Prologo. "Ciò, che ha più caro"

-Vendetta, il boccone più
dolce che sia mai stato cucinato
all'Inferno.
(W.Scott)

6 MESI PRIMA

Il ring che era solito ospitare diversi lottatori, quella sera era deserto. L'incontro clandestino di pugilato, ovviamente, aveva avuto lo stesso vincitore come ormai da molti mesi. Erano anni che Apollo si allenava di continuo, sfidando avversari più grandi e alle volte più forti di lui, almeno solo in apparenza. Perché sebbene fosse solo un ragazzo, aveva imparato a farsi rispettare e soprattutto, a non abbassare mai la guardia.

Se ne stava seduto su una panchina malandata dei cosiddetti spogliatoi che una volta ospitavano nuotatori agonistici, mentre si sfasciava le mani arrossate di sangue. Il sangue del suo avversario precisamente, di colui che aveva provato a batterlo ostentando la propria bravura. Almeno finché non si era ritrovato riverso sul pavimento ricoperto di plastica, intento a chiedere pietà.

«Cavolo, stavi per ucciderlo» Jason, il suo amico di vecchia data pari ad un fratello, girava tra le mani le banconote verdi che Apollo aveva vinto.

«Sarebbe stato un pezzente in meno» commentò disinfettando le nocche, che ormai, non gli davano nemmeno più molto fastidio.

Il tizio non era di certo rispettabile, così come le varie persone che frequentavano l'Arcade, fatta eccezione degli studenti.

«Hai ragione amico, spero solo che non trovi il modo di fartela pagare».

«Se così fosse, vorrà dire che finirò il lavoro».

«Già....Atlas non ne sarebbe tanto fiero, però» lo sguardo di Apollo si posò tagliente su Jason.

Era una delle poche regole di Atlas, per lui fondamentali. La realtà era, che non aveva impartito questo punto per il semplice fatto che fosse benevolo o provasse qualche tipo di rimorso, aveva solo paura di perdere l'unico ragazzo che considerava come il figlio che non aveva mai avuto.

«Atlas dovrebbe smetterla di trattarmi come un ragazzino».

Afferrò il borsone e si fiondò fuori lasciandosi alle spalle il vecchio palazzetto di nuoto chiuso da tempo. Jason come un'ombra lo seguì, dopotutto era abituato a stragli affianco, evitando così che Apollo potesse combinarne una delle sue.

Salì sulla Honda a due ruote, la sua compagna di vita, attendendo che l'amico facesse lo stesso.
«Andiamo a mangiare qualcosa? Sto morendo di fame».

«Tu hai sempre fame» rispose ironico Apollo.

Avrebbero passato una serata tranquilla nel posto in cui erano soliti andare dopo una vittoria, almeno finché lo squillare del telefono squarciò quella quiete.
«Devi venire qui. Subito» le parole fredde e dirette di Atlas dall'altra parte della cornetta gli mozzarono il fiato. Non chiese nulla, restò solo alcuni secondi immobile a fissare un punto vuoto della strada isolata.

«Che è successo?» la voce di Jason lo fece rinsavire, placando così lo strano presentimento che si faceva largo nelle sue viscere. Di corsa mise in moto e partì.

Il rombo della moto divenne sempre più lieve, mentre guidava a gran velocità facendosi largo tra le macchine. Aveva persino rischiato di fare un incidente andando dritto senza rispettare il semaforo rosso, ma non gli importava. In quel momento provava solo angoscia e paura, nata da un pensiero che gli attanagliava la mente e il cuore.

Arrivò a destinazione, e senza esitare si fiondò nel Club vuoto. Strinse le mani in due pugni, udendo di tanto in tanto la voce ovattata di Jason che gli chiedeva spiegazioni.

Attraversò la sala, arrivando finalmente davanti la porta che lo divideva dalla notizia più orribile che avesse mai voluto sentire. Gli uomini di Atlas lo fecero entrare, e quando trovò quest'ultimo sprofondato nella poltrona rossa di seta con la testa tra le mani, capì.

