Capitolo 36 - Devo andarmene e dimenticare tutto
Dorian
Usciamo da casa poco. Margareth ci ha messo davvero poco tempo per prendere tutto quello che le serviva; non avrei mai creduto. Però non mi ha voluto spiegare che cosa intendesse con la sua ultima frase.
Nonostante ci avessi pensato non ho un vero e proprio piano per tornare indietro. Questa volta non cammino da solo, ma siamo in tre! Tre persone vuol dire soltanto una cosa: non passeremo inosservati, qualcuno ci noterà, questo è sicuro.
Facciamo qualche metro dopo aver chiuso la porta dietro di noi e vengo già divorato dall'ansia. Sto sudando freddo e non so in che modo dovrei comportarmi, dato che prima non mi era mai capitata una situazione di questo tipo. Di solito scappavo da solo.
Mentre camminiamo mi viene un'idea. «Dobbiamo fingere di essere una famiglia.»
Sento uno spostamento d'aria da quanto violentemente Margareth gira la testa verso di me. Ora mi assalirà. Sicuramente. Conosco il tipo ormai.
«Che cosa hai detto?» Mi chiede con uno sguardo talmente rigido che mi viene la pelle d'oca.
Mi passo una mano sulla faccia mentre mi mordo la lingua. Spero che nel ripeterlo non mi aggredisca. «Se qualcuno ci notasse, dobbiamo fingerci una famiglia. Non daremo nell'occhio. Se vediamo dei soldati fai finta di ridere o qualcos'altro, di solito funziona. Non faranno caso a noi.» Dico spiegandole quello che intendevo prima.
Margareth continua a fissarmi. Non so se mi inquieta o semplicemente mi ricorda il modo di fare di Dorothy.
«Se almeno la smettessi di fissarmi come una psicopatica che mi vorrebbe uccidere non appena girato l'angolo e buttare in un lago tutti i miei resti... Ecco, già questo potrebbe risultare meno sospetto. Fa finta che io sia Seb, che ne so!» Le dico con un pizzico di ironia.
Margareth storge gli occhi, distoglie lo sguardo e si concentra su suo figlio, che tiene in braccio. Alex è un bambino silenzioso nonostante abbia più di due anni. Non deve assistere a grande conversazioni in casa sua. Fisicamente mi sembra che assomigli molto a Seb: hai i suoi occhi e i suoi capelli. Ma credo che quando crescerà non gli assomiglierà affatto.
Camminiamo per un bel po' a piedi, senza nessun problema, anche se la tensione che c'è tra noi si potrebbe tagliare con un coltello. Sono preoccupato, ma, forse, essendo abituato a situazioni del genere, so gestire questa mia ansia meglio di quanto stia facendo Margareth.
Ad ogni passo che facciamo si guarda in torno preoccupata, stringendo ancora di più a se suo figlio. Se stessi cercando qualcuno che ha fatto qualcosa e vedessi lei, la fermerei per chiederle spiegazioni senza ombra di dubbio. Ha la parola colpevole scritto in fronte.
«Cerca di tranquillizzarti.» Le dico prendendola per mano anche se lei cerca subito di ritrarla. La stringo di più. «Se continui così ci scopriranno di certo.»
Cerca di liberarsi ancora una volta strattonandomi la mano. «Che cosa stai cercando di fare? Mollami immediatamente!»
La fisso negli occhi. Adesso basta! «Credi che una coppia qualsiasi che sta andando a fare una passeggiata con il figlio litigherebbe per una cazzata del genere come tenersi la mano? No, perché io credo proprio di no. Quello che penso è che dovresti comportarti come se lo fossimo. Semplice. Almeno per questi ultimi chilometri, almeno per non farci scoprire. Non voglio essere picchiato prima dai dunkisjisti e poi dal tuo fidanzato.»
Margareth non prova più a scollarmi la mano. Forse le ho fatto pena, o semplicemente paura. Forse già conosce la prepotenza dei Dunkisji, nonostante viva in questa città. Voglio sapere di più di loro.
