15. "A fuoco"
-Non esiste il caso, né le coincidenze;
Noi, ogni giorno, camminiamo verso
luoghi e persone che ci aspettano da
sempre.
(G. Dembech)
«Oddio, che facciamo?!». Saltello agitata come una ragazzina con il panico che si fa beffe di me, proprio come Apollo.
Mi osserva quasi divertito, in realtà.
«Scappo dal giardino, semplice».
«Certo, come no. Così i cani mordono il tuo bel culetto» istintivamente mi tappo la bocca, come se bastasse a cancellare le mie parole.
Non posso credere che l'ho detto davvero!!
«Di bello ho anche la parte d'avanti, se t'interessa» gonfiando il petto, che tra l'altro mi lascia senza parole, si pavoneggia imbarazzandomi.
«Shh, sta zitto. Fammi pensare» cammino avanti e dietro con il cuore a mille, finché ho un'illuminazione «Ok, ho un'idea, vieni».
Tento di trascinarlo via, lo afferro dal braccio convinta di risolvere la situazione, ma succede l'impensabile.
Il piede scalzo scivola sul bordo dalla piscina e mentre perdo l'equilibrio invasa dal panico, Apollo con uno scatto lesto mi afferra al volo e mi stringe a sé.
«Presa» sussurra sul mio viso diventato cadaverico.
La paura mi graffia l'epidermide, o forse la sensazione di pelle d'oca è data da un viso perfetto e due occhi magnetici che mi fissano indagatori.
Faccio fatica persino a respirare, mentre sorreggo il suo sguardo con uno più sorpreso e imbarazzato.
I nostri petti incollati battono all'unisono e sebbene sia quasi impossibile tornare in me, tento in ogni modo.
«Stai cercando di marchiarmi, piccola Vee?» quella voce suadente mi fa tremare letteralmente.
«A fuoco».
Mi mordo la lingua l'attimo dopo; ho le gote in fiamme e mi maledico da sola, quando mi rendo conto che le mie unghie sono conficcate nei suoi bicipiti in maniera quasi morbosa.
«Mh, capisco...dimmi, era questo quello che avevi in mente?».
Ovvio che no, cavolo!
Mi sbeffeggia apertamente e questo basta per far sì, che il mio cervello ragioni normalmente. Per fortuna, il pensiero che per un secondo è rivolto al diavolo incantatore, torna a focalizzarsi sul problema principale, ovvero la mia famiglia.
Con un bel respiro e la buona volontà che mi aiuta a respingere ogni sensazione che stranamente mi scombussola il basso ventre, decido di attraversare la cucina e filare in camera mia, nell'esatto momento in cui i miei sono distratti.
«Ma che roba è?» la voce di Charlotte mi fa rabbrividire.
È troppo vicina, e la paura di essere scoperta mi mangia lo stomaco. Già immagino la faccia di mia madre scioccata e sconvolta, mentre piange accanto a mia sorella.
A passi felpati tengo tra le mani gli indumenti di Apollo, che a differenza mia se ne sta troppo tranquillo, sebbene sia ancora mezzo nudo.
Io sarei già morta di infarto, la sicurezza che ostenta mi sorprende, poi però un pensiero ritorna a galla.
Per quale motivo se ne sta così rilassato? È stupido, o cosa?
Più volte provo a cancellare il profumo di buono che arriva dalla sua camicia, concentrandomi sull'operazione alla 007 che sto intraprendendo, ma è difficile in realtà.
In ogni caso, Kat sarebbe fiera di me se solo lo sapesse.
Oddio, Kat!! Spero stia bene!
Saliamo le scale lentamente, assicurandoci di tenerci bassi e conficcati nella parete. Apollo, invece, se ne sta pacato, come se fosse abituato a sgattaiolare via dalle case delle ragazze, e chissà perché, non mi stupisce affatto.
Per fortuna la mia stanza si trova distante da quella di mia sorella e dei miei genitori, quindi appena la raggiungiamo sono sollevala.
Non è normale sentirmi come una ladra in casa mia, ma suppongo che questa piuma di criminalità sia dovuta al biondino al mio fianco.
«Cavolo, c'è mancato poco!» chiudo la porta alle mie spalle e mi poggio contro di essa per riprendere aria.
Inizio a contare mentalmente i battiti del mio cuore, che in questo momento desiderano tornare regolari.
