14. "Mi aiuti?"

-Sono nato con il bisogno di
strafare, e il bisogno di volare.
(Ultimo)


Fisso Apollo per non so quanto tempo, mentre me ne sto nascosta dietro la sua figura. I vari colori puntano il suo viso, dandogli un'aspetto ancora più virile, sempre se questo sia possibile.
Non so se sia a causa dell'alcol, però lo vedo bellissimo e tenebroso al tempo stesso, tant'è che vorrei strozzarmi da sola.

Vuole accompagnarmi davvero a casa?

Il suo amico mi riporta alla realtà, quando contrariato, gli passa un mazzo di chiavi.
«L'ho lavata oggi, non sporcarla, ok?».

«Aspetta, aspetta» dico.

«E ora che vuoi?» mi domanda il biondo esasperato.

«Kat chi la riporta a casa?» chiedo allarmata, guardando il punto dove c'è la mia amica a dimenarsi.

«A me che cazzo me ne frega».
Quella risposta mi irrita da morire, così con un gesto bruto mi libero dalla sua presa.

«Ok, allora senza di lei non vengo nemmeno io» digrigno i denti e serro le mani in due pugni.

Do per scontato che Apollo voglia davvero portarmi fuori di lì, così inizio a fare i capricci. In ogni caso, non lascerei mai la mia amica da sola in un posto come questo. È pericoloso, esattamente come la gente che lo frequenta.

Con un passo Apollo torreggia su di me; la mascella contratta, le labbra ridotte ad una linea sottile e la rigidità del suo corpo, per un secondo mi incutono timore.

«Perché devi sempre finire per rompermi le palle?!».

«E tu perché devi sempre finire di fare "l'eroe"?!» mimo con due virgolette, facendolo arrabbiare «Non ti ho chiesto io di portarmi a casa».

Sostengo il suo sguardo truce chinando la testa verso l'alto.

«Sai che ti dico, vaffanculo. Vacci da sola» fa spallucce. Si volta per allontanarsi, però istintivamente, con un balzo mi attacco al suo braccio.

La mia espressione si riduce ad un vero e proprio supplizio. Respira come un toro, mentre assottiglia le iridi ambrate.
«E dai».

«Porca troia. Mi devi un favore, Bowers» mi punta l'indice in faccia. «Tj, devi darmi una mano».

Facilmente raggiungiamo Kat; è ubriaca marcia, tant'è che sono certa che il giorno dopo non ricorderà assolutamente nulla del suo balletto. Come me, che spero di dimenticare il mio braccio ancorato ad Apollo, che come una piovra non lo mollo, nonostante i suoi tentativi di liberarsi.

«Ehii, Evy» urla la mia amica felice, appena mi vede.
«Devi salire qui! Mi sento come una Pop star».

Quell'attimo di gioia, però, cambia rapidamente quando nota il ragazzo al mio fianco; stropiccia gli occhi accertandosi di vederci bene, ma senza darle il tempo di dire niente, Tj l'afferra dalla vita e la fa scendere.

«Che fai? Metti giù le mani action man» lo rimprovera Kat.

«Guarda che mi tocca fare» borbotta il ragazzo al suo fianco.

La mia amica viene vicino a me e con una mano a conca dinanzi alla bocca, tenta inutilmente di sussurrarmi all'orecchio.
«Evy, la sai una cosa strana?» dice, poi scoppia a ridere «Questo tizio assomiglia un casino a quello svitato di Apollo».

«Tu dici eh? E dimmi un po', è bello pure lui?» le chiede il biondo con un sopracciglio arcuato.

Cosa? Ma sta facendo sul serio?

«Naah, tu di più» la mia amica gli fa un occhiolino.

«Che spirito di osservazione. Andiamo, che già mi sono rotto le palle» taglia corto quest'ultimo.

Seguo Apollo fino all'uscita, mentre Tj spinge Kat verso di noi, che a sua volta fa resistenza.
C'è ancora molta gente in coda in attesa di entrare. L'aria fresca mi fa rabbrividire, finché raggiungiamo un'auto parcheggiata a qualche metro più in là.

Non riesco a mettere a fuoco quasi nulla in realtà, così mi chiedo se quella che vedo non sia davvero una Jeep color giallo canarino. Strabuzzo gli occhi più di una volta, poi noto anche delle fiamme rosse sulla fiancata.

«Dove si va?» chiede Kat troppo ubriaca e euforica, ma nessuno le risponde.

«Oddio, mi sto sentendo male» ribatte subito dopo.

