Capitolo 30 - Sconvolgi qualsiasi cosa io cerchi di programmare, controllare
Dorian
Darle la lettera, per quanto sia solo un gesto, è stato straziante. Probabilmente perché, dentro di me, non volevo che soffrisse così tanto, o, forse perché neanche io volevo rivivere un momento così doloroso come questo.
Quel momento in cui tutto il mondo in cui credevi ti crolla addosso e tu non riesci a spostarti. Quando tutte le tue certezze diventano polvere in balia del vento, senza valore.
So benissimo come si sente.
Da quando si trova qui, Dorothy ha sempre riposto una grande fiducia nella sua famiglia, ha sempre pensato che prima o poi avrebbero fatto qualcosa per lei, per aiutarla. Io ormai credo che l'unico parent eche avrebbe fatto qualcosa per lei abbia già agito per proteggerla. Però, d'altra parte non posso attribuire la colpa ai suoi fratelli minori: sono troppo piccoli sia per capire che per agire. Chissà se chiedono alla loro mamma perché la sorella non è più con loro...
Darle la lettera è stata la cosa migliore che potessi fare; probabilmente se glie lo avessi detto a voce non mi avrebbe creduto, ma, così, non può smentire quello che è scritto nero su bianco. Purtroppo.
Da quando i suoi occhi hanno smesso di scorrere velocemente sulle parola non ha ancora aperto bocca.
Ho paura perché con Dorothy non sai mai che cosa può accadere! Magari se la prenderà a morte e deciderà che non è vero, che è solo una farsa per non farla restare ancorata al suo passato, oppure deciderà che non può stare un minuto di più in questo posto? Ed io? Che farò?
Intesta ho mille pensieri mentre la vedo lasciar cadere il foglio per terra.
Ho anche cercato di mantenermi ad una certa distanza perché so che in queste situazioni le persone non vogliono essere in contatto con qualcuno, poi se quella persona è Dorothy e quel qualcuno sono io la questione si amplifica ulteriormente.
Alzo lo sguardo verso la sua faccia. Ha lo sguardo spento e fissa il foglio caduto a terra. Le tremano le mani.
Ok, non va bene. Non va bene affatto. Mi sembra quasi di sentire le voci dentro la sua testa che la stanno commiserando, sgridando, denigrando. Sicuramente si starà sentendo in colpa e starà credendo a quello che c'è scritto su quel dannato foglio. Come si fa a provare tanta crudeltà per una figlia? Per rispetto di Dorothy la lettera non l'ho letta ma, avendo conosciuto sua madre, posso solo immaginare che cosa ci sia scritto.
Mi avvicino a lei, ma senza toccarla, non vorrei farla spaventare più di quanto non lo sia già. «Dorothy?»
Niente.
Ci riprovo. «Dorothy?»
Niente.
Mi avvicino fino a toccarla. Le passo una mano dietro la schiena per cercare di rassicurarla. «Dorothy?» La richiamo per una terza volta.
Vedo che finalmente alza gli occhi verso di me e mi nota. Però continua a rimanere in silenzio e io sto seriamente iniziando a preoccuparmi. Ho sentito di molte persone che dopo un trauma sviluppano un certo mutismo post-traumatico. Genericamente parlando questa potrebbe essere una potenziale situazione traumatica e non deve assolutamente essere così. Lei non deve soffrire per delle persone che non la amano, o meglio, che non la amano per quella che è.
Ci riprovo. Questa volta alzo leggermente la voce. Probabilmente si trova in uno stato di trance in cui sta dando ascolto solo ai suoi pensieri. «Dorothy, mi ha sentito?»
Ancora niente. Zero. Come fa a non sentirmi?
«Dorothy?Dorothy, ti prego dì qualcosa. Capisco che tu non ne voglia parlare adesso, ma, ti prego, di qualcosa! Devi reagire! Ora sopratutto! Non volevo che finisse così!»
Cerco di scuoterla leggermente con il braccio che le ho passato dietro la schiena per farla tornare con me. Che cosa pensavo, che si sarebbe fatta una risata? Dio, non dovevo darle quella lettera così, dovevo almeno dirle che non erano delle buone notizie, o qualcosa del genere.
