9."Va via, Cappuccetto"
-Nessuno può farti sentire
inferiore senza il tuo
permesso.
(E. Roosvelt)
«Sei sicura di voler andare da sola?» mi chiede Kat nel suo abbigliamento diverso dal solito, prima di uscire dalla stanza.
«Non chiederlo più, ti prego».
La guardo afflitta, tant'è che mille dubbi iniziano a invadere il mio cervello, placati dalla parte coraggiosa.
È un'idea davvero folle rimettere piede lì, però il pensiero che magari riuscirò a convincere Apollo in qualche modo a ridarmi il diario, tira fuori il coraggio che c'è in me.
Mai, avrei creduto di trovare una minaccia più grande di Natalie Bowers.
Il solo pensiero di lui mi fa innervosire così tanto, da desiderare vivamente di prenderlo a pugni di continuo.
Ultimamente, sento davvero il bisogno di entrare in contatto con il mio "Io" interiore, così da trovare la forza di fronteggiare quella faccia da schiaffi, che sembra davvero intenzionato a rovinarmi la vita.
E come ciliegina sulla torta, me lo ritrovo anche come tutor di economia.
A questo punto, più che il mare che mi rema contro, direi che c'è tutto l'universo intenzionato a farmi perdere la pazienza.
Prima di recarmi al piano inferiore, mi osservo un'ultima volta allo specchio.
Non indosso niente di che: semplici jeans stretti che mostrano perfettamente le mie forme accentuate e una maglietta monocolore.
I capelli invece, ho deciso di lasciarli sciolti e abboccolati sul davanti.
Appena raggiungo l'atrio intravedo Juliette da lontano, ma diversamente da quello che pensavo, non è da sola.
La figura di Jason sta accanto a lei. Inizio ad irrigidirmi.
«Ehi, Evy» dice la mora con un sorriso contornato da un rossetto viola, in tinta con la maglietta e i cargo beige.
«Ciao» dico assottigliando le labbra.
«E Kat? Non viene?» mi chiede la ragazza, notando l'assenza della mia amica
«No, possiamo andare. Siamo solo noi».
Jason di tanto intanto mi lancia occhiate furtive, però voglio solo ignorarlo; non sono una persona che solitamente riserba rancore, ma questa volta non so perché, non riesco a farne a meno.
Come l'ultima volta, dopo sganciata la catena, entriamo dentro percorrendo il solito vialetto.
Da subito si sente la musica sovrastare le risate e chiacchiericci della gente, che stavolta, invece di recarsi nel palazzetto vecchio, se ne stanno in mezzo alla strada.
Ovvero l'asfalto messo lì apposta, che stona con il resto della natura circostante addobbata di spine e arbusti.
A fatica riusciamo a trovare posto. Ci sono più macchine della volta scorsa e molte più moto.
Alcune moderne, altre più vintage, ma non per questo meno appariscenti.
Gruppi di ragazzi se ne stanno intorno a coloro che intanto, sono seduti o semplicemente poggiati contro i veicoli a due ruote, insieme a ragazze sghignazzanti e vestite con stivali alti fino alle cosce, e gonne talmente strette da lasciar intravedere tutto.
Tra di loro mi sembra persino di riconoscere qualcuna del corso di economia.
Jason piano piano mi affianca, facendomi rivivere quello che sembrerebbe un pessimo déjà-vu.
«Stai bene?» chiede impacciato in preda al nervosismo che mostra mordendosi le unghie.
Non rispondo, emetto solo un verso di affermazione.
«Ho saputo di economia».
«Vedo che il tuo amico non ha tardato a informarti».
«Ascolta Evy...» Juliette lo interrompe a dir poco euforica.
«Ragazzi, ecco gli altri» annuncia d'un tratto, facendo cenno con la mano verso una sagoma poco distante da noi.
Altri?
Mi afferra per il polso, poi senza darmi il tempo di ragionare, mi trascina tra la folla. Poco dopo, raggiungiamo il punto dove c'è parcheggiata una moto tutta nera.
Deglutisco a fatica, principalmente quando vedo colei che ci è poggiata sopra: la tizia rossa che ha come hobby quello di guardarmi male.
Gli occhi verdognoli mi scrutano contornati dalle folte ciglia finte, così senza rendermene conto faccio una smorfia involontaria.
Juliette le balza incontro e la saluta con fare amichevole, lo stesso fa Jason.
