17. "Perché dovrei esserci?"

-La vita non si misura attraverso il numero di respiri che facciamo, ma attraverso i momenti che ci lasciano senza respiro.
(M.Angelou)



Osservo la mia figura riflessa nello specchio, cercando di focalizzarmi solo su di me.
La presenza di Apollo mi mette soggezione, ma tento di far finta che non mi sortisca nessun effetto.
E come vorrei che fosse così, diamine.

«Devi proprio fissarmi in quel modo? Non hai niente di meglio da fare?» sbotto dopo un po', in preda alla rabbia.

Non so sia a causa del mio modo di ballare orrendo,  o la sua risata ogni volta che sbaglio. Fatto sta, che per un attimo ho creduto a qualche interesse da parte sua.

«No...» ammette tranquillo «Non ne hai idea di quanto sia divertente vedere il tuo culo sul pavimento. Meglio di rompere i denti a Zorro, in effetti».

Se ne sta nella stessa posizione da ben quindici minuti. Sto pensando seriamente di dargli una spinta e farlo volare di sotto.

«Sai che sarebbe davvero divertente? Vederci la tua faccia».
Porto le mani sui fianchi, esasperata.

«Si, ma con te seduta sopra però».

Sbatto le palpebre ripetutamente; non serve nemmeno chiedere a me stessa se ho sentito bene, perché ormai sembra che le mie orecchie si siano abituate. Ed è grave.

«Sei davvero un pervertito. Se ti comporti così con le donne, non capisco cosa diavolo ci vedano in te».
Una maleducazione innata, ecco cos'ha. E un aspetto perfetto, però beh, quello teniamolo per noi.

Sorride, buttando il fumo nella mia direzione.
«Non lo so. Chiedilo a te stessa...o a tua sorella magari».

Ho il voltastomaco, così senza pensarci due volte faccio un passo nella sua direzione.

«E secondo il tuo ragionamento, perché dovrei chiederlo a me? E per quanto riguarda Charlotte, riuscirò a farle cambiare idea su di te. Fosse l'ultima cosa che faccio».

Arcua un sopracciglio chiaro assottigliando lo sguardo. Gioca con la lingua, come fa ogni volta che sta pensando a qualcosa.

«Stai cercando di scommettere con me, piccola Vee? Cavolo, fai tanto la paladina della giustizia e ti abbassi a tanto. Chi lo avrebbe mai detto».

Ok, mi sta prendendo in giro. Ora lo ammazzo!

«Non scommetterei mai sui sentimenti delle persone...» non faccio in tempo a concludere che mi parla sopra.

«E perché mai? I sentimenti sono troppo sopravvalutati. Non dire stronzate».

È glaciale il modo in cui lo dice, mentre spegne la cicca sul davanzale in marmo.

«Quello che per te è una "stronzata", per qualcuno è ragione di vivere»

Fa una smorfia, poi come un cavernicolo/scimmia azteca senza un minimo di educazione, la lancia dalla finestra.

«Che cavolo fai? Puoi colpire qualche passante» lo rimprovero ignorando la sua affermazione.

«E a me cosa cazzo me ne frega!».

Gonfio il petto di ossigeno.

«Ok, è giunto il momento che tu vada a svolgere una delle tue attività».

«E tu che impari a girare senza cadere. Sarebbe un peccato consumare un culo così».

Così come? È un complimento?

Con passi felini si avvicina a me, inghiottendomi nelle sue iridi. Mi afferra una mano e la scansa dal mio fianco, dove senza preavviso poggia la sua.
«Non ci capisco un cazzo, ma credo che lo scopo sia quello di fissare un punto fisso avanti a te».

Con agilità mi fa girare. Le sue dita si conficcano nel mio bacino, tanto da far scomparire il body che separa la nostra pelle.
Mi fermo davanti ai suoi occhi autunnali, il cuore batte all'impazzata e il cervello è completamente in pappa.

Perché fa così? Non riesco ad emettere nessun suono, finché si allontana risedendosi.
Aria, cavolo.

«Lo so...c'è so come si gira. Cioè, so la tecnica, ma non...».
Cosa blateroo???

«Cavolo, datti una calmata. Ti sei eccitata e ancora non ho nemmeno iniziato».

Ecco di nuovo quel tono derisorio.
Porta le braccia al petto flettendo i bicipiti colmi di tatuaggi. Ne ha davvero tanti, alcuni mi affascinano a tal punto, che mi viene spesso voglia di chiedergli il loro significato, però non lo faccio fortunatamente.

«Se mai dovessi eccitarmi per qualcuno, credimi, non saresti tu».

«Bugiarda» mi canzona divertito.

«Non hai qualcosa di illegale da fare, o non so, non devi portare a cena qualche ragazza che non sia mia sorella?» mi focalizzo su questo, tentando di ritornare al mio colorito naturale.

Ma poi perché sta qui? Devo provare, faccio schifo e lui invece di lasciarmi in pace mi stressa di più. D'un tratto però, scoppia a ridere in una fragorosa risata.

