10."Va all'Inferno"

-Il passato doveva restare dov'era.
Se lo ripeteva ogni volta che ricordi
e rimpianti le cantavano
la solita canzone triste.
(M.Stefani)

Il vento fresco di fine settembre mi accarezza dolcemente, mentre me ne sto stretta all'ultima persona che avrei mai pensato. Riesco a percepire ogni muscolo del suo corpo rigido, potrei tracciarne ogni forma con i polpastrelli se solo volessi.
La maglietta a causa della velocità si alza delicatamente, mostrando la pelle candida e priva di imperfezioni della schiena.

Voglio mordermi i pensieri che, invece di essere invasi da un minimo di paura o pentimento per quello che è successo poco fa, sono rivolti a colui che odio più di ogni altra cosa.
Tengo gli occhi serrati più che posso, cullata dal rombo della moto simile ad una dolce melodia. Mi da una quiete che non provo da tanto e un senso di libertà singolare, che tento di cercare invano da una vita.
Non mi rendo nemmeno conto di essere giunti al capo linea, quando ormai, il veicolo è fermo dinanzi l'entrata della Columbia.

«Puoi lasciarmi, siamo arrivati».

Rinsavisco, appena la voce di Apollo mi avvisa. Mi stacco immediatamente da lui, giurando di sentirlo leggermente divertito dalla situazione.
«Meno male, guidi come un pazzo».

«Già, ma per essere un pazzo che ti disgusta, mi hai stretto davvero forte» un guizzo scherno colora il tono graffiato e maschile, tingendomi di imbarazzo.

«Non sono mai salita su una moto, non farti strani pensieri».

«Con te, gli unici pensieri che riesce a formulare il mio cervello, è come cazzo fai a non capire la differenza tra giusto e sbagliato».

Mi sfilo il casco impacciata, poi passo una mano tra i capelli per sistemarli. Non ribatto, però.

Decido di scendere da quel veicolo nero, ma l'impresa si mostra più difficile del previsto. Metto un piede in malo modo, rischiando di ritrovarmi con la faccia riversa sul pavimento, così istintivamente mi aggrappo all'unico appiglio: Apollo.

Porta prima le iridi sulla mano che ho ancora attaccata al suo braccio, poi su di me, che lo guardo mortificata.

«Stavo cadendo» dico, prendendo un bel respiro.

«Guarda dove metti i piedi, allora».

Scende dalla moto accennando una smorfia irritata. Sospira rumorosamente, assottigliando lo sguardo infuocato proprio come poco prima. Nel frattempo, mi studia allo stesso modo di uno scienziato pazzo con una cavia da laboratorio.

«Non fissarmi in questo modo. So già cosa vuoi dire, quindi risparmiati la ramanzina».

«Non ti sto fissando. Sto solo cercando un modo per fartela pagare, il che è diverso».

Butto gli occhi all'indietro portandoli sul cielo velato di nero, laddove le stelle illuminano il tutto, dando forma alle costellazioni più note.

«Farmela pagare? Non ne vedo il motivo. Non è colpa mia se quei bifolchi mi hanno trattata in quel modo, anzi non dovrebbero farli entrare. Ho il diritto di venire all'Arcade come chiunque altro».

«Tu non hai il diritto di un bel cazzo di niente, soprattutto ficcanasare nel mio territorio e farmi perdere la pazienza. Ti ho avvisato che non è un posto per te, perché diavolo non ascolti?» la voce baritonale e carica di ira mi intimorisce, però, al contempo, mi riempie di adrenalina.

«E se non mi importa di ciò che dici? Che farai? Mi divorerai, lupo cattivo?» lo provoco, intenzionata a mostrarmi forte e temeraria.

Un guizzo divertito gli balena negli occhi, che intanto mi guardano come fossi una vittima pronta ad andare al patibolo.
«Mh» mugugna «Perché no. Almeno la pianti di stare in mezzo ai coglioni».

La luna bacia il viso angelico rendendolo felino, nel momento in cui si stacca dalla moto e si avvicina a me lentamente.

«Sarei felice di sbranare ogni tuo lato impertinente, Cappuccetto. Lo domerei fino all'ultima cellula e godrei come un matto. Ne sono certo».