Porto le braccia al petto limitandomi a dire un semplice "ciao", ovviamente non ricambiato.
Con un passo si avvicina torreggiando su di me, che intanto con le Jordan, la guardo dal basso con il mio misero metro e sessanta.
«Tu sei la ragazza nuova? Finalmente ci conosciamo».
Per me potevamo anche evitare.
«Michelle, Evy. Evy, Michelle» con un dito, Juliette indica me e la rossa, passando da una all'altra.
Percepisco una qualche forma di tensione nell'aria, confermata dallo sguardo strano che Jason lancia a Michelle subito dopo.
Faccio finta di niente mostrandomi vaga, finché la mia attenzione viene catturata da qualcos'altro, o meglio qualcun altro.
I capelli scompigliati e l'aspetto perfetto irradiano la notte priva di illuminazione, fatta eccezione dei fari delle moto sparse qua e là.
Cammina avanti e dietro, parlando al cellulare con un interlocutore a me sconosciuto.
Si smuove nervosamente le ciocche bionde, mentre con modo brusco e rabbioso risponde.
Senza rendermene conto resto a fissarlo per un po'.
Improvvisamente, si blocca. Punta le iridi autunnali su di me, lanciandomi un'occhiata fugace. Appena socchiude le palpebre accertandosi che vedermi lì non sia solo frutto di un'allucinazione, mi trafigge il petto con lo sguardo.
Resto senza respiro, me ne rendo conto nel momento in cui riaggancia e si avvicina a noi spedito.
«E lei che cazzo ci fa qui?» il tono iroso mi colpisce in faccia, mentre sbotta verso Jason.
Per lei, intende la sottoscritta, ovviamente.
«L'ho invitata io» risponde Juliette, mandando giù la saliva.
C'è un'aria tesa come una corda di violino.
«Che significa? Non sono stato abbastanza chiaro l'altro giorno?».
Il disprezzo che quegli occhi mi riservano mi fa rabbrividire, tuttavia, sebbene il suo atteggiamento mi abbia angosciata più del dovuto, tento di mostrarmi dura.
«Si, ma non c'è niente di male a farla venire qui» controbatte Juliette in mia difesa, almeno finché non resisto più.
«Non sapevo che questo posto fosse tuo».
L'aria di sfida che riesco ad ostentare nei suoi confronti, mi stupisce terribilmente.
Un sorriso amaro si tatua sulle sue labbra, mentre gli altri si lanciano sguardi complici.
«Non sai un cazzo di cose, mocciosa. Altrimenti, sapresti come ci si presenta conciate in un posto come questo».
Apollo mi guarda dall'alto, come se fossi un essere ripugnante e indegno solo di respirare la sua stessa aria.
«Ossia? Non vedo nessun cartello che implichi un capo d'abbigliamento. O sono troppo "vestita" per i tuoi gusti?».
Cosa c'entrano i miei vestiti?!
«Se lo vuoi sapere, non rientri nei miei gusti in ogni caso».
«Meglio così. Gli psicopatici non mi piacciono».
Con fare robotico il ricciolino scansa bruscamente la mano di Michelle e senza pensarci due volte, avanza verso di me a pugni serrati.
Jason balza in avanti ponendosi tra me e Apollo.
«Dai, amico. Per stasera, no».
Apollo fissa il suo amico, che per un secondo sembra non ritenerlo più tale, poi guarda me.
«Le faccio vedere io cosa è capace di fare uno psicopatico».
Istintivamente faccio un passo indietro divertendo Michelle, che emette una risatina compiaciuta. Come se avesse appena fatto l'errore più grande della sua vita, Apollo la fulmina sul posto.
«Che cosa cazzo c'è da ridere?».
«Restiamo calmi, eh! Noi andiamo a prendere qualcosa da mangiare, forza!» Juliette afferra la sua amica di fretta, e in un batti baleno la trascina verso un camioncino a pochi metri più in là.
Mi stringo tra le braccia, nascondendo più che posso la strana sensazione che mi affligge lo stomaco.
«Ma dove...Cavolo! Ascolta, se vado un secondo a prendere due birre, mi prometti che non farai casino?» più che una domanda, quella di Jason, sembra una supplica.
Apollo non dice niente, ma al quanto pare, basta uno strano sorriso malefico per convincere Jason ad allontanarsi.
Non è affatto promettente in realtà.