La vedo fissare il foglio ai suoi piedi e poi di nuovo davanti a se. Posso quasi vedere le rotelle dentro il suo cervello che si muovono per mettere insieme tutte le informazioni, tutti i pezzi. Vorrei che lei potesse contare su di me, che si fidasse, vorrei solo sapere che cosa sta pensando per poterla aiutare.
Per assurdo, penso che non sia stata mai più bella di adesso. Lei non lo sa, ma è così. Forse non si è mai vista allo specchio o semplicemente non se n'è mai resa conto, ma è di una bellezza spiazzante e straziante. Adesso più che mai.
La guardo bene in faccia e noto che ha gli occhi leggermente lucidi. Che stia per piangere? Che cosa ha letto? Nella mia vita ho visto piangere Dorothy Chamoun solo una volta, e, in quel caso, aveva le mani macchiate di sangue.
Questo vuol dire che devo fare qualcosa, devo spronarla a non pensarci, convincerla che lei è migliore, la migliore, qualsiasi cosa abbia letto.
«Dorothy!Dorothy! Guardami!» La scuoto per attirarle la sua attenzione. Le metto le mani sulla faccia. «Lo so che cosa stai pensando! L'ho pensato anche io! Ci siamo passati entrambi, so come ti senti in questo momento! Ti ricordi che cosa ti dissi quel giorni nel bosco? Eh, te lo ricordi? Che dovevi ricordati che tu sei migliore di loro, di tutti loro? Tutto questo non è colpa tua! Non sei qui perché sei una cattiva persona, anzi, sei stata fin troppo buona da non accorgerti da esserne circondata!»
Lo so che mi ha ascoltato. Lo so da come mi stava guardando mentre parlavo.
Non so da dove mi sia uscito fuori questo coraggio di consegnarle su un piatto d'argento una parte di me, una parte di me che non conosce nessuno. Forse perché adesso abbiamo una nuova esperienza in comune o forse perché, semplicemente, voglio che si fidi di me, e per Dorothy dove c'è uguaglianza c'è fiducia. Se sa che siamo sulla stessa lunghezza d'onda sarà tutto più semplice.
Dorothy non parla subito ma questo mi fa capire che sta ragionando su che cosa dire.
«Dorian...» Mi sento chiamare. Studio il suo viso. Poi continua, torturandosi le mani. «Io non capisco.»
Mi scosto un ciuffo di capelli che mi è caduto davanti agli occhi. «Penso che ormai tu mi possa fare tutte le domande che vuoi, te lo devo, in un certo senso.»
Prende un bel respiro. Ha paura. «Quindi, sono stata venduta da mia madre?»
Per quanto mi aspettassi questa domanda mi spiazza la sua schiettezza.Vuole sapere. Sento la voce dentro di me. Deve sapere. Non vorrei dirglielo così, perché so che sarà doloroso, perché so che, nonostante io mi stia astenendo dal rispondere, dentro di lei sta ancora sperando in un mio no.
Abbasso gli occhi verso il basso: non ce la faccio a guardarla negli occhi. «Sì.»
Non riesco ad alzare gli occhi verso di lei. Non ho il coraggio di vedere la sua reazione. Non voglio discuterci perché non saprei che cosa dire ne voglio vederla in lacrime, perché non saprei cosa fare. Non sono un asso in questo campo.
Alzo lentamente la testa fino a vederla completamente. Non so se sono più stupito o rammaricato. Pensavo che si mettesse ad urlarmi contro come una pazza, come ha già fatto tante volte, dicendomi che mi ero inventato tutto, oppure, nel più lontano dei casi, mi sarei immaginato che si sarebbe messa a piangere, non per forza un pianto di dolore, ma anche solo liberatorio.
Ed invece la ritrovo così, impassibile che fissa i fili d'erba accanto a se.
Penso che, per quanto mi possa ostinare a cercare di capirla, non ci riuscirò mai. Dorothy non è una macchina che risponde a dei comandi e reagisce di conseguenza; il suo modo di reagire alle situazione è del tutto irrazionale ed inspiegabile. Forse è anche inutile che tutte le volte cerchi di capirla. Probabilmente dovrei lasciar perdere e basta.
Inclino la testa verso di lei. «Dorothy?»