Giunge di fronte a me, così vengo inondata dall'odore di pino e tabacco, fresco come l'inizio dell'autunno e pungente come l'inverno.

Resto con la bocca spalancata a formare una "o"; l'aria fresca che mi entra fino in gola mi blocca, impedendomi per pochi secondi di proferire parola di alcun tipo.

«Non- non...credo che tu possa riuscirci in alcun modo».

Sfacciatamente porta un dito sotto il mio mento, così inizio a contare in ogni lingua esistente, pur di non rischiare di inciampare in quelle iridi.

«Ne sei sicura, piccola Vee?» il respiro caldo mi sfiora la guancia. Brividi mi invadono la nuca, fino ad espandersi visibilmente in tutto il corpo.
Che diavolo sta facendo?

«S-si» balbetto incerta a filo di voce.

«Allora perché stai tremando? Hai paura di me?».

«No, non...non ho paura di niente» bugie. Più che lui, temo la sensazione che sento pungermi l'addome, fino al basso ventre.

«È un grosso errore da parte tua. Sai, mostrarti così coraggiosa non ti proteggerà» sento la sua voce fin dentro agli organi, come una ballerina che danza sulle note del Can-can.
«Potrei farti cambiare idea, se solo tu lo volessi. Proprio ora».

Stiamo parlando del fatto che può farmi del male, giusto? Oddio, che mi prende?!

Deglutisco rumorosamente, quando con il pollice traccia malefico il contorno del mio labbro superiore.

«E come faresti?» chiedo senza pensare.
Il suo sguardo furbo per un secondo sembra perdersi nel vuoto, mentre osserva attentamente la mia bocca priva di salivazione.

Come rinsavito, fa una smorfia e si allontana «Sei davvero incredibile, ragazzina» fortunatamente torno a respirare normalmente.

«Quei tizi potevano farti cose che nemmeno immagini e te le saresti meritate tutte, per giunta. E invece di riflettere, ti comporti come una poppante».

«Se lo merito, allora perché mi hai salvata?» il tono di sfida che uso, lo fa innervosire ulteriormente. Con un balzo si pone a pochi centimetri da me, sovrastandomi.

«Salvata? No, no, no, Vee» scuote l'indice davanti al mio naso, verso destra e sinistra «Io non ti ho salvata, non sono un fottuto eroe».

Tento di sorreggere lo sguardo, sebbene la voce graffiata e impetuosa mi colpisce in viso. Le ciglia scure ombreggiano sulle guance, dando vita a giochi di luce inquietanti e ricchi di disprezzo.

«Si, però lo hai fatto».

«Quanto cazzo puoi essere ingenua. Non mi sono intromesso perché eri in pericolo, ma semplicemente perché non voglio dare a nessun altro l'onore di farti soffrire. Devo essere solo e soltanto io, così capirai cosa significa stare male a causa di qualcuno».

Il comportamento deviato e malsano mi da il voltastomaco, confondendomi e impaurendomi più di quanto voglia ammettere.
Sto ferma con le mani serrate in due pugni, ma quando non ce la faccio più a sostenere quella situazione, gli do le spalle e mi allontano.

«Va all'Inferno» dico di getto.

Quello sarebbe il posto per uno come lui. Voglio solo allontanarmi. La cattiveria che riesce a fuoriuscire da quelle labbra è davvero sconcertante, ma la cosa peggiore è che proprio, non capisco quale sia il suo problema.
Il cinismo e la crudeltà domano quell'aspetto angelico fino a renderlo diabolico.
Pensare di aver creduto per un secondo che mi avesse aiutata per un minimo di sensibilità, mi fa sentire ancora più stupida.

Ma infondo, cosa devo aspettarmi da uno che non fa altro che insultarmi e ferirmi dal primo momento? Un bel niente.

«Dove pensi di andare?» lo sento dire in lontananza «Ehi!».

Lo ignoro prontamente, incamminandomi a passi lesti verso una meta sconosciuta.
Attraverso il giardino del Campus, sorpassando le aiuole. L'erba curata e leggermente umida mi bagna le suole delle scarpe, mentre man mano, mi trovo a fare il giro dell'edificio.