«Apollo» sussurrò il suo nome come una coltellata.

«Che cosa è successo?» si precipitò davanti a colui che lo aveva sfamato, che lo aveva cresciuto, e con gli occhi che bruciavano da morire lo afferrò per il colletto.

«Parla, cazzo» ma Apollo lo aveva intuito perfettamente, perché non sempre servivano parole per farsi capire e di questo, lui ne era un esperto.

«Mi hanno chiamato dalla prigione...» prese un bel respiro.

«Che cosa è successo a mio padre?» inalò l'aria a fatica, stringendo la presa sul bavero «Atlas...» pronunciò quella frase come un supplizio, soffocato dalla stretta che gli stringeva i polmoni facendolo soffocare.

«Lo hanno trovato morto nella sua cella» uno sparo avrebbe fatto meno male. La testa iniziò a scoppiargli e a chiedere pietà, mentre un fischio lontano gli perforava le orecchie come il rumore di una bomba «Mi dispiace, ragazzo. Si è suicidato».

Le gambe cedettero, lasciandolo cadere nel mezzo della stanza sotto gli occhi di tutti. Le ginocchia iniziarono a fargli male, ma non gli importava, perché la ferita più grande, ormai, ce l'aveva sul cuore e niente e nessuno sarebbe stato in grado di ripararla.

«Papà...» sussurrò con voce mozzata, rivedendo perfettamente il viso troppo magro dell'ultima volta che Apollo era andato a trovarlo. Il suo sorriso stanco e spento, insieme alle occhiaie e rughe che avevano segnato il volto di un uomo giunto al limite della sopportazione.

Atlas si chinò davanti a lui, e senza pensarci due volte tentò di abbracciarlo. Con una spinta Apollo lo allontanò, balzando in piedi in preda a pura collera mista a un dolore lancinante. Strinse le mani e con falcate incerte e agitate, girò per la stanza come per riavvolgere il nastro che si era bloccato nel suo cervello.

«È tutta colpa sua» ripeteva come un loop «La pagherà. Si, la pagherà».

«Apollo, calmati».

«Calmarmi? Mio padre è morto e tu mi chiedi di restare calmo?» sbottò infuriato, sebbene sapesse che Atlas parlava solo per il suo bene.

«E cosa avresti intenzione di fare, sentiamo. Andrai da lui e lo ucciderai? Pensi davvero che così il dolore che provi, si placherà?» una risata amara uscì dalle labbra del ragazzo.

«Perché ridi, ora?» chiese Jason a bassa voce.

Sbatté violentemente i pugni sulla scrivania in legno al lato della stanza, passandosi inseguito una mano tra i ricci chiari che gli ricadevano sul viso. Poi si drizzò, glaciando sul posto chiunque fosse presente lì.
«La morte è una punizione troppo leggera per lui, è come se gli facessi un regalo...».

«Cosa cerchi di dire?» chiese Jason accanto ad Atlas che lo guardava sconvolto.

«Mi prenderò tutto ciò che ha di più caro, e lo distruggerò' con le mie stesse mani, finché lo vedrò strisciare ai miei piedi come un verme».

«Apollo, non commettere stupidaggini. Quella gente non scherza» l'autorità ferrea di Atlas in quel momento vacillò, e il solo pensiero di vedere il suo figliastro ripetere le orme di suo padre, lo feriva.

«Nemmeno io scherzo. E lo vedrai».
Queste furono le ultime parole pronunciate da Apollo prima di dileguarsi, richiudendosi la porta alle spalle. Uscì in fretta da quel posto, ordinando alle lacrime di non rigargli il viso distrutto. Lacrime che avrebbe fatto scendere a fiumi dagli occhi infami e meschini di Nathan Bowers, quando sarebbe riuscito ad a ottenere il suo sangue e insieme ad esso, la sua vendetta.

Angolo autrice ❤️
Volevo ringraziarvi per aver speso del tempo a leggere la mia storia. Questo è un semplice prologo, quindi ho scritto brevemente appunto per dare un'introduzione. I prossimi saranno più lunghi 💓

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