47. CUCÙ... BAH

Le lancette dell'orologio correvano veloci. Megan si rotolava nel letto senza trovare pace. Erano ormai le cinque del mattino e la ninfa si domandò se fosse il
caso di alzarsi definitivamente; stranamente la morbidezza del materasso la stancavano ancora di più, senza acconsentire al cedere del sonno.
Un rumore la fece rizzare. Si portò a sedere e allungò le orecchie. Proveniva dall'alto.
"Adrian non può essere" formulò velocemente il pensiero.
L'Elfo non era ancora rientrato dalla Sede assieme a Jack. Era stato proprio quest'ultimo ad insistere. Schiacciato dal peso del rimorso, aveva pensato bene di incontrare gli Anziani quella notte stessa, per far sì che fosse lui in prima persona a raccontare l'accaduto, e ricevere nell'immediato la giusta punizione.
"Probabilmente si saranno trattenuti per le cure. Ma allora chi c'è in soffitta?"

Un altro scricchiolio la fece alzare del tutto. Questa volta era più vicino. Fissò con attesa la porta della camera, sperando di veder fare il suo ingresso Cristian. Ma nessuno giunse a proteggerla in quella notte buia.
Si voltò a guardare fuori dalla finestra, pentendosi amaramente di non aver chiuso le serrande la sera prima.
Il cuore le batteva in modo sfrenato, la corsa accelerò quando un'ombra si protese lentamente nella stanza. Dapprima una scia confusa, per poi allargarsi sempre più nitida. All'apparenza sbagliata, Megan scambiò la proiezione per un grosso gatto randagio vagante sui tetti di fronte, ma quando i bordi acquisirono la giusta consistenza, allora l'idea di sconforto balzò alla mente. E quando il gigantesco felino apparve in carne ed ossa oltre solo la vetrata a dividerli, la ninfa smise di respirare.

Seppur la mente urlava, dalla bocca non uscì neppure il minimo sibilo.
Gli occhi verdi della pantera la puntarono micidiali, freddi, diabolici. Bellissimi.
Il lucido mantello nero si mosse sinuoso al chiaror della falce di luna, accompagnando la silenziosa danza della fiera, che nervosamente si muoveva avanti e indietro sul piccolo balconcino.
Più del doppio di un suo simile, l'animale la trafisse con uno sguardo estremamente umano e cosciente. Quell'essere, malgrado le sembianze, aveva tutto d'umano e nulla di bestiale.
Megan a quel punto cominciò ad arretrare e sperare che qualcuno giungesse a salvarla come per magia.

Una zampata ben assetata e la porta venne spalancata.
"Non può entrare, c'è la cenere" si convinse lei, ma la pantera fece presto a vanificare ogni speranza; così posò il primo passo sul caldo pavimento interno. Lentamente posò pure il secondo e dunque entrò con tutto il corpo. La ninfa come una statua rimase immobile. Impietrita dal terrore e dallo sgomento, tremò come una foglia su di un albero in inverno. Tanto era bella la bestia quanto terrificante. Si muoveva a rallentatore, calibrando ogni centimetro, e proprio come nella giungla la pantera si mimetizza con la natura pronta a far sua la preda, così fece all'ora. Scoprì i grossi canini bianchi ed un ringhio basso e cupo fuoriuscì dalla bocca assassina.
Si preparò ad attaccare.

Quando successe, Megan non riuscì a sostenere la scena, chiuse istintivamente gli occhi ed urlò con tutta la forza in possesso. Il corpo si accese di una luce potente, accecante, benevola, colpendo l'oscurità e scaraventandola al muro. Sconfitto, il corpo dell'animale giacque immobile sul pavimento per pochissimi secondi, poi scattò nuovamente sulle quattro zampe, leggermente intontito e singhiozzante nella corsa, fuggì dalla stessa finestra dalla quale era entrato.