Giriamo l'angolo e in fondo alla strada vediamo una pattuglia di militari dunkisjisti. Quanto tempo, cari vecchi amici. Seb mi aveva detto che gli appostamenti dei soldati a Roccalast erano rari, ma non inesistenti. L'eccezione che conferma la regola.
Sento subito Margareth irrigidirsi sotto la mia mano.
«Dammi Alex, lo posso tenere io. Tu sarai stanca ormai.» Le dico sciogliendo la mia mano dalla sua e tendendo le braccia verso di lei.
Credo che sia contraria, d'altra parte sono ancora uno sconosciuto, ma mi lascia fare. Forse ha capito che cosa voglio fare. Mi da Alex, che prendo in braccio. Questo bambino è allucinante: non ha fatto una piega. Impressionante. Si è lamentata molto di più la madre di lui.
«Adesso rilassati e comportati come se fossi una persona normale in una situazione normale. Assecondami in quello che faccio. Se ci fermano e ci chiedono qualcosa lascia parlar a me, ho già avuto delle esperienze del genere, credimi.»
Continuiamo a camminare e cerco di non buttare lo sguardo sulla donna che sto tenendo per mano. Potrei risultare io quello agitato sennò.
Le sta sudando la mano. Mi chiedo come reagirebbe Dorothy nei confronti di un gesto tanto naturale: forse mi darebbe un ceffone in faccia, forse mi ci pianterebbe sopra uno di quei suoi coltelli che tiene sempre nascosti da qualche parte, o, forse, in un'altra vita, le potrebbe sembrare normale. Noi, magari, in un'altra vita, potremmo essere normali insieme, senza tutti gli strati di acciaio che ci separano. In un'altra vita, hai pensato bene.
Non appena siamo più vicino ai soldati mi rendo conto che ci stanno fissando. Ci vogliono fermare, sicuro. Questo non deve accadere, per nessuna ragione al mondo. Quando i soldati ti fermano in mezzo alla strada la prima cosa che ti chiedono è identificarsi, anche senza motivo; a volte lo fanno soltanto perché non hanno nient'altro di più divertente da fare. Con identificarsi ovviamente alludono al fatto di mostrare i tuoi documenti. In questo modo catturano un sacco di fuggitivi o persone di cattiva fama, proprio come noi due in questo momento.
Stringo la mia mano attorno a quella di Margareth per darle un segnale. «Non appena li passiamo accanto fai finta di girarti verso di me e ridi. Penseranno che in questo momento ti sto dicendo qualcosa di divertente, o che altro... Reggimi il gioco, non fare altro.» Le dico nell'orecchio mentre le passo un braccio dietro la schiena per avvicinarla a me.
Margareth si irrigidisce sotto il mio contatto ma non appena passiamo accanto a quel gruppo di giovani soldati fa esattamente quello che le ho chiesto. Si mette a ridere mettendo in mostra il suo bel sorriso, poi si gira verso di me e mi guarda con un'intensità tale da farmi pensare che, forse, per un secondo, si è dimenticata che non è Seb quello difronte a lei. Sono quasi ammaliato dal suo fare. Sarebbe una brava attrice.
Credo che tutto proceda per il meglio, che se la siano bevuta, quando sento una voce irritante interrompere il mio fantastico idillio.
«Scusate, dove state andando?» Chiede qualcuno dietro di noi.
Faccio una smorfia con la bocca e mi volto. «Buongiorno soldato.» Dico con un tono affabile. Spero di non sembrare presuntuoso, sarebbe veramente un danno.
«Caporale.» Risponde subito dopo secco incrociando le braccia al petto mettendo in evidenza tutti quei suoi muscoli. Devo stare attento, sarò pure furbo ma non così grosso come lui. Sento già il sangue colarmi dal naso.
Abbasso immediatamente la testa e poi la rialzo. Fatti furbo. «Sì, mi scusi. Sah, è un po' di anni che manco dall'ambiente militare. Non mi ricordo più come si riconoscono i gradi. Poi, inoltre, sono cambiate un po' di cose...»
Si rilassa. Quello che ho detto gli ha fatto piacere! «Sì, in effetti è cambiato un po' tutto. Da quanto è che manca dall'esercito?» Mi sembra una brava persona, educata. Che peccato che sia un soldato dukisjista. Potrebbe essere una brava persona. Forse è così, solo che si ritrova dalla parte sbagliata della storia.
