16. "Che ti prende piccola Vee?"
-Le cose accadono sempre
per un motivo e gli uomini in
genere ignorano quale esso sia.
(C.Bukowski)
Il lunedì mattina si presenta come sempre, ovvero l'inizio dell'incubo. Diverso da quelli che ho fatto durante la notte, che mi hanno tenuta sveglia per la maggior parte del tempo a crogiolarmi nervosamente tra le lenzuola.
Sono riuscita a sgattaiolare fino in mensa, attenta a non farmi beccare dal custode, pur di trovare un attimo di pace.
Le lezioni passano molto lentamente come il pensiero di Charlotte insieme ad Apollo, che mi tormenta pari a un loop continuo.
Non so perché, ma vederli vicini mi ha destabilizzata più di quanto voglia ammettere a me stessa e, sapere che lui ha solo intenzione di ferirla non mi aiuta affatto.
Kat l'ho sentita poco e niente da questa mattina, nonostante mi abbia stressata fino alla sera riguardo la storia della Jeep. So perfettamente di dover andare al Deville, però ho paura.
Così eccomi qui, alla lezione di economia, mentre sbatto la matita sugli appunti inesistenti del mio quaderno, e osservo il vuoto. Green ancora deve arrivare, controllo l'orologio e mi rendo conto che manca ancora quale minuto prima dell'inizio.
«È libero questo posto?».
Il volto gentile di Michael mi riporta alla realtà, è in piedi avanti a me e indica una poltrona vuota al mio fianco.
«Ciao, si, accomodati pure» mi drizzo a sedere.
«Te lo avevo detto che ti avrei aiutata, sono di parola».
Ci metto un po' a capire, poi alla fine ci arrivo.
«Ah, Grazie, sei gentile».
Indossa la solita divisa da football, che bella in mostra, non passa inosservata nemmeno tra un gruppetto di ragazze sedute qualche metro più in là, infatti ammiccano sorrisi nella sua direzione.
Non sembra notarle minimamente, però, rivolgendo tutta la sua attenzione su di me.
«Come stai? Ieri mi sembravi un tantino...» riflette per trovare il termine più adatto da usare, ma lo anticipo.
«Sconvolta? Traumatizzata? Allibita?» sputo d'un fiato sospirando profondamente.
«Direi più arrabbiata, in realtà».
Gli occhi celesti mi fissano attentamente in modo comprensivo, così poso la testa sul banco esasperata perché ci ha preso in pieno.
«È che è complicato» ed è la verità. Da quando Apollo è entrato come un tornado nella mia vita è tutto incasinato, proprio come le mie idee impresse nel diario, che per giunta, ha ancora lui chissà dove.
«Immagino, non fatico a crederti per niente».
Il tono di Michael d'un tratto sembra più serio e leggermente inclinato, tanto da confondermi.
Che cosa intende? Sto per chiederglielo, ma il professor Green fa la sua entrata in aula.
Passo la mezz'ora restante a guardare Michael di sottecchi, che a differenza mia è tutto preso dall'argomento nuovo. Io tanto per cambiare non ci sto capendo nulla, di questo passo temo davvero che verrò rimandata, ma non posso farci niente. So perfettamente che ora la mia priorità dovrebbe essere quella di impegnarmi al massimo, ma il mio cervello non me lo permette affatto.
«Avete qualche domanda?» Green porta gli occhiali sul naso e osserva scrupolosamente gli studenti; giurerei di vederlo soffermarsi su di me.
«Si, signorina Mitchell».
Tiro un sospiro di sollievo appena indica una ragazza seduta qualche fila più indietro.
Non ascolto la domanda, nemmeno il resto, solo la voce di Michael, che d'un tratto, bisbiglia nella mia direzione.
«Sai, Evy, mi chiedevo...» a labbra quasi serrate,
si accosta a me nervoso «...mi chiedevo, si insomma, dato che questo venerdì ci sarà la prima partita della stagione, se ti andasse di venire a vedermi» si schiarisce la voce «Cioè, vederci. Si, tutta la squadra».
Mi drizzo a sedere, accertandomi di aver sentito bene.
«Di Football?» chiedo come un'idiota, lui annuisce.
Ovvio che stia parlando di football!
«È che non sono un tipo sportivo...» confesso, piegando la linguetta di carta che ho sotto il palmo.
