Virgole d'attesa

"Smettila." disse Aurora, con aria pensosa e gli occhi fissi in avanti. Quant'era fastidiosa, quell'aria afosa di luglio. Lorenzo intanto infilava le dita tra i suoi capelli rossi che emanavano bagliori simili al sole, e guardava le sue lacrime scendere lentamente sulle guance freddissime. "Perché?" rispose lui. "Non mi piace essere consolata, lo sai. Non mi interessa proprio, ok? Perché cose così si imparano a sopportare. Cioè, fai un po' finta di niente. Poi passa."

Lorenzo sorrise, stringendo gli occhi: "E scusa, questo... chi te l'ha detto?". Lei lo guardò accennando a un sorriso forzato o, per meglio dire, privo di forza: "La mia mamma." rispose. In quel momento, mentre lui scoppiava a ridere, lei ricominciava a piangere, senza riuscire a smettere di guardare davanti a sé.

"Non può cambiare niente, anche se ti trasferisci." replicò lui, con sicurezza, dopo aver smesso di ridere. "Davvero è impossibile che cambi qualcosa. Noi possiamo rimanere amici." Il vento trascinò un po' di polvere nei suoi occhi, che iniziarono a lacrimare ancora di più: "Ma come facciamo? Abbiamo 9 anni, non abbiamo un telefono nostro, dobbiamo separarci adesso e non abbiamo scelta."

"Perché il destino ci tiene tanto a separarci?" chiese Lorenzo, sorridendo e a malapena trattenendo le lacrime, che non mostrava appositamente, anche se a fatica. "Perché? Tu ci credi? Nel destino, intendo. Davvero ci credi?" disse lei, strappando nervosamente piccoli fili d'erba dal terreno e facendoli a brandelli con ansia innegabile.

"Non so. Però è possibile. Cioè, qualcosa c'è. Qualcosa che ci rende la vita difficile." rispose lui con animo ricolmo di dubbi.

Poi prese dalla sua tasca un foglio tutto spiegazzato: si vedeva che era lì da molto tempo. Lorenzo non riusciva a immaginare il dolore che avrebbe provato nei giorni successivi alla partenza di Aurora.

"Tieni." le disse, porgendole il biglietto. "Aprilo solo quando te ne sarai andata.".

Aurora divenne rossa in viso come non mai, poi le scesero moltissime lacrime sulle guance. Non riusciva a parlare. Poi incominciò: "Posso adesso?".

Lorenzo rispose con incertezza: " Va bene. Ma fai veloce.".

Lei lo aprì. Con delicatezza, anche perché era umido e stropicciato.

"Mi mancherai, tanto. Ti voglio bene, molto."

Queste parole trionfavano incerte su quella carta che da straccia era diventata assai pregiata.

"Quante virgole!" sorrise timidamente lei.

"Così puoi respirare mentre leggi. E dura più a lungo, se nella lettura a volte ti fermi. Così ci dicono a scuola." rispose lui, incrociando le dita con imbarazzo.

"Saremo più vicini, aspettando di rivederci, allora?" esclamò lei, quasi sussurrandolo.

Lorenzo sorrise e strinse gli occhi: "Rileggilo quanto vuoi: io ci sarò."

Aurora si trattenne dall'abbracciarlo perché non si sarebbe staccata più da lui. Disse solo: "Ti voglio tanto bene anche io.", quasi urlando.

Come suonava strano dirlo ad alta voce, per l'ultima volta.

Corse via.

Non si rividero più, ma si pensarono sempre. E, nell'attesa, si sentirono meno lontani.

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