Decido di fare il vago. «Due anni, circa. Mi sono procurato una brutta ferita che mi ha reso meno agile di prima e mi hanno rimandato a casa...» Balle.
Sorride compiaciuto. «Bhè, non le è andata così male alla fine.» Dice guardando Alex che tengo in braccio e Margareth sempre attaccata alla mia mano. Che peccato, davvero, è pure gentile.
Uno degli altri che era accanto a lui si fa più vicino a noi. «Allora: dove state andando a quest'ora? Non dovreste essere a lavorare? Non avete un impiego?»
Deglutisco. Devo stare attento a quello che dico. In questo momento devo pensare, e farlo come se vivessi e lavorassi in questa dannata città. «Bhé, stiamo andando a fare una passeggiata...»
Quel soldato mi guarda storto. «A quest'ora? Sono le dieci di mattina! L'unico posto dove dovreste trovarvi è un ufficio o una fabbrica!» Dice guardando prima l'orologio, poi me.
Sono nella merda più assoluta. «Ecco...»
Incomincio a borbottare qualcosa quando vengo interrotto da Margareth che, non so da quale pulpito, si mette a parlare. «Sì, vede, il mio ragazzo ha preso un giorno di permesso dal lavoro...» Dice, cercando di sembrare ingenua. Con quel tono che vuol suggerire "dai, lasciateci passare"
Mi giro verso di lei guardandola con due occhi spalancati, ma mi accorgo anche che non ha attirato solo la mia di attenzione. Anche il sergente e il secondo soldato la stanno ascoltando.
Continua. «Bhè, ecco, per festeggiare.» Dice portandosi una mano sulla pancia. Diavolo! Geniale! Vorrei davvero batterle il cinque in questo momento! Potevo pensarci prima! Sicuramente adesso ci lasceranno andare! Chi sispetterebbe di una donna incinta? Istintivamente avvicino Margareth al mio fianco con una mano, cingendola da dietro la schiena, fingendo una faccia soddisfatta per quello che ha appena detto la mia finta ragazza.
I due militari rilassano le spalle e distolgono immediatamente l'attenzione da noi, forse anche un po' delusi. «Oh, allora congratulazioni! Buona giornata!» Ci dice il primo che ci aveva fermato, in modo sincero e gentile, per poi girarsi e tornare alle sue manzioni.
Riprendo immediatamente Margareth per mano e allungo il passo, sperando di sembrare soltanto emozionato e non impaziente. Voglio solo andarmene da questa città infernale!
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Dorothy
Sono passate non so quante ore e loro non sono ancora tornati. Se solo sapessi che cosa sono andati a fare! Che cosa ci può essere di così importante da partire di corsa lasciandomi qua, in balia di me stessa? Solo qualcosa che potrebbe giustificare la mia fuga, qualcosa che abbia più valore di me, o che sia direttamente collegata con la mia persona.
Questa volta non voglio scuse, voglio la verità. Voglio sapere, ho bisogno di sapere, devo sapere. Non possiamo andare avanti così! Se dobbiamo fare questa cosa dobbiamo collaborare tra noi, e questo non può assolutamente avvenire se non comunichiamo: devo sapere ogni cosa.
Non mi interessano più le scuse inutili che ogni volta Dorian cerca di rifilarmi. Crede che io non me ne accorga? Non si ruba in casa del ladro. Voglio che sia sincero con me, sarebbe tutto molto più semplice. Per entrambi. Le bugie non servono a nulla se non a salvarti il culo. Ma non è questa la situazione. Non c'è bisogno di mentirmi.
Voglio sapere dove sono andati oggi.
Voglio sapere che cos'era questa cosa di così importante da abbandonare la casa alle prime luci dell'alba.
Voglio sapere che cosa ha in mente Dorian, se quello che lui pensa corrisponde a quello che io voglio.
Voglio sapere se ha detto tutto a Seb e Peteer e, se non l'avesse ancora fatto, chiedergli di non farlo. So che lui lo farebbe per me. Adesso l'unica domanda è sarei capace di farlo per lui?