«Che c'è da ridere ora?» chiedo scioccata.
Che ho detto?

«Cazzo...ti sembro il tipo che offre la cena?» no, ovvio che no, animale qual è «Aspetta, prima che il tuo lato femminista esca fuori pronto ad irritarmi i timpani, lascia che mi spieghi meglio».

Fa un bel respiro prima di calmarsi. Con un balzo salta dal davanzale e si avvicina a me.
Mi irrigidisco quando a pochi centimetri dal mio viso, prende una ciocca uscita dalla crocchia e l'arrotola al dito.

«Vedi Cappuccetto» si abbassa alla mia altezza.
Mi fissa le labbra, poi lecca le sue. Ho lo stomaco in subbuglio.

«Io» mi accarezza una guancia con le nocche «Le» non riesco più a respirare, appena traccia una linea immaginaria sulla mia mandibola «Scopo. Forte».

Ci metto un po' a captare al meglio la sua frase, sebbene il profumo di pino mi tiene in pugno facendomi tremare.

«Fai schifo» con un gesto lo allontano.

«Lo dici solo perché ancora non hai provato la giostra» mi fa l'occhietto lasciandomi di sasso.

Sento le guance diventare paonazze.
L'idea di me e lui, si insomma, mi da una strana scossa al basso ventre. Si, ok, non è la prima volta che fa battute del genere e che io "gli salto addosso" accidentalmente, rendendo la situazione imbarazzante. Però un conto è essere ubriache.
Forse sono veramente una bugiarda...
No, Evelin. NO!

«Rilassati Cappuccetto. Sto scherzando».

Rinsavisco il tempo di vederlo uscire dalla sala, prima però, si gira sullo stipite e mi fissa.
«O forse no».

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«Tesoro, è tanto che aspetti? Evy?!».
Non riesco a levarmi dalla testa le parole e le sensazione che mi incute quel maniaco, tant'è che non mi accorgo della presenza di mio padre.

«Eh?» chiedo distratta, mentre piego i lati del tovagliolo in stoffa. Non so nemmeno da quanto tempo lo sto aspettando, seduta al tavolo del nostro ristorante italiano preferito.

«Ti ho chiesto se stai aspettando da molto. Tutto bene?» mi da un bacio al volo prima di occupare il posto di fronte al mio.

Annuisco, nonostante il mio cervello sia focalizzato su ciò che è accaduto.  Perché Michael
Ha fatto la spia? Non che non avesse ragione, però il comportamento di quel matto non è promettente.
Scaccio immediatamente i pensieri dalla testa.

Sto con mio padre a pranzo, quindi niente e nessuno può rovinare questo momento.

«Eri in riunione?» gli chiedo di botto.

«Si. Abbiamo un nuovo progetto che ci sta dando qualche problema. Tutto sommato nulla di preoccupante. Tu invece, come stai? Charlotte?».

Eh, come gli spiego che un ragazzo tutt'altro che raccomandabile uscirà con lei solo per darmi fastidio?

«Io bene, e Charlotte lo sai, tra lo studio e i corsi extra, e' un po' assente. Ma sta bene anche lei».

Una cameriera intanto si avvicina per prendere le nostre ordinazioni. È una ragazza sulla trentina, che non smette di togliere gli occhi di dosso a mio padre. Lui sembra non accorgersene, mentre se ne sta con il menù tra le mani, con il suo aspetto impeccabile.

Lei accenna un sorriso nella sua direzione, poi sparisce.
«Certe persone sono senza ritegno» borbotto.

«Di cosa stai parlando, tesoro?!» mi chiede Nathan appena sceso dalle nuvole.

Arcuo un sopracciglio, confermando la teoria dell'altro giorno a casa: ultimamente sembra più pensieroso del normale.
Chissà forse c'entra con il motivo di questo incontro.

Passiamo il resto del pranzo a parlare del più e del meno, mentre ogni tanto scambio sms di nascosto con Kat. Papà odia che si usi il
Telefono a tavola, così approfitto dei suoi momenti di distrazione.

«Evy, a scuola come va?» dice d'un tratto lasciandomi spiazzata.

Ehm, in che senso?

«Perché? Bene...» diciamo che sembro tutto, tranne che convinta.

Papà smette di tagliare la bistecca, posa le posate e si drizza sulla sedia. Io, intanto, mi mordo l'interno della guancia.
È così difficile mentire.

«Mh...Ho parlato con il professor Green un paio di giorni fa» le mani iniziano a sudarmi.

Fa che non gli abbia detto nulla. Ti prego. Ti prego!

«Mi ha detto del compito e del tutor di economia. Quando pensavi di dirmelo?».
Ecco come non detto.

Gli occhi chiari abbinati alla cravatta, mi fissano intensamente. Mi sale un conato che per poco mi fa vomitare.