«Non ti azzardare a vomitare vicino alla mia macchina» la ammonisce Tj, che intanto la sorregge.

Apollo nel frattempo mi apre lo sportello del lato passeggero e mi invita ad entrare. Quando si posiziona al lato del guidatore, mette in moto.
«Sali, o no?» mi dice impaziente.

«Cazzo, ma che schifo!» Tj lancia un urlo; la mia amica rimette letteralmente sulle sue scarpe, facendolo scalpitare furioso.

«Ma che cosa urli» farfuglia Kat, prima di accasciarsi. È completamente andata.

«Mi hai vomitato sulle scarpe, o non ci vedi?».

«Kat, stai bene?» le chiedo preoccupata.

«Tj, riportala a casa. Tu, vieni con me».

«Io non vengo senza Kat» ribadisco il concetto.

«Come la porto a casa, se la mia auto ce l'hai tu?» gli chiede l'amico in una smorfia schifata.

«Non è un mio problema. O vuoi che entri qui, sporca di vomito?!» che manipolatore nato.

«No, ma scherzi?! Prendo un taxi, ma sappi che questa me la paghi» dice prima di salire su una macchina e sparire.

Dopo una lotta infinta, che vede Apollo prendermi come una palla da football e lanciarmi nella Jeep, finalmente imbronciata,chiudo gli occhi. Sono arrabbiata, preoccupata per la mia amica e mi scoppia la testa in un modo allucinante.

Passiamo il resto del tragitto in silenzio, ogni tanto provo a mettere un po' di musica, ma Mr. Simpatia al mio fianco, la leva immediatamente.
«Dio, quanto sei noioso!» proprio io lo dico.

Lui non dice niente, ha solo le labbra serrate e una vena che gli pompa visibilmente sulla fronte. È teso come una corda di violino, e l'espressione indurita, ne è la conferma.

«Se succede qualcosa a Kat, ti uccido con le mie mani» specifico dopo un po', portando le braccia al petto.

«Ne dubito».

«Tu dubiti? Vuoi vedere?».

Come un pazzo prende una curva talmente forte, da ritrovarmi addosso a lui. Il mio corpo è totalmente incollato al suo, tanto da sentire il respiro regolare del suo petto. Mando giù il groppo mentre resto a fissarlo, a differenza sua, che non smuove nemmeno un muscolo.

«Che fai? Stai approfittando di me, piccola Vee?» sgrano gli occhi imbarazzata da quell'aria odiosa che solo lui sa adoperare.

«Si, come no...ti piacerebbe» farfuglio.

Oak Beach scompare piano piano dall'abitacolo, lasciando spazio alle ville del mio quartiere che mi fanno sentire sempre peggio.
Mi conficco nel sedile aggrottata in una smorfia infantile, peggiorata nel momento in cui vedo il cancello di casa mia. A stento riesco ad afferrare il telecomando elettronico dalla mia borsa, ma Apollo da gran maleducato qual è, me lo sfila spazientito dalle mani.

«Cazzo, da qua».

Tiene lo sguardo fisso avanti a sé, con finta indifferenza, perché nonostante il silenzio, sembra come se centinaia di pensieri gli attraversino la testa.

«Devi essere sempre così scontroso?».

I lampioni che circondano l'entrata gli riflettono sul viso, creando veri giochi di luce. Nonostante sia nella penombra, i ricci chiari e gli occhi ambrati sembrano brillare di luce propria. Ci siamo fermati, ma non me ne rendo conto, perché ovviamente lo fisso imbambola.

«A quando, le risposte della TAC?».

Mi schiarisco la voce, drizzandomi sul posto.
«Ma quale TAC, voglio andare a casa».

«Beh, ti basta alzare il culo dal sedile» indica la villa al mio fianco con fare teatrale «Vedi? Ora scendi che già ho le palle piene».

Guardo la facciata di casa mia, e per qualche ragione mi sale la nausea. Apro lo sportello sotto gli occhi di Apollo, che intanto, addenta una sigaretta tra le labbra piene. Lo osservo per un po', infine decido di scendere. Almeno ci provo, ma le gambe molli e gonfie non me lo permettono.

«Ehm...Apollo».

«Eh?! Te ne vai, o no?».

«Il fatto è che io me ne andrei pure, solo che non ce la faccio a camminare» mi sento imbarazzata, soprattutto data la richiesta silenziosa.
Non sono completamente andata, però la vodka mi ha reso le gambe pari a una gelatina.