Dopo che sono tornata dalla rete elettrica ho cacciato un po'. Sono riuscita a rimediare un coniglio e alcune uova di uccelli selvatici. La primavera è perfetta per questo genere di cose; d'inverno non ci si può neanche lontanamente immaginare di trovare qualcosa del genere. Almeno così avremo qualcosa di diverso dal solito per cena. Ma non stasera, dato che me le sono mangiate per pranzo. Ho mangiato e mi sono appostata qui, in attesa che loro ritornassero, con la speranza che loro ritornassero. Se non dovessero ritornare o, se anche, dovessi vedere qualcun altro diverso da loro scendere da un furgone, fuggirei. Sicuro che lo farei. Senza neanche pensarci un attimo. Tutto ma non quello che mi spetta.
Passano le ore ma di loro non c'è traccia. Dovrebbero essere ormai le quattro di pomeriggio, circa. Mi basterebbe andare un attimo in casa per controllare ma non mi voglio muovere da questo posto: se dovesse arrivare qualcuno di diverso da loro, da qui potrei fuggire senza che nemmeno mi vedessero, se fossi dentro, sarei in gabbia.
Mi metto ad affilare due coltelli sul masso davanti a me quando sento un forte rumore lontano. Fermo immediatamente quello che sto facendo, mi accovaccio meglio nel mio nascondiglio e tendo le orecchie.
E' un furgone, senza ombra di dubbio. Ora c'è da scoprire di quale furgone si tratti.
Mi alzo una gamba dei pantaloni e sfilo in coltello che porto in quel punto del corpo, proprio tra la caviglia e lo stivale di pelle. Per fortuna l'ho affilato prima di tutti gli altri. I coltelli sono miei amici. Poi volgo la testa verso la strada e aspetto. E aspetto.
Il furgone si ferma davanti all'ingresso della casa poco dopo. Il mio udito non mi ha tradita neanche questa volta. Appena sento il motore spegnersi mi sollevo leggermente sulle gambe, per cercare di vedere meglio. Non c'è vegetazione davanti a me, ma è abbastanza lontano da qua, quindi vedere bene e chiaramente è difficile.
Faccio un passo avanti e i miei occhi vedono una cosa che mi fa andare letteralmente il cervello in trance.
Mi si annebbia la vista.
Non sento un briciolo di saliva in bocca.
I miei occhi sbattono ripetutamente le palpebre e la mia mano, impulsivamente, si chiude stretta attorno al'acciaio del mio arco.
Diversamente da quello che mi aspettavo, il furgone è lo stesso che è partito da questo luogo questa stessa mattina, e dentro ci sono i ragazzi. Già. La prima persona che vedo scendere è Dorian, questo potrebbe essere fantastico e rassicurante, se non per il fatto che non è solo. Ha in braccio un piccolo bambino biondo.
Non so come mai, non dovrei pensare una cosa del genere, ma ho una gran voglia di piantargli il mio coltello in pieno petto, giusto per fargli capire quello che sto provando in questo momento, anche se io stessa non so classificare.
Il bambino sta in braccio a Dorian come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo crudele, come se ci stesse da sempre. I miei occhi bruciano, sono talmente concentrata su di loro che non mi accorgo nemmeno che dal furgono scendono uno dopo l'altro anche Seb e Peeter, rispettivamente dal sedile del guidatore e quello accanto ad esso. Prima di entrare in casa il piccolo bambino biondo sorride a Dorian mentre si rigira tra le mani il suo piccolo giocattolo di legno. Dorian lo guarda con una dolcezza negli occhi che credevo ormai andata persa in mezzo a tutto questo fango, e poi si gira dietro di lui, verso la portiera del furgone che, contro le mie aspettative, si riapre.
Prima pensavo che quello che avevo provato nel vedere Dorian con un bambino in braccio fosse un dolore terribile, quasi paragonabile a tutto quello che ho già patito. Ma no, no, no. Assolutamente no. Niente è paragonabile a questa sensazioni che mi stra strangolando il petto. Non so se è per il fatto che non mi ero mai sentita in questo modo, neanche la sensazione di fame che ti corrode lo stomaco è così atroce, oppure per il fatto che è stato così innaspettato.
