Capitolo 40 - E ho anche fame
Salve a tutti❤️
Prima del capitolo volevo scrivervi due parole.
Prima di tutto volevo scusarmi per la mia assenza. È stata davvero dura rimettermi su questa storia. Intorno ad ottobre ho avuto una brutta crisi con questa storia. Semplicemente non sapevo come continuare, avevo le idee in mente ma quando andavo a scrivere non mi veniva niente. Così ho deciso di metterci una pietra sopra e fare altro. Più di un mese fa ho letto un libro che mi ha fatto tornare la passione, la voglia di tornare sulla storia di Dorothy. Ho messo giù un po' di appunti e mi sono ributtata, promettendomi di finirla o almeno farvi capire che storia volevo scrivere.
Ho già un progetto per SURVIVAL e quindi, una volta conclusa qui, avrà un bel restauro dato che voglio cambiare tante cose. Si sa, quando si studi su qualcosa ci vengono mille idee. Ho compreso i punti di forza di questa storia così come quelli deboli, che sono molti e ho studiato un modo per colmarli. Spero che vi piaceranno.
Per adesso vi lascio il capitolo. Spero che vi piaccia. Fatemi sapere che cosa ne pensate. Sto già scrivendo i prossimi. 🤞🏼
Scusate ancora per l'assenza.
PS Volevo ringraziare tutte quelle persone che nonostante tutto hanno continuato a leggere. In questi mesi ci sono state un sacco di letture e un sacco di persone che aggiungevano la mia storia ai loro elenchi di lettura. Grazie ❤️
Dorothy
Ho passato questi ultimi mesi della mia vita a pensare, a pensare a quello che sarebbe stato il mio futuro, nonostante lo conoscessi benissimo, nonostante tutti sapessero benissimo. Perché, sì, tutti sanno quello che farò e chi sono. Tutti. Io non so niente, invece, niente di niente. Ho passato gli ultimi mesi della mia vita a navigare nel buio, ma adesso forse qualcosa può cambiare, perché anche tu non conosci qualcosa di me: come sono veramente. Non mi hai mai vista.
Così ho iniziato la lettera che metterò nella stessa busta delle foto. Dorian non sa ovviamente niente: non me lo avrebbe mai fatto fare. Io, però, devo sapere, devo sapere quanto posso osare, perché tutto questo non mi basta più. Sono stufa di andare avanti e basta: anche noi possiamo avere qualcosa in cambio. Possiamo osare. E, sì, è un ricatto bello e buono ma ne abbiamo bisogno. Per i dunkisjisti in questa casa siamo sempre e solo quattro, mentre adesso in realtà ci viviamo in sei. In fin dei conti potremmo sopravvivere anche in questo modo, ma la ragazza di Sebastian sembra essere cresciuta da principessa e si permette anche di dire che lei certe cose non le mangia. Tutte le volte che fa una faccia strana quando mi vede pulire una preda noto Dorian stringere la mascella. Anche lui non sopporta queste cose, come me. Margareth non ha mai saputo cosa vuol dire avere fame veramente, quindi, anche adesso, può permettersi il lusso di fare la schizzinosa. Quando ero più piccola, nel nostro periodo più difficile, mi sarei mangiata anche la carta con cui scrivevo a scuola da quanto avevo fame.
Non mi fido ancora, non per Dorian, ma proprio per lei. Mi guarda sempre dall'alto verso il basso con uno sguardo sprezzante, come se fossi la causa di tutti i suoi problemi. Perché non chiede al suo fidanzato perché ha accettato questo incarico? Poi può benissimo andarsene se non si trova bene... Due donne in questa casa sono troppe.
Stiamo camminando nel bosco tornando da caccia, siamo quasi arrivati a casa, quando Dorian mi prende per un braccio, mi trascina, e mi fa appoggiare la schiena ad un albero. Non mi dà neanche il tempo di obbiettare che mi prende il viso tra le mani e mi bacia.
È questo, dunque, l'amore? Non riuscire a tenersi lontano da una persona? Non riuscire a far altro se non pensare a lei? È così, quindi? Essere totalmente trasportati da dimenticarsi di quello che ci circonda? Dorian sembra come sotto l'effetto di un incantesimo; mi guarda di continuo, e quando lo fa il suo sguardo mi scava dentro, cerca, mi brucia addosso. Se solo l'avessi saputo prima magari mi sarei innamorata di qualcuno prima, solo per sentire questo dolce e piacevole calore sulla mia pelle. Come in questo momento, che scotta.
