13. "E tu che cazzo ci fai qui?"
-La vita è per il 10% cosa ti accade
e per il 90%, come reagisci.
(C.S. Swindoll)
Cinque, sei, sette, otto; Cinque, sei, sette, otto;
«Evy, tieni la schiena dritta» le urla di Miss Robert riecheggiano nell'aula, sorpassando di gran lunga il suono riprodotto dal giradischi in vinile.
«Sei una piuma, non un dinosauro» continua avvicinandosi a me, battendo il bastone di legno sul parquet lucido a ritmo di musica.
Ingoio il groppo che ho in gola, tenendo lo sguardo fisso sullo specchio in maniera leggiadra ed elegante, proprio come ordina lei.
Sono esattamente tre ore che Miss Roberts mi tiene prigioniera nell'accademia, mandando in fumo l'idea di passare il fine settimana in pace.
Gli ordini di mia madre, dopotutto, non possono essere infranti. Quella mattina la prima cosa che ha fatto quando sono arrivata a casa, è stata quella di ricordarmi l'appuntamento con la mia maestra.
Non mi è mai piaciuta la danza classica, ma quando ho tentato più volte di ripeterlo a mia madre, ho ricevuto occhiatacce e lunghe prediche di come io sia intenzionata a rovinare il buon nome della nostra famiglia.
So che è il suo modo di manipolare il mio inconscio e far sì che io mi senta in colpa, e ci riesce, ma non questa volta. La mia testa è da un'altra parte, proprio indirizzata verso colui che dovrei disprezzare di più, ma che al solo pensiero, mi fa arrossire.
Per poco rischio di inciampare su me stessa, quando provo a fare una piroetta.
Maledizione, quanto lo odio. Perché mi ha stretta in quel modo?
«Va bene, per oggi può bastare» Miss Roberts mi porta alla realtà.
Afferro le mie cose di fretta, ma quando cerco di filarmela la Roberts mi blocca.
«Evelin, se vorrai partecipare al balletto dovrai allenarti duramente, altrimenti sarò costretta ad avvisare tua madre».
Ammicco un sorriso forzato e mi dileguo nel minor tempo possibile. Scendo la scalinata di fretta e una volta fuori, respiro appieno l'aria inquinata di Long Island.
Il temporale incupisce ancora di più il cielo, coperto interamente dagli enormi palazzi che riempiono la città. Il traffico come sempre è dominante, causando diversi rumori di clacson che rimbombano impazienti nell'atmosfera.
Una nota di fastidio colpisce il mio stomaco quando noto che l'auto di famiglia non c'è.
Mi porto il borsone sul capo, tentando di coprire i capelli talmente stirati e legati in uno chignon alto, da darmi il mal di testa.
Dopo dieci minuti che salto come una matta per far sì che un taxi si fermi, finalmente ci riesco.
Rientro in casa quando ormai è buio. Noto con piacere come sia tutto silenzioso, così la prima cosa che faccio è recarmi in cucina.
«Signorina Evelin, bentornata. Stavo per andare via» dice Carmen la governante, accogliendomi con un sorriso sincero.
La saluto e mi getto letteralmente su una sedia in pelle, che circonda la penisola in marmo scuro.
«Dove sono i miei?».
«Sua madre e suo padre sono usciti a cena fuori, e credo che Charlotte sia con loro».
Mi spiega lasciandomi senza parole. Non ci posso credere, io a spezzarmi la schiena e loro che se la svignano senza di me. Ma almeno cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno: posso rilassarmi in pace.
«Bene, sto morendo di fame» lo stomaco gorgoglia rumorosamente.
Carmen mi sorride con gli occhietti leggermente allungati, tipici dei tratti ispanici, poi mi accarezza il viso dolcemente. Fin da bambina lavora in casa nostra, e man mano, il nostro legame si è fatto sempre più forte, tanto da reputarla come una seconda madre.
«Speravo lo dicesse signorina» con un sorriso furbo si guarda prima intorno, poi raggiunge l'anta del freezer d'acciaio.
«Le ho lasciato un pezzo di torta, è alle fragole, la sua preferita».
Dopo aver ringraziato cento volte Carmen, vado in camera mia e mi getto sul letto.
Ho un dolore ai piedi lancinante, non ho coraggio nemmeno di fare una doccia.
Guardo il soffitto chiaro e le pareti color cipria, poi d'un tratto la porta della mia camera sbatte di colpo.