Lei neanche si gira. «Dorian, mi hai risposto. Adesso so tutto, e non autocommiserarti perché non ce l'ho con te. Va tutto bene. Lo so che non è colpa tua.»
«Non va per niente bene! Io non riesco a capire se tu comprendi quello che ti ho appena detto semplicemente fai finta di niente! Se è così, Dorothy, se è così e non hai neanche una minima reazione mi fai pensare che sei fatta di ghiaccio. Non provi niente difronte a quello che ti ho detto? E poi non dire che non è colpa mia, perché lo è!»
La vedo afferrare un ciuffo d'erba con le dita e stritolarlo attorno alla sua mano. Incrina la bocca. «Non dirmi che cosa devo provare perché tu non hai idea di quello che sto provando dentro di me in questo momento.»
«Non sai quello che dici, io...»
Improvvisamente si alza in piedi e mi interrompe. Finalmente reagisci. «Si che lo so! Dici così solo perché vuoi che non ci pensi, vuoi che io creda che ci sia qualcuno nella mia stessa situazione, che sa com'è provare queste sensazioni! E no, non mi dire ancora una volta che lo sai perché smetterò di crederti una volta per tutte! Non mi serve la tua pietà. E non ti incolpare perché ho letto che non è così!»
Mi alzo in piedi anche io. Le tremano sempre la mani. «So quello che stai provando, e, no, non te lo dico perché provo pietà per te, non potrei mai provare un sentimento del genere nei tuoi confronti, mai. Te lo dico perché lo so veramente come ti stai sentendo. Ti senti persa, senti che tutto questo mondo non ti appartiene più perché ti è appena crollato addosso, non sai dove guardare perché ti senti sempre e comunque sola.» Faccio una piccola pausa e vedo che mi sta ascoltando. E' sempre irritata ma mi sta ascoltando.
Mi passo una mano in faccia e poi continuo. «Avevo da poco compiuto diciotto anni quando venni mandato a combattere. All'inizio pensavo che fosse normale, un rito, molti ragazzi venivano presi e mandati a combattere senza che fossero fatte troppe domande. All'inizio non ci feci proprio caso, probabilmente perché ero troppo occupato a pensare a come sopravvivere. E' lì che sono diventato bravo a svignarmela sempre. C'era di mezzo la mia vita, e non volevo perderla per nessuna ragione al mondo. Avevo diciotto anni. Mi sentivo così forte ed invincibile che credevo che sarei potuto uscire indenne da un'esperienza del genere. Mi ricordo benissimo che ogni settimana il caporale mi veniva a controllare. Il problema era che nella mia tenda lo faceva solo con me. Mi insospettii e gli chiesi perché lo facesse. In una afosa serata di agosto scoprii che finché sarei stato in vita mia madre avrebbe avuto la mia paga con la quale avrebbe potuto vivere, che le serviva per tirare avanti. Mi aveva venduto per una manciata di soldi proprio come te. In quel momento ho pensato che i miei diciotto anni non valessero nulla e forse il giorno dopo sarebbe stato il giorno giusto per morire.»
Non se se confessarglielo sia servito a qualcosa, a farle credere che so come si senta. Probabilmente è servito più a me che a lei. Non lo avevo mai detto a nessuno. Non ne vado molto fiero.
«Non lo sapevo.» Dice abbassando gli occhi.
«Non lo sa nessuno Dorothy.» Butto fuori io.
La vedo sorpresa ma probabilmente sta calcolando quanto la sua situazione sia più tragica della mia. Non lo fa apposta, ormai non me la prendo più. E' solamente fatta così.
«Una volta te lo avevo detto che siamo molto più simili di quanto pensi.» Prendo il fucile da terra e me lo metto sulla spalla. Forse dovremmo andarcene da qui, per quanto questo posto sia bello non penso che Dorothy ci voglia restare, tanto meno tornare.
Anche lei prende il suo zaino e se lo mette sulle spalle. Tra di noi non servono troppe parole. Però non si alza. «Non potremmo mai essere simili, Dorian. Per quanto tu lo creda non potremmo mai esserlo.»
