il naso con la mano sinistra. Cora lo sentì imprecare e tra le dita lunghe ed affusolate vide un rivolo di sangue “ti ho detto che non devi nemmeno provare a sfiorarmi con quelle mani, hai capito? Mi fai schifo, e mi fai ancora più schifo perché l’altro giorno mi hai riempita di bugie sapendo benissimo che erano tutte cazzate, ed io sono stata così stupida da crederci, ti rendi conto? Guarda, sono stata così stupida da aver preso questo con te, e speravo di trovarti questa notte perché ero ansiosa di vedere la tua reazione. Che stupida che sono stata, avrei dovuto capire fin dall’inizio che sei come tutti gli altri. Non seguirmi e non cercarmi mai più, ho chiuso con te. Non voglio più vedere la tua faccia per il resto della mia vita”.

Erano molte altre le cose che la giovane avrebbe voluto gridargli in faccia con disprezzo, ma era talmente delusa dalla scoperta che aveva fatto che si sentiva sul punto di cedere e non voleva dargli la soddisfazione di scoppiare a piangere davanti ai suoi occhi. Non le meritava nemmeno le sue lacrime. Gettò a terra, con rabbia, la collanina che aveva rubato due giorni prima e si allontanò correndo. Continuò a correre fino a quando l’esigenza di riprendere fiato non la costrinse a fermarsi; a quel punto si piegò in avanti, con le mani appoggiate alle ginocchia, respirò con la bocca aperta e poi si voltò indietro per vedere se lui l’aveva seguita. Non c’era nessuno ed aveva percorso parecchia strada dal punto in cui l’aveva lasciato dolorante e col naso che sanguinava; qualcosa le disse che aveva recepito il messaggio e che non doveva preoccuparsi di essere raggiunta una seconda volta.

Cora non aveva idea di dove andare, ed ora che il suo progetto di scappare via insieme a lui era sfumato per sempre, non le rimase altro che ripercorrere la strada che l’avrebbe portata a casa. Nessuno si era accorto della sua fuga momentanea, anche se erano passate ore da quando era uscita dalla porta principale: suo padre dormiva ancora sul divano e sua madre faceva lo stesso nella loro camera da letto; la ragazza non si soffermò né a guardare l’uno né l’altra per non essere di nuovo assalita dalla tentazione di prendere in mano il coltello nel lavandino, e salì in camera propria, per poi lasciarsi cadere sul bordo del letto, completamente annichilita. Stremata dopo quella che era stata la notte peggiore della propria vita.

Nel silenzio della propria stanza ripensò a tutto quello che era successo, a quello che era stata costretta a fare ed a quello che avrebbe preferito non vedere, e non riuscì più a trattenere le lacrime. Piegò il viso in avanti e si lasciò andare ad un pianto disperato al termine del quale non si sentì affatto meglio. L’angoscia che provava era tale da impedirle quasi di respirare. Il ragazzo di cui era innamorata l’aveva presa in giro fin dall’inizio, il piano di fuggire lontano insieme a lui era evaporato come una nuvola di fumo, ed ora quello che l’attendeva era la solita vita che aveva fatto fino al momento in cui si erano trasferiti lì, fin quando non aveva conosciuto lui: sopprusi, schiaffi, insulti, trasferimenti continui senza alcun senso e notti da incubo che non sarebbero mai finite nei periodi in cui suo padre tornava dal lavoro. La sua vita sarebbe continuata in quel modo fino al giorno in cui uno dei suoi genitori non avrebbe perso il controllo nel corso di una punizione; e se anche avesse trovato il coraggio di denunciarli e le avessero creduto, dove sarebbe andata? Che vita avrebbe condotto? Non aveva nessun altro al di fuori di loro due, e si sarebbe ritrovata senza soldi e con un tetto sopra la testa che non sarebbe riuscita a mantenere. In breve tempo si sarebbe ritrovata per strada ed avrebbe fatto la fine della donna che aveva visto poche ore prima.

Quello era il futuro che l’attendeva, una visione ancora peggio del presente, e lei non era disposta a tollerarlo. Per aver vissuto appena sedici anni, sentiva di aver passato fin troppi orrori e di essere arrivata al proprio punto di rottura. Era stanca di avere paura, era stanca di stare male e di vivere in un costante incubo ad occhi aperti. Era stanca di svegliarsi alla mattina e di non sapere se avesse visto il giorno successivo. Cora guardò in direzione della finestra socchiusa e si alzò dal bordo del letto; si avvicinò alla finestra, la spalancò e salì sul davanzale facendo ben attenzione a non scivolare. Si aggrappò con le mani al cornicione ai lati e guardò verso il basso.

Quella non era la prima volta che si soffermava sui metri d’altezza che separavano la finestra della sua camera dal marciapiede sottostante. Era un bel volo, e se lo avesse fatto di spalle avrebbe avuto ancora di più la certezza di non farcela. L’impatto della testa contro l’asfalto del marciapiede sarebbe stato fatale e tutto sarebbe finito in pochi istanti: prima la sensazione di vuoto, poi lo schianto e subito dopo il nero assoluto. Non si era mai posta come domanda che cosa c’era dopo la morte, perché qualunque cosa l’attendeva non poteva essere peggio di quello che era costretta a sopportare ora; e dal momento che sentiva che la propria vita era destinata a finire a breve, tanto valeva che fosse lei a decidere il quando. Almeno per una volta avrebbe avuto il controllo del proprio corpo. E nessuno l’avrebbe pianta, né i suoi genitori né lui. Loro sarebbero ripartiti subito per trasferirsi da un’altra parte, lui avrebbe trovato senza alcuna difficoltà la nuova ragazza di turno e lei si sarebbe trasformata in una tomba anonima al cimitero a cui nessuno avrebbe mai fatto visita. Ma andava bene così, perché sarebbe stata libera e non avrebbe più sofferto.

La giovane prese un profondo respiro tremolante, per darsi coraggio. Non doveva fare altro che girarsi piano per non scivolare, mollare la presa dal cornicione e lasciarsi cadere nel vuoto, ma doveva fare presto perché nel cielo iniziavano ad esserci le prime striature arancioni dell’alba, presto le strade ed i marciapiedi avrebbero iniziato a riempirsi di persone che andavano a lavoro e qualcuno avrebbe potuto vederla a fermarla. Doveva muoversi in fretta, essere veloce e non pensare. Se si fosse soffermata troppo a pensare a quello che stava per fare, non ce l’avrebbe mai fatta.

Cora si girò piano, ritrovandosi a dare le spalle al vuoto, guardò un’ultima volta la propria stanza e chiuse gli occhi, sicura che con le palpebre abbassate sarebbe stato tutto molto più semplice. Prese un altro respiro tremolante, lasciò la presa dal cornicione e si scontrò contro il pavimento della propria camera, facendosi male al fianco sinistro. Rotolò sulla schiena e scoppiò di nuovo in lacrime, coprendo il viso con le mani per non fare rumore.

Non ce l’aveva fatta. Come non riusciva a trovare il coraggio per ribellarsi alla vita da incubo che conduceva, allo stesso modo non era riuscita a racimolarne abbastanza per porle fine.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top

Tags: #crime