«Assurdo, guarda. Mi spieghi perché ogni volta che dobbiamo uscire non sei mai pronta?!» Kat mi guarda irritata, mentre se ne sta sullo stipite tutta in tiro.
«Come dobbiamo uscire?» chiedo confusa.
«Ti ho mandato un messaggio due ore fa, possibile che non li leggi mai?!» a grandi falcate apre la cabina armadio e inizia a rovistare tra gli indumenti.
«Ero in Accademia. Mia madre mi ha costretto ad andarci» mi giustifico, raggiungendola a passi lenti.
«Bene. Metti questi e andiamo» mi ordina categorica, passandomi un vestito blu con piccole paillette e scarpe con il tacco.
Alzo un cipiglio sconvolta, poi l'assecondo, con la differenza che invece dei trampoli, opto per delle scarpe Alexander McQueen.
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«Non mi avevi detto che il locale fosse a Oak Beach» bisbiglio all'orecchio di Kat, assicurandomi che lei possa sentirmi nonostante il chiasso.
Una miriade di gente in coda fuori all'edificio interamente in vetro, è in attesa di entrare. Due buttafuori dall'aria davvero dura, se ne stanno dinanzi la porta con le braccia conserte e gli sguardi truci. Sembrano serial killer mentre osservano scrupolosamente l'area, assicurandosi che nessuno abbia intenzione di fare casini.
«Già, me se te l'avessi detto, non saresti venuta» dice onestamente sistemandosi le onde scure sulle spalle.
La zona appare differente da quello che immaginavo; si estende su una lunga strada piena zeppa di locali e discoteche, ricordando vagamente alcuni quartieri di Las Vegas. Luci rosse, gialle e colorate, lampeggiano sulle diverse insegne, come quella dinanzi a noi che ritrae il nome "Deville". Ha persino due corna da diavolo, poste ai lati.
«Evy, comunque non mi hai detto come è andata ieri».
La guardo confusa e lei si schiarisce la gola.
«Con Apollo...mica ti ha fatto del male?».
Un tic nervoso mi prende all'occhio nel momento in cui lo nomina.
«Non si è presentato, almeno non subito».
«Si, lo so».
«Aspetta un secondo, che vuoi dire?» le chiedo accigliata.
«È venuto in camera nostra e mi ha letteralmente minacciata con gli occhi. Ti rendi conto? Quello svitato mi ha intimorito soltanto con gli occhi. È da brividi».
«Perché è un pazzo fuori testa e la prossima volta dagli un calcio nelle palle».
Batto il piede per terra nervosamente per il tempo restante. Mi irrita pensare che abbia potuto intimorire Kat, come se niente fosse.
«Ehm, Kat...Non voglio risultare ripetitiva, ma non sono sicura che sia un bene stare qui» borbotto incerta, stringendomi tra le braccia dopo un po'.
«Non fare la guastafeste, meglio questo o l'accademia di danza?» mi chiede Kat, ma non ne vedo il nesso «Vogliamo fare qualcosa di diverso, no?».
«Mh...sì, anche se è la stessa scusa che mi hai rifilato all'Arcade».
«Già, è vero. Funziona sempre però, devi ammetterlo».
Una volta pagato il biglietto, che risulta molto più caro di quello che pensavo, entriamo dentro seguendo la folla.
Il pavimento a specchio ritrae le nostre figure, che si estendono sul soffitto pieno di luci al neon.
Una musica assordante mi giunge nella profondità dell'udito, obbligandomi spesso a portarmi le mani sulle orecchie.
Una volta attraversato l'ingresso, raggiungiamo il centro del Deville.
Ragazzi di tutte l'età sono sulla pista da ballo intenti a strusciarsi tra loro, come se non ci fosse un domani.
Sembrano tutti troppo ubriachi per rendersene conto, ma questo non li trattiene affatto, anzi.
In quel posto regna il caos, e per essere una discoteca aperta da poco è davvero piena.
«Andiamo a bere qualcosa» strilla Kat, tentando di sovrastare la musica.
Annuisco, così tenendoci per mano, sgomitiamo tra il casino per raggiungere un bancone fornito di ogni tipo di alcolico.
Ci sporgiamo verso il barman, che con una camicia fluorescente si avvicina per poter udire al meglio le ordinazioni.