Rialzo la testa e guardo nella sua direzione, anche se, da qui, non riesco a guardarla negli occhi. «Perché dici questo? Ti ho appena dimostrato il contrario. Ho affrontato la tua stessa situazione un paio di anni fa e, per quanto all'inizio mi sentissi inutile e perso, ne sono uscito indenne. Sei troppo negativa.» Mentre parlo si gira verso di me.
«Come facciamo ad essere uguali? Guardaci! Per quanto tu cerchi di farmelo chiedere siamo sempre su due barche diverse! Io rinchiusa qui mentre tu sei libero! Quando mi verranno a prendere che cosa potrai fare? Niente! Ecco, questa sarà l'unica cosa che avremmo in comune probabilmente.» Dice, agitando le braccia in aria.
«Hai ragione. Sotto questo punto di vista siamo diversi ma remiamo tutti e due nella stessa direzione. E non negarlo perché ormai ti conosco.»
Sentendole mie parole mi punta un dito contro. «Non cercare di illudermi perché tanto lo so come andrà a finire! Io sarò portata via e tu non potrai fare assolutamente niente! Niente di niente! Non possiamo remare nella stessa direzione se i nostri obiettivi sono diversi, Dorian. Non illudermi, per favore, è l'ultima cosa che mi serve in un momento come questo.»
Metto le mani avanti. «Non ti voglio illudere. Se ci sarà l'occasione ti aiuterò. Fidati di me. Lo so che adesso non capisci ma ti basta sapere che quello che pensi tu lo penso anche io?»
«Non puoi sapere quello che penso. Non puoi.»
«Sì che posso Dorothy. Te l'ho già detto: siamo uguali. Ci sono stato anche io al tuo posto anni fa, lo so qual'è la prima cosa che ti è venuta in mente. Non pensare che non sappia che tu odi stare rinchiusa in quella casa! Capisco come ti senti e non ti biasimo se pensi ancora di voler scappare! Scapperei anche io se fossi in te! Scapperei anche in questo momento se servisse a sfuggire da quello che mi tiene ancorato a questo posto! Ma tutto ha un suo tempo.» Faccio una piccola pausa. Devo riprendere fiato. «Fidati ancora di me, come hai fatto in passato, e vedrai che riusciremo a risolvere questa situazione nel modo che tutti e due speriamo.»
Voglio che abbia il sapore di una promessa perché io voglio rispettarla. Non voglio che lei venga consegnata. Non voglio che finisca così. Vorrei che fosse mia ma non in questo mondo. Non posso fare molto ma l'unica cosa che potrei fare è cercare di salvarla. E lo farò, a costo di rimetterci io stesso.
«Non ti credo. Lo stai facendo solo per mettermi alla prova!»
Lo sapevo che non ci avrebbe creduto. Dorothy non è una persona che crede a tutto subito. Ha bisogno di molto più tempo per fidarsi di qualcuno, e, nonostante tutto, ha ancora dei dubbi su di me.
Mi riavvicino a lei. Le prendo una mano nella mia e le rispondo sinceramente. «E' la verità.»
Dorothy continua a scrutarmi imperterrita. Cerca un mio segno di cedimento, ma, ovviamente, non lo trova. Lei non si fida. Puoi donarle il tuo cuore ma lei continuerà a non fidarsi di te.
Mi farà andare fuori di testa.
Scuote la testa guardandomi. «Non puoi dire queste cose veramente.»
Le stringo ancora la sua mano nella mia. Mi sento quasi privilegiato a poterla toccare: il calore che si propaga dentro di me con un solo contatto è impressionante. «Ascoltami. Lo so che così su due piedi può sembrarti strano, ma te lo giuro, quello che dico è la verità, è quello che penso veramente. Sì, è così: voglio aiutarti a scappare. Non voglio che ti prendano perché non ho idea di quello che ti faranno. Vederti nelle mani dei dunkisjisti sarà l'ultima cosa che vorrò vedere nella mia vita. Non voglio che accada e sarà così. Non so come ma ci inventeremo qualche cosa.»
«Perché lo fai Dorian? Non mi devi nulla.»
Mento. «Non lo so. Non lo so perché lo faccio. Non voglio che accada e basta. So di che cosa sono capici e non voglio neanche lontanamente pensare che ti potrebbero fare qualcosa. Dopo quello che mi hanno detto di fare più che mai.»