La sua espressione cambia in maniera repentina, l'ho messo a disagio, me ne rendo conto, così senza girarci troppo intorno accetto. Che sarà mai, dopotutto ho visto un incontro abusivo di pugilato e una "quasi" corsa clandestina, una partita non mi sconvolgerà di certo.
«Va bene, Accetto volentieri».
«Wow, forte. Puoi portare la tua amica se vuoi, o tua sorella. Più tifoseria abbiamo, meglio giochiamo» sorride e non posso non notare le lentiggini sul naso dritto tingersi di rosso, ma no, portare mia sorella è fuori questione.
«Bowers, Collins, mi auguro che il vostro interloquire sia dovuto alle numerose opinioni che avete riguardo l'argomento che stiamo trattando» la voce di Green ci fa trasalire, ci richiama facendo sghignazzare qualcuno alle nostre spalle.
Dopo la prima scusa rifilata al professore, e l'ennesima occhiataccia da parte sua, spero vivamente che non stia cambiando idea riguardo il test. Non che stia facendo grossi passi avanti per prepararmi, dato che il mio suddetto "tutor" non ne vuole sapere di aiutarmi.
Ansiosa picchietto la matita di continuo, perdendomi in qualche angolo remoto della mia mente, finché la porta si spalanca sbattendo contro il muro.
Il silenzio cala di colpo, innalzando un'aria fredda appena percettibile.
Fisso il punto dove un biondino di mia conoscenza fa la sua entrata, esattamente come chiunque altro nell'aula.
Con nonchalance avanza; i capelli ribelli sembrano più scompigliati del solito, la t-shirt nera e la giacca di pelle come sempre gli donano quell'aria dannata, che a quanto pare, sortisce l'effetto desiderato tra le persone di sesso femminile.
«Signor Void, le sembra il momento e il modo adatto per degnarci della sua presenza? Quasi a fine lezione, per giunta» lo sguardo truce di Green lo fulmina impassibile, mentre sorregge in mano un libro illustrato.
«Sembra che oggi sia il suo giorno fortunato, professor Green» con un sorriso scaltro e strafottente, Apollo lo sorpassa.
L'uomo scuote la testa con dissenso prima di continuare come se niente fosse.
«Bene, cerchi un posto libero e non disturbi ulteriormente».
Resto allibita nel vedere con che tranquillità Apollo si presenta in aula, soprattutto perché fino ad ora non credevo nemmeno che fosse in questo corso.
La prima cosa che fa dopo aver spostato i capelli all'indietro suscitando gridolini euforici tra le ragazze, punta lo sguardo su di me, come se sapesse esattamente dove sono.
Rabbrividisco, poi appena Apollo nota Michael al mio fianco, come un divo del cinema cammina verso di noi.
«Ciao, Cappuccetto...Zorro, levati dal cazzo».
La mascella di Michael tocca il pavimento.
Lancio un SOS silenzioso verso Green che stranamente non dice nulla, finché lo riporto sulla figura prorompente di Apollo che se ne sta minaccioso come un serial killer.
Michael si ricompone e senza fare troppe storie si alza e gli lascia il posto. Io, intanto, osservo il tutto completamente scioccata.
Si mette comodo allargando le braccia muscolose come fosse il Re della Columbia, infine posa le gambe incrociate sullo schienale davanti a noi, dove c'è la testa di una ragazza che appena se ne accorge, invece di ammonirlo gli sorride.
È incredibile l'effetto che ha sulle persone, soprattutto se sono donne; non lo capirò mai.
«Smettila di guardarmi così, mi consumi» dice sorridendomi diabolico, infatti, mi rendo conto di fissarlo truce.
«Già, come se ci fosse molto da vedere».
«L'altra sera non sembravi della stessa opinione. Mi sei saltata addosso due volte, ricordi? Senza pensare ai segni delle tue unghie che ho ancora sul braccio».
Si avvicina leggermente, il profumo di pino mi si tatua addosso e in questo momento ho solo voglia di darmi una botta in testa.
«E ovviamente, il fatto che mi hai portato in camera tua contro la mia volontà».
Serro le mani in due pugni, un po' per cercare di mantenere il controllo e non saltargli addosso per ammazzarlo, un po' per cancellare la vergogna che provo. Ricalcare la mia pessima idea, è un colpo basso.