Assottiglia lo sguardo poggiandosi alla moto nera come la sua anima. Ostenta una calma apparente, che immediatamente sostituisce l'ira di poco fa.
Dovrei scappare, ma l'unica cosa che faccio è mordermi nervosamente il labbro inferiore.
Fissa la mia figura dall'alto al basso da sotto le ciglia scure e lunghe, poi inizia a giocherellare con la lingua, come se stesse escogitando un piano malvagio per farmela pagare in qualche modo.
«Perché mi guardi in questo modo?».
«Sto creando».
Aspetta, cioè?
«Hai appena detto al tuo amico che non mi farai niente» è l'unica cosa che riesco a dire, mentre sfila un pacchetto rosso dalla tasca anteriore e incastra una sigaretta tra le labbra.
«Mi hai sentito pronunciare questa frase, per caso?» aggrotta la fronte, facendomi sentire una scema. Perché no, non l'ho sentito, ma ci spero infinitamente.
«Comunque...Ho una curiosità» butta una nube di fumo nella mia direzione, obbligandomi a tossire.
«Del tipo?» chiedo con voce strozzata, sventolando una mano.
«Voi principessine siete tutte così sciocche, o solo tu hai l'esclusiva?».
Mi sporgo leggermente in avanti e batto le palpebre più volte.
«Come?».
«Non ci arrivi? Guardati intorno, questo non è un posto per te Evelin, quindi sparisci finché sei in tempo».
Più che un avvertimento, la sua, è una vera e propria minaccia.
Le gote iniziano a diventare rosse di rabbia, così, nonostante una parte di me gli dia maledettamente ragione, l'altra non ha intenzione di mostrarsi debole.
«Non credo che uno sconosciuto sia il più indicato a dirmi quale sia o meno il posto adatto a me».
«Sconosciuto» ripete come un eco. In realtà, non sono sicura che sia davvero tanto tale «Va via, Cappuccetto, dammi retta».
«Non ci penso nemmeno».
Butta la cicca atterra schiacciandola con gli anfibi neri. Improvvisamente si stacca dalla moto e fa un passo verso di me.
«Piantala con questa stronzata. Tu non sei venuta per passare la serata, lo sappiamo entrambi il vero motivo».
Il martello pneumatico che mi colpisce le tempie mi scombussola completamente.
«Se pensavi di ottenere il tuo diario in qualche modo, mi dispiace deluderti principessa, ma dovrai trovare un modo più convincente».
Brividi mi contornano di pelle d'oca, accompagnati da un nervosismo mai provato prima. Il modo in cui riesce a capire le mie mosse prima di me è davvero inquietante.
«N-non sono qui per il diario».
Mi schiarisco la voce.
«Ah no?».
«No...» prendo un bel respiro, tirando fuori la prima cosa che mi viene in mente «Voglio fare la groupie. Sono curiosa, così eccomi qui» mi indico.
«Mh» mugugna grattandosi il mento pensieroso «Che fine ha fatto "non sto origliando"?» copia la mia voce, alludendo alle parole di quella sera in cui parlava di questa cosa con Michelle.
«È la verità. Stavate parlando a un metro dalla mia stanza. Quindi teoricamente non è origliare, è partecipare ad una conversazione involontariamente».
Infondo, il mio discorso non fa una piega.
«In parole povere, è farsi i cazzi altrui» taglia corto, come con la nostra distanza che diventa pericolosamente ravvicinata «Ascolta...Le vedi quelle?».
Il sapore di pino e tabacco mi graffia la trachea, mentre vengo investita dal suo odore. Sgrano gli occhi perdendomi nei lineamenti perfetti del suo viso, che intanto, indica un punto dietro le mie spalle.
«Sai cosa faranno con loro quei motociclisti una volta finita la corsa, piccola Vee?».
Poco più in là, ci sono delle ragazze mezze nude, che si accomodano sulla sella posteriore dei veicoli a due ruote e data l'espressione perversa stampata sui volti dei tizi con barbe troppo lunghe per i miei gusti, non ci vuole un genio per capirlo.
«Le portano a letto» le parole mi escono da sole, rompendomi di imbarazzo.
«Metaforicamente parlando, si, a letto.
O sulla moto, o le scopano contro uno di quei fottuti alberi, o chissà, avanti a tutti.
Tutte cose che una bambina come te non può capire».
Quell'aria saccente e il tono carico di sdegno, fanno si, che una furia incontrollata giunga fino alle estremità della mia epidermide.