«Di che parli?» Dal suo tono di voce mi sembra essere più rilassata.
«Mi hanno dato una macchina fotografica. Vogliono che ti faccia delle foto. Lui vuole sapere come sei.»
La vedo spalancare gli occhi e arrossire. «Scordatelo.»
«E' quello che ho pensato anche io. Così saprebbero qual'è la tua faccia. Fin troppo furba come cosa. Ma non si ruba nella casa dei ladri.»
Dopo tante ore la vedo sorridere. Sorrido anche io. «Bhè, per non insospettirli potremmo sempre farle, non facendo vedere in pieno la mia faccia e chiedendo qualcosa in cambio...»
«Mi piace il tuo lato approfittatore.» Rido. Dio, ha ragione! Da quello che ho capito il cocco di papà vuole vederla a tutti i costi e quindi sarebbe disposto a darle tutto quello che vuole. «Sai, penso che potresti chiedere qualsiasi cosa e lui te la darebbe.»
«Dici?»
«Non sopravvalutare l'intelligenza degli uomini. Pensano solo ad una cosa. Costantemente. E poi è un Dunkisji, quindi la cosa si amplifica se si parla di stupidità.»
«Parli come se tu non fossi un uomo e non lo pensassi pure tu.»
Faccio una smorfia. «Ovvio che no. Ho obiettivi più elevati io.» Dico facendole il verso. Lei mi sorride di rimando.
Si alza in piedi di nuovo. «Ci penseremo su molto attentamente.» Prende tra le mani la lettera che è ai suoi piedi.
«Che fai con quella? Bruciamola!»
«No.» Dice mettendosela dentro una tasca dello zaino. «E' una prova. Magari mi potrebbe tornare utile in qualche modo.»
Non ribatto. Non ha tutti i torti. Non ho idea in che modo voglia utilizzarla ma non obietto. Per quanto Dorothy mi sembri un tipo vendicativo non penso che potrebbe fare del male alla sua famiglia. Nonostante sua madre.
«Dobbiamo...Dobbiamo tornare a casa?»
Alzo le spalle. «Se vogliamo possiamo passare la notte fuori.»
«Davvero?»
«Sì, davvero.» So che è contenta e quindi sorrido tra me e me.
🌲🌿🍂🌱🌳
E' un'ora buona che piove. E' un'ora buona che stiamo camminando sotto la pioggia. Il terreno del bosco è ormai diventato fango e si sente benissimo l'odore di terriccio bagnato. Dorothy è un quarto d'ora che sta tremando, ma non posso farci niente, lo sto facendo anche io. Darle anche solo la mia giacca non cambierebbe la situazione: è completamente zuppa.
«E' un'ora che piove, forse dovremmo pensare a tornare a casa. Non sarebbe una così brutta idea, che dici? Vuoi passare tutta la notte sotto questa pioggia? Io non credo che ce la farò, ma sopratutto sono certa che domani passerò la giornata chiusa in casa!»
Rido mentre l'acqua mi passa sulla faccia. Non è poi così male. Almeno il soundtrack è ottimo.
«Non ridere! Non c'è assolutamente niente di divertente. Non ci credo che stiamo camminando a caso nel bosco. Lo so che stai creando un qualche idea in quella tua testolina. Vedo gli ingranaggi della macchina che si muovono, nonostante la ruggine creata dall'acqua!»
Me la rido di nuovo. Gli ingranaggi delle macchina? Che fantasia Dorothy!
Mi giro verso di lei. «Che cosa intendi?»
«Che non fai una cosa se non ti sei studiato prima un piano preciso e ben dettagliato. Penso che tu sia un maniaco del controllo sotto questo punto di vista e non riuscire a mantenere i tuoi piani, cosa che spesso succede quando ti trovi con me, ti mandi fuori di testa! O sbaglio? Per questo voglio fidarmi di te. Se finirò veramente nelle mani dei Dunkisji almeno saprò che c'era stato un progetto, un'idea, per farmi fuggire.»
E' per questo che mi piaci così tanto Dorothy. Perché sconvolgi qualsiasi cosa io cerchi di programmare, controllare. Tu non puoi essere controllata. Sei un'anima libera e così resterai per sempre, qualsiasi cosa succeda, e io non potrò impedirlo in alcun modo.
