46. FALSA QUIETE

Jessica e Melita, sconvolte nel ritrovare la casa in quelle condizioni, e gli abitanti ancor peggio, si trattennero nella camera della ninfa con la pretesa di farsi raccontare l'intera vicenda. Megan iniziò a spiegare i fatti sin dall'inizio; dal messaggio ricevuto, il telefono spento in un cassetto e il bel tramonto sulla scogliera. Tralasciò deliberatamente il bacio e i discorsi affrontati, la sua vita personale non era rilevante al momento.
<<Ed io che pensavo che un Oscuro ti avesse rapita>> disse Melita portando una mano sulla tempia. <<Mi scoppia la testa. Io e Giacomo abbiamo perlustrato l'intera Roma in sole tre ore... anche se poi a cosa sarebbe servito? Se ti avesse presa Stevan o Alessandro, dubito ti avrebbero trattenuta in città.>>

Megan fissò l'amica e poi si morse un labbro, percependo la colpevolezza strozzarle lo stomaco. Jessica non aveva partecipato alla conversazione, si era limitata ad ascoltare le parole uscire dalla bocca dell'amica senza commentare a sua volta, come invece era solita fare. Da più di un quarto d'ora fissava assorta la trapunta sulla quale era seduta, accarezzandola ripetutamente compiendo sempre lo stesso gesto.
<<Jes, mi dispiace>> e a quel punto la rossa alzò il capo puntando gli occhi gonfi e arrossati in quelli della ninfa. <<So che Cristian ha riversato su di te con rabbia gran parte dell'ansia e mi dispiace davvero tanto perché è solo colpa mia.>>
<<No Megan, non solo. Certo, siete state delle teste di cazzo, ammettiamolo, soprattutto quell'idiota di mio fratello, ma Cristian si è comportato davvero male con me. E so bene che anch'io ho sbagliato, ma sono umana, ho bisogno di dormire e riposare per poter andare avanti. Lui però mi ha aggredita come mai prima d'ora. Non l'ho mai visto comportarsi in quel modo, e credimi, ciò mi ha fatto ancor più male delle parole usate per aggredirmi. Ho capito una cosa>> deglutì ed una lacrima si staccò dalla guancia cadendo sul dorso della mano. Quando riparlò la voce tremolò: <<e cioè che non gliene è mai fregato un fico secco di me.>>

<<Ma non dire così>> l'abbracciò Melita, accogliendo sul suo petto il nuovo pianto disperato.
<<Lo sai che ti vuole bene. Era agitato ed arrabbiato, e sappiamo bene quanto straparli in tali situazioni. Dice cose che non pensa realmente, o non del tutto. Lui è il Primo Custode di Megan, e in un certo senso la colpa sarebbe ricaduta unicamente su di lui se non fosse ritornata. Forse ha accusato eccessivamente il peso del dovere.>>
<<Sarà... ma tu non c'eri quando è rientrato a casa, non hai sentito cosa mi ha detto e soprattutto come l'ha detto. Mi ha distrutta!>> continuò a singhiozzare e pure Megan si fece assalire dalla tristezza. Si morse la guancia interna fino a percepire il tipico sapore ferroso, sperando che il dolore bloccasse l'emozione.

"Cosa ho combinato?! Ho distrutto tutti in un solo pomeriggio. Ma certo che sono proprio sfigata... non me ne va bene una. Proprio così presto doveva tornare, Cristian, pomeriggio? Se solo fosse rincasato allo stesso orario di sempre, a quest'ora forse staremmo tutti sul divano a vedere un bel film, senza preoccupazioni".
Malgrado i sentimenti quasi di astio provati solo poche ore prima nei confronti di Cristian, non poté che pensare continuamente a lui; quanta preoccupazione l'aveva assalito? Ed ora come stava?
<<Sapete come sta?>> domandò soprappensiero. Le due Templari si voltarono non capendo propriamente a chi si riferisse, se a Jack o Cristian.
E allora Megan si apprestò a chiarire: <<so che Jack sta molto meglio dopo aver bevuto il tonico. Me l'ha detto Adrian poco fa, quando è venuto a trovarmi. Ma di Cristian non so nulla, e seppur si sia allontanato da solo, è proprio lui quello ad esser conciato peggio. Sapete se la gamba è stata curata da qualcuno, o non so, magari se è andato in Sede dagli alchimisti...>> sospirò socchiudendo gli occhi. La preoccupazione l'aveva più volte spinta ad alzarsi dal letto, ma subito dopo neppure due passi in corridoio, il timore del rifiuto, l'aveva rispinta a fare dietrofront; troppo vile il pensiero di come il Templare l'avrebbe potuta accogliere una volta attraversata la porta di camera.
"Sono una codarda" si giudicò con sdegno.