«Ero ubriaca e smetti di parlare, sto seguendo la lezione».
«Si, lo vedo» allude alle forme senza senso che scarabocchio sul foglio.
I minuti passano e la sua presenza mi irrita da morire. Sento le iridi autunnali puntarmi la nuca ricoperta di capelli, poi con un gesto che mi fa tremare, me li sposta da un alto lasciandomi il collo scoperto.
«Non toccarmi».
«Cappuccetto, prenditi una camomilla, avevi qualcosa tra i capelli» dice annoiato giocando con gli anelli.
«Potevi lasciarlo dov'era, allora».
Ad occhi sgranati, accedo a tutta la forza che ho in corpo pur di non lanciare un urlo a squarciagola, che sarebbe capace di rompere persino i vetri delle finestre.
Mi sta prendendo in giro, è più che ovvio, così con un bel sospiro e tutta la volontà, torno ad ignorarlo.
«Sei arrabbiata, piccola Vee?».
Mi chiede dopo un po'. Non lo vedo, ma sono certa che su quel visino perfetto, ha stampato il solito sorriso odioso.
«Non sarà che forse ce l'hai con me per tua sorella? Come avevi detto quella volta?! Ah sì, è troppo sveglia per interessarsi a me».
Ho voglia di strozzarlo all'istante, ma sono tanto matura e adulta da capire che il suo scopo è quello di irritarmi, infatti non voglio cedere.
«Lo sai? Le ho chiesto di uscire e lei ha accettato».
Ok, al diavolo!
Mi volto immediatamente e gli punto un dito sul petto assicurandomi di premerlo affondo.
«Se pensi che ti farò uscire con Charlotte così che tu possa esibirla come un trofeo sulla tua vetrina delle conquiste ti sbagli di grosso».
«E come intendi fermarmi?» con aria di sfida avvicina il naso pericolosamente al mio.
«Non lo so ancora, ma quando ci riuscirò, mi divertirò da morire nel vedere le tue cattive intenzioni rimbalzarti addosso e rivoglio il mio diario. Ora, maledizione!».
Urlo a bassa voce e onestamente è molto difficile. Si lecca le labbra e con la solita aria di superiorità torna a sfiorare i miei capelli, stavolta però, ne arrotola una ciocca intorno all'indice.
«Oggi sei più isterica del solito. Hai il ciclo per caso?».
Sbatto le palpebre ripetutamente, fisso quelle iridi con sfida che intanto mi osservano divertite, finché finalmente la notizia della fine della lezione mi salva.
Afferro di fretta le mie cose e mi alzo sbattendo il libro sul banco. Argh.
«Ti odio Apollo!».
«Meglio, essere amato da tutte dopo un po' diventa noioso!».
Lo sorpasso assicurandomi di dargli una spallata che ovviamente non sente nemmeno.
«Void, resta un minuto, devo parlare con te» Green dietro la cattedra osserva il biondino, che a sua volta, lo raggiunge senza dire altro.
L'area verde della Columbia è intasa di studenti, tutti sembrano avere la stessa intenzione, quella di godersi un'ora di sole all'aria aperta, la stessa che avrei io, se non fosse per la nuvola nera che mi volteggia in testa.
Con le gambe incrociate sull'erba batto il ginocchio a terra, di fianco a Kat che mi racconta della festa in vista a casa di una sua compagna di botanica.
«E tu, alla fine hai deciso quale corso extra farai? Ti aiutano con i crediti, e amica mia, hai tutta l'aria di una che ne ha bisogno».
Mi tocco le tempie, perché ha ragione da vendere.
«Non ancora. Voglio passare in segreteria e farmi dare una lista, onestamente non ne ho idea» confesso.
«Vieni a botanica, no? Ti piacciono i fiori e il presidente del Club è un bocconcino. Niente a che vedere con Tj, eh, però non è male».
«Ma se nemmeno te lo ricordi!» dico riferendomi al rasato.
È vero, ho sempre amato la natura in generale, soprattutto i colori sprezzante dei fiori primaverili. Ricordo quando ero piccola, mi divertivo ad aiutare Oscar il giardiniere a piantarne di ogni tipo, nel giardino posteriore della Villa. Era una delle poche volte che mi sentivo in pace con me stessa, almeno finché mia madre lo ha licenziato.