«Papà, lasciami spiegare» prendo un bel respiro «Volevo dirvelo, ma mamma è' stata chiara l'altro giorno e non volevo deludervi».

Le parole di Natalie mi ronzano nella mente: "la mediocrità non è accetta in questa casa". Ho voglia di piangere, di alzarmi e andare via, ma appena Nathan mi afferra le mani, mi tranquillizzo.

«Credi che tu possa deludermi per un' insufficienza? Ne hai idea di quante ne ho prese io alla tua età?».

Spalanco gli occhi incredula.
«Dici sul serio?».

«Serissimo...Pensa che una volta, la Rettrice Clark, che all'epoca era l'insegnate di Algebra, per poco mi sospese».
Quella sua confessione mi fa sorridere, allentando la pressione che ho sullo stomaco.

«Evelin, lascia stare la mamma. So quanto lei sia pretenziosa, però voglio che quando hai un problema ti senti libera di parlarmene».

Abbasso il capo amareggiata. Sono felice di questo, ma non ne ha idea di quello che sento. Non sa cosa significa per me vivere alle spalle di tutti loro, consapevole di non essere perfetta come Charlotte, o mia madre.

«Mi dispiace papà...solo non volevo infrangere le aspettative che avete riposto in me. Io non sono...».

Mi blocco all'istante; una corona di spine mi graffia la trachea impedendomi di proseguire.
Charlotte. Non sono Charlotte.

«Sei una ragazza sveglia e intelligente. Magari hai difficoltà con i test, ma questo non vuol dire che nel mondo lavorativo tu non possa brillare.
Infatti, ho parlato con la rettrice l'altro giorno, come ogni anno ho messo a disposizione l'azienda per permettere a tre, tra i migliori studenti, di poter effettuare uno stage da noi».

«Davvero?» chiedo. Molti ne sarebbero onorati, ne sono certa.

«Si e una di questi, sarai proprio tu. Sono sicuro che sul campo, tu possa imparare e dare il meglio di te».

E ne sono lieta, ma se mia sorella lo scopre come minimo mi fa a pezzi. Sto per ribattere, pronta a dirgli quanto questa sia una pessima idea, quando mio padre riceve una chiamata.

«Pronto? Scusami un secondo» mi dice, allontanandosi.

Mi guardo un po' intorno, poi afferro il cellulare dove c'è l'ennesimo messaggio, ma stavolta non è della mia amica.

Ti do due ore. Se entro le sedici non porti il tuo bel culo al Deville, mi incazzo davvero.

Fisso lo schermo per non so quanti minuti. Ho una lotta interna, perché se da un lato odio l'arroganza con cui Apollo si esprime, dall'altra ho una paura fottuta di rimettere piede lì dentro.

Se continui a parlarmi così, puoi dire al tuo amico di dire addio alla sua auto.

Ma poi per quale motivo deve scrivermi come se fossimo amici?

Ti parlo come cazzo mi pare. Alle sedici Bowers.

Ecco appunto.
Ma perché devo mettermi in mezzo a questi casini?
Prendo un bel respiro.
Ok, riflettiamo. È ancora giorno, quel locale a quest'ora dovrebbe essere chiuso al pubblico, quindi non c'è la possibilità che incontri di nuovo quell'uomo, no?
Poi Apollo starà lì? Giusto?

Ci sarai anche tu, vero?
Si, insomma, per evenienza.

Perché dovrei esserci?

Resto con il cellulare tra le mani, mentre sento un'agitazione impadronirsi del mio corpo. Forse, pensavo che Apollo nonostante avesse capito, mi avrebbe aiutata. Un'idea folle da parte mia,
Soprattutto perché so perfettamente l'odio che prova per me.
Eppure non lo so; perché delle volte ho come l'impressione di conoscerlo da sempre?!

Senza rendermene conto fisso un punto a me sconosciuto, prima di rivedere l'immagine di quell'uomo. Le sue grida le sento come se mi trovassi ancora lì, l'arma puntata, il dolore in quella voce e il terrore che mi drizza i peli sulle braccia.

Non mi accorgo nemmeno del tono di mio padre che mi giunge ovattato, quando torna da me.
«Tesoro, devo andare, mi hanno chiamato a lavoro. Il conto è pagato, tu finisci di mangiare con calma».

Annuisco, sebbene persa in un angolo della mia mente. Inizio a tremare, mi infilo le mani tra le cosce ricoperte da semplice jeans, cercando di calmarmi.
Sto per avere un infarto, poi il telefono vibra di nuovo.

Ti aspetto all'entrata. Non ti lascio da sola, rompipalle.

E l'ansia magicamente se ne va, mentre mi ritrovo a sorridere da sola dinanzi a quelle parole.

«Grazie» sussurro tra me.

Angolo Autrice ❤️
Ciao bellezze, scusatemi per l'assenza e grazie a chi mi ha aspettato tutti questi mesi.

Fatemi sapere cosa pensate del capitolo, mi raccomando.

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