Una famiglia. Ha una famiglia. Un bambino che porta in braccio e una ragazza dannatamente bella, sicuramente più attraente di questo agglomerato di ossa che lo sta fissando da lontano.
Non ci posso credere. Letteralmente.
Mentre loro vanno dentro casa io non riesco a fare un passo, non riesco neanche ad alzarmi o ad abbassarmi ancora di più.
Il mio cervello sta cercando di pensare, ma forse è oppresso da tutte le informazioni che sono arrivate in questi pochi secondi. Ragiono, ragiono, ragiono, ma non riesco a capire niente, non riesco a trovare una spiegazione plausibile per tutto questo.
Ecco perché così tanta fretta questa mattina. Una cosa importante, certo. Mi ero anche illusa che in quel momento per Dorian non ci potesse essere niente di più importante di me, ma, evidentemente, non era così.
L'unica cosa che non riesco proprio a capire è perché. Perché mi ha detto una bugia? Perché mi ha mentito? Perché? Ma sopratutto, perché mi sono fidata? Perché ho abbassato le mie barriere per una persona del genere? Per che cosa? Per tante stupide promesse? Probabilmente io sono soltanto una pedina all'interno della sua testa. Soltanto attraverso la mia ostinazione avrebbe potuto ottenere un buon piano per fuggire via da questo stato infernale, ma non con me, con la sua famiglia!
Stupida. Stupida. Stupida. Che cosa pensavi, di essere speciale?
Finalmente mi sposto dal punto in cui mi trovavo fino ad un momento fa, ma non riesco ancora a decifrare quello che sto provando. E' simile a quando si ha fame, ma più atroce; a quando si viene feriti e si sente il sangue scorrere dalla ferita, solo che brucia di più, e in un altro punto del corpo.
Non posso più stare qui. No. Basta. Questo è troppo, tutto ma non questo. Il mio cuore mi fa male, come se avesse fame. Mi sta mordendo le interiora. E fa un male cane.
Mi abbasso dietro il masso di prima e rimetto tutto dentro lo zaino alla rinfusa. Prendo i coltelli e uno lo metto nel fodero sulla cintura, l'altro dentro la scarpa, dove era prima.
Devo andarmene e dimenticare tutto, tutti, lui e tutte quelle promesse. Stupida, stupida. Erano solo cazzate, sono solo un'altra pedina di questo stupido mondo e mi sono fatta manipolare senza neanche reagire, senza neanche accorgermene. Erano tutte cazzate! Come ho fatto a non accorgermene? Non ero io quella che sapeva mentire senza farsi scoprire? Questo posto mi ha indebolita. Lui mi ha indebolita.
Mi metto lo zaino sulle spalle chiudendo le cinture in vita, per farlo aderire di più al mio corpo e quindi per camminare meglio. Prendo la faretra colma di freccie e la metto di traverso, l'arco me lo lascio in mano.
Sento che entrano in casa e cominciano a cercarmi. Mi chiamano. Dorothy? Dorothy, dove sei? E' proprio la sua voce che sento, che mi chiama. Ma da che pulpito? Ma come si permette anche solo di pronunciare il mio nome? Ma con quale faccia tosta? Ho sempre creduto di essere io quella terribile in quella casa. Quella che rubava a chi non aveva niente per fa sì che a casa mia si mangiasse, quella che fregava anche ai poveri. Mi sono sempre sentita in colpa, per cosa? Per essere ripagata in questo modo? Tradita, sfruttata, usata. Quando il nostro piano si sarebbe realizzato e saremmo scappati veramente, che cosa mi sarebbe successo? Mi avrebbe buttata via come una cosa usata, certo! Come minimo mi avrebbe puntato alla gola un coltello o una pistola alla tempia.
E io che pensavo... Faccio una smorfia con la bocca e maledico il mio cervello per quello che mi sta facendo pensare. Ma non potevo nascere stupida? Sarebbe stato tutto più semplice!
Quando mi giro per andarmene, perché ormai è deciso, sento i passi di qualcuno sull'uscio di casa.