«Allora striscia».
Una nube di fumo mi balza sul viso, facendomi tossire.

«Cosa?» resto a bocca aperta, lasciando che il mio cervello assimili le sue parole.
«Che razza di uomo sei?» prendo un bel respiro fronteggiando la sua indifferenza.

«Uno che sta finendo la pazienza».

«Bene, allora me ne vado da sola. Addio» faccio un secondo tentativo, ma invano.

«Ehm...Apollo...Mi aiuti?» ammicco un sorriso finto tenendomi le tempie, sebbene la sua risposta mi irriti.

«No».

«Dai, aiutami» con un tic nervoso, unisco le mani a mo' di preghiera. Vorrei sotterrarmi in mezzo al deserto, però almeno ho la scusa di essere "ubriaca".

«Ho detto di no».

«Facciamo così, tu mi porti dentro, io per un secondo mi dimentico del diario e della collana di mia nonna e in cambio ti do la tua maglia. Che ne dici?» sbatto le ciglia ripetutamente sperando di convincerlo.

«Fammi capire» con un gesto si avvicina al mio viso facendomi trasalire «Cerchi di fregarmi facendo il mio stesso gioco?».

«No».

«No? Il tuo mi risulta come un vago tentativo di corruzione» dice con un cipiglio arcuato.

«Io non corrompo, ti sto semplicemente elencando le mie condizioni».

«Ah beh, se la metti così allora» emette una smorfia diabolica.

«Quindi mi aiuti?» ripeto convinta di aver vinto.

«Lasciami pensare...NO».

Porto le braccia conserte, imbronciandomi.

«Te ne rendi conto ragazzina, che mi stai pregando di entrare in casa tua? È insolito, dato che ti disgusto».

«Sebbene il tuo discorso non faccia una piega, Apollo, te lo sto chiedendo solo perché sono in difficoltà e sono brilla. Altrimenti, non lo farei nemmeno se l'altra opzione fosse quella di farmi passare sopra da un treno».

Per un secondo sembra sorpreso dalla mia fermezza, così distolgo subito lo sguardo, sennò ci metto mezzo secondo a vacillare.

«Mh...e se non accettassi e ti lasciassi qui in mezzo alla strada, proprio come fanno i ragazzi cattivi?»

«Torta alle fragole» sputo d'un tratto. Mi fissa aggrottato e mi schiarisco la voce.

«Se entri, ti do un pezzo di torta alle fragole. È buona...ci stai?» allungo una mano verso di lui.

Prende un altro tiro dalla sigaretta, mentre mi fissa felino. Osserva le mie dita e per un secondo è dubbioso, infine stringe la mia mano di rimando sigillando quello strano patto.
«Ci sto».

La casa è ancora vuota per fortuna, così mi sento leggermente sollevata. I miei ancora sono fuori, e sebbene questa cosa mi faccia restare male, il mio pensiero in questo momento è un altro: Apollo che si aggira in casa mia.

«Oh, cavolo!» borbotto, appena rischio di inciampare sui miei stessi passi.

«Vuoi fare attenzione, cazzo?».
La presa diventa ferrea sul mio fianco e nonostante la stoffa, sento le sua dita bucarmi la pelle.

«Devi dire sempre le parolacce?».

Si blocca all'istante, lanciandomi un'occhiata truce.
«Non sono un cazzo di chierichetto, quindi si e non sono affari tuoi».

Apollo prende un bel respiro, guarda avanti a sé con la mascella contratta senza degnare di uno sguardo l'arredo del soggiorno, fino a raggiungere la cucina.
Sbando leggermente appena mi lascia.

«Cavolo che aspetto orrendo» parlo tra me, osservando il mio viso acciaccato riflesso sull'acciaio.
«E non osare dire nulla per favore, so già cosa pensi».

«Non credevo di essere così prevedibile» risponde sedendosi su una sedia in pelle, intorno alla penisola.

«Oh, lo sei eccome. Almeno per me».
Cavolo, Evy. Stai zitta.

«Ma davvero?» chiede sarcastico, io non rispondo per l'imbarazzo «Allora, me la dai o no?».

Batto le palpebre ripetutamente, certa di aver sentito bene. Di cosa stiamo parlando?
«La torta, Evelin».

Certo, la torta. Ma che mi prende?!

Sospiro rumorosamente sistemando i capelli biondi in una crocchia scompigliata. Afferro il pezzo di dolce dal freezer e glielo passo. Anzi, l'unico pezzo per giunta, quello destinato a me.