Sorrido ma cerco di non farmi vedere. «Quindi credi che anche adesso io abbia un piano? Anche se stiamo camminando da un'ora sotto la pioggia?»
«Non credo. Ne sono certa.» Dice scrollandosi un po' d'acqua dalla faccia. Ha i capelli zuppi. «Non è vero?»
Non posso che darle ragione. «Ovvio che sì.»
Mi si mette accanto nel sentiero. «E dove staremmo andando di preciso? No, sai, io sinceramente non ho una bella cera e per altro sono completamente fradicia. A titolo puramente informativo, chiaramente.»
Mi passo il fucile sull'altra spalla: incominciava a pesare. «Siamo quasi arrivati. Prima di venire qui, con Seb e Peeter, mi sono creato un piccolo nascondiglio nel bosco. Quando sono tornato dal fronte volevo avere un posto tutto mio dove potessi stare in pace, quindi ho creato questo nascondiglio. Non è molto confortevole ma almeno potremmo stare all'asciutto. Mi sembra anche di ricordare di averci lasciato qualche cambio di vestiti.»
«Spero sia di mio gradimento.» Borbotta alzando le sopracciglia.
«E' abbastanza il tuo stile.» La prendo per il braccio, senza stringere troppo. «Vieni: è qua dietro.»
E' tale e quale a come l'ho lasciato. E' veramente tanto tempo che non venivo qui. Le assi di legno sono sempre davanti all'entrata, c'è un po' di muschio sopra, ma comunque niente che faccia pensare che qualcuno vi ci sia infiltrato. Al tempo l'avevo nascosto bene: avevo messo le assi di legno davanti e avevo incastrato dietro una tenda dello stesso colore delle rocce, così che non si vedesse niente.
Spero solo che nessuno l'abbia scoperto.
Sposto le assi e faccio entrare Dorothy dentro. Poi rimetto tutto come era prima così che se qualcuno dovesse passare da qui, anche se praticamente improbabile, non vedrebbe comunque niente di strano.
Accendo alcune candele che al tempo avevo sparso in giro in modo tale da fare abbastanza luce, poi noto che Dorothy ha la bocca spalancata. Sono felice che le piaccia. Ho impiegato davvero tanto tempo per rendere questo posto vivibile. Si tratta di una piccola grotta tra due rocce che notai mentre cacciavo nel bosco. Una fortuna. Ci ho lavorato per parecchi mesi ma alla fine è venuto qualcosa di decente.
«Come hai fatto ha costruire questo posto?» Mi chiede mentre si guarda intorno e mette le mani su tutto quello che le capita a tiro. Dalle poche padelle che ho attaccato alla roccia con dei chiodi, agli armadi rurali che ho costruito con la legna della foresta.
«Tanta, tanta pazienza. E poi ne avevo veramente bisogno.» Rispondo mentre cerco qualche legnetto per accendere un piccolo fuoco. Spero di averne lasciati qui alcuni l'ultima volta, perché andare fuori sarebbe insensato. Nel bosco è tutto zuppo.
Guarda quello che sto facendo. «Vuoi accendere un fuoco?»
Annuisco. «Esattamente.»
Sorride. «E come pensi di farlo? Soffocheremmo con il fumo.»
«Non lascio mai niente al caso, ricordi? Ho scavato tutta una serie di piccoli cunicoli che arrivano fino in superficie per far sì che l'aria cambi sempre. In questo modo c'è anche la possibilità di accendere un fuoco e non rimanere soffocati qui dentro.» Non mi sottovalutare Dorothy.
«Ah. Da come hai progettato tutto sembra quasi che questo luogo ti servisse per viverci...»
Beccato.Che cosa credevi, che non te lo avrebbe chiesto? Dorothy non è gli altri, ormai dovresti saperlo.
«Non è così?»
Abbasso la testa. «Un po' me ne vergogno, ma è così, sì. Quando sono tornato dal fronte non sono tornato a casa, non volevo più metterci piede, e così ho fatto. Volevo andarmene lontano da tutti e, se devo essere sincero, molte notti le ho trascorse sotto le stelle. Ci ho messo davvero tanto tempo a trovare questo posto, e, quando è accaduto, ho deciso che sarebbe stato mio. Quindi sì, ci ho vissuto.»
