Che rumore fa la felicità?


Si morse il labbro inferiore, mentre il suo sguardo si perdeva in lontanza, oltre al finestrino sudicio rigato dalla pioggia incessante che cadeva dal cielo plumbeo di Milano.
La metrò era già piena alle sette in punto del mattino, eppure lui non dava peso a nessuno, neppure a quelle persone che lo sfioravano per sbaglio ogni volta che le porte scorrevoli si aprivano.
Era abituato.
Si mise a posto la borsa a tracolla, e controllò che non mancasse nulla. Aveva un lavoro importante quel giorno da svolgere. La voce dei Negrita nelle cuffie calcate sulle orecchie gli chiese per l'ennesima volta che rumore avesse la felicità e lui, per l'ennesima volta, immaginò un viso e una risata da bambina. Due grandi occhi scuri, ma non neri, di quel blu scuro che il cielo notturno assumeva ogni volta nelle notti estive, serene, lontano dallo smog e dallo stress di quella citta che inglobava le vite dei suoi abitanti insieme al cemento e alle guglie del Duomo.
La voce metallica dell'autoparlante annunciò la prossima fermata e il ragazzo si accostò all'uscita, senza fretta.
Le note ritmate della canzone avevano invaso completamente la sua testa, mentre cercava nelle tasche il foglietto con l'indirizzo scribacchiato sopra in fretta qualche sera prima.
Si stava sforzando di tornare alla normalità, ce la stava mettendo davvero tutta.
Alaric si morse un labbro, mentre una specie di tintinnio attirava la sua attenzione. Un suono lieve che pure si era fatto sentire oltre alla protezione delle cuffie.
E lui sapeva benissimo cosa fosse, eppure non riuscì a trattenersi dal voltare la testa da quella parte. La direzione del continuo scampanellio proveniva da una ragazza, era aggrappata alla metrò con un braccio, e stava ridendo con un gruppo di amiche.
Doveva avere quattordici anni, la cartella sulle spalle, una cicca in bocca, lo sbarlucicchio di un orecchino azzurro sul lobo sinistro. E una semplice collana d'argento con attaccata una sfera del medesimo colore con delle decorazioni d'oro. Una bambina si divertiva a farla tintinnare, probabilmente la sorella minore.
" Richiama angeli ".
Ecco come si chiamava quel genere di campanelline, quei gioiellini che emettevano lo stesso suono che aveva udito tanti anni prima.
Gli occhi della ragazzina erano di un azzurro chiarissimo, forse opera di qualche lente a contatto colorata. Quel suono e quella scena quasi lo distrasse, ma poi le porte si aprirono e lui saltò giù, riprendendosi.
Lanciò un'occhiata all'orologio al suo polso e si trattenne dal dire una parolaccia.
- Dove diavolo è l'uscita?
Appena sbucò all'aria aperta una sottile piogga fine iniziò a insinuarsi sotto al suo impermeabile scuro, procurandogli brividi freddi e un forte desiderio di un ombrello qualsiasi sul capo. I suoi occhi come al solito rimasero incatenati per qualche istante alla vista del Duomo in lontananza. 
In mezzo alla gente attacata ai telefoni sotto agli ombrelli o che correvano di qua e di là, rimase meravigliato come al solito alla vista della piazza del Duomo quasi vuota.
Era un evento davvero raro, in ogni circostanza.
I capelli gli si appiccicarono sulla fronte, mentre i suoi occhi coglievano, man mano che si avvicinava, un unica persona ferma di fronte alle porte chiuse del Monumento simbolo della città.
Le mani pallide sorreggevano un ombrello completamente nero, con il manico d'argento elaborato.
I lunghi capelli neri ricadevano qualche centimentro sotto al cocige, e si muovevano lievemente, mentre le gambe, lasciate scoperte da una gonna a scacchi rossa e nera, erano rivestite fin sotto al ginocchio da spessi stivali neri di pelle con i lacci sanguigni ben stretti.
Un brivido, non di freddo, si insinuò sulla sua pelle e il ragazzo spalancò gli occhi.