Immediatamente la porta venne spalancata e le due Templari, ancora assonnate ma pronte a combattere, fecero il loro ingresso con armi in mano.
<<Cosa è successo, Megan?>> chiese Jessica col batticuore, guardandosi attorno, <<e perché la finestra è aperta?>>
<<L-la la pantera>> sbottò di colpo, dopo un principio di balbuzia.
<<Che cosa?!>> Melita sobbalzò a piedi scalzi e col pigiama di pile turchese. Non propriamente un abbigliamento da temere.
<<Sì, è entrata dalla finestra. Col cavolo che gli Oscuri non possono entrare se c'è la cenere!>> isterica, strillò, poi si guardò attorno non riuscendo a comprendere come mai Cristian non fosse stato il primo ad accorrere. Una dolorosa supposizione iniziò a farsi largo in lei ed il cuore venne stretto in una morsa dolorosa. Si voltò, calcando i passi con furore correndo lungo il corridoio.
<<Ehi aspetta, dove vai?>> le ragazze la raggiunsero. Si fermarono di fronte la porta spalancata; all'interno, il letto vuoto e la camera in disordine lasciavano intendere che l'occupante avesse subito una visita improvvisa ed indesiderata.

<<Cristian>> gracchiò Megan, coprendosi la bocca con entrambe le mani. La pantera era stata anche da lui, ne era certa, ed il Templare non era stato fortunato quanto lei.
<<Oh mio Dio! L'hanno preso...>> dei fragorosi rumori interruppero il pensiero di Megan. Provenivano dalla cucina e le ragazze non persero tempo, riconoscendo una voce. La ninfa giunse con qualche secondo di ritardo rispetto alle amiche, le quali si erano già buttate nella mischia.
Cristian, nettamente in difficoltà a causa della ferita e la stanchezza, conseguenza del tonico, affrontava ben sette Oscuri riuscendo a malapena a tenergli testa. Non avrebbe resistito a lungo; non era nella sua forma migliore. E anche Megan lo capì subito. Tentò, perciò, di richiamare nuovamente l'energia della Terra, ma non successe nulla, anzi, una sfiancante debolezza l'assalì; se non ci fosse stata l'adrenalina a sorreggere il corpo, sarebbe stramazzata al suolo priva di forze. Ma non poteva ancora abbattersi, si sorresse all'angolo dell'isola rettangolare e pregò l'arrivo di rinforzi. Cristian accortosi solo ora della presenza della fanciulla, la fissò con sconforto; uno sguardo attraversato da preoccupazione, rabbia e dolore. Impotenza.
Non le avrebbe potuto dire di correre all'interno della stanza, assurdamente nessun angolo della casa era al sicuro. L'unica salvezza per loro era riuscire a sconfiggere la forza avversaria; ma sembrava un'impresa assurda, perché più passava tempo e più altri Oscuri piombavano come missili dalle finestre. C'erano così tanti combattenti in così poco spazio che si faceva difficoltà a distinguerli tra loro. Tutti e tre i Templari si trovarono ad affrontare un numero eccessivo di demoni.

Si presentarono tutti all'appello: striscianti, cento denti, corazzati, segugi e anche qualche mutante. Un grosso lupo, dal manto nero, ululò; probabilmente un segnale a richiamare gli altri compagni. Poi si avventò sulle spalle scoperte di Cristian, il quale preso dalla battaglia non riuscì ad anticipare l'attacco. Venne morso alla spalla sinistra, la stessa colorata di nero dal lungo tatuaggio. Il giovane urlò di dolore, ma riuscì a contrastarlo; afferrò l'animale dalla pelliccia sul dorso, strattonandolo, per poi lanciarlo lontano. Il lupo guaì quando cozzò contro lo spigolo della finestra ed un vetro rotto si conficcò nello sterno.
"Ne sono troppi... perderanno" ragionò con sconforto Megan. "Perché non c'è nessuno sui tetti ad accorrere?" non ci fu bisogno che qualcuno le desse una spiegazione. La terribile risposta giunse da sola. Nessuno sarebbe accorso perché gli Oscuri avevano di già provveduto ad eliminarli.

Ma una speranza ancora ardeva in loro. Di lì a poco sarebbero giunti i rinforzi.
Infatti, non ricevendo più notizie da parte delle sentinelle sui tetti, in Sede la preoccupazione aveva cominciato a serpeggiare per i corridoi; un piccolo esercito stava armandosi e nel giro di pochi secondi, Elfi e Templari, avrebbero percorso le strade di Roma per giungere in soccorso. I tre amici lo sapevano, strinsero perciò i denti; avrebbero dovuto attendere solo ancora pochi minuti. Nessuno doveva arrendersi o farsi male.

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