Capitolo 19 - Non voglio sopravvivere

Dorian

Spezzo a metà la conversazione con Seb e incomincio a camminare, lasciandolo sull'uscio di casa senza una risposta.

Non ho voglia di rispondergli, non ho voglia di parlarne. Sopratutto per il fatto che so che in questo caso Seb ha perfettamente ragione. Seb ha sempre ragione, e questo non perché è una persona arrogante, ma per il semplice fatto che è più grande di me e ha già subito tutto quello che sto provando io in questo momento.

Sembra strano, ma Seb, probabilmente sotto questo punto di vista ha sofferto molto più di me. Soffre in questo momento, soffre sempre. A volte penso che non potrei mai vivere come sta vivendo lui adesso, perché lui sta soltanto cercando di sopravvivere a tutto questo. La sua vita è fatta di angoscia e ansia, come quella che ha provato oggi. Ansia per il fatto che non sa come sta la sua famiglia: sua moglie, suo figlio, che adesso sono lontani da lui e che penso che non veda da veramente tanto tempo.

Per me non voglio questa vita, non voglio sopravvivere, non voglio essere un sopravvissuto, voglio vivere una vita vera, emozionante, anche pericolosa, così da non avere poi alcun rimpianto.

Purtroppo il mondo in cui viviamo ce lo impedisce. È evidente che molte cose non possiamo farle a causa della guerra: non c'è libertà, felicità, tranquillità, i bambini in città non possono uscire a giocare senza avere la paura di rimanere feriti, o peggio, le persone hanno paura di non riuscire a vedere il sole del giorno dopo sorgere, non si vedono più ragazze sole in giro,...
Forse anche per questo me ne sono andato da Plast, non sarebbe cambiato assolutamente niente se fossi rimasto in città. Era una città vuota, terribile, devastata. L'unica persona che mi teneva legata a quel posto non sapeva chi fossi, che dovevo rimanere a fare? Poi come sono arrivato ad essere qui non me lo ricordo neanche. Penso che forse è accaduto per un susseguirsi di eventi.

Dorothy non ha mai saputo chi fossi, non ha mai saputo che quel ragazzo che l'ha salvata da quel militare fossi proprio io. Non l'ha mai saputo perché semplicemente nessuno glie l'ha mai detto. Dopo quel giorno gli episodi di omertà a Plast sono radicalmente triplicati, e da questo è conseguito il fatto che nessuno le ha mai fatto il mio nome.
Poi io non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. Mi sono limitato a guardarla da lontano, come facevano anche tutti gli altri dopotutto. Probabilmente è proprio per questo che non mi ha mai notato è riconosciuto, perché mi sono mischiato tra quella folla che non faceva nient'altro se non guardarla da lontano, senza capirla.

Tiro un calcio ad un piccolo sasso che è sul sentiero.
Mi metto le mani in tasca.
Sta calando il sole.

Dorothy non lo sa ma tutti a Plast sanno chi è. Lei pensa di essere una persona a cui nessuno fa caso, ma non è assolutamente così.
Da quando suo fratello è stato portato via tutti hanno fatto finta di niente, come se non fosse successo niente. Dorothy d'altra parte ha fatto uguale: la mattina dopo è uscita di casa, è andata nel bosco e poi è tornata con qualcosa da dare alla sua famiglia. Come tutti i giorni, come se non fosse successo niente. Sicuramente in quel momento stava soffrendo terribilmente, ma non poteva lasciarsi cadere, non poteva farlo, loro avevano bisogno di lei.

Proprio per questo Dorothy è sempre stata più grande della sua vera età, faceva cose che le sue coetanee neanche si immaginavano di fare. Probabilmente per questo era così affascinante agli occhi di tutti: era diversa. Era diversa e non ne era consapevole, per lei tutto quello era semplicemente normale. E ovviamente questo era un ulteriore punto a suo favore.

Mi sembra ancora di sentire le voci dei ragazzi coi i quali trascorrevo le giornate, che parlavano di lei. Tutti parlavano di lei perché tutti si chiedevano come mai fosse così, così speciale. A Plast Dorothy rappresentava un'anomalia in quella noiosa ordinarietà dei giorni e delle persone.