«Vai in camera tua. I bambini a quest'ora sono a nanna».

«Mi hai riportata qui, no? Ora dove vado, non sono fatti tuoi» urlo irosa.

Attraverso il percorso pedonale circondato dai lampioni, che illuminano il tutto, con una leggera luce fioca.

«Non obbligarmi a venire lì e a trascinarti di peso».

«Se pensi che sto ad ascoltare le tue ridicole parole per altri due minuti, ti sbagli di grosso. Tu sei pazzo, sei completamente fuori di testa, lasciatelo dire».

Lo sento alle calcagna, proprio come una maledetta ombra.

«Bowers, non giocare con il fuoco e vieni  qui».

«Va all'Inferno, ho detto!» ribadisco il concetto, scandendo bene le parole.

Orgogliosa del modo in cui riesco a mantenergli testa, raggiungo un piccolo edificio a pochi metri. Le vetrate mostrano l'enorme piscina divisa da aggeggi galleggianti di plastica, posizionati apposta per separare le diverse corsie. Faccio per entrarvi, quando due mani possenti mi afferrano dalla vita e con un'abilità sovra umana, mi alzano capovolgendomi.

«Se continui a comportarti come una bambina cattiva, ci verrai con me».

Batto più volte le palpebre, così quando mi trovo con la guancia sulla schiena di Apollo, faccio di tutto per liberarmi.

«Che stai facendo? Mettimi giù».
Urlo in preda al panico. Scalcio più che posso, ma invece di aiutarmi, peggioro ulteriormente le cose.

«Sta ferma!» ordina categorico stringendo la presa.

«Ferma? Non puoi prendermi come se fossi un sacco di patate! Non ci posso credere!» urlo , sbattendo di tanto in tanto addosso alla schiena più dura del marmo.

«Ringrazia solo che non ti prenda a sculacciate, o peggio, che ti riempia di morsi».

Le guance si tingono di rosso, chiedendomi se avessi sentito bene, o il sangue mi sia arrivato già al cervello.

«Morsi? E dove? Cosa sei, un cane?».

Una risata trattenuta fa vibrare il suo corpo marmoreo, mentre pian piano sfiliamo accanto alla sua moto, dirigendoci verso l'entrata della Columbia.

«Come dove?» il divertimento che sembra essersi impossessato di lui mi imbarazza, soprattutto quando senza ritengo, mi da una pacca sulla natica destra «Ti mordo proprio qui, se non la smetti».

Un secondo, mi ha appena toccato il sedere? Come diavolo ci siamo ritrovati in questa situazione?
«Che c'è? Non dirmi che ti sei eccitata per così poco?».

Una risata malefica mi fa trasalire. Sento il cuore in gola e la voglia di fargli davvero male non mi abbandona nemmeno per un secondo.
«Sei un maniaco! Un pervertito! Un criminale! Non ti azzardare più a toccarmi il culo, altrimenti...».

Non faccio in tempo a finire la frase, che un'altra manata mi colpisce la natica sinistra.
«Altrimenti, cosa?».

Vergogna; È proprio questo quello che provo, insieme ad un'altra cosa che non riesco a spiegarmi. Mi passo una mano tra i capelli, che cadono dritti sui muscoli posteriori delle cosce del mio carnefice.

Sembra un quadro abbastanza divertente in realtà, tant'è che sarei stata la prima a ridere della situazione, se non fosse per il fastidio e il tremendo imbarazzo che cammina sulla mia pelle come una colonia di formiche.

Alzo delicatamente il capo, ma appena vedo la stanza numero 120, tiro un sospiro di sollievo.
«Mi metti giù, o no?».

Con poca attenzione lascia la presa, facendomi letteralmente rovesciare sul pavimento.
Il mio di dietro chiede pietà, quando sbatte al suolo. Digrigno i denti e punto le iridi infuocate su di lui, che intanto mi osserva divertito dall'alto. Vorrei tanto togliergli quel sorrisino bipolare dalla faccia, così da vedere chi ride per ultimo.

«Forza, va a dormire. Per stasera hai già combinato troppi casini!» esclama esasperato, con un sopracciglio arcuato.