«E questa sarebbe la tua idea?» la voce di Apollo mi fa rinsavire.
Apro le palpebre e mi scontro con la sua espressione irritata e curiosa, mentre mi scruta da testa a piedi e indica l'ambiente.
«Si».
«Bell'idea del cazzo» sbotta passandosi una mano tra i capelli.
«Ne avevi una migliore?».
Con nonchalance, si sente in diritto di ispezionare l'arredamento. È evidente il suo tentativo di trattenere grosse risate, soprattutto quando nota il rosa infantile della parete e alcuni peluche che decorano il letto.
So già quello che sta pensando, confermando appieno la sua teoria: sono una bambina.
«Che ci fai con quelli? Li stringi mentre dormi per sentirti meno sola?» ironizza scuotendo la testa.
«Oh, ma guarda, questo sembra un koala» prende il peluche dal letto, mentre mi sbeffeggia tranquillamente.
«Per favore, smettila di toccare le mie cose» lo rimprovero esasperata, tuttavia, appena passa accanto alla madia inizia a sfiorare le mie foto.
«Io non ti capisco. Siamo in piena crisi e tu che fai? Sogghigni. Perché diavolo ridi?»
I lati delle labbra rosse di alzano in un sorriso scherno mettendomi soggezione, proprio come osservarlo aggirarsi per la mia stanza. Effettivamente, fino a questo momento non ci ho dato la giusta attenzione.
Un momento, l'ho portato in camera mia?
«Mi diverte il tuo essere completamente tonta, Cappuccetto».
Posa la cornice e si dirige verso la cabina armadio come se fosse a casa sua. È irritante da morire, bello sì, ma irritante come una pulce nell'orecchio.
«Che stai cercando di dire?» punto le mani sui fianchi.
«Che sei una pessima bugiarda. Di nuovo».
Un tic nervoso mi fa tremare l'occhio.
«Void, arriva al dunque, già ho la testa che mi scoppia e non mi va di risolvere i tuoi rebus».
L'unica cosa che è chiara come l'acqua è che sono pessima, però non basta per levarmi dalla testa le sue parole prima taglienti come lame, poi permissive.
«Sono solo curioso di sapere come spiegherai ai tuoi, della macchina di Tj parcheggiata qui fuori».
Un pugno in faccia avrebbe fatto meno danno. Spara quell'informazione come un proiettile vagante e io resto completamente paralizzata. Apro la bocca in apnea per non so quanto tempo, mentre Apollo in piena quiete, si mette i pantaloni restando a petto nudo.
«Oh mio Dio! Oddio!» inizio a sfregarmi il viso in maniera robotica, mentre a falcate incerte vado avanti e dietro, avanti e dietro.
«Oddio! Non ci credo, Evelin! Non ci credo!».
Parlo con me stessa come ogni volta che sono nervosa; mi riserbo insulti, pensieri, dimenticando la presenza di un biondino arrogante, che d'un tratto si siede sul mio letto.
«Non essere così cattiva con te stessa, dopotutto, mica è colpa tua se sei così attratta da me e hai deciso di farmi fare un tour della tua stanza».
Lo fulmino sul posto, mentre osservo i muscoli tonici flettersi quando si riveste. Quel sorriso maligno sta messo proprio in bella vista sul suo viso per farmi incazzare, sembra davvero fatto apposta.
«Tu!» con l'indice contro di lui avanzo «Tanto per cominciare alzati dal mio letto, e poi sappi che sei la persona peggiore che ho avuto il dispiacere di incontrare nella mia vita. Perché non me lo hai detto prima? E ora che invento, eh?».
A lui che glie ne frega. Nulla, perché quel volto appagato, è pari a quello di uno spietato criminale felice di aver ottenuto quello che vuole.
«Non è un mio problema» tranquillamente scrolla le spalle e si alza come gli ho ordinato «E rilassati, altrimenti ti escono le rughe proprio qui».
Con una risata amara e doppiogiochista, mi punta il viso. Osservo il dito, che tra l'altro è abbastanza sfuocato, poi i suoi occhi beffardi.
«Rilassarmi? Come faccio a rilassarmi se tu sei qui?».
Sono stremata e nervosa, così riprendo fiato. Mi guardo intorno per trovare una soluzione, ma l'avvicinarsi di Apollo verso di me, manda all'aria il mio tentativo.