Amo le violette in particolare, ma a parte Kat, non lo sa nessuno.
«Bene. Gli riportiamo la macchina e ne avrò la conferma».
Scuoto la testa.
«Dai, segnati a botanica, ci divertiremo. Almeno potremo passare più tempo insieme» mi dà una gomitata amichevole «E dai, daiii, per favoreee» sbatte le palpebre supplichevole e alla fine non posso far altro che accettare.
«Ok, ok, va bene».
«Evvaiii» mi getta le mani al collo e per poco cadiamo sul prato sotto gli occhi di tutti. Ci guardiamo e scoppiamo a ridere, però quella sensazione dura poco, perché i pensieri tornano ad attanagliarmi il cervello.
«Si può sapere che ti prende? E non provare a dirmi "niente"!» porta gli occhiali da sole sul capo per guardarmi meglio, ma questa volta non servono parole per farla capire.
«È per Charlotte e lo svitato?» annuisco «Sentì, anche io sono rimasta traumatizzata, ma se ci pensi, a tua sorella non farebbe male uno come Apollo nella sua vita. Cioè, diciamocelo francamente lei è una stronza e lui, beh, lui non è da meno, se non peggio».
«Quindi dovrei accettare che lui la faccia soffrire solo perché è una pessima sorella? Lo sai che non posso farlo».
«Sei troppo buona e in ogni caso non è detto che c'è qualcosa tra di loro. Si, lei è palesemente cotta, però parlavano solo» scrolla le spalle e quanto vorrei pensarla così, peccato le parole di Apollo in aula.
«Hanno un appuntamento» dico d'un tratto. Kat si drizza e scioccata spalanca la bocca.
«Cosa cavolo hai detto? In che senso? Chi te l'ha detto? Chi l'ha proposto a chi?».
Le racconto della terrificante mezz'ora passata ad economia e lei non risparmia le imprecazioni e l'enorme disappunto che prova per questa situazione, arrabbiandosi quasi più di me.
Restiamo in silenzio per un po', come due che sembrano appena tornate da un funerale o che abbiano visto un fantasma.
«Ok, respiriamo affondo» ad occhi chiusi, mi invita a fare lo stesso «Tutto questo stress ci farà venire i capelli bianchi prima del previsto, quindi sai che faremo? Venerdì al quanto pare c'è la partita di football, poi ci sarà una festa a casa di questa Angy e indovina? Io e te ci andremo e ci divertiremo, lasciandoci alle spalle tutta questa merda».
La partita, me ne sono già dimenticata!
«A proposito» mi mordo il labbro inferiore nervosamente «Michael questa mattina mi ha proposto di andare a veder giocare la squadra».
Ammicca una risatina euforica, poi si avvicina puntando gli occhi verdi nei miei.
«La squadra, o lui?».
«La squadra, Kat. Mi ha detto di chiederlo anche a te infatti, e non guardarmi così, so cosa stai pensando».
«Ma dai, Evy, come fai a non arrivarci da sola? L'aiuto in biblioteca, il fatto che ti saluta appena ti vede, l'invito per guardarlo giocare e scommetto che ha intenzione di dedicarti qualche punto, se segna. È ovvio che gli piaci».
Questa affermazione mi scombussola lo stomaco, tanto da portarmi una mano sulla pancia. A parte Tom, non mi è mai capitato di suscitare l'interesse di qualcuno e la mia poca esperienza nel campo mi agita.
«Non dire assurdità».
«Un mese. Ti do tempo un mese, poi mi dirai» con l'indice in alto mi osserva convinta. Non ci sto capendo nulla.
«Andiamo, intendo che entro un mese, Michael riuscirà in qualcosa che Thomas sogna da una vita, ovvero...» fa una pausa teatrale «Sfilarti le mutande».
Passo il resto della giornata ad arrossire terribilmente, talvolta la mia mente mi porta alla frase di Kat. Non esiste che possa capitare una cosa simile, io aspetto ancora il principe azzurro del castello di sabbia che creavo da bambina, e si, forse fa di me un'ingenua totale, ma farò l'amore soltanto con colui che mi stravolgerà il cuore.
Dopo una lunga chiacchierata con mio padre, dove non si è risparmiato con le scuse, riattacco attraversando uno dei tanti corridoi della Columbia. Mi ha avvisato che domani verrà a prendermi per parlarmi di quel famoso discorso che aveva accennato ieri mattina.