«Cosa ne sai tu? Credi davvero che io sia così ingenua come ripeti a te stesso?».
«Insomma, guardati. Persino un cieco riuscirebbe a capirlo».
Apollo mi guarda dentro, tenta di entrare nei lati nascosti della mia anima, facendomi sentire allo stesso modo che mi sento da una vita: incredibilmente sbagliata.
«Va via, è un ultimatum».
«No».
«Cappuccetto...»
Non lo faccio terminare, così con un'adrenalina che solitamente non mi appartiene, stringo i pugni e faccio una cosa che mai mi sarei aspettata.
«Sta a guardare, Apollo Void».
Aggrotta la fronte visibilmente confuso, quando con una smorfia gli sfilo davanti e mi allontano.
«Cosa pensi di fare?»
Bella domanda, che cosa cerco di fare? Non lo so nemmeno io. Voglio solo mostrargli che non sono la ragazzina ingenua che vive dentro una campana di cristallo.
A passi svelti raggiungo un gruppo di tre ragazzi a pochi metri da Apollo, che intanto, non smette di osservarmi nemmeno per un secondo.
Mi sistemo i capelli, e mi avvicino all'unico dei tre che ha l'aria più pacata.
«C-ciao» dico impacciata, restando ad una distanza di sicurezza.
«Ma ciao bellezza» risponde uno dei due tatuati, guardandomi in un modo che mi dà i brividi.
Quindi lo ignoro e mi concentro solo su uno.
«Ti serve una groupie?» chiedo di getto.
«Direi che è il tuo giorno fortunato Barbie, perché in effetti mi serve» risponde con un tono talmente provocatorio, che mi fa rabbrividire. Nel momento in cui tira fuori la lingua muovendola in maniera disgustosa, spalanco gli occhi.
Posso aggiungere questa cosa, alla miriade di stupidaggini che ho fatto fino ad ora.
Ammicco un sorriso forzato, smorzato d'un tratto dal tizio di fronte a me, che sfacciato mi afferra per il polso.
«Ok, scusa, ma ho cambiato idea».
Con un'angoscia mai sentita e un leggero terrore stampato sul viso, tento di scansarmi il più possibile.
«Che succede Barbie? Non ti piaccio più?».
Mi divincolo tirando più che posso il polso stritolato.
«Lasciami subito».
Ordino, riuscendo a liberarmi. Per poco finisco con il sedere per terra, ma fortunatamente non succede.
«Che cazzo le prende adesso?» dice scocciato uno dei tatuati all'altro.
«Forse ha bisogno di sciogliersi. Vieni qui, che ci penso io» con un balzo il tizio dai capelli blu fa per riafferrarmi, ma una terza mano si intromette tra noi, bloccando di colpo quella dello sconosciuto.
«Guarda, guarda, guarda, Apollo Void signori e signore» ironizza uno dei due tatuati.
«Evy, porta il culo sulla mia moto. Ora!» ordina categorico, ma invece di ascoltarlo resto impalata.
«Barbie non va da nessuna parte. È stata lei a venire da me, quindi togliti dalle palle» il ragazzo dai capelli blu si avvicina ad Apollo, fronteggiandolo.
Indietreggio leggermente impaurita, ritrovandomi poco distante dal ricciolino, che ora mi dà le spalle. Dovrei ascoltarlo, lo so perfettamente, però non voglio.
«Barbie?» lo copia Apollo, con un'espressione strana «E fammi indovinare, tu saresti Ken?».
«Che c'è, Void? Da quando ti sei messo a fare il cavaliere della notte?» chiede uno dei due tizi seduti sulle selle.
«Da quando ha capito che come pugile non è granché» commenta portando le braccia al petto il ragazzo di fronte a lui.
«Forse, nemmeno come strozzino».
Nonostante l'espressione burbera e cattiva di quest'ultimo, Apollo improvvisamente sorride, lasciando tutti terribilmente confusi. O meglio, incazzati.
Non è divertimento quello che c'è sul viso pulito, tutt'altro. Un'oscurità incupisce quel volto angelico, catapultandolo in un buco nero visibile a tutti.
«Vuoi provarlo sulla tua pelle se sono in grado? O vuoi chiederlo a tuo fratello?».
Ma di che stanno parlando?