«Due vodka Lemon» dice Kat, ricevendo uno sguardo compiaciuto da parte del tizio che sembra avere almeno dieci anni più di noi.
Ci guardiamo intorno e iniziamo a bere. Il liquido immediatamente mi brucia la trachea, obbligandomi a tossire leggermente.
«Ma che roba è?» chiedo tenendomi il collo.
«È buono, vero?» mi chiede la mia amica spingendo il calice contro le mie labbra.
«Piano, piano».
«Ma quale piano, devi berlo velocemente, almeno ti arriva al cervello prima».
«Tenti di farmi ubriacare?» ironizzo ammiccando un sorriso finto.
Mi lancia un'occhiata, poi mi afferra dal polso.
«Tanto in una monotonia come la nostra, cosa ci resta! Andiamo a ballare, forza» dice e senza pensarci due volte ci ritroviamo al centro della pista.
Kat inizia a muoversi sensualmente a ritmo di musica, mentre io sono visibilmente più rigida.
A turno andiamo a prendere da bere, così dopo un'oretta siamo entrambe perse.
Ci stringiamo, ci accarezziamo tra noi complici come sempre, attirando l'interesse di diversi ragazzi che respingiamo immediatamente.
La musica sembra entrare in ogni cellula della mia pelle, e l'alcol inizia a fare il suo effetto.
Mi sento libera e in pace, soprattutto con la testa, che ormai, è leggiadra come una piuma.
«Allora, mi dici da sola cos'hai o devo tirartelo fuori?».
Kat mi guarda circospetta, infine sputo il rospo.
«Cosa vuoi che ti dica? Odio la danza, mia madre e poi ho conosciuto un tizio in biblioteca».
«Te lo ripeto cento volte, se non ti piace ribellati» fa spallucce, poi i suoi occhi si illuminano «E lui chi è? È carino almeno?» In realtà è più che carino, ma ora il mio pensiero non è questo.
«Si chiama Michael, è gentilissimo e educato, ma quello stronzo di Apollo lo ha fatto scappare a gambe levate» confesso all'orecchio di Kat, con una punta angosciosa.
«Michael il secchione di chimica, quello di botanica, o quello della squadra di football?!».
La guardo a bocca aperta. Mi sono dimenticata che Kat sa sempre tutto di tutto, comprese le attività della Columbia che ancora mi sono estranee.
«Non lo so, so solo che è bravo in economia, ma come ho già detto, Apollo lo ha trattato malissimo, in più vuole che gli lavi la maglia quell'idiota» formulo molti più insulti del normale.
«Porca miseria...non dirlo a tua sorella, altrimenti ti mette un cappio al collo».
«Ancora con questa storia...che c'entra Charlotte?».
«Niente, niente e quando ci arrivi tu» sospira barcollante «Comunque, hai intenzione di lavarla?».
«No, l'ho gettata via» sorrido. Bugia.
«Ci vuole un brindisi a questo punto, vado a prendere due shottini».
Rimasta sola, mi guardo intorno, poi appena una tizia con un vestito succinto inizia ad accarezzarmi, decido di andare al bagno.
Ok, ora stiamo esagerando
Sorpasso la folla e ad un certo punto mi sembra persino di sentire le mani di qualcuno palparmi il sedere, così mi sbrigo a trovare un posto più tranquillo.
Mi gira la testa, mi sento persino felice, sebbene non riesca a mettere a fuoco proprio tutto.
«Ma dove diavolo è?» biascico facendomi strada, nel tentativo di trovare la toilette.
Kat è ancora in fila, o non è Kat? Mi sa tanto che sono più brilla del previsto.
Da lontano intravedo un tendone nero come la pece, e due bodyguard ci sono davanti per fare da guardia. Non lo so esattamente cosa mi dice il cervello in quell'istante, però so solo che mentre i due vengono distratti da un tizio fuori di testa, riesco a sgattaiolare dentro.
Sogghigno soddisfatta, nemmeno avessi appena rapinato una banca.
Mi ritrovo in un piccolo tunnel contornato di moquette rossa. Riesco persino a notarla sulle pareti in penombra, perché a differenza del resto questo posto non è molto illuminato.
Sicuramente il bagno non è qui, e questa cosa viene confermata l'attimo dopo, quando un'insegna luminosa indica un punto in cima alla rampa di scale, dove c'è un Casinò.