È un po' strano, però cerco di non crogiolarmici più di tanto.
A pomeriggio inoltrato ho dovuto "disdire" (se così si può dire) il recupero di economia, perché al quanto pare, Natalie si è presa la briga di affittare per me la famosa sala da ballo della Columbia.
Quindi dopo aver indossato una calzamaglia grigia e un body color cipria, mi reco al terzo piano.
Il buio penetra dalle enormi finestre, mostrando piccoli puntini chiari che illuminano il cielo sereno. Mi soffermo a guardare le stelle per una frazione di secondi, poi contrariata raggiungo la meta.
Non c'è nessuno in giro, solo io e la mia frustrazione perenne che mi obbliga a infilarmi le scarpette a punta, e legarmi i capelli in uno chignon improvvisato.
Gli specchi enormi permettono di scorgere le mie occhiaie e la mia figura, e mai come ora, penso che Kat ha ragione: abbiamo bisogno di divertirci.
I minuti passano e così anche le numerose cadute sul parquet di legno che mi fanno imprecare di continuo. Odio la danza e odio le piroette.
Mi rimetto in piedi, finché un riflesso sullo specchio mi fa trasalire.
«Mio Dio, che ci fai qui? Mi hai spaventata!»
Apollo mi osserva con un'espressione terrificante, mentre se ne sta sulla porta con le braccia conserte.
«Ti aspettavo in biblioteca» sembra dire più a sé stesso.
«Tu, però, non c'eri».
La realtà, è che non gli ho proprio specificato che non sarei andata, ho dato per scontato che lui non ci fosse.
«Pensavo che non avessi intenzione di farmi da tutor».
«Ringrazia Zorro per questo» non capisco dove voglia andare a parare, nonostante gli occhi infuocati pari all'inferno stesso.
«Ero indeciso se farla pagare a te prima, o andare da lui e prenderlo a pugni fino a domattina».
«Di che stai parlando?» si avvicina e ad ogni passo, vengo inghiottita dalle sue iridi un pochino di più.
«Non te l'ha detto? È andato da Green e gli ha riferito dell'altro giorno. Ho dovuto inventarmi una stronzata per far sì che non mi abbassasse la media. Ma ovviamente tu cosa ne vuoi sapere, sei abituata a ostentare la tua ricchezza per ottenere tutto o ci pensa il tuo paparino, no?».
La freddezza e la tranquillità con cui pronuncia queste parole mi raggela il sangue nelle vene.
«Non sapevo niente e tu non mi conosci affatto. Se lo avessi saputo non gli avrei permesso di farti questo. Mi...».
A passi lenti e controllati avanza verso di me, fermandosi a un palmo dal mio viso.
«Ti? Non ti azzardare a dirmi che ti dispiace, odio la compassione e soprattutto la pietà».
«Non è compassione, non lo sapevo e mi dispiace» pronuncio ad un sussurro aspettandomi tutta la sua ira, però stranamente non succede. Prende un respiro e si passa una mano tra i capelli.
«Ok, va bene...voglio crederti. Ma ti avverto, dovrai chiamare un'ambulanza quando avrò finito con lui».
«Aspetta un secondo» istintivamente lo afferro dal polso, quando con i pugni serrati fa per andarsene. «Non puoi usare la violenza per risolvere i problemi».
«Mi stai davvero dicendo ciò che devo o non devo fare, Bowers?».
Mando giù il groppo che ho in gola tenendo la testa inclinata, sperando di mostrarmi sicura di me stessa.
«Si, se le tue scelte ti rendono simile ad un animale».
Una strana espressione si tatua sul suo viso quanto basta per farmi vacillare.
«Sentiamo...come mai ti interessa?» il tono diretto mi perfora i timpani; non so perché, ma lo stomaco fa una capriola.
«Forza, rispondi» con un dito mi sposta una ciocca di capelli fuoriuscita e me la porta dietro l'orecchio.
Poi la ritrae immediatamente.
«Beh, se uscirai con mia sorella...» mi prendo un secondo per continuare quella frase che mi strozza «Voglio assicurarmi che ti comporterai bene».
«Ma quanto sei premurosa» ecco, di nuovo quel viso tinto di ironia e arroganza.