Mi piego sulle ginocchia. Chiunque sia spero che non mi veda. Non voglio fare del male a nessuno nonostante mi prudano le mani per la rabbia.
Alzo lo sguardo e vedo Dorian davanti alla porta, che guarda in ogni direzione tranne che nella mia. Lo fisso e mi torna in mente tutto quello che ho pensato poco fa.
Mi ha usata per il suo stupido tornaconto personale, come se non contassi niente, come se fossi una nullità, un pretesto. Non gli importa niente del mio destino, di che cosa mi succederà, voleva soltanto andare via da questo luogo con ... con quella sua ragazza maledettamente bella.
Una rabbia improvvisa m'invade facendomi pensare alle peggio atrocità. Forse dovrei ucciderlo adesso che non mi vede: la vendetta è un piatto che va servito freddo, e io sono di certo una persona vendicativa. Forse adesso dovrei fare finta di niente e poi, al momento giusto, ripagarlo con la sua stessa moneta, ma con più ghiaccio. Probabilmente vederlo soffrire come sto facendo io in questo mento potrà togliermi dalla mente questo male allucinante che sento dentro di me.
Ma non ho il tempo di fare tutto questo. Io devo andarmene, di certo è la soluzione più ragionevole.
Non sarò calpestata un'altra volta, no, no.
Dietro di me la vegetazione si fa più fitta, basterebbe che non mi notasse per questi pochi metri e sarebbe fatta. L'unico problema è che Dorian non è così estraneo a questo posto come pensavo la prima volta che l'ho visto. Lo conosce bene. Potrebbe individuarmi subito. Ma non poteva uscire Seb o Peteer? Ma poi che sta facendo qua fuori? Deve continuare la sua farsa? Perché non se ne è stato dentro con quella!?
Non posso rimanere qui. Devo almeno tentare, ci devo provare.
Mi alzo in piedi molto lentamente rimanendo sempre con lo sguardo sulla figura di Dorian che sta continuando a nominare il mio nome e a cercarmi. Cerco di sgusciare via camminando all'indietro quando noto Dorian girarsi verso di me.
Dannazione! Mi immobilizzo così come sono, tenendo sempre stretto della mia mano destra l'arco. Mi ha visto! Non parla ma sono sicura che mi ha visto.
«Dorothy?» Mi chiede guardando verso di me, anche se non ho ben capito se mi ha visto davvero o se sono sempre riparata da qualche pianta. Non rispondo. Assolutamente.
Mi accuccio su me stessa subito dopo. Poi mi maledico borbottando qualche parolaccia per la stupidità della mia azione. Adesso sicuramente avrà capito dove sono! Perché sono così impulsiva? Perché non penso, anche quel poco, prima di fare qualcosa?
Rialzo gli occhi e Dorian mi sta guardando e lo sta facendo in modo strano. Probabilmente si starà chiedendo che cosa sto combinando.
Fa un passo avanti, anche se rimane ancora piuttosto lontano. «Che... Che cosa stai facendo?» Mi chiede come se avesse paura.
Ah, Dorian, devi averne. Ora più che mai, eppure sai benissimo di che cosa sono capace. Tu mi hai visto.
«Non ti avvicinare di un altro passo!» Gli urlo rimanendo come sono, anche se lui non mi da ascolto e continua a fare qualche passo verso di me.
«No. Perché stai urlando?» Perché continua con questa farsa? Poi lo vedo guardarmi bene, adesso che può. Nota qualcosa e i suoi occhi cambiano. Aggrotta le sopracciglia e apre leggermente la bocca, cose se fosse stupito. «Perché hai lo zaino sulle spalle?»
Non so come faccia a vederci così bene da così tanta distanza, ma ha notato il mio zaino. Avevo capito che quella che vedeva bene da lontano ero io, ma, evidentemente, faceva parte anche quello del suo teatrino. Mi ha trattata come una bambola e questo mi fa solo che arrabbiare di più. Sto stringendo l'arco nella mia mano talmente forte che le mie nocche sono diventate bianche e incominciano a farmi male. Le mi mani necessitano di essere utilizzate, e per qualcosa di violento! Ne ho bisogno.