«Mio fratello avrà modo rifarsi, rompendo questa tua faccia da signorina» la sicurezza ostentata fino ad ora, abbandona il tizio dai capelli blu che indietreggia di colpo «Rilassati, che cazzo ti prende?»
«Chiamala Barbie di nuovo, toccala di nuovo e mi assicurerò di non farti respirare mai più».
Lo sguardo del ragazzo si spalanca, un misto tra sorpresa e rabbia si stampa sul volto.
Io resto ferma con gli occhi fuori dalle orbite e il cuore che batte a mille, chiedendomi sé sto vivendo la realtà o solo un sogno. Ha detto davvero quelle parole? Lui? E perché?
Il vecchio con i baffi che la sera dell'incontro parlava al microfono, in questo momento fa lo stesso squarciando la tensione.
Sempre tramite un aggeggio posto davanti alla bocca, annuncia ai concorrenti di posizionarsi ai propri posti per l'inizio imminente della corsa.
«Dai, Sean, lascia stare» dice uno dei due tatuati al ragazzo dai capelli blu, che stringendo gli occhi, alla fine cede.
«Non finisce qui» lo minaccia poco prima di salire sulla moto.
«Non vedo l'ora» ribatte il biondo sorridendo, poi però si volta verso di me.
Mi afferra violentemente per un braccio, strattonandomi fino alla sua moto. È incazzato, tanto che se potesse, spaccherebbe ogni cosa, a partire dalla mia testa.
«Se ti dico di portare il culo sulla moto, tu lo fai. Punto».
Si passa una mano sul viso esasperato, poi con un gesto fa in modo che i nostri corpi si incollino. Riesco a percepire il battito del suo cuore pompare veloce contro il mio torace.
«Io...».
«Tu adesso devi chiudere la bocca, o te la chiudo io».
Le iridi luminose risucchiano il buio circostante, rendendole scure e impenetrabili come un'armatura tenebrosa. Ho la testa talmente in panne che ancora non riesco a concepire quello che è appena successo, mentre un groppo spinato mi graffia la gola dolorante.
«G-grazie» biascico ad un sussurro.
Gli occhi scuri tornano a fissare me, che intanto deglutisco rumorosamente.
«Sali. Ti riporto ai dormitori».
«Cosa?» sbotto d'un tratto, assumendo davvero le sembianze di una ragazzina infantile.
Senza darmi il tempo di ragionare, mi prende per la vita e mi issa sulla sella.
Avvicina di colpo il viso al mio, puntando l'indice minaccioso all'altezza del mio naso.
«Ascoltami bene, ti riporto ai dormitori e non ti farai mai più vedere qui».
Il respiro caldo mi sfiora le guance, accompagnato dal tono duro e impetuoso. Faccio per obbiettare, quando mi porta il dito sulle labbra, serrandole.
«Se dico Mai, Evelin, è mai. E ora chiudi questa cazzo di bocca e mettilo» ordina passandomi un casco integrale nero.
«Si, ma ne è solo uno» gli faccio notare confusa, poi senza aggiungere altro faccio come dice.
Pochi secondi dopo Apollo si siede avanti a me, mostrandomi la schiena tonica e possente. Deglutisco a fatica, incapace di muovermi. È la prima volta che metto piede su una moto, e la realtà è che ho molta paura.
Apollo mette in moto dando leggermente gas.
Mille domande mi nascono in testa, mentre mi chiedo cosa dovrei fare. Stringerlo? O basta semplicemente reggermi al giubbotto?
Fatto sta, che lui sembra capire il mio disagio.
«Devi tenerti a me, Evy» lo guardo allibita, poi prende le mie mani e se le porta intorno.
A fatica riesco a cingerlo completamente, ignorando i muscoli tesi che riesco a percepire con i polpastrelli. Nonostante ci sia solo una stoffa a dividermi dalla sua pelle, sembra come se riuscissi a toccare ogni centimetro del suo corpo caldo. Quel pensiero mi fa arrossire ancora di più quando parte, e involontariamente mi ritrovo completamente stretta a lui.
La via è deserta e priva di lampioni, così con il cuore in gola, senza rendermene conto poggio la guancia sulla schiena di Apollo, che si irrigidisce per qualche secondo.
Non so se sia a causa dell'alone di mistero che lo circonda, o del suo carattere altalenante che non riesco a capire, fatto sta, che dovrei stargli lontana e invece mi ritrovo su un veicolo a due ruote, mentre lo stringo come se fosse la mia sola ancora di salvezza.
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