Sogno in pieno inverno

Si stringeva tra le braccia sul divano. Intorpidita dal sonno, con gli occhi stanchi e lacrimanti e un mal di pancia lancinante che le faceva contrarre tutti gli arti inferiori del corpo, come dando calci a un nemico insidioso e invisibile. Osservava con attenzione le imperfezioni del tenue bianco che ricopriva il soffitto, scorgendo talvolta angolature particolari della luce di mezzogiorno proveniente dalla finestra semi aperta. Stringeva le labbra con forza insensata, dicendosi: "Alice, Alice, passerà tutto...".

Ma cosa passerà? Il malessere o il tempo? Il fatto che non se ne può più di tutto questo stress? Di tutta questa fatica nel creare rapporti umani che si logorano da soli? Il ventre si torceva autonomamente, le fitte aumentavano e lunghe scie di lacrime le percorrevano il viso arrossato, la nausea stroncava ogni suo respiro e non desiderava altro che l'arrivo della notte in cui poter pensare, senza dover render conto a nessuno, come risolvere la propria situazione.

Anche quella mattina l'avevano spinta a terra, anche quella mattina avevano riso di lei, le avevano sporcato le mani con succo di mandarino e pennarello nero indelebile e le avevano sferrato un pugno in pancia, dritto dritto nello stesso luogo dove risiedeva ancora il dolore di quello precedente.

Lei non voleva dirlo ma ci soffriva parecchio. Il ritmo delle sue giornate era divenuto insostenibile e lei, prigioniera di se stessa, si era arresa alle catene ferree dell'orrenda routine. La mattina era felice di alzarsi ma poi si ricordava di chi fosse se stessa: persona inutile al mondo senza un minimo di dignità. Com'era difficile stare zitta davanti a tutto quello spaventoso vivere. Ogni volta che ci pensava strabuzzava i suoi occhi stremati.

Improvvisamente entrò sua madre, rientrata prima dal lavoro.

"Alice, cosa succede?" le chiese, posando a terra un sacchetto bianco meno della pelle della figlia. Contratta in una smorfia, la bocca di Alice cercò di pronunciare una parola, con uno sforzo immane nel ripetere l'abitudine: "Nulla.". Il suo cuore stava impazzendo, le gambe tremavano, la fronte grondava di preoccupazioni, sempre in pensiero.

"Alice, cosa ti sta succedendo?" disse la mamma, avvicinandosi a lei, che iniziò a tremare ancora di più. Sarebbe scoppiata, se lo sentiva. Per non esplodere dopo tanti sforzi per non farlo, pensò alla cosa più bella che ci fosse al mondo. In quel momento le vennero in mente le parole di Cindy Lauper nella canzone True Colors e le disse: "Mi basta saperti qui.".

La madre si prese la testa tra le mani, quasi per frenare il pianto, e poi le disse: "Alice, non si è grandi quando non si chiede aiuto, ma lo si è quando non si nasconde la necessitò di un appoggio sicuro. Magari non sono io a darti la sicurezza, né tuo padre, né tuo fratello Matteo, né i nonni né i tuoi amici..." a quel punto Alice strinse forte le mani l'una nell'altra, per cercare di contenersi e di non dirle che lei, di amici, non ne aveva affatto. Sua mamma continuò: "Ma devi trovare qualcuno a cui parlare di te, a cui esporti con serenità e senza timore.".

Alice sorrise forzatamente: "E se fossi io stessa?".

La mamma sospirò: "Non puoi fare tutto da sola, altrimenti le persone non esisterebbero. Lo capisci? Quando davanti a te hai il vuoto, non sai cosa fare perché i problemi sono troppi, se non puoi stare bene almeno puoi stare meno male, e allora chiedi! Trova la persona che ti possa ascoltare, che ti sappia voler bene. A questo mondo, è difficile essere soli.".

Alice le prese la mano. Tremava ancora come un ramoscello in una ventosa giornata triestina. "Mamma, non è facile. Non so cosa dirti. Probabilmente non sono brava nel gestire la mia vita...".

L'altra sgranò gli occhi: "Non è un fallimento! Tu sai stare in piedi, hai le tue gambe forti e fin troppo salde, ma tendere la mano a qualcuno per un momento è segno di grande maturità. Lo sai? Io alla tua età ho fatto diversi errori, mi sono lasciata calpestare, mi sono lasciata deridere... E non ho chiesto aiuto, o almeno l'ho fatto quando era troppo tardi. Tu puoi farlo prima. Deve essere la tua personale rivincita verso quella che sei stata finora.".

Alice scoppiò in un enorme singhiozzo: sua madre aveva capito tutto. Il fulcro del problema ma non solo. Le aveva indicato una strada verso la soluzione.

La mamma si alzò mentre Alice ancora le teneva la mano. A questo punto, spalancò la bocca cercando di soffocare un enorme gemito: "No! Non te ne andare! Ti prego!". Strinse la sua mano fino a farle male, ma sarebbe potuto esser considerato quello un male?

Era un bene disperato, che arrancava nel buio, verso una luce simile a quella che ora il soffitto lasciava declinare pian piano verso il pavimento.

"Sono qui." la rassicurò.

Alice fece una smorfia dolorosa, poi sorrise con malinconia.

L'immagine svanì sotto i suoi occhi, eterea e intangibile. Si risvegliò nelle coperte del suo letto. Nessun dolore più, solo molto sudore e qualche lacrima sul cuscino. Sua mamma stava aprendo con delicatezza le tende. Alice si sollevò piano sui gomiti, si sistemò i capelli e sorrise pienamente: "Grazie." sussurrò. La mamma sorrise a sua volta, incosciente del sogno della figlia ma tenera e protettiva ancor più che nella visione notturna.

Alice si sentiva fortunata. Nulla più di un incubo, nulla più di quella inguaribile ferita dovuta alla perenne finzione. In bilico tra l'allucinazione e la realtà, ma sollevata temporaneamente dalla luce del giorno.

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