3."Ciao, Cappuccetto"

-Che non è mai quello che sembra,
Mentre una mano ti accarezza
l'altra ti smembra.
(Gemitaiz)

L'interno del palazzetto si presenta malandato, ma non mi stupisce data la sua chiusura. Urla diverse rimbombano nell'ambiente, anticipando la presenza di persone ammassate che si dirigono tutte allo stesso posto.
Ho lo stomaco ancora in subbuglio, ma a differenza di poco fa, cerco costantemente il modo di non voltarmi indietro. Fisso lo sguardo in avanti, dove c'è Juliette insieme a Jason che ci fanno strada.
Kat, invece, sta al mio fianco incazzata ed eccitata allo stesso tempo.

Arriviamo al centro, dove c'è una piscina con il fondo privo di acqua. Non è molto alto, fatto sta che c'è un tizio con un giubbotto di pelle nero e un paio di baffi, che vi gironzola tranquillamente dentro. Ha un microfono in mano che rigira come un giocattolo, mentre attende spazientito.
Data la foga con cui i ragazzi sono intenti a gridare posizionandosi intorno, capisco che il ring del famoso incontro di "pugilato" è proprio quello.

Una luce giallognola scende dall'alto, scontrandosi contro le pareti macchiate dal tempo. Lo stesso vale per i diversi spalti fatti di cemento, che sono mal ridotti e pieni di crepe.
Noi restiamo su un lato, schiacciate dai salti impazienti di tizi birrari pieni di tatuaggi.

«Volete qualcosa da bere?» chiede Jason sorridente, tentando di sovrastare il chiasso con la propria voce.

Juliette si è allontanata raggiungendo di nuovo la ragazza di prima; muovono le bocche animatamente, mostrando una discussione che sembra avere come protagonisti noi tre. Lanciano spesso degli sguardi nella nostra direzione, soprattutto la rossa, che sembra incenerirmi sul posto.
Faccio finta di non vederla, così torno a guardare dritto in direzione di Jason, che intanto attende una risposta.

«Si, io voglio una Corona» risponde Kat.

«Non so che tipo di birre ci siano ai distributori...tu invece, Evy?» Kat sbruffa, poi improvvisamente si attacca al suo braccio.
Il viso di Jason si riempie di imbarazzo.

«Vengo con te, così me la scelgo da sola...Tu vuoi il solito, no?» chiede infine indicandomi, annuisco.

In pochi secondi scompaiono dalla mia visuale, lasciandomi impalata in mezzo alla calca di gente. Cerco di indietreggiare lentamente trovando un angolo dove circoli l'ossigeno, così da far respirare nuovamente i miei polmoni in maniera regolare.

Non sono mai stata un'amante dei posti stretti, e questo è a dir poco asfissiante.
Mi schiaccio contro una parete abbastanza lontana, rendendomi ben presto conto non che serve a ben poco. Senza accorgermene indietreggio di più, finché inizio a vedere due piccole pareti ricoperte di mattonelle ad entrambi i lati del mio corpo.

Mi stringo le braccia, ma quando faccio per girarmi e capire finalmente dove sono, sbatto la schiena contro qualcosa, o meglio qualcuno.

Sgrano gli occhi in preda alla vergogna indecisa se correre e scappare via, o voltarmi e chiedere scusa. Fatto sta, che chiunque esso sia, non si muove di un millimetro, anzi, posso giurare di sentirlo ridere al di sopra della mia testa.
Istintivamente alzo il capo senza voltarmi, notando una cascata di ricci biondi che mi sovrastano.

Deglutisco appurando solo ora che il corpo nudo sfiora sfacciato le mie spalle scoperte, facendomi rabbrividire.
Con uno scatto mi giro portandomi le mani sulla bocca mortificata, ma vengo colpita da uno sguardo furente come un secchio d'acqua gelida.