«Se vuoi, conoscono qualche trucco per farti rilassare».
Mando giù il groppo che ho in gola, fissando quelle iridi autunnali che si fanno man mano più vicine. Indietreggio fino a toccare una parete rosa, scacciando dalla mente il profumo di pino che si insinua sino al cervello.
«Non-non mi interessano, grazie. Ora voglio solo che tu te ne vada» borbotto incerta, mordendomi l'interno guancia.
Apollo china la testa di lato e inizia a studiarmi; lo vedo, lo sento entrarmi dentro e lo detesto quando fa così.
«Davvero? Ogni volta che ti sto vicino, piccola Vee, tu tremi».
Ma perché fa così? Non ha detto poco fa, ne non gli frega niente di me?
Il naso dritto sfiora quasi il mio, insieme al respiro caldo che mi alita sulle labbra arricciandole. Il cuore mi batte forte, non so se sia causato dalla vodka, sta di fatto che, sto morendo di caldo.
Chi ha alzato la temperatura?
«Non è vero, e in ogni caso lo faccio perché tu...».
«Perché ti disgusto, giusto, però mi hai trascinato qui contro la mia volontà».
Deglutisco, facendo attenzione a non calamitare i miei occhi carichi di vergogna nei suoi.
«Ma per piacere, ora sei anche una vittima? È solo la vodka e avevo bisogno d'aiuto».
Certo, come se bastasse a giustificare l'ingiustificabile.
«C'è un detto che dice: i bambini e gli ubriachi dicono sempre la verità, e tu Evelin Bowers, in questo momento sei tutti e due...e nel caso non lo sapessi, sequestrare qualcuno è reato».
L'avambraccio venoso e tonico mi sorpassa la testa, poggiandosi sulla parete. Mi sento in trappola, in più non capisco se stia parlando sul serio.
«Certo, proprio tu vuoi impartirmi una lezione di legge? Ti ricordo che sei un criminale, un ladro e forse, un probabile assassino» sbotto con le gote in fiamme. Lui, invece, scoppia a ridere sonoramente.
Sto per dargli una spinta carica di frustrazione e prendere a pugni quella sua faccia da schiaffi che mi fissa dall'alto come un maledetto lampione, quando dei passi frettolosi e pesanti giungono alla porta della mia stanza. I tacchi vertiginosi si scontrano con il parquet e non ci vuole molto a capire di chi si tratti: Charlotte.
L'ansia torna a governare il mio corpo tremolante, sgrano gli occhi impaurita ed inizio a guardarmi intorno frettolosamente.
D'istinto afferro Apollo e lo chiudo nella cabina armadio, in tempo, prima che mia sorella faccia la sua entrata in camera mia.
«Evelin, Evelin, Evelin...».
Charlotte se ne sta sullo stipite della porta, lanciando occhiate furtive all'ambiente. Il rossetto rosso è in tinta con il vestito di Dior e in questo momento è arcuato a formare un sorriso di circostanza.
«Charlotte, Charlotte, Charlotte...» ripeto, staccando immediatamente la mano dall'anta della cabina per non sembrare colpevole.
«Siete tornati!» appuro.
«Già e per tua informazione sorellina, è stata una bellissima serata» il suo tono derisorio mi fa arrabbiare, perché so perfettamente quello che cerca di fare.
«Sono felice per voi».
Non è vero, e un nodo in gola rischia di farmi soffocare nella mia stessa bugia. Mia sorella lancia uno sguardo all'armadio, poi a me.
«Che stai facendo?».
«Chi, io? Niente perché? Se hai finito vorrei dormire».
Ecco, ora mi scopre. Guarda come mi scopre.
«Con quel vestito? E comunque, di chi è quella macchina parcheggiata all'entrata?».
Mi squadra da capo a piedi amicando una smorfia contrariata, sicuramente pensa a come sono vestita, al fatto che mi stia male, o probabilmente al mio aspetto troppo tondo per i suoi gusti, ma non mi importa.
Non le rispondo, anzi, mi mostro vaga e annoiata, sperando in realtà, di riuscire a nascondere quel senso di angoscia orrendo che mi attanaglia lo stomaco.
«Va bene, tanto te lo chiederà mamma domani, e non credo che sarà gentile come me».
E con una risata stile Malefica, se ne va.