(Quattro anni prima, pov. Alaric)

Il sole accarezzava la chioma del faggio sotto al quale mi ero sdraiato per studiare, il borsone a tracolla per i libri abbandonato di fianco a me, gli occhiali da sole tra i capelli e il libro di algebra sulle ginocchia.

Non lo stavo neppure guardando, a dir il vero.

Chiusi gli occhi, cercando di liberare la testa da tutti quei numeri e sospirando.
La verifica del giorno dopo di matematica non era propriamente un grave problema, constatando che avevo un ottima media e che un'insufficenza non l'avrebbe di certo abbassata, ma mia zia era rigida su ciò che riguardava la scuola.

- Alaric! Alaric!

Sospirai, riaprendo gli occhi e trovandomi di fronte la mia migliore amica, Freya, con i ricci bruni
scompigliati e i suoi grandi occhi scuri socchiusi mentre provava a riprendere fiato, piegata in due dalla corsa.
Era una ragazza magra, con i tratti del viso morbidi e tondeggianti dove quei suoi occhi neri risaltavano ancora di più, perfetti sulla sua pelle olivastra.

Ci conoscevamo dalle elementari ed era come una sorella per me.
Le ero stato accanto nei momenti difficili, come quando aveva scoperto di amare le ragazze e per questo a scuola l'avevano derisa, e lei c'era stata quando mio padre era stato trovato morto due settimane prima.

Anche lei non credeva al suicidio.

L'ultima visita che gli avevo fatto vi aveva partecipato anche lei e lo aveva trovato normale e sano.
Non capivamo come fosse potuto succedere...

La ragazza si passò una mano tra i capelli corti e scompigliati, per poi lasciarsi cadere di fianco a me, sbuffando nel suo tipico modo un po' da maschiaccio.
- Miseriaccia, Alaric! Ti ho cercato dappertutto, ho dovuto persino attraversare mezza città in taxi e tu sai quanto io detesti i taxi che alimentano soltato il buco nell'ozono e l'inquinamento atmosferico!- mi aggredì, togliendomi dalle mani il libro di algebra e ficcandolo nella mia borsa - Sai che sta sera c'è la festa a casa di Chiara! Devi sorbirti con me la sua "immersione" nello shopping alla ricerca del vestito giusto!

- Freya... Chiara è la tua ragazza, non la mia!- le ricordai, alzandomi e mettendomi a tracolla il borsone.

Ormai avevo capito che quel pomeriggio non l'avrei potuto trascorrere in alcun modo se non
uscendo con la mia migliore amica e la sua rossa fidanzata.
- Ma lei ci tiene al tuo parere, e poi mi sa che vuole prenderti qualcosa di "decente" per sta sera...

- Perchè così non vado bene?- inoridii, guardando le mie scarpe da ginnastica consumate, i jeans stretti strappati sulle ginocchia e la maglia dei Nirvana sotto alla mia felpa verde militare.
Mi piaceva il mio stile.

Insomma, ero un ragazzo normale amante della buona musica e dei luoghi tranquilli, a parte i concerti delle mie band preferite e della mia band.

- Comunque tu inizia ad andare, tanto non ti abbandono e vi raggiungo al centro commerciale. Devo comprare le corde per la mia chitarra, ieri quel coglione di Dario me ne ha rotte due...- grugnii lievemente scocciato al ricordo, mentre lei rideva.

- Per questo io canto soltanto nel gruppo e mi sono rifiutata di fare la seconda chitarra!

- Lo sai che sono stonato...- le feci notare, mentre arrivavamo all'uscita del parco.
- Va bene, ti aspetto là con Chiara!- mi sorrise, dandomi un pugno sul braccio con il suo solito sorriso e incamminandosi con le mani in tasca mi fece l'occhiolino.
Mi passai una mano tra i capelli chiarissimi, prima di dirigermi verso casa, infilandomi gli auricolari e mettendo una canzone dei Nirvana.
La mia canzone preferita: As you are.