Balzo in piedi e come una furia gli do una spinta.
Una delle poche cose che difatti mi fa perdere la pazienza, è sentire qualcuno che tenta di darmi ordini. Mi bastano già i miei per quello.

La sua schiena sbatte contro la porta di legno che ritrae il numero della mia camera, e in questo momento spero solo che Kat ancora non ci sia.
Assottiglia lo sguardo, poi scoppia a ridere di gusto.
«Ora si, che sembri una gattina!».

«Non darmi ordini tanto per cominciare, e poi...» ho l'indice puntato addosso al suo petto tonico, quando con una mossa veloce e imprevedibile, Apollo mi afferra dal polso e capovolge la situazione.

Sbatto la guancia sulla porta marrone, ritrovandomi incastrata addosso ad essa.
Lui sta dietro di me, con il mio braccio rigirato tra le mani. Il cuore batte forte per L'adrenalina, tuttavia non credo che questo sia l'unico motivo.

«Lo sai, Cappuccetto?» il suo viso come un incastro perfetto, si posa sulla mia spalla. Il respiro caldo ed erotico mi sfiora il lobo dell'orecchio facendomi rabbrividire «Per essere una viziata fastidiosa, hai proprio un bel culo».

Deglutisco rumorosamente; il profumo di fresco si insinua nuovamente nelle mie narici, come la sua presenza che mi attraversa lo stomaco.
«Ma non puntarmi mai più il dito contro, altrimenti mi incazzo sul serio».

«Il mio culo ti dice grazie» farfuglio.

Quando finalmente mi lascia andare, mi volto lentamente verso di lui. Sorride diabolico, senza nascondere quel guizzo malizioso che lo obbliga ad inumidirsi le labbra.

«Anche tu potresti dirmi "grazie", per averti tirato fuori dai guai» poi fa un passo verso di me, che mi conficco letteralmente addosso il legno alle mie spalle «Sarebbe carino che mi succhiassi il cazzo, invece di comportarti come un'isterica».

La mascella tocca il pavimento. Impacciata distolgo lo sguardo da lui, che invece, mi studia attentamente. Percepisce il mio imbarazzo e lo usa verso di me, a suo piacimento. Non riesco a credere alle parole che riesce a pronunciare con una semplicità simile alla lettura della lista della spesa.

«Ops! Scusa, dimenticavo che sei una povera vergine. Non ti avrò mica sconvolta?».

«E tu che sei un povero idiota. O ti sei dimenticato anche di questo?» taglio corto, paonazza.

Aggrotta la fronte sorpreso, poi a differenza di quello che penso, invece di farmi qualcosa di male, ride divertito.
«Va a dormire, Cappuccetto. Mi hai fatto perdere già abbastanza tempo».

«Non te l'ho chiesto io di "salvarmi"» affermo imitando due virgolette con le dita, solo per irritarlo.

«In realtà, lo hai fatto eccome» lo guardo confusa, quando porta una mano in tasca e sfila il solito pacchetto rosso «Il fatto che tu soffra di alzheimer, non lo cancella di certo».

Lo fisso imbambolata; una strana malinconia si alleggia nel mio cuore, ha un profumo leggero e ricco di angoscia che tenta di aggrapparsi a ricordi soppressi nella mia mente.

«Che stai cercando di dire?».
Ho la sensazione di essere risucchiata da un vortice, che al contempo, mi toglie la capacità di respirare regolarmente.
Lui invece è impassibile, come se avesse pronunciato la frase più normale del mondo.

«Chissà, Evelin. Forse, in un'altra vita te ne saresti ricordata».

Se ne sta ancora avanti a me, mentre con i denti sfila una sigaretta e la porta alla bocca.
Restiamo per un po' fermi, poi con una smorfia nostalgica, Apollo se ne va.

Lo osservo allontanarsi, finché la sua figura scompare completamente dalla mia visuale.
Sento il cuore in gola, anche se non capisco esattamente il significato delle sue parole, una cosa la so: Apollo e io, già ci conosciamo.

Ma la vera domanda è, come ho fatto a dimenticarmi di lui? Alla fine si tratta di questo, no? Di me, che come la scema più totale, mi sono scordata cose che riguardano uno come lui.
E francamente, ce ne vuole, eh!