«Vorrei poterlo dire a tutti.» Dice Dorian a fior di labbra mentre mi tiene il viso tra le mani. Lo fa in un modo così dolce e delicato che tutte le volte mi chiedo se quelle mani sono davvero le sue.
«Che cosa?» Che tra poco saremo liberi.
Mi accarezza la guancia con il pollice, senza sposare la mano. «Che sei mia.»
Mi rincupisco, non so se per il fatto che abbia detto questo o perché io non abbia pensato la stessa cosa. Avrei dovuto? «Io non sono di nessuno. Non metterti strane idee in testa.» Lo sposto in modo brusco. La sua affermazione mi ha fatto quasi del tutto dimenticare come ci siamo arrivati. Mi rimetto a camminare.
Dorian mi corro dietro e mi blocca il braccio con la mano. Non si scoraggia mai a differenza mia. «No, tu non capisci...»
Mi scollo di dosso la sua mano. Quando fa così mi fa solo che innervosire. «No, invece, ho capito benissimo. Le persone non appartengono a nessun altro se non a sé stesse. Non ammetterò mai sarà di essere di qualcuno, anche se tra me e quella persona dovesse esserci davvero qualcosa di vero. Appartengo soltanto a me stessa, come il mio destino. Mi sono sentita per troppo tempo oppressa da questa condizione di appartenenza, non intendo essere ipocrita.»
Dorian mi lascia fare un passo in avanti mentre mi sistemo l'arco meglio dietro la schiena, sbuffando. Credo di aver colpito il concetto al cento per cento, e anche lui. Mi dispiace se la pensa diversamente, ma non cambierò opinione per nessuna ragione al mondo. Nonostante sia convinta di avere ragione mi sento quasi in colpa: ogni volta non so mai quanto dosare la mia linguaccia con lui.
Mentre ormai vediamo le luci di casa mi domando se sono stata troppo dura, se posso averlo ferito veramente. Ormai sono tanti mesi che ci conosciamo, ma è sempre difficile entrare in simbiosi con una persona, con il suo modo di pensare, di vedere il mondo, soprattutto per me, che sono stata tanto tempo da sola, che parlavo soltanto con il silenzio.
Mi avvicino a casa quando mi sento chiamare.
«Dorothy.» Mi volto. «Non era quello che intendevo.» continua con una faccia cupa.
Se gli avessi dato un cazzotto in faccia avrei fatto prima. Mi sento ancora più in colpa vedendolo con questa faccia. È proprio affranto. «Mi sono espresso male. Sai, non sei stata l'unica a dover parlare da sola per tanto tempo. Non sono bravo neanche io a dosare le parole.»
Dosare. La parola che ho usato anche io. Siamo diversi, ma fatti della stessa stoffa. Dobbiamo soltanto imparare a convivere.
«Non sono materialista.» Aggiunge mentre intreccia una mia mano con la sua e io lo lascio fare. Ogni volta che lo fa, sento un brivido percorrermi la schiena e faccio quello che ho fatto per anni per sentire il sapore del mio ultimo pasto sulle labbra: le lecco. «Spero soltanto, quando capirai che ti ho rubato la mente, di essere con te. Perché è questo quello che hai fatto a me. Mi hai rubato tutti i pensieri, eccetto il tuo, e hai il mio cuore caldo in mano. Sta a te decidere se conservarlo gelosamente o se stritolarlo.»
Sorrido. Per quanto possa sembrare macabro, nessuno mi ha mai detto niente del genere. Nessuno mi ha mai detto di avere il suo cuore in mano, nessuno avrebbe mai potuto donarmelo. Quale pazzo mi avrebbe affidato il suo cuore? la parte di sé più pura? Soltanto Dorian può permettersi di fare una cosa del genere: il suo sta già sanguinando, proprio come il mio.
Queste sono due delle cose che di lui mi piacciono di più: la tenacia e il coraggio. Se glie lo dicessi gongolerebbe per ore, ma è così. Non credo che io avrei mai insistito così tanto. Solitamente quando non riesco ad ottenere una cosa, ci riprovo, ma, quando mi rendo conto che è irraggiungibile, mollo. Non sono l'uva d'oro della volpe, ma sono brava ad essere tanto odiosa da sembrarlo.
Entriamo in casa, e, come ogni volta, mi ricade addosso quello stato di malessere che ho avuto la prima volta che questo posto si è sovraffollato. Non mi fido. Ci ho provato, ma non ci posso fare niente, è la mia indole. Sento che c'è qualcosa che non va. Sta andando tutto troppo bene, e non può essere così facile. Ho razzolato per anni nel fango per avere anche solo un piccolo pezzo di pane. Non posso essere così ingenua. Non può essere così facile. Ho come la sensazione che ci sia qualcosa che ci stia sfuggendo.