A fatica riesco a salire, ritrovandomi dinanzi a una stanza dove alcune voci attirano la mia attenzione. Senza sapere il perché, faccio una cosa che solitamente non farei: sbircio dentro.
Pongo le mani a conca davanti alla bocca, cercando di trattenere un sogghigno divertito pari a quello di una ragazzina, che però, cambia immediatamente.
Un uomo ha la faccia spiaccicata su un tavolo, mentre grida di dolore fuoriescono dalla sua bocca. Non riesco a vedere il suo volto, ma guardo il suo abbigliamento formale e costoso, proprio come un Rolex pieno di diamanti che porta sul polso bloccato. Vengo invasa da puro terrore.
«No, no, no, ti prego!!» dice singhiozzando al tipo che gli punta qualcosa alla tempia.
Oddio, è un'arma! Cosa sta succedendo?
«Ora vuoi pregarmi? Dove cazzo sono i miei soldi? Eh?» una voce profonda e rauca mi fa sussultare.
Sento il sangue raggelarsi, e un tremolio si impossessa del mio corpo completamente pietrificato.
«Ti ripagherò, lo giuro! Ti darò tutti i soldi però ti prego, non uccidermi!».
Due tizi stanno dietro all'uomo sofferente, impedendogli di liberarsi.
«Tu mi darai il doppio. La mia pazienza ha un limite. Cosa credi? Di venire nel mio locale, accumulare debiti di continuo e andartene inerme?».
Uno dei due scagnozzi si sposta lentamente, mostrandomi appena il volto del loro capo. Ha un tono freddo, che mi si insinua fin dentro le ossa.
«Il doppio? Ma come facc...» non riesce a finire la frase, che uno di loro gli dà un pugno su un fianco levandogli il respiro.
«Sei un pezzo di merda pieno di soldi, troverai il modo di ripagarmi, altrimenti farò una chiacchierata con tuo figlio o tua moglie».
«Ehm, signore» una terza voce si intromette, irritando ulteriormente l'uomo «La stanno aspettando di sopra» lo informa, così immediatamente si passa una mano tra i capelli.
Prende un bel respiro carico di rabbia, poi sistema la giacca glitterata, per ricomporsi.
«Bene, andiamo».
«E di lui cosa ne facciamo?» chiede uno di quelli che lo tiene bloccato.
«Dategli una lezione e riportatelo a casa».
Come se avesse preferito ricevere un proiettile dritto in testa, il poverino inizia a dimenarsi pari ad un animale in gabbia. Sembra impaurito da morire, tanto da sconvolgere anche me.
«NO! ATLAS TI PREGO, TI PAGHERÒ, MA NON LASCIARMI QUI!».
«Mi raccomando, mio figlio non deve vederlo» dice con cautela prima di dileguarsi.
Impaurita mi asciugo le lacrime, che senza rendermene conto mi rigano il viso. Sento il trucco degli occhi colare, fino a sbiadirmi la vista.
Mi tengo le tempie che pulsano, infine me ne vado lentamente. Ho l'immagine di quell'uomo davanti agli occhi, tant'è che non mi accorgo di essere tornata nel tunnel.
Mi poggio di schiena contro la moquette e mi lascio scivolare lentamente atterra, finché un profumo a me conosciuto mi colpisce in faccia come un pugno.
Qualcuno con forza mi afferra per le spalle e mi issa su.
«E tu che cazzo ci fai qui?».
«E questa chi è?» sento dire in lontananza da una donna.
Un martello pneumatico mi batte nel cervello, rendendo la sua voce maschile e dura un filo ovattato. Non so perché, ma tengo le palpebre serrate.
Un urlo tenta di squarciare quel momento, ma come a leggermi la mente, lui mi anticipa.
La sua mano piena di anelli e tatuaggi si posa sulle mie labbra intimandomi di fare silenzio.
A quel punto apro gli occhi, finché mi scontro con due iridi fredde e autunnali che mi rimbalzano addosso come una maledetta onda d'urto.
«Apollo».
«Come sa il tuo nome?» continua la sconosciuta al suo fianco di cui non vedo nemmeno l'aspetto.
Apollo la ignora, concentrandosi solo su di me.
«Togliti di mezzo. E tu, vieni con me».
Mi prende per mano e mi allontana da tutto, lasciando impalata la modella che è con lui.
Fisso le sue dita intrecciate alle mie, che mi mandano un calore inaspettato che raggiunge l'intero braccio. La sua presa è bruta, ma allo stesso tempo rigida.