<<Non sappiamo Meg>> gli rispose Melita <<non permette a nessuno di entrare nella stanza, ma stai tranquilla, è un Templare e la ferita di certo non è mortale. Ti assicuro che molte volte ha fatto rientro in Sede in condizioni peggiori. Vedrai che con un'abbondante dose di tonico e una bella dormita si rimetterà in forma prima di quanto immagini.>>
Megan annuì velocemente, non voleva lasciar trapelare nessuna informazione che rivelasse quanto tormento la seviziasse in quel momento. Nuovamente un conato di liquido acido risalì la gola raschiandole l'esofago e lei lo costrinse a riscendere in basso, sopprimendo insieme a questo la coscienza depressa. Ci avrebbe pensato l'indomani a sistemare le cose col suo Primo Custode, per quella sera la vigliaccheria e la paura di essere rimproverata l'avrebbero tenuta distante dai problemi.

Jack si spinse fin davanti la porta della camera della ninfa, verso sera inoltrata, quando era già ora di andare a letto; seppur nessuno nella casa riuscì a trovare presto la tranquillità necessaria che li avrebbe accompagnati ad un sonno sereno. Ma Megan non gli concesse il permesso di entrare. Finse di stare già dormendo, nonostante i ripetuti colpi sul legno insistettero con intensità crescente per alcuni secondi. Alla fine il giovane aveva sospirato sconfortato ricalcando le orme al contrario e tornando a chiudersi l'uscio della propria camera da letto alle spalle.

La notte tese le braccia nel silenzio dell'aria gelida, rendendo cieco e monocromatico ogni dettaglio a caratterizzare il circostante. La fanciulla rimase nella stessa posizione per minuti che parvero ore; con le mani incrociate al petto e gli occhi a fissare un soffitto spoglio che non le avrebbe concesso il perdono né le risposte cercate. Alle due di notte decise di andare a procacciarsi da sola le tanto temute risposte.
Si incamminò spedita nel silenzio del corridoio e senza indugiare raggiunse la fine di esso, posizionandosi di fronte la superficie chiusa di una porta. Alzò una mano con l'intento di bussare, ma poi la paura di poterlo probabilmente svegliare la bloccò. Senza indugiare oltre, col timore di essere rispedita indietro dalla solita coscienza pavida, posò la mano sulla maniglia calandola lentamente.
Come si aspettava, Cristian stava dormendo.
Una piccola luce accesa sul comodino l'unica compagna nella notte. Accanto al letto una sedia sorreggeva un bacinella d'acciaio e, all'interno, lei contò delle forbici, un ago ed un filo bianco, assieme a tante garze sporche di sangue e prodotti per disinfettare.

Si morse il labbro aggrottando la fronte. Cristian aveva provveduto da solo alle cure, suturando la ferita sulla coscia. E la tenerezza di vederlo disteso su un letto l'assalì.
Cristian era solo. Lo era sempre stato. Fin dalla tenera età aveva dovuto provvedere da solo a colmare i vuoti di un affetto mancato. Un affetto fondamentale e di assoluta importanza. Era dovuto diventare uomo quando ancora era bambino. Non c'era da stupirsi se spesso mostrava il lato nero della vita. C'era stato poco arcobaleno nei suoi giorni.

Cautamente, scansò la sedia sedendosi al fianco del giovane. Il petto nudo si alzava regolarmente sotto il peso del sonno. Un sonno profondo indotto probabilmente dall'eccessiva dose di tonico ingurgita, Megan ne contemplò per alcuni istanti il flacone stappato e lasciato vuoto sul comodino.
Malgrado il viso disteso, gli scatti improvvisi e frequenti dell'intero corpo dimostravano quanto dolore lo accompagnasse in quella notte. Allungò una mano posandola delicatamente su quella di lui. Poi accarezzò senza neppure sfiorare, i lineamenti del viso; un volto perfetto, malgrado fosse stato vessato dai colpi. Un labbro tagliato ed uno zigomo leggermente livido ne distorcevano la bellezza mascolina.
<<Scusami... non succederà mai più. Mai più ti farò preoccupare>> la voce si udì a malapena. Si sporse in avanti, voleva lasciare sulle labbra di lui un bacio lento e sofferto, ma ci ripensò. Il contatto avrebbe potuto farlo destare. Di sicuro altra agitazione non gli avrebbero fatto bene.
Sapeva che il loro rapporto non sarebbe tornato mai più com'era un tempo. Non dopo quello che Jack aveva detto e quello che lei aveva fatto.

<<Forse è meglio così>> ragionò solitaria, mentre faceva rientro nella propria camera. <<Il mio destino a quanto pare è con un'altra persona. La salvezza della terra e del genere umano mi vedono al fianco di Adrian. Non ci sarà spazio per i sentimenti ed il volere di una stupida ragazzina.>>
D'ora in avanti avrebbe messo la testa a posto, si promise. L'indomani avrebbe fatto visita ad Elias, si sarebbe impegnata per migliorare se stessa. La vita delle persone che amava erano nelle sue mani. Prima avrebbe capito come utilizzare il potere dell'aria e prima avrebbe liberato l'umanità dalla peste oscura.
Ci sperò pure lei in quel momento. Il desiderio di veder salvi i propri amici la spinse nel credere nell'impossibile.

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