Continua a farmi domande che non capisco, che non sento. Niente di tutto questo ha importanza adesso, come io non sono stata importante per lui. Sono stata così fondamentale che mi ha sfruttata fino al midollo, mi ha fatto pensare di essere speciale e unica, ma solo perché gli servivo. Bhé, che dire, Dorian mi hai stupito!
Dentro di me non sento nient'altro che rabbia, tanta rabbia. Non c'è più la minima traccia della speranza che mi aveva animato nei giorni passati, di quella voglia di andare avanti, di cambiare, di sperare di poter avere una vita più bella, più libera, più vera, lontana da questo mondo, dai dunkisjisti, e forse con qualcuno che mi vedesse per la persona che sono veramente.
Ma no, era tutto finto. Un teatro. Adesso basta con le illusioni, mi sono nutrita di sogni per tutta la vita! Ho sperato che mio padre tornasse, che la guerra finisse, che Micah vivesse. Adesso è il momento di cambiare, di giurare pagina, di ritornare a pensare con la mia testa, impulsiva, cattiva, egoista. Basta con tutti questi sensi di colpa e autocommiserazioni, quello che devo fare lo devo fare solo per me stessa, perché in questo memento ci sono soltanto io e nessun altro.
Mentre con una mano continuo a stringere l'arco, con l'altra prendo una freccia dalla faretra. Senza pensarci troppo mi sollevo e do forma al primo impulso che ha avuto la mia mente: tendo l'arco nella sua direzione, proprio verso di lui.
Adesso mi vede. Mi vede, oh se mi vede.
Le mani non le alza, però, come se sapesse che non lo colpirei mai. «Dorothy così mi ferisci.»
Come si permette? Lui... Non riesco neanche a pensare da quanta rabbia sto provando in questo momento. «Tu! Sei sempre stato tu! Io mi sono fidata di te! Credevo che tu ...»
Quelle parole mi escono veloce, cattive, sputate fuori dalla rabbia dentro il mio corpo. Ma, in lui, non hanno la reazione che credevo. Dorian mi sta guardando come se non sapessi di che cosa sto parlando. E' bravo.
«Di che cosa stai parlando?» Dice mentre cerca di avvicinarsi a me ora che sa dove sono.
«Lo sai benissimo di che cosa sto parlando! Smettila di fingere!» Gli urlo addosso più forte, facendo tremolare leggermente l'arco davanti a me.
Lo vedo continuare a fissarmi, notare la mia indecisione e poi cercare di capire. «Arco da breve distanza? Davvero Dorothy? Non credo proprio che tu mi voglia colpire...»
Questo mi può solo che far arrabbiare ancora di più! Che cosa fa ora, mi sottovaluta? Mi deride? No, no, io non ci casco. Non sono un frignona. Lascio andare la freccia che avevo teso, senza neanche mirare.
Sento le lacrime che vogliono uscire.
Pochi secondi dopo sento Dorian lanciare un urlo. «Dorothy! Ma che diavolo! Avresti pututo prendermi!» Solo adesso vedo dov'è atterrata la mia freccia. Davanti al suo piede. Ci è mancato poco. Ma tu non volevi ucciderlo e farlo soffrire male?
Cerco di reagire senza rispondere, non serve, incomincerei a dubitare di quello che sto facendo. Tutto questo mentre mi rendo conto che Dorian sta portando la mano dietro la schiena. La mia mente vola, immaginandosi che cosa mai potrebbe avere. Un coltello? Una pistola? Probabile. Non so soltanto perché prima non c'ho pensato. Dorian non viaggia mai disarmato.
Non faccio in tempo a prendere un'altra freccia e tenderla che mi vedo la canna della pistola di Dorian puntatami contro. Ecco.
«Dorothy, metti giù l'arco. Sai che non voglio spararti ma adesso, ti sembrerà strano, mi stai cominciando a far paura.» Mi dice facendomi gesti con le mani, ma sempre puntandomi la pistola addosso.
Non ci vedo più. «Perché non mi spari? Tanto non ti servo più ormai! Sarebbe tutto più semplice, no? Sia per te, che per me!» Gli sbraito contro.
Dorian aggrotta le sopracciglia. «Ma di che cosa stai parlando?»