Attraversiamo lo stesso percorso che ho fatto io e poco prima di uscire fuori, mi incastra contro la parete, bloccandomi la strada.
«Che cosa cazzo ci fai qui? Mh?» chiede freddo come un ghiacciaio «E perché hai questa faccia? Cosa hai visto?!».
Non dico niente, guardo solo un punto di fronte a me, dove c'è un serpente tatuato che esce al di fuori dalla camicia nera.
I suoi occhi mi scrutano attentamente, soffermandosi sul mio abbigliamento diverso dal solito.
«Vee».
«Quelle...quelle persone...» balbetto con l'ansia che mi divora lo stomaco.
«Quelle persone...» ripeto in preda a un loop continuo.
«Cosa? Quelle persone cosa?» il palmo della sua mano si posa sul mio viso cadaverico.
Come se avesse appena acceso un interruttore saetto gli occhi nei suoi, che intanto mi fissano in modo strano. Il suo tocco mi brucia la pelle.
«Non toccarmi» sbotto rinsavendo «Piuttosto dimmi, che stai facendo tu qui? Mi stai seguendo?».
Il suo viso cambia di colpo, indurendosi in maniera repentina. Non c'è niente in quelle iridi all'apparenza calde, che celano una tempesta pericolosa. Ed io sto immobile, ferma, pregando che non mi inghiottino interamente.
«Invece di aprire bocca e sprecare fiato a dire stronzate, muovi il culo».
Con un gesto felino mi afferra il polso e mi trascina fuori. Cerco di liberarmi buttando persino il corpo all'indietro, ma la sua forza è imponente.
«Lasciami! Lasciami subito!» grido biascicando, perché temo che l'alcol sia ancora lì, a danzare tranquillamente nel mio organismo.
«Stai zitta e smettila» ordina esercitando più forza. Con un gesto manda indietro i capelli chiari e ribelli come la sua anima, poi quando sorpassiamo i bodyguard una cosa non passa inosservata: la loro postura rigida nel vederlo.
«Aiutatemi!» urlo, ma loro mi ignorano «Che cosa vuoi da me?».
Con un colpo si volta verso di me, facendomi finire letteralmente addosso a lui.
«Perché non ti dicono niente? Li hai corrotti, o hai minacciato di fargli del male? Ti fanno il culo, lo sai?» dico incerta, riferendomi ai butta fuori.
Non parla, tuttavia porta lo sguardo sul mio corpo esattamente all'altezza del mio seno leggermente scoperto, dove il vestito a fascia non fa il suo dovere.
Preme addosso al suo petto massiccio, così ignorando gli spasmi strani che la sua vicinanza mi provoca, lo allontano in preda alla vergogna.
«Non guardarmi le tette! E rispondimi».
«Tette?» ripete scoppiando a ridere «Ma come parli? Sei rimasta a dieci anni per caso?».
«Parlo come voglio, o è troppo infantile per uno che fino a due minuti fa, se la stava spassando come un maledetto pervertito?!».
Non so se sia a causa dei troppi shottini, ma sono letteralmente in fiamme. Mi è persino passata la paura, che grazie a lui, si è trasformata in pura ira.
«Hai ragione, me la stavo spassando prima di vedere la tua faccia viziata anche qui, e sta zitta, altrimenti giuro che ti strappo questo vestito di dosso e ti scopo nel primo bagno che capita» mi afferra dalla vita e con violenza mi stringe a sé «Questo sì che mi renderebbe un pervertito».
Ho bevuto troppo o lo ha detto sul serio?
«Non-non puoi farlo».
«Vuoi mettermi alla prova?» il respiro caldo sfiora la mia bocca, facendomi rabbrividire.
Porto le mani sul suo petto tonico non capendo più nulla. L'unica cosa che faccio, però, è scuotere la testa con dissenso.
«Bene, allora fa silenzio cazzo! Questo non è un posto per te».
Le sue parole mi ammutoliscono.
Riprendiamo a camminare, e noto come molte persone si girino nella nostra direzione. La maggior parte sono donne, ma questo non mi stupisce per niente.
Tutte tremendamente belle con gambe chilometriche, esattamente come Michelle.
«Cos'hanno da guardare? Sei stato con tutte, scommetto. Brutto maiale» dico a voce alta senza rendermene conto.
Ma cosa c'entra questo?