Dorothy all'inizio non dice niente, continua a guardarsi in giro. Forse mi comprende o forse non vuole chiedermi altro, ma ne sono grato.
Quando sono tornato dal fronte volevo scappare lontano, lontano da questo posto; mi aveva anche sfiorato l'idea di cercare di oltrepassare la barriera elettrica eretta dall'esercito dunkisjista, ma poco dopo mi sono ricreduto. Non c'è l'ho fatta. Sono stato debole. Poi ho trovato questo posto e ho pensato che sarebbe stato perfetto. Nel bosco, lontano da Plast ma non troppo. Siamo sempre stati più vicini di quanto pensi.
Vado verso l'armadio e prendo alcuni vestiti che avevo lasciato e delle coperte con cui potremmo dormire.
«Tieni.» Dico verso di Dorothy porgendole i vestiti. «Cambiati così magari riuscirai a riscaldarti. Io intanto provo ad accendere il fuoco.»
Mi giro di spalle e mi rendo conto solo adesso che anche io sto tremando. Mi metto subito al lavoro, magari così mi passa il freddo.
Raduno i primi rametti per accendere il fuoco e sento di vestiti di Dorothy che scivolano per terra. Chissà se è ancora magra come l'ho vista la prima volta? Dalla visita del dottore è ingrassata un po' di chili e adesso mi sembra che stia bene, ma i suoi vestiti sono sempre larghi ed è impossibile capire che cosa c'è sotto.
Mentre con le mani raduno i rametti sopra la paglia giro leggermente la testa verso la sua direzione, dietro di me, e con la coda dell'occhio riesco a vederla. Non mi nota, ma io la vedo.
Sì, è decisamente cambiata.
Non pensavo che così pochi chili potessero fare la differenza. Non è più scheletrica come prima anche se è sempre magra, come tutti noi, dopotutto. Le gambe sono più belle, più toniche, più sode. Sembra così cambiata. Così tanto in così poco tempo. Sembra quasi che le sia anche cresciuto il seno, ma ha la maglia e non poss... Oh cazzo se la sta togliendo.
Impulsivamente giro la faccia verso le legna.
Voglio vederla, ma non così. Sarebbe troppo facile guardarla mentre lei non lo sa, come quella volta che eravamo al lago. Se mai dovessi guardarla, guardarla veramente, voglio che ci sia anche lei, che sia consapevole di quello che sto facendo. Voglio che sappia, che voglia. Farlo così sarebbe come una cosa rubata di nascosto: mi serve in quel momento e non ne posso fare a meno. No, sei molto più di questo. Voglio vedere ogni sfumatura di te, dalla tua timidezza all'estrema impulsività, voglio sapere se le tue guance si coloreranno e se i tuoi occhi schizzeranno a guardare ogni cosa che ti circonda.
Accendo il fuoco e cerco di non pensarci.
«Grazie per i vestiti.» Dice mettendosi a sedere proprio accanto a me, accanto al fuoco. «Sono un po' larghi ma almeno sono asciutti.»
Le passo una coperta sulle spalle ma non la guardo, se lo facessi so che mi tradirei da solo. «Figurati.»
La vedo sfregare le mani per farsi caldo. «Te rimani bagnato?»
«Prima volevo che fossi tu a stare bene. Non posso permettere che ti prenda qualcosa per colpa mia.»
Devo dire che, per come la frase mi è uscita, è davvero ambigua. Volevo semplicemente dire che ero più preoccupato per lei che per me ma non ci sono riuscito. Capirei se Dorothy non la cogliesse al volo. Infatti subito dopo fa una faccia strana.
Le sue mani vanno fino all'elastico che le tiene legati i capelli e lo sfila. Li scuote e se li porta davanti. «Perché lo fai?»
Alzo lo sguardo verso di lei fino a guardarla dritta in faccia. «Perché sennò saresti rimasta zuppa.»
Scuote la testa e si porta una mano sul labbro, torturandolo. «Intendo, perché fai tutto questo, per me?»