«Una volta mangiata la torta di Carmen, non ne potrai fare a meno».

Le sue iridi mi scrutano il viso e nella stessa velocità con cui lo fanno, si distolgono.

«Carmen cosa sarebbe? Una cuoca o che?» mi chiede fingendosi curioso.

«È la governante».
Lo osservo, mentre me ne sto di fronte a lui con i palmi rivolti sul marmo e una certa acquolina che mi buca lo stomaco «È buona, vero?».

«Ti svelo un segreto, Cappuccetto» lecca malizioso la panna dalla forchetta, privandomi di saliva. Non so perché, ma questo gesto mi fa un effetto insolito «Non mi piacciono i dolci, soprattutto la panna. Solitamente me la mettono da un'altra parte, e sono le donne a leccarla. Non so se mi spiego».

Spalanco le palpebre rossa in volto.
Ho capito, si è spiegato perfettamente.

Si passa una mano tra i capelli chiari, mettendo in evidenza le vene che gli accarezzano l'avambraccio, come rami di un albero perfetto.

«E allora, perché hai accettato di entrare?».

«Forse» ammicca un sorriso diabolico «Era il mio piano fin dall'inizio e l'unica cosa che voglio, è quella di derubare la famiglia Bowers».

Un brivido mi attraversa la pelle, ma con una strana adrenalina che invade il mio corpo, invece di allontanarmi e urlare, mi chino di più verso di lui.

Che cosa mi dice il cervello? Basta bere, Evy.

«Non ti credo».

«E perché no?» ribatte lui alzandosi dal posto. La sua figura è prorompente, nonostante la leggera penombra della sera.

Lo osservo rigirare la penisola e avvicinarsi scaltro verso di me. Il suo profumo anticipa la sua presenza, che man mano, diventa sempre più pericolosa.
«Hai fatto entrare il lupo e adesso, oltre che la torta, può mangiarsi sia la nonnina che Cappuccetto».

Stende un braccio davanti a me, sfiorando il marmo delicatamente. La camicia nera mi tocca leggermente la spalla nuda, facendomi rabbrividire. Mi ostino a guardare dritto, però per poco.

«Se la metti così, fortuna che i miei non ci sono
e in ogni caso» giro il capo «Non credo saresti sopravvissuto a mia madre».

Apollo porta due dita sotto il mio mento, obbligandomi a guardarlo.
«Meglio per me. Sono sicuro che Cappuccetto abbia un sapore più buono».

Si lecca le labbra color ciliegia, e sebbene siano rivolte in un ghigno divertito, mi fanno girare la testa.

«Sapore?» ripeto come un'automa, fissandole incessantemente.

«Già, sapore» si avvicina pericolosamente alla mia bocca, poi con uno sguardo languido mi osserva tutta, dalla testa ai piedi.

«Perché mi guardi così?».

«Come ti guardo?» i suoi occhi mi scrutano.

«Non lo so, mi stai guardando in modo strano. Perché?».

«Perché sei ubriaca e...» i suoi occhi vogliono dirmi qualcosa, ma dopo una piccola pausa si allontana da me «...E non dovresti bere, come non dovresti andare al Deville».

«Senti, io sarò pure ubriaca, ma tu devi far pace con il cervello. Se non ricordo male, l'ultima volta a casa di Ryan hai detto apertamente che ti diverti a te vedermi ubriaca» dico a voce alta con coraggio. Ho una strana sensazione sulla bocca dello stomaco e la testa mi vortica.

«Ah bene. Vedo che ricordi ogni parola che dico, però non ti ricordi...» le parole si mozzano improvvisamente, impedendo il concludersi della frase.

Non ricordo?? Forza, continua, cavolo!

«Lasciamo stare le chiacchiere, piuttosto dimmi come mai eri al Deville».

L'obiettivo era quello di svagarmi e ballare, almeno finché ho assistito a quella scena terrificante.
«Niente, mi divertivo» mi limito a dire.

«Dalla faccia che avevi, non sembravi "divertita"...» deglutisco, lui nota il mio disagio «Che hai visto?».

«Niente, non ho visto niente» la voce tremolante, però, mi inganna.

«Non ti credo, Cappuccetto. Lo so, che hai visto qualcosa».

Mi sorreggo al marmo e nervosamente inizio a mangiucchiare l'interno della guancia.
La sua altezza mi sovrasta, facendomi sentire piccola piccola.
«Ti- ti sbagli».