«Non dovresti bere. Diventi troppo diretta e non penso che una principessina come te, possa sopportarlo».
«Posso sopportare più cose di quello che immagini».
Sorride scherno, passando la lingua sulle labbra color ciliegia. Sembrano così morbidi e soffici, proprio come una nuvola di zucchero filato.
Evelin Anne Bowers, che cosa ti dice il cervello?
«Nah, non credo. Comunque, con chi sei?» non fa in tempo a chiederlo che su un palco più in là, c'è Kat intenta a ballare come una cubista.
«Fammi capire bene, è venuta tutta Fort Hill?!» dice sfregandosi il viso con una mano.
«No, solo io e Kat».
Gli ho risposto davvero?
«A sentire la gente, Miss Evelin Bowers e company, sono esattamente come mezza Fort Hill, no?!» appura e non ha tutti i torti.
«Ah-ah» gli punto un dito all'altezza del naso «Vedi che è come dico io? Sai tutte queste cose, perché sei uno stalker pazzoide. A questo proposito, chi ti ha dato il mio numero?!».
Guarda le mie unghie laccate di rosa, così con un gesto arcuato le scansa.
«Il tuo numero? Fammi pensare...forse l'ho trovato nei cessi della Columbia, affiancato da aggettivi accattivanti sul tuo conto».
Resto a bocca spalancata, tanto da sentire la mascella toccare il pavimento.
«Che, Che stai dicendo? Che ti inventi? Sei completamente matto, per caso?».
«Ancora? Guarda, che secondo il mio terapeuta sono sano di cervello, quindi smettila di farmi passare per un cazzo di koala imbecille».
«Lo sapevo...sapevo che andavi da qualche parte per farti aggiustare le rotelle. E cos'hai contro i koala? Almeno sono carini».
«Si e stupidi. In ogni caso dovresti seguire i tuoi stessi consigli, perché per essere qui, non stai tanto meglio di me, e ora falla finita che mi stai facendo incazzare».
«Tu che ti arrabbi? Che strano...Aspetta, ma dove mi porti?» chiedo appannata e impaurita, quando mi trascina da parte.
Ci sono dei tavoli circondati da poltrone di velluto rosso e come da copione, non mi degna di risposta. Percepisco il suo fastidio pure senza guardarlo in faccia.
Ci avviciniamo ad uno dei bodyguard; Apollo gli parla all'orecchio e di tutta risposta, il tizio gli indica un punto poco distante. E anche questo mi mette agitazione, e non poco.
«Mi dici perché nessuno ti dice niente e ti comporti con superiorità?» con una smorfia, declina la mia domanda.
Ci piazziamo avanti ad un ragazzo che si destra tra due donne. Gli stanno letteralmente appiccicate addosso, così mi chiedo come faccia certa gente a non avere un minimo di amor proprio. Il volto di lui sembra appagato, almeno finché vede Apollo e si drizza di colpo.
«Bello, che succede?».
«Tj, ma dove vai?» lagna una delle due.
È leggermente più alto di "faccia d'angelo" e molto più grosso, tanto da sembrare una montagna. Ha i capelli rasati è una cicatrice al lato della testa, ma nonostante l'aspetto terrificante, anche lui mostra uno strano comportamento verso Apollo.
«Ci sono problemi?» gli chiede squadrandomi interamente.
«Mi servono le chiavi della tua macchina».
«Ma andiamo!!! Sei serio? Hai voglia di scopare e devi farlo nella mia auto?».
«Dove mi vuoi portare? Io non ci muoio stasera, hai capito? Non ci vengo con te, non voglio morire...io non voglio morire, non voglio essere stuprata e finire in prima pagina sul giornale, o peggio, sulla CNN» ripeto come un disco.
Frigno come una bambina battendo i piedi per terra.
Gli occhi di entrambi saettano su di me, mentre mi guardano allibiti. Quel Tj scoppia a ridere sonoramente, mentre Apollo lo fulmina sul posto incazzato.
«Fidati, ucciderti mi renderebbe terribilmente felice, ma per ora ti riporto a casa».
Angolo autrice
Ciao bambine, come state? Cosa ne pensate del capitolo? Sono sempre molto indecisa al riguardo, quindi vorrei avere un vostro parere.
È leggermente più lungo del precedente, ma spero che non risulti pesante. Se li volete più corti ditemelo, però rischierei di dividerli, quindi non so! Un bacio ❤️
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