Se ne sta nella stessa posizione, spostandosi i capelli del colore dell'oro da davanti agli occhi. Le mani sono ricoperte da bende bianche che lo fasciano fino a l'altezza dei polsi, e proprio come immaginavo, non indossa nessuna maglia.
Resto imbambolata a guardare quel petto scolpito e pieno di tatuaggi che giungono sugli addominali tonici e l'ombelico.
Indossa solo dei pantaloncini morbidi sulla vita; Sono grigi, come la mia espressione.

«Ciao, Cappuccetto».

Un nodo in gola rischia di bloccarsi nella trachea, appena vengo colpita da quella voce in pieno viso. Fredda, diretta e adulatrice, capace di entrarti nelle orecchie giungendo fino in profondità. Una voce, che come pensavo, appartiene alla stessa persona che in teoria non avrei dovuto più incontrare per tutto il resto della mia vita.

«Tu!» esclamo uscendo dalla trance in cui sono entrata momentaneamente, sostituita da una rabbia che inizia a farsi largo dentro di me.

Perché forse sono una scema e una persona normale avrebbe paura, soprattutto dopo aver visto che non è un tipo che si fa problemi ad usare le mani, ma appunto perché sono Evelin, non voglio fargliela passare liscia.

«Io!» ribadisce beffardo. Indietreggio chiudendo le mani in due pugni stretti.

«Che ci fai qui? Mi stai seguendo?» chiedo tremolante digrignando i denti. Lui, invece, scoppia in una risata fragorosa che mi innervosisce di più.

«Io, a te? Nel caso non l'avessi notato, sei tu che sei entrata nella tana del lupo, Cappuccetto. Potrebbe divorarti, non lo sai?» sorride, ma le parole suonano come una minaccia.

«O forse, questo dannato lupo, può darmi un'altra botta in testa» sbotto senza riuscire a tenere a freno la lingua.

Gli occhi si riducono a due fessure riservandomi uno sguardo che gelerebbe chiunque. Indietreggio ancora, fino a sfiorare le mattonelle fredde, che a contatto con la pelle bollente mi fanno trasalire.
Notando il modo in cui mi allontano, porta le mani dietro la schiena e si avvicina delicatamente.
«Botta? Quale botta?» mi raggiunge coprendomi con la sua stazza che non passa inosservata. «Oh, intendi questa!» alza un dito e mi sfiora impercettibilmente la crosta sulla tempia.

«Smettila di scherzare. Lo so che sei stato tu, quindi fare il vago non ti salverà» con un gesto gli schiaffeggio la mano, spostandola dal mio viso.

Resta a fissare le mie dita, poi leccandosi le labbra rosse come un chicco di ciliegia matura, mi finisce addosso.
«Chi ha detto che voglio essere salvato?».

«Non ti avvicinare, non ci provare».

Ordino, ma lui non mi ascolta. Porta le braccia ai lati della mia testa, così velocemente le osservo; Vene gli attraversano tutta la pelle, come piccoli rami di un albero antico e puro.
«Altrimenti? Cosa fai? Chiami il tuo paparino?».

Alzo di scatto lo sguardo su di lui, che intanto mi fissa incuriosito e arrabbiato allo stesso tempo.
«Non ho bisogno di mio padre, devi solo stare lontano da me...Mi disgusti».

Udendo quella parola qualcosa gli balena negli occhi, tant'è che posso giurare di vederli trasformarsi in due pozzi neri senza fine. Dura solo per poco però, perché schioccando la lingua sul palato, china pericolosamente il viso al mio.

«Mh...tu dici, eh? La vedi quella panchina?» dice diabolico, indicando un punto vicino a noi. «Potremmo usarla in modi diversi. Sono sicuro che una volta che avrò finito con te, cambierai idea».

Il lato delle labbra si arcua a formare una mezza luna, così in preda all'imbarazzo totale lo spingo indietro.

«Non parlarmi in questo modo...Con un malvivente come te mi viene solo da vomitare»

Come previsto si sposta solo di pochi centimetri, difatti non ci mette molto a tornare allo stesso posto di prima.

«Mh...E sei arrivata a questa conclusione prima o dopo, che ti sei asciugata la bava dalla bocca?».

