Mad world
La piazza era illuminata da una luce soffusa. Intorno a noi nessuno. Nessun altro oltre a noi. Il sole non ci illuminava affatto ma metteva in luce tutto il vuoto che assisteva alla nostra danza. Era così, stavamo danzando, stavamo ondeggiando l'uno accanto all'altra e io ascoltavo il battito del suo cuore stretta al suo petto.
Un pianoforte iniziò a suonare dal nulla, suonava Mad world con una leggerezza tipica della brezza primaverile che sussurra nelle campagne friulane verso la metà di marzo, quando le primule si risvegliano sorridenti e un po' intorpidite dal lungo sonno.
Abbiamo iniziato a cantare, con quel suono che è ricercato da ogni direttore di coro. Eravamo esattamente come un'unica voce che promuoveva se stessa nel buio incerto di quell'atmosfera onirica. Ancora mi chiedevo come fosse possibile, e chi fosse lui, perché non ne intravedevo che la sincerità, che traboccava dal suo cuore attraverso quei regolari e consapevoli battiti.
Cantavamo come quel giorno fosse il nostro giorno, capite cosa intendo dire. Sembravamo due lenzuola stese alle prime luci del giorno, incapaci di allontanarci ma ondeggianti appena al tenero richiamo del vento.
Non lasciarmi, ti prego. Devo dire che è strano trovare in te, così sconosciuto, una profonda e inconoscibile sicurezza quasi irreale. Come se in un istante tutto il dolore si fosse dissipato nei tuoi passi scanditi, dimmi cosa sta succedendo! Ho bisogno di sapere.
Mentre la canzone terminava, lentamente ci siamo staccati l'uno dall'altra, e mi sono limitata ad osservare prima la sua corporatura snella e slanciata, poi il suo volto e d'un tratto mi è parso tutto più nitido. Conoscevo il volto ma non la persona: raggelante.
Dimmi cosa sta succedendo, ti prego, parlami!
E avessi potuto proferire parola in quello stupore, non mi sarei trattenuta dal farlo. Un semplice sorriso ha evitato ogni sorta di comunicazione verbale.
Così non ci siamo detti nulla, e l'addio è stato in quel preciso istante, nell'attimo in cui l'illusione scenica, in quel teatro d'amore, sembrava essere sul punto di crollare. La tensione si era voracemente distrutta nel nostro essere profondamente affascinati dall'atmosfera surreale e onirica, seppur così tangibile, che avvolgeva il nostro amore.
Un amore che, probabilmente, non rivivrò mai più. Un amore imprevisto, intriso di inconoscibile, che stringe il bacino fino a farlo urtare con l'aria. Il mondo dei sogni, tra queste semplici coperte, ha smesso di fare il suo ruolo, ha cessato di essere l'ambiente che mi cullava con tanto fervore.
Nulla più mi rimaneva, ma ero felice di aver amato, almeno per una volta, e improvvisamente non aver amato più. Felice di essermi tolta quel macigno dal cuore, quell'impossibilità soffocante di non essere mai capace di amare, o forse amare abbastanza.
Parlami, se puoi, ancora. A passi lenti e cauti, potremmo danzare ancora sotto questa lieve pioggia.
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