Mentre parla mi rendo conto che siamo davvero un palmo l'uno dall'altra. Molto vicini, troppo vicini. Il mio sguardo casca dai suoi occhi alla sua bocca che pronuncia delle parole. Sembra quasi più bella. Probabilmente non saprò mai che sapore ha.
«Perché forse alla fine un po' mi piaci Dorothy Chamoun.» Non so perché rispondo così. Forse il mio cervello era rimasto incantato e non riusciva a mandare via tutte quelle fantasie che aveva prodotto, o semplicemente perché voglio essere sincero con lei. Perché, sì, non c'è altra spiegazione al mio comportamento se non il fatto che mi piaccia terribilmente.
Non so qual'è la sua reazione, la vedo soltanto continuare a guardarmi negli occhi e avvicinarsi lentamente. Che sta facendo? Mi ritraggo leggermente, per capire. Lo sta facendo davvero o me lo sto solo immaginando?
Ci guardiamo a vicenda per un lasso di tempo che non riesco a decifrare. Entrambi non sappiamo come comportarci. Io non so se ho capito bene. Lei non sa che fare.
Mi faccio leggermente in avanti senza neanche saperne il perché. La guardo negli occhi e poi sulle labbra, le labbra e poi gli occhi. Lo vorrei, lo vorrei, lo vorrei da impazzire, ma dentro di me sono spaccato in due da sentimenti contrastanti: il cervello che mi dice di non farlo, perché creerebbe soltanto ulteriori problemi, che peggiorerebbe le cose, e il cuore, invece, che mi incita a farlo, perché magari un domani non potrebbe esserci per reclamarlo.
Ancora una volta mi faccio leggermente avanti e vedo che neanche Dorothy si tira indietro. Mi sta per scoppiare il cuore. Tra di noi non c'è quasi più alcuna distanza. Sento il mio respiro che rimbalza sulla sua pelle e il suo che mi arriva direttamente in faccia. Ho il fiato corto, e anche lei.
Questa volta è lei a prendere l'iniziativa, anche se non me lo sarei aspettato. Dorothy si fa avanti fino a far combaciare le sue labbra con le mie.
La prima sensazione che provo è quella di una grane scarica elettrica, che mi attraversa tutto il corpo, provocandomi la pelle d'oca. Quasi non mi rendo conto che la sto baciando e, dentro di me, mi chiedo se lo sto facendo davvero o me lo sto semplicemente sognando come già tante altre volte.
Le sue labbra sanno di fresco, di novità, di speranza. Non ho mai sentito niente di più dolce e potente allo stesso tempo. Si muovono avide come se sapessero quello che vogliono, esplorano le mie che non si ritraggono.
Appoggio la mia mano sulla sua guancia per spingerla verso di me. La voglio sentire per davvero, più vicina, più mia. L'accarezzo come se domani non dovesse esserci più, perché, sì, questo potrebbe essere il primo quanto l'ultimo, e, ormai che c'è stato, non voglio far sì che si possa dimenticare. Probabilmente non riuscirò mai a ricordare tutti i dettagli di questo bacio, ma almeno avrò qualcosa su cui aggrapparmi.
Non posso sapere che cosa sta succedendo nella sua testa, che cosa sta pensando, che cosa sta provando, perché l'ha fatto, ma so quello che succede dentro di me. Improvvisamente non ho più freddo: la pioggia,il freddo, i vestiti bagnato sono spariti, non li sento più. Sento sole le sue labbra su di me e il calore del suo viso che attraversala mia mano. Sento solo un forte caldo, un caldo che parte dal centro e si propaga in tutto il mio corpo. Un caldo diverso, un caldo che significa speranza.
Spazio Autrice!❤️
Eccoci con il nuovo capitolo! Quante cose che sono successe in questo capitolo lunghissimo! Ero intenzionata a dividerli in due, ma, dato che, ormai ero in ritardo, ho deciso di regalarvi anche la seconda parte!
Che ne pensate?
Come reagiranno i nostri due?
Per quanto riguarda la storia, ci sono dei dettagli che vi piacerebbe conoscere meglio? Tipo il punto di vista dei Dunkiji, oppure quello di Peeter?
Aspetto le vostre stelline e i vostri commenti!
Al prossimo capitolo!❤️
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