Uno strano brivido mi sorpassa la nuca facendomi drizzare i peli talmente tanto, come a contatto con un campo elettromagnetico.
Magnetico come le sue iridi apparentemente calde, delicate, ma che celano oscurità e ribrezzo.

«Non- non so di che parli» balbetto.

«Ah no? Allora, vediamo Cappuccetto...» china il capo di lato studiandomi attentamente «Se avevo il passamontagna, come hai fatto a riconoscermi?».

«Ti ho riconosciuto perché...».

Eh, perché?

«Perché, cosa? Fammi indovinare...» picchietta il mento fingendosi pensieroso «Mi hai riconosciuto dalle labbra? O forse...dagli occhi» la mia bocca si schiude allibita come a formare una "o".

«Aspetta aspetta, forse dalla mia voce, o dal mio profumo?».

Sento la testa pesante e il cuore a mille. Lo sento entrare in ogni angolo della mia mente con la sola forza del pensiero e questo mi fa decisamente paura.

«Da tutte queste cose. Ti ho fatto l'identikit, ricordi?» dico di getto, mordendomi la lingua l'attimo dopo.

«Non riusciresti a ricordare un volto nemmeno se te lo stampassi avanti agli occhi».

«Ho ricordato il tuo, no?».

Evy, ma che cavolo dici.

Mi sposto velocemente invertendo le carte. Ora quello addosso al muro è lui, così senza pensarci due volte ne approfitto e cerco di scappare.
Ovviamente, invano. Con una presa decisa mi afferra dal polso facendomi sbattere contro il suo corpo, proprio come il giorno al Museo.

«Allora devo proprio averti stregato».

Le mie dita sono posate sul suo petto nudo coprendo l'inchiostro nero, che ritrae un ragno.
Fissa il punto dove sono le mie mani, poi torna a guardare me.

«Ti piacerebbe. Quelli come te mi fanno schifo».

«Nemmeno tu sei il mio tipo, se questo può consolarti» ed è la verità. Lo leggo in quegli occhi infastiditi e taglienti come lame affilate di un Serial Killer.

«Non mi interessa e sai perché?» porta le braccia al petto «Che razza di uomo, colpisce in testa una donna?».

Il suo sguardo si posa interamente sulla mia figura, poi ammicca una smorfia malvagia.
«Lascia che ti dica una cosa. Punto numero uno: non picchio le donne.
Punto numero due: tu per me sei solo un involucro avvolto di pelle inutile e vuota, con un culo ed un paio di tette. Tutto qua».

Quelle parole mi feriscono, e non posso evitare di nasconderlo.

«Sei un essere...spregevole» dico infine con filo di voce. Per un secondo credo vivamente che non mi abbia sentito, ma quando butta il capo all'indietro e scoppia a ridere, capisco che non gli è sfuggita nemmeno la minima lettera.

«Già...mi hanno detto di peggio, ma se provi a dire a qualcuno dell'asta, ti farò pentire di essere venuta al mondo...non scherzo».

Una voce rauca ed elettronica rimbomba nell'aria, squarciando la tensione. Fino a questo momento non mi sono ricordata della presenza di centinaia di persone che attendono impazienti l'inizio dell'incontro.

Mando giù la saliva che mi è rimasta in gola come una corona di spine, finché quel ragazzo mi sfila accanto come se niente fosse.
L'assenza di aria mi fa respirare a fatica, o almeno credo che la causa sia questa, convincendomi che forse, quello sconosciuto non mi abbia destabilizzata così tanto come ha fatto.

«Evy, eccoti. Ma dove eri finita?» Kat mi viene incontro rischiando di scontrarsi proprio con il tizio dall'aspetto angelico, che non la guarda nemmeno.

«Ma ciao» dice la mia amica voltandosi verso di lui, lanciando un'occhiata veloce. Poi senza darmi il tempo, mi afferra dal braccio e mi trascina tra la folla.

«Andiamo, Jason sta occupando i posti in prima fila. Sta per iniziare l'incontro» mi informa.