Come ho dimenticato il motivo che mi ha spinta ad andare all'Arcade senza di Kat, ovvero il mio maledetto diario, che ancora una volta si trova nell'ultimo posto sicuro al mondo, nelle mani di quel diavolo incantatore.

                
             🥀🥀🥀🥀🥀🥀🥀🥀🥀🥀🥀

Passo gran parte della nottata insonne. Fisso il soffitto, ammirando la luce fioca della luna piena che entra dal vetro della finestra.
Sospiro di continuo, per fortuna Kat non sente nulla, almeno mi risparmio nel raccontarle lo strano rebus che è diventato il mio cervello.

La mia amica è tornata un'oretta dopo che sono entrata in stanza. Non mi ha detto nulla, solo che aveva voglia di dormire. Avrà bevuto litri di champagne di sicuro, tutto pur di sfuggire all'orribile serata insieme ai suoi.
Non servono mille parole per capirci, difatti, una delle poche cose che ci accomuna, è proprio la scarsa voglia di trovarci con i nostri genitori per più di dieci minuti.

Ora però, il mio problema non è mia madre o Charlotte, o le mani addosso di quel tizio squallido dai capelli blu che mi avrebbe fatto sicuramente qualcosa di male se solo lui non fosse intervenuto. E per quanto sia una cosa davvero terribile, non lo è di certo come il pensiero singolare che il mio corpo sta riversando proprio su Apollo.

Ripenso di continuo alle sue parole, al nomignolo che mi ha dato fin da subito e alla frase che mi ha stupita e confusa.
In realtà, me lo hai chiesto eccome.

Quando? Come? Perché? Mi mordo la guancia nervosamente, cercando di trovare una risposta, poi però senza rendermene conto, mi trovo tra le braccia di Morfeo.

«Credevo non ci fossi, oggi» mi volto di scatto in direzione di quella voce delicata e infantile.

I suoi piedi camminano in equilibrio sulle pietre che circondano il laghetto; se ne sta a braccia aperte, proprio come un giocoliere alle prese con qualche spettacolo incredibile.

«Che fai? Puoi cadere» un'altra voce femminile, ma più debole, proviene a qualche metro più in là.

La luce accecante del sole mi impedisce di scorgerne i volti, facendomi soffermare sulla fisicità ancora troppo piccola dei due.

«Che dici? I supereroi non cadono».

«Si, ma tu non sei un supereroe. Sei solo un bambino, proprio come me».

Con un saltello il bambino, raggiunge il percorso brecciato che circonda la piccola distesa d'acqua cristallina. Le scarpe da ginnastica bianche scricchiolano sul terreno, quando si avvicina all'altra figura.

«Lo vuoi sapere un segreto?».

«Si, ma se me lo dici, poi non è più un segreto».

Una risata giocosa esce fuori dalla bocca del bimbo.
«Non tutti i supereroi indossano una maschera. Altri hanno un'armatura, e anche io ce l'ho. Proprio come Iron man».

La bimba alza lo sguardo, ma non vedo nulla, solo un paio di pantaloncini blu e l'orlo di una maglietta bianca.
«Mia madre dice che queste cose non esistono, quindi non ti credo. Sei un bambino bugiardo».

«Allora tua madre è una stupida. Esistono eccome e un giorno te lo dimostrerò!».

«E come farai?» chiede la ragazzina troppo scettica per essere in un'età piena di fantasia e sogni. I suoi però, sembrano sgretolati come una foglia d'autunno secca e calpestata.

«Ti salverò, salverò tutti un giorno».

«Una sola persona non può salvare tutti, che dici?».

«Allora salverò solo te».

«Me lo prometti?» chiede la bimba con voce spezzata e colma di speranza.

«Si, ti salverò sempre, così sarai la mia principessa».

Angolo autrice
Ciao bambine, come state?

Volevo sapere cosa ne pensate del sogno di Evy. Ho intenzione di integrare i suoi ricordi piano piano, quindi spero di essere riuscita a mostrare una piccola briciola.

Scusate gli errori, rimedierò il prima possibile. Comunque, vi è piaciuto il capitolo? Fatemi sapere ♥️

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top