Come as you are, as you were,

As I want you to be

As a friend, as a friend, as an old enemy...

Attraversai la strada e mi diressi verso la mia solita scorciatoia, che passava per i vicoli scuri lontani dal centro, ma più rapidi e meno affollati delle strade centrali.
Dovevo tornare a casa per avvisare mia zia, che mi stava già aspettando, con tutta probabilità... Quella donna era la persona più apprensiva che conoscessi!
Voltai l'angolo e mi bloccai, corrugando la fronte, ritrovandomi la strada bloccata.

Davanti a me, una ragazza alta poco meno di me mi fissava con occhi chiarissimi, che non erano azzurri, ma argentei, brillanti in un modo assurdo, che mi fecero pensare a lenti a contatto, a qualcosa di finto.

Era straordinariamente alta per essere una ragazza, io ero un metro e novanta, lei poteva essere un metro e ottanta.
Aveva lunghi capelli neri dai riflessi blu, che le arrivavano fin sotto alla vita in morbide onde spettinate. Doveva avere la mia età, ma aveva un viso indecifrabile e distante, con tratti fini, labbra intense di un rosso cupo e sopracciglia arcuate.
Ma la cosa che mi spinse a fare un passo indietro, sorpreso, fù ciò che teneva in mano.

Un pugio.

Un corto coltello affilato risalente all'epoca dei Romani, con l'elsa stretta e arcuata. La lama sottile ma larga in grado di far morire dissanguata una persona.
Sapevo cosa fosse perchè mia zia ne aveva uno in casa, conservato come una reliquia giuntaci da qualche lontano avo.

- Alaric Bastian Castiel?

Sentii un brivido quando pronunciò il mio nome per intero e feci un altro passo indietro, ma lei mi afferrò per un braccio spingendomi contro il muro e premendo lievemente la lama contro il mio collo con un ghigno divertito sul volto distorto da un espressione malvagia.

- Lo prendo per un sì...- mormorò al mio orecchio.

- Ma sei impazzita? Chi diavolo sei?- esclamai cercando di liberarmi.

Eppure per essere una ragazza così sottili aveva una forza sovrumana.
- Potrei essere il tuo peggior incubo...- mi avvisò, mentre un lieve rivolo di sangue mi bagnava il collo graffiato dalla lama, che stranamente mi bruciava sulla pelle -...ma per ora sono solo un'ambasciatrice. -

Alaric sbatté le palpebre per un istante, cercando di mettere a fuoco meglio quella figura ancora lontana, ma poi vide un ragazzo avvicinarla e prederla sottobraccio, scambiandosi un bacio.
No, non era lei.
Rilassò i muscoli della schiena, tornando a pensare all'appuntamento che aveva e si affrettò in direzione della palazzina non troppo lontana da lì, pronto a fare un vero e proprio affarre.
Era un edificio un po' spoglio e incrostato di smog, ma nel complesso aveva visto anche di peggio. Citofonò al campanello senza fretta, conscio che più in ritardo di così non sarebbe mai potuto essere.
La pioggia aveva impregnato i suoi vestiti, e sentiva freddo, ma ormai era da molto che si sentiva così. Solo, abituato al freddo della vita.
Una voce gentile lo invitò ad entrare, e lui si affrettò a ritirare le cuffie, scrollando le spalle indolenzite dal gelo della solitudine.
Quella sarebbe stata la sua nuova occasione.

***Angolino Autrice***
Ciao a tutti!
Questo è il primo vero e proprio capitolo e sto sperimentando una nuova "tecnica" che fino ad adesso non avevo mai usato...l'intersezione tra passato e presente...
Mi farebbe piacere se mi diceste cosa ne pensate in modo critico e se non appesantisce i capitoli. 
Detto questo vi ringrazio per l'attenzione e per aver iniziato a leggere questa mia nuova storia!

Ah...qualcuno mi saprebbe spiegare (anche in privato) come si faccia a dedicare i capitoli a qualcuno?😇

Grazie in anticipo per tutto!

Un grosso abbraccio  Jess💕

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