Tra gomitate e spinte, riusciamo a farci largo tra la calca di gente. Arriviamo vicino a Jason sul bordo della piscina. Difatti, tutte le persone vi sono intorno. L'uomo con i baffi che prima era solo, ora è in compagnia di un tipo davvero raccapricciante. Il corpo muscoloso e alto come se fosse una montagna in piena, i peli scuri che ricoprono il petto identici a quelli sul viso, che danno vita ad una barba riccioluta.
Sorride verso il pubblico, mostrando i denti d'oro.

Quella visuale mi fa rabbrividire, nonostante non la stia vivendo appieno. Sono ancora sconvolta, tant'è che Kat mi sventola più di una volta la mano davanti agli occhi.
«Stai bene?» annuisco.

«Buonasera gente, benvenuti all'Arcade» dice l'uomo, issando urli a squarciagola da parte di tutti.

«Questa sera abbiamo alla nostra destra Jack Posey "lo Squartatore" che con coraggio, ha deciso di sfidare niente di meno che il nostro campione in carica da molti mesi» dei fischi vengono indirizzati verso quell'uomo che intanto tira pugni all'aria per riscaldarsi.

«Ma è enorme» commento, guardando la sua stazza.

«Si, ma sono certo che il campione lo batterà» risponde Jason accostando le labbra al mio orecchio per farsi sentire meglio.

«Mi auguro solo che sia il doppio di questo tipo».

Ma che razza di modo malsano è, di divertirsi?!

«Oh, eccolo».

Non fa in tempo a dirlo che la gente esulta come se non ci fosse un domani, guardando un punto dritto. Si spostano tutti al suo passaggio, come Mosè con le acque, tutti troppi euforici e acclamanti. Giurerei di vedere delle tizie intente a strapparsi i capelli, nemmeno fosse una star del cinema.

La figura che mi si palesa davanti però, è sicuramente il contrario di quello che mi aspettavo.

Con un passo felino e scaltro si avvicina al bordo della piscina, proprio sul punto dove c'è la scaletta per scendere.
Alza una mano verso il pubblico come il Re dell'Universo, e a quel punto i gridi diventano ancora più forti. Si guarda intorno con un sorriso furbo, ma che a me, fa stare male.

Finché i suoi occhi si posano su di noi, ovvero, su di me. Si avvicina un attimo, trascurando le parole di quel tizio intento a dirgli di tutto, come cose "vieni che ti faccio il culo" oppure "romperò quel tuo visino".
Quando inizio ad agitarmi stringendo la presa sul polso di Kat che mi guarda confusa, si ferma di fronte a Jason ignorandomi prontamente.

«Ehi, amico, ce l'hai fatta a venire» gli dà un abbraccio veloce che quest'ultimo ricambia.
Aspetta, cosa?

«Ovvio, mica potevo perdermelo. Sono in compagnia, come puoi vedere» risponde indicandoci.

«Io sono Kat» la mia amica balza in avanti sbattendo le ciglia lunghe.

«E lei è Evy». Voglio sotterrarmi notando gli sguardi che mi si appiccicano addosso, soprattutto il suo che sembra divertito.

«Ehi principessa» lo sfidante che intanto se ne sta sul fondo della piscina, urla al microfono riferendosi al biondo «Se hai paura, arrenditi. Non ho tutta la notte».
Urla di disprezzo aleggiano nell'aria in direzione del tizio che parla.

«Vai, che è meglio» dice Jason dandogli una pacca sulla spalla in maniera davvero intima.
Un sorriso diabolico e ricco di furbizia si stampa su quel volto perfetto, così decide di ascoltare l'amico. Prima di scendere giù, però, mi guarda scherno.

«Non mi auguri buona fortuna, Cappuccetto?».

Trasalisco e mando giù il groppo che ho in gola, frenato dalla voglia di dargli un calcio e buttarlo giù.
«Evy, ce l'ha con te, credo» dice tra i denti Kat dandomi una gomitata

«Buona sfortuna» dico facendolo sorridere.