Nel mentre vedo la testa di Seb spuntare da dietro la porta.
«Tornatene dento Seb!» Gli urlo spostando di poco la mira su di lui che alza le mani. «E' una cosa tra me e Dorian!»
Probabilmente spinti dalla mia voce, vedo spuntare fuori altre persone. Anche lei con quel bambino in braccio.
Non ci vedo più. Sento la rabbia crescermi dentro e annebbiarmi la mente. E so come si può fare male a qualcuno indirettamente.
Sposto la punta della mia freccia su loro due, non so con quale coscienza.
Loro subito dopo mi chiamano ripetutamente, cercando di distrarmi. Seb prende la ragazza e la sposta dietro di se, per proteggerla da me. Morirebbe per qualcosa che non è suo?
«Chi sono loro?» Urlo nella loro direzione. Voglio sapere chi sono. Lo voglio sapere da lui. Deve dirmelo, voglio che butti giù quella maschera. Forse si sentirà anche in colpa per tutto quello che mi ha fatto. Lui, che mi ha consolato quando ho scoperto che è stata mia madre a vendermi. Lui, che mi ha fatto desistere dallo scappare la prima volta. Lui, che mi ha dato una speranza quando vedevo nero da tutte le parti.
«Dorothy. Nessuno che ci riguarda. Metti giù l'arco. Lo so che non vuoi fare male a nessuno! Mettilo giù!» Continua a non rispondermi.
«Ti ho chiesto chi sono loro?! Chi è lei? E' per loro che sei andato via?» Gli urlo contro scuotendo ancora l'arco. Se lasciassi andare la freccia probabilmente mi cadrebbe ai piedi.
Non c'è nessun altro eccetto Dorian ed io adesso. Non vedo nient'altro. Seb, Peeter, quei due, per me non ci sono.
«E' questo il problema quindi? Volevi andartene perché hai visto questo?» Si mette a ridere. Dorian , parlandomi in questo modo, mi vuole solo far credere che non abbia il dito sul grilletto pronto a a spararmi. «Volevi buttare all'aria tutto quello per cui abbiamo lavorato per un fraintendimento? Davvero Dorothy?»
Il mio cervello va in stand-by mentre cerco di andare oltre quella parola. Fraintendimento. Che..? No, non può essere! Non posso essermi sbagliata. Io non sbaglio mai.
Eppure... Cerco di tornare in me e fare quello che ho sempre fatto quando mi trovavo delle persone davanti. Osservare.
Dorian non si è neanche girato a vedere chi era uscito dalla casa. E' stato Seb invece a portare dietro di se quella ragazza con in braccio il bambino. No, forse...
«No, non può essere. So quello che ho visto... Tu ... Tu...»
Lo vedo scuotere la testa. Dorian non mi risponde ma lascia la pistola per terra e incomincia a camminare verso di me, incurante del mio stato d'animo e del fatto che ho una freccia incoccata nell'arco.
«Non mi sono sbagliata. Non mi sono sbagliata. Tu mi avresti buttato via. Tu ...» Continuo a ripetermi mentre Dorian dice agli altri qualcosa che non riesco a sentire. Il mio cervello sta lavorando, accumulando, capendo.
So quello che ho visto, o mi sono sbagliata? Potrebbe essere chiunque, una sorella, una cugina, Annie... Perché sono andata subito a conclusioni affrettate? Forse mi sono solo sbagliata. Ho dubittato di lui quando lui non mi ha mai tradita, non mi ha mai usata.
Sento le lascrime scendere sulle guancie, direttamente collegate a quello che sto pensando. Mi vegogno di me stessa, è per questo che piango. Perché ho dubitato alla prima occasione.
Mentre mi piango addosso sento la presenza di Dorian vicino, che mi prende le mani, mi fa scorrere l'arco dalle dita e lo butta nell'erba. Poi mi passa una mano sulla testa, mi stringe a se e poi mi alza la testa.
«Forse noi due dovremmo farci una chiacchierata.»
Spazio autrice!🌵
so che è passato un po' di tempo, ma questa sessione mi sta distruggendo e quindi scrivo solo quando ho tempo! Spero che vi stia piacendo!❤️
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