Ho il cuore a mille, mi scoppia la testa, e Charlotte non fa altro che ampliare i miei sensi negativi. Digrigno i denti e mi sistemo la fascia del vestito, che minaccia seriamente di denudarmi una volta per tutte ed io, al contrario di Apollo, non sono per niente a mio agio con il mio corpo.
Sbatto la porta irosa più che mai e a falcate spalanco un'anta della cabina, ma l'immagine che mi si palesa davanti mi lascia di stucco.
«Carino».
Sgrano gli occhi per accertarmi di vederci bene e sperare che quello che tiene Apollo appeso all'indice, non sia davvero un reggiseno, ma purtroppo è così.
Mi viene voglia di ficcarmi due pollici nelle iridi o di maledire il mio scarso senso dell'ordine, perché ovviamente prima di uscire ho lasciato tutto a soqquadro.
«Ma che cavolo stai facendo? Dammelo subito».
Come una gazzella lo raggiungo; tento di saltare per riprendermi ciò che mi appartiene, ma il biondino prendendosi gioco di me, lo alza in aria.
«Ok, non è divertente, smettila» lo rimprovero usando il suo corpo come una scala, ma più tento di afferrare il mio intimo, più si fa distante.
«Lo vuoi? Prendilo».
Con una rabbia incontrollata gli salto letteralmente addosso come una furia, fino a scaraventarlo atterra. Mi guarda sorpreso, finché notando la posizione in cui stiamo, mi lancia un'occhiata languida.
«Sembra che saltarmi addosso, stia diventando un'abitudine».
Ho le gote rosse pari a un peperone e temo che Apollo se ne renda conto. I muscoli tonici vengono precipiti perfettamente dai miei polpastrelli che li usano come ancoraggio. Le dita sfiorano il suo petto, mentre le cosce sono divaricate ai lati del suo corpo.
Ci metto un secondo per realizzare e quando lo faccio, un imbarazzo mi pervade, così impacciata mi alzo in piedi.
«Ma che dici, io non ti salto addosso e ridammelo».
Un sorriso scherno si stampa sul suo volto, mentre agilmente si alza e mi fronteggia.
«Te lo do, ma tu in cambio cosa mi dai? Sai, non sono il tipo che concede nulla senza un proprio tornaconto. E poi mi devi un favore».
Quelle iridi mi bruciano la pelle; sono opportuniste e invasive come un maledetto virus.
«E io non sono la tipa che si fa abbindolare da un bel faccino».
La lingua rossa gli inumidisce le labbra piene, prima di arcuarne i lati in un sorriso diabolico mettendomi in ridicolo.
«Mh...quindi pensi che sono bello, piccola Vee?».
Il Sahara, ecco che cosa ho in gola in questo momento. Mi sento in mezzo al deserto assetata, con il corpo a duecento gradi e l'unica cosa che voglio è trovare una benedetta oasi, ma indovina? Non c'è.
«No, sei orribile sotto ogni aspetto, e penso che sia ora che tu te ne vada» dico sfregandomi il viso, sperando di essere convincente.
Assottiglia le iridi, poi posa il reggiseno sopra la vetrina in mezzo all'armadio.
«È la prima volta che siamo d'accordo su qualcosa, e per la cronaca, bianco».
Sbatto le palpebre ripetutamente facendolo sorridere in un modo quasi malsano, come se le mie parole non lo abbiano toccato minimamente. Vorrei chiedergli di cosa stia parlando, ma Apollo percepisce il mio disagio e ovviamente, trova saggio ampliarlo.
«Il bianco è il tuo colore, fa venir voglia di strappartelo di dosso insieme alla tua innocenza».
Lo fisso come un automa, mentre osservo la sua figura dirigersi verso la portafinestra e fuoriuscire sul balcone.
«Sono ubriaca, o lo ha detto sul serio?!» penso, anzi dico ad alta voce senza rendermene conto.
Tuttavia, lo sento sorridere sebbene mi stia dando le spalle.
Vado verso di lui cercando di scacciare quella sensazione che il suo tono malizioso mi provoca, e focalizzare i miei pensieri sulla pazzia che sembra voler mettere in atto.
«Che stai facendo?».
«Secondo te?» ok, è un folle «Non preoccuparti per il mio "bel culetto", lo difenderò fino alla morte».