«Allora vincerò per te, bambina».

Vorrei davvero prenderlo a schiaffi, però mi limito solo a placare la sensazione di fastidio che sento fino in punta alla lingua.
Scende con un balzo agile, lasciandomi esterrefatta. Con un saluto amichevole si posiziona al lato sinistro del signore con i baffi, che appena lo vede sembra illuminarsi. Così come il resto della folla.
«Alla mia destra, il campione, Apollo Void».

Grida entusiaste si librano nell'ambiente come un eco stile il Gladiatore.
Apollo.

Quel nome mi fa letteralmente rabbrividire, riportando alla mente in momento in cui mi ha colpita senza esitazione. Non so perché, ma nonostante la differenza fisica tra i due, una parte dentro di me dà ragione a Jason; Apollo avrebbe vinto.

«Dimmi che è uno studente della Columbia» dice Kat a Jason riportandomi alla realtà.

L'incontro inizia, seguito da un tumulto di ansia stampato sui volti del cosiddetto pubblico. Non so perché, però mi stringo nelle braccia rabbrividite, con la stessa identica espressione.
Poi, appena realizzo, volto la testa nella direzione di coloro che conversavano al mio fianco.
«Uno studente? Quello? Impossibile».

«Mi dispiace contraddirti, ma si, Apollo studia alla Columbia» dice infine grattandosi la nuca.

Resto a fissarlo imbambolata riavvolgendo il nastro nella testa.
«Perfetto, vorrà dire che avrò un'altra occasione di conoscerlo» risponde Kat mangiandolo con gli occhi.

«Certo, mettiti in fila» la voce di Juliette ci raggiunge, tant'è che mi accorgo di lei solo in quel momento.

Un rumore sordo riporta la mia attenzione sugli avversari. Quello grosso sferra un gancio destro ad Apollo, che finisce con violenza sulla parete coperta di plastica.
«È tutto qui quello che sai fare?» gli sbraita addosso, avventandosi su di lui.

Istintivamente faccio un passo avanti. Sangue rosso fuoriesce dal lato delle sue labbra, tingendo il bianco dei sui denti. Il tizio tira pugni uno dietro l'altro, colpendo diversi punti del corpo piegato di Apollo. La folla è in delirio, fischi e urli mi riempiono le orecchie, fino a farle fischiare.
Infine, per riprendere fiato si allontana per un secondo.

Apollo sputa la saliva rossa su un lato del pavimento, e a differenza di quello che tutti pensavamo, si drizza come se niente lo avesse sfiorato minimamente. Quel volto pulito diventa indemoniato, posseduto da uno sguardo malvagio e crudele, che mostra attraverso un sorriso divertito.
Lo sfidante resta allibito, ma quando sta per attaccare di nuovo Apollo con facilità si sposta, facendo finire le nocche del tizio dritte sul muro.

Un urlo lancinante esce dalle sue labbra, ma non ha nemmeno il tempo di controllare la mano, che Apollo con una gomitata lo mette in ginocchio. Lo afferra per i capelli mentre si dimena sotto di lui, e tenta invano di allontanare il dolore che lo divora, poi gli gira intorno.
Il pubblico si alza euforico, contenti da quella visuale per me orribile. Non c'è niente di bello da vedere, non c'è niente da gridare, solo da ammonire appieno.

«Cosa dicevi poco fa?» gli chiede con voce robotica priva di ogni forma di sensibilità.

L'uomo non risponde, così con più forza gli tira i capelli chinando la sua testa indietro. Si assicura che lo guardi bene; si accerta che lo stia fissando dritto nelle iridi macchiate di nero e invase dalla tempesta in piena.
Con un sorriso infine, lo colpisce in pieno volto facendolo cadere atterra con un tonfo.
Soddisfatto si pulisce la mano impregnata di sangue dell'uomo sulla stoffa grigia, poi la prima cosa che fa appena consapevole della sua vittoria, si volta fulminandomi con gli occhi più belli e tenebrosi di sempre.
Forse si, dovrei avere paura.

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