Dorian sembra quasi cogliere il mio stato di angoscia e mi sfiora una mano con due dita, in modo delicato, in un modo che non credevo che mi sarebbe mai stato rivolto. Un gesto tanto semplice ma che mi fa bruciare l'anima.
È tutto così nuovo per me che ogni volta non so che fare, come reagire; devo fare qualcosa anche io? Il mio istinto mi dice di fare lo stesso, ma nel momento in cui cerco di stringergli la mano nella mia lui ritira velocemente la sua, come se lo avessi scottato.
«Non qui» mi sussurra all'orecchio non appena si sporge in avanti per attaccare la giacca all'appendiabiti «non sei l'unica che non si fida ancora» conclude facendomi un occhiolino.
Mi rilasso. L'ha fatto perché non vuole che gli altri ci vedano, anche se credo che anche un cieco a questo punto abbia capito che fra noi due ci sia qualcosa, nonostante sfiori ancora il platonico. Sento che anche lui abbia il sospetto che sia tutto fin troppo normale, semplice. Dorian ed io abbiamo questa fantastica caratteristica: non fidarsi. Troppo segnati per essere così ingenui da pensare che la fiducia sia qualcosa di normale. È tutto troppo bello per essere vero. È per questo che ho questa sensazione che tutto possa essere spazzato via da un momento all'altro.
Appoggio le mie armi nello stanzino adiacente all'ingresso, e, dopo essermi spogliata, passo davanti alla cucina. È un'occhiata involontaria che si trasforma in osservazione nel momento in cui analizzo, in maniera criptica, quello che ho davanti agli occhi. Fino ad un momento fa credevo che quel silenzio fosse dato dal fatto che gli altri fossero al piano superiore, che Alex dormisse dal momento che siamo rientrati oltre il nostro solito orario. Ma no, il silenzio è dato da altro; un silenzio così imperfetto da sembrarmi irreale e giusto, tanto da non accorgermi della presenza delle due persone che adesso sono davanti ai miei occhi. E non sono silenziose, per niente. Loro non mi vedono, ma Sebastian e Margareth sono avviluppati tra loro, appoggiati al ripiano della cucina. Schiacciati, direi. Non si stanno baciano, si stanno divorando, ingordi. Capisco che Dorian ed io in quella stanza siamo di troppo. Non faccio neanche un piccolo movimento e mi meraviglio del fatto che non ci avessero sentito entrare. Si baciano in quel modo così possessivo che mi chiedo se è così che ci siamo agli occhi indiscreti degli altri: affamati.
Guardandoli non sento i rumori, né i miei né i loro, mi servo solo della vista e di quello che la mia mente sta immaginando. Sì, immaginando, perché mentre Margareth sposta la sua testa da un lato, per dare maggior accesso alla bocca del compagno che, in quel momento, mentre la tiene in piedi, sta risalendo sul suo busto, lentamente, per poi appoggiarle la mano su un seno, in quel momento immaginai Dorian farmi tutto quello. Stuzzicarmi, accarezzarmi, volermi, infiammarmi.
Non mi rendo conto dell'intensità dei miei pensieri fino al momento in cui scorgo Dorian venire verso di me. Mi ritraggo velocemente verso lo stipite della porta.
Non posso farmi beccare, però ho il respiro irregolare e lui si accorge subito che c'è qualcosa che non va, anche se non è esattamente così. Sono turbata, ma non per quello che crede lui.
«Stai bene?» mi chiede sporgendosi verso di me. Nel mentre sento un sospiro venire da dentro la stanza. Non è come quelli di prima. Questa è più paura, pura e sana paura.
Prima che Dorian si affacci sulla stanza giro i tacchi e corro verso la scala.
«Dove vai?» chiede alle mie spalle
Con il terrore che abbia capito il motivo per cui me la sono data a gambe, non mi volto neanche e rispondo la prima cosa che mi viene in mente «Non ho fame»
Bugia. E, ormai, so benissimo che Dorian capisce quando ne dico una.
Arrivata in camera chiudo la porta dietro di me e mi butto sul letto, speranzosa di addormentarmi subito e non pensare quello che ho appena visto. Non mi sento in colpa per aver pensato di volere anche io tutto quello, ma per aver "spiato" Seb e la sua compagna. Gli ho appena rubato una cosa che credevano fosse solo loro, un loro momento intimo. Non vorrei mai che qualcuno assistesse ad un momento del genere. Adesso mi sento in colpa per essere anche quel tipo di ladra. E ho anche fame.
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