Lo guardo allibita, ma non so perché, sorrido.
«Evy» pronuncia il mio nome e sentirlo dalla sua voce sembra un peccato «Sai guidare?».
Con un'espressione confusa lo fisso, mentre lui aspetta realmente una risposta.
«Si, perché?».
«Tj appena scopre che la macchina ce l'hai tu farà un casino, e non ho voglia di ascoltarlo solo perché mi hai sequestrato a casa tua» faccio per ribattere, ma lui continua a parlare «Quindi è tua premura riportarla al Deville».
«Aspetta, COSA? E tu come torni a casa?».
«Ti stai preoccupando per me? Perché se è così, non farlo. Piuttosto fai quello che ti ho detto se non vuoi avere problemi».
Perché sembra una minaccia, ma al contempo un tentativo per aiutarmi a non farmi scoprire?
«Io non ci torno lì» dico categorica riferendomi al Deville.
«E perché mai? Infondo, non hai visto niente, no?».
Alza un sopracciglio e in quel momento capisco dove vuole andare a parare, ma sebbene stia tremando di paura non voglio permettere ad Apollo di vedermi vulnerabile, nemmeno appena si volta e si ferma avanti a me.
Deglutisco quando assottiglia lo sguardo, facendomi capire che ha tutto, tranne la voglia di mollare e far finta di credermi.
«O no?» ripete.
«No, infatti».
«Si, certo» accenna una smorfia e si allontana «Ah, dì' a tua madre che eri con Kat e l'auto è di un suo amico. Non ti dirà niente».
Mi stringo nelle braccia, mentre scavalca la ringhiera.
«Come fai ad esserne sicuro? Non so mentire, ricordi?».
«Già, ma onestamente non credo che per una come tua madre, cambi molto se le dici una bugia o una verità. Dubito fortemente che ti crederebbe in ogni caso».
«E tu che diavolo ne sai?» un campanello di allarme mi agita, peggiorato dal sorrisetto diabolico che Apollo mi riserva l'attimo prima di andare via.
«Ho il tuo diario».
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Il viaggio di ritorno alla Columbia è abbastanza turbolento. Mia madre questa mattina, mi ha fatto una ramanzina e ha cercato in ogni modo di tirarmi fuori la verità riguardante l'auto di Tj, ma stranamente dopo aver seguito il consiglio di Apollo, mi ha lasciata stare.
Mia sorella, invece, ha ancora molti dubbi che non si risparmia a farmeli notare, a differenza di mio padre, che ha passato l'intera giornata a chiedermi scusa per la famosa "cena di famiglia" di cui io non ero partecipe.
Lui mi conosce più di chiunque, quindi, inutili i miei tentativi di nascondere i miei veri sentimenti al riguardo, per Nathan Bowers sono come un libro aperto.
Mi ha persino parlato di un progetto che la CN Group - l'azienda di mio padre- pensa di fare. Mi spiegherà tutto tra un paio di giorni ha detto, così non ho insistito. L'unica cosa strana, è che non capisco come mai voglia parlarne solo con me e non con Charlotte.
«Terra chiama Evy, ci sei?» la voce di Kat mi fa rinsavire.
Ha il palmo della mano che sventola avanti ai miei occhi, mentre siamo parcheggiate fuori la Columbia indecise se scendere o no.
«Eh? Si, sì, certo. Dicevi?».
«Stavo dicendo, cosa facciamo con questa macchina?» sbuffa indicando il veicolo sulla quale siamo sedute.
«La riportiamo al proprietario, cosa dovremmo farci altrimenti!» distruggerla e farla annegare in qualche fiume non sarebbe tanto male, però.
Dopo un po' ci ritroviamo con le valige tra le mani a discutere sul da farsi, mentre osserviamo il giallo canarino della Jeep.
«Ok, ma se vai al Deville, vengo anche io. Sono curiosa di vedere se quel ragazzone lo trovo sexy anche da sobria. Lo sai? Sono sicura che ho fatto colpo».
Alza un pugno al cielo ormai giunto al tramonto, con la solita grinta che la rappresenta.
Alcuni studenti ci passano accanto, molti di loro lanciano occhiate in direzione dell'auto e dagli sguardi, non ci vuole un genio per capire i loro pensieri.
«Gli hai vomitato sulle scarpe, Kat. Te lo ricordi?» le faccio notare, sistemando le trecce ai lati della mia testa.