«È mia sorella, è il minimo».
«Scommetto che lei pensa lo stesso quando si tratta di te, no?».
Gli lancio un'occhiata torva, poi con un passo indietreggio e mi ricompongo; mi passo le mani tra i capelli e torno a guardare lo specchio dandogli le spalle.
«Devo continuare ad allenarmi, quindi se non ti dispiace».
Lo invito ad andare, ma assottiglia lo sguardo e porta le mani al petto. Sembra pensieroso prima di parlare.
«Perché ti ostini a danzare se nemmeno ti piace?»
Quella domanda mi colpisce in pieno. Resto immobile per qualche secondo, osservando la sua figura riflessa nel pezzo di vetro.
«Non posso rifiutarmi. C'ho provato, credimi, ma con mia madre è impossibile».
«Perché?».
«Vuole che partecipi al balletto che mi permetterà di entrare a Broadway, proprio come fece lei alla mia età. Ma non sono brava come Charlotte, poi dovrò esibirmi davanti a tante persone e farò schifo» sputo tutto a raffica, come se sentissi il bisogno di parlarne.
«Ma non so nemmeno perché ti sto raccontando questo, lascia perdere».
Respiro rumorosamente cacciando fuori tutta la frustrazione.
«Fammi vedere».
«C-cosa?» dico a tono alto, spiazzata da quella richiesta insolita.
«Si, dai, fammi vedere» mi fa un cenno con la mano, invitandomi a danzare.
Come faccio a ballare davanti a lui che mi guarda con quegli occhi?
«Ehm, no, lasciamo stare» biascico in preda all'imbarazzo. Lo sta facendo per mettermi in ridicolo, perché dubito sia veramente interessato.
Con un altro passo più lungo, si posiziona a pochi centimetri dal mio corpo. Non mi tocca nemmeno, però sento la sua presenza pericolosamente vicina.
«Non hai detto che dovrai ballare davanti a molta gente? Ora ci sono solo io, quindi qual è il problema?».
Tu, tu sei il mio problema! E lo sai, eccome se lo sai, stronzo!
«Che c'entra...si, cioè...la gente non è come te» a bocca impastata pronuncio quella frase, facendolo sorridere beffardo.
«Ah no?» china la testa di lato e affina lo sguardo pari a quello di un felino «Perché, come sarei io?».
Insidioso, pericoloso e fatale.
Mi mordo il labbro inferiore nervosamente e provo a guardare tutto, tranne le sue iridi che cercano di entrarmi dentro.
«Sei insopportabile».
«E poi?».
«Irritante».
Con due dita sotto il mento mi alza la testa, i nostri occhi entrano subito in collisione. Porta il pollice sul labbro inferiore tracciandone i lineamenti in modo rude; tranne annaspare l'aria che d'un tratto si è prosciugata, non faccio nulla.
«Che...che...perché stai facendo così?».
«Così, come?» si lecca le labbra rosse e mi perdo a guardarle, sta di fatto che, non capisco come sia possibile che la testa mi scoppi e strane fitte giungono al basso ventre destabilizzandomi.
«Così».
Il respiro caldo mi sfiora la bocca, le nocche ricoperte di anelli mi accarezzano una guancia intasandomi di pelle d'oca. Il suo profumo mi ipnotizza come tutto di lui, e voglio solo strozzarmi.
Evelin, torna in te!
«Che ti prende, piccola Vee? Sei tutta tesa».
Sorride diabolico, come chi sa di avere il coltello dalla parte del manico. Fortunatamente rinsavisco, e lo scanso bruscamente.
Come diavolo ha fatto? Cosa diavolo mi ha fatto? Non va bene per niente.
«Invece, sono super rilassata e per la cronaca devo provare, quindi "ciao, ciao"» mimo un saluto con la mano.
Arcua un sopracciglio divertito, ma invece di ascoltarmi, va vicino alla finestra, la apre e si siede sul cornicione.
Estrae un pacchetto dalla tasca dei jeans e infila una sigaretta in bocca. Lo guardo sgomenta, non faccio in tempo a chiedergli se ha davvero l'obiettivo di fumare per poi elencargli le svariate sanzioni, quando l'accende.
«Te l'ho già detto, Cappuccetto...ho intenzione di vederti, quindi non vado da nessuna parte».
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