«Mh, mi sbaglierò, allora».
Mi guarda furbo; quegli occhi sembrano inquisitori, come se mi stiano leggendo dentro, scovando nei lati più profondi della mia anima.

«E tu invece? Ti divertivi anche tu?» provo a girare le carte in tavola.

Ci pensa un po' su, studiando per filo e per segno ogni parola da utilizzare.
«C'è gente che ha bisogno di lavorare, non tutti vanno in posti come quello per giocare».

Il tono d'un tratto torna glaciale e tagliente, come una lama affilata.

«Quindi con quella ragazza che facevi? Giocavi, lavoravi o ti divertirvi?».
Le parole che escono dalla mia bocca mi lasciano sbigottita. A me infondo, che cosa me ne frega?

«E a te cosa importa?» chiede leggendomi i pensieri.

Con un sorriso scherno si passa la lingua sulle labbra, inumidendole. Non mi da nemmeno il tempo di rispondere, che senza farsi troppi problemi inizia a girovagare per la casa.
Guardo confusa il punto sulla porta dove c'è Apollo, prima di scomparire nel soggiorno.

«Ehi, ma dove stai andando?» chiedo di getto, tentando di seguirlo.

La testa mi scoppia da morire e i piedi sono letteralmente massacrati, così lentamente, mi sfilo le Alexander McQueen restando scalza.

«Non puoi girovagare per casa mia, ti ricordo che sei un ladro».

A stento riesco a raggiungerlo; con una libertà che ovviamente non gli appartiene, spalanca la portafinestra che da sulla piscina.

«E tu sei una bugiarda, piccola Vee».

Non ho intenzione di dirgli cosa ho visto, quindi se essere presa per una bugiarda aiuta ad allontanare la verità, per me va bene.

A passi lenti raggiunge il bordo, dove il vapore ricopre l'acqua riscaldata. Il vento fresco gli scompiglia i capelli, mostrando l'orecchino argentato che ha su entrambi i lobi.

Mi lancia uno sguardo diabolico invitandomi a guardare, infatti subito dopo, porta le dita sui bottoni della camicia scuri e inizia a sbottonarli uno a uno.
Sento la mascella toccare il pavimento grezzo, e il cuore che pompa veloce tanto da esplodere.
Con movimenti fluidi si libera della stoffa, lasciando in mostra i muscoli tonici che accarezzano quella pelle priva di imperfezioni.
La schiena e' massiccia, prorompente, e solo il quel momento noto il tatuaggio che ha tra le scapole. Insieme ad esso, però, scorgo delle piccole cicatrici che mi fanno rabbrividire e chiudere lo stomaco in una morsa.

Che cosa gli è successo?

Sembra un angelo oscuro, avvolto da tenebre, mentre lentamente apre là zip dei jeans scuri, anticipando le sue intenzioni.

«Fermo!!» urlo con troppa foga «Che stai facendo?».

«Mi faccio un bagno, come minimo me lo devi» e senza pudore si sfila anche il pezzo di sotto, restando in intimo scuro. Ho le gote in fiamme, e stavolta la vodka c'entra ben poco.

«Non puoi tuffarti. Ti bagnerai e stanno arrivando i miei» ribatto biascicando.

Sento la vergogna impadronirsi di me, come se non avessi mai visto nessuno tuffarsi in piscina. Fin da piccola partecipo ai pool party di Fort Hill, quindi non capisco la mia strana reazione.
O forse la so, è colpa sua, e del suo maledetto aspetto diabolico.

«Bene, così spieghi a tutti che ci facevi a Oak Beach. Sennò, a limite, faccio due chiacchiere con Charlotte. Dici che le piaccio mezzo nudo?» mi chiede troppo divertito per i miei gusti.

«Mi sa, però, che piaccio di più a te, Cappuccetto» continua prendendosi gioco di me, quando si accorge di come lo fisso.

«Non piaci a nessuno, e non ti azzardare a tuffarti» ordino categorica. Faccio un passo verso di lui con l'indice alzato; È stato chiaro sul fatto che odia essere indicato, ma non mi importa.

Assottiglia lo sguardo, denudandomi  completamente.
«Tu dici? Ti ricordo che ho ancora il tuo diario».

Colpita e affondata

«Il mio diario?» come se mi avesse appena dato un pugno all'occhio, percepisco un dolore quasi fisico.

«Si».

Un mix tra terrore e ansia si impadronisce di me, togliendomi il respiro.
«Lo hai letto?».