«Si, ma che c'entra. Ho un certo sesto senso per queste cose, come per il tizio che aiutava te» mi dà una gomitata e inizia ad alzare e abbassare le sopracciglia in un modo davvero inquietante.
«Ma davvero? E cosa dice?» porto le braccia al petto curiosa, non ricorda Apollo, figurarsi il sesto senso.
«Mi dice che gli piacevi e spero vivamente che almeno tu, ti sei fatta dare il numero di cellulare...Che c'è?».
«Kat, il famoso tizio di cui stai parlando è Apollo».
Stupita dalla mia rivelazione, per poco si strozza con la propria saliva. Le do qualche colpetto dietro la schiena per aiutarla, ma serve a ben poco.
«Dimmi che stai scherzando. Oh cazzo! Mi spieghi perché quello svitato sbuca sempre fuori nel momento meno opportuno?».
«Sono solo coincidenze e l'universo che ce l'ha con me» scrollo le spalle esasperata, perché lo penso davvero. Più voglio stargli lontana, più una forza invisibile ci avvicina inspiegabilmente.
«Ma di che cavolo parli? Che universo? Te lo dico io, quello è uno stalker schifoso e l'unica cosa che vuole è importunarti».
Nonostante il suo discorso non faccia una piega, una parte di me non può far altro che contraddirla.
«Evelin» una terza voce attira d'un tratto la mia attenzione, finché la sua figura mi affianca.
«Ehi, Michael, giusto?» gli chiedo come se me ne fossi dimenticata, ovviamente non è così.
L'azzurro dei suoi occhi mi osservano felici, mentre vengono illuminati dall'arancio del sole.
Le lentiggini se ne stanno sul naso arricciato e le labbra alzate in un sorriso.
«Si, Michael di economia» si gratta la nuca nervosamente.
«No, Michael della squadra di football» sbotta Kat euforica, quando con un gesto mi fa cenno di presentarla.
«Lei è Kat».
«Piacere di conoscerti...Scusate se vi ho interrotto, solo che ti ho vista qui e ho pensato di salutarti».
«Hai fatto benissimo» Kat gli fa un occhiolino, mettendolo in evidente imbarazzo.
«Menomale, allora. Siete anche voi di rientro?».
«Già, per affrontare un'altra settimana d'inferno» confesso.
«Dai, se ti riferisci ad economia ti aiuto io, certo, sempre se il tuo tutor non ci interrompe» la parola "tutor" la pronuncia quasi con disprezzo.
E non lo biasimo affatto, perché il comportamento di quel demone dalla faccia d'angelo, non può essere giustificato nemmeno dalla corte marziale.
«A questo proposito, Michael...» sto per scusarmi di cuore, quando Kat balza sul posto.
«Kat, ma che ti prende?» le dico imbarazzata.
«Ma quella non è Charlotte?» indica un punto poco lontano da noi, dove la limousine della mia famiglia sta parcheggiata.
Seguo il suo sguardo e quando lo faccio, resto completamente spiazzata. Uno strano brivido mi attraversa la nuca e una fitta singolare mi colpisce lo stomaco, tanto da stringerlo in una morsa.
Contrariamente da come pensavo mia sorella non è da sola, ma bensì in compagnia del diavolo incantatore, pronto a sorriderle in un modo del tutto nuovo. Le sta accanto e da gentiluomo qual è l'aiuta persino con la valigia, mentre si dirigono all'entrata.
«Tua sorella sta con Void?!».
Io e la mia amica saettiamo subito lo sguardo su Michael, come se le sue parole avessero acceso un interruttore.
Non so perché, ma in questo momento Apollo si volta nella nostra direzione, o meglio, nella mia.
Dà un'occhiata fugace a Kat, poi mi sorride diabolico, almeno finché la sua attenzione viene attirata dal ragazzo al mio fianco.
Quegli occhi dapprima castani e scaltri si posano su Michael; dentro di loro si forma una vera e propria tempesta. Entra letteralmente in collisione con la mia, che in questo momento mi sfuoca la vista e mi fa venir voglia di andare da lui e strozzarlo.
Ma non lo faccio, mi limito a digrignare i denti e sfidarlo mentalmente da lontano, come faccio ogni santissima volta.
Che cosa sta cercando di fare?
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