«Probabile» fa spallucce con nonchalance e questo basta per farmi incazzare da morire.
Lui non è nessuno per mettere il naso nelle mie cose e sopratutto...ODDIO! NON AVRÀ LETTO LA PAGINA SU DI LUI?

Mi porto le mani avanti alla bocca spaventata. Apollo a differenza mia se la ride, come se in realtà, il suo obiettivo sia proprio quello di farmi irritare. Ci sta riuscendo alla grande, per giunta.

«Ti uccido, giuro che vengo lì e ti uccido».

«Allora che aspetti? Vieni a prendermi, Evelin Bowers» spalanca le braccia con arroganza, così senza pensarci due volte lo raggiungo a passi lenti come un bradipo.

Il fatto è che non penso sia una buona idea avvicinarmi troppo alla piscina, soprattuto ora che ci vedo doppio, però il nervoso e l'alcol mi danno coraggio.

«Sei un maleducato. Non si sbircia nei diari delle donne».

«Appunto, in quello delle donne no, ma tu sei una bambina» ribatte divertito.

«Ora sono una bambina? Giuro che se dicevi che sono un'involucro senza niente, ti prendevo a pugni».

Mi fermo a un metro di distanza da lui, ordinando al mio cervello di concentrarsi sul suo comportamento poco consono, e non di perdersi nella sua figura che vista da vicino, è ancora più notevole.

«Non ho detto senza niente, ma con un paio di tette e un bel culo» strizza un occhio facendomi arrossire.

«Ma come, tu lo puoi dire "tette" e io no? Non sarai rimasto mica a tredici anni?».

Per un secondo il suo sguardo vacilla, come le sue labbra che si schiudono sorprese.
Da quella distanza riesco persino a capire le ragazze della Columbia, che farebbero di tutto pur di avere le sue attenzioni, che però, sembra rivolgere solo a Michelle.

«Perché hai detto proprio tredici anni?».

Perché l'ho detto?

«Non lo so».

«Che significa che non lo sai?» si avvicina come un felino «Attenta piccola Vee, sii sincera con me, altrimenti ti sculaccio di nuovo. Anzi, stavolta ti mordo».

Il ricordo di me issata sulle sue spalle e la mano sul mio sedere mi manda in pappa il cervello, però sono sincera, almeno riguardo questa cosa.

«Sei uno stronzo patentato».

«E tu sei ritardata» sottolinea il concetto, stavolta più duro «E ancora non sai nuotare, quindi sta attenta a non cadere».

«La sai una cosa? Per essere uno che non fa altro che gridare quanto male voglia farmi, sembri preoccupato per me».

Ma che sto dicendo? Ovvio che non gli frega niente. L'ho pregato io di tentrare, figurati!

Un sorriso amaro si tatua sulle sue labbra, prima di accorciare notevolmente la distanza tra noi.
«Ascoltami bene. A me non me ne frega un cazzo di te, te l'ho già dette le mie intenzioni, quindi se affogassi proprio ora, non potrei godermi il "mentre". Capisci?».

Di nuovo quelle parole cattive senza scrupoli, che giungono proprio nel loro intento. Mando giù il groppo che ho in gola, fissando il serpente sul suo petto, guardo anche il ragno, tutto pur di non vedere quelle iridi tempestose.
«Ti rendi conto ti quanto puoi risultare stronzo e cattivo? E no, non ti capisco. Perché vuoi farmi male, che ti ho fatto?».

Con due dita mi alza il mento, obbligandomi a guardarlo negli occhi. Quel contatto mi fa trasalire, insieme alle lacrime che minacciano di uscire a dirotto.

«Devi sentirti fortunata per potermi parlare così. Hai la lingua tagliente e fai troppe domande».

«Non penso che tu possa impedirmi di parlare come voglio».

«Credimi, agli altri non lo permetto a prescindere, ma tu sei tutta matta, quindi».

Spalanco la bocca pronta a dirgliene di tutti i colori, ma il rumore della porta che sbatte e il susseguirsi di voci a me familiari, me lo impediscono.

Entrambi saettiamo lo sguardo alle nostre spalle, allontanando quel contatto mentale e fisico tra di noi.
«Sono tornati i miei. Se ti vedono, sono finita».

Terrore, puro ed immenso terrore.

Angolo Autrice ✍️

Ciao bambine, come va? Cosa ne pensate del capitolo? Forse vi lascio un tantino sulle spine, ma spero di non avervi deluso, nonostante tutto.

Ho una domanda da porvi e gradirei un vostro reale parere.
Cosa ne pensate di Apollo? ❤️

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