Mi viene in mente un episodio, del periodo in cui già la tenevo d'occhio, quindi non molti mesi fa.

«Ehi, hai visto?» Dice uno ad un altro ragazzo, dandogli un colpo sul braccio e poi indicandogli una figura che cammina per strada.

«La sorella di Micah.» L'altro alza le sopracciglia verso l'alto, come in segno di approvazione, mentre guarda in direzione del dito di quell'altro. «Da quando lui è stato portato via va in giro sempre sola.»

«Te la conosci?» Chiede invece rivolgendosi a me.

Guardo Dorothy che sta passando proprio davanti a noi in questo momento, e che non si è nemmeno accorta della nostra presenza, o meglio non ci ha neanche considerati minimamente.
«No. Per niente.» Mento. «Però ho sentito dire in giro che non è molto socievole. Sta abbastanza per i fatti suoi» Speravo che dicendo questo gli avrei distratti, ma facevo soltanto peggio, perché aumentavo esponenzialmente la loro curiosità nei suoi confronti.

«Ah sì? Secondo te, se le vado a parlare, che succede?» Dice girandosi più volte per guardarla.

«Non lo so. Prova.» Concludo io, consapevole di quello che sarebbe accaduto.

Il ragazzo in questione prende e va verso di Dorothy. Io sto già ridendo sotto i baffi.
Le sue intenzioni non sono cattive, solo che fa un errore: per attirare la sua attenzione le mette una mano sulla spalla e la chiama.
Quello che succede dopo è comico: Dorothy si gira nella sua direzione e subito dopo il ragazzo si trova con un coltello alla gola.

«Come sai il mio nome?»

Il ragazzo di cui non mi ricordo affatto il nome la sta guardando con due occhi sbarrati, e poi ha anche alzato le mani in alto in segno di resa. Sto morendo dal ridere dentro di me.

Dorothy vedendo che non le risponde ritenta premendo ancora di più sul coltello. «Che cosa vuoi?»

«Ehi, calma dolcezza, volevo solo parlarti.»

Dorothy sentendo quella risposta gli toglie automaticamente il coltello dalla gola e lo rimette nella cintura. «Non abbiamo niente di cui parlare» Gli risponde, dopodiché riprende a camminare nella direzione di prima.

Il ragazzo appena vede che si rimette a camminare verso la sua direzione le urla: «Ehi, aspetta!» Ma niente ovviamente, Dorothy neanche si gira.

Il ragazzo torna verso di noi, un po' paonazzo ma torna.

«Avete visto cosa ha fatto? Quella è tutta matta!» Dice passandosi una mano tra i capelli e riguardando nella sua direzione.

«Già.» Rispondo io con una voce tesa.
Spero che smetta di parlare di lei. Mi sta dando sui nervi.

«Ma, Dio, me la farei comunque! Avete visto com'è? Selvaggia, coraggiosa! Ditemi, chi avrebbe mai fatto una cosa del genere con un ragazzo? È unica! Ma prima o poi cederà, vedrete!»

Mi metto a ridere a da solo nel bosco pensando a quella scena. Povero illuso.

Ormai il sole è tramontato.
Faccio retro front e torno indietro verso casa. Quest'ora è fantastica: non fa troppo freddo ma comunque si vede ogni dettaglio della notte.

Quando arrivo in casa vado subito verso le scale e raggiungi il piano superiore con ampie falcate.

«Dorothy?» Chiedo da fuori la porta di camera sua.

Sento silenzio dentro, ma pochi secondi dopo sento una voce rispondermi. «Sì?»

D'istinto apro velocemente la porta, ma qualcosa fa resistenza.

«Ahi.»

«Cosa?... Ti ho preso con la porta?» Chiedo, guardando prima lei è poi la porta.

«A quanto pare...» Mi risponde massaggiandosi la fronte con una mano.

«Scusa, non volevo...» Le dico allungando una mano verso di lei. «Ma che ci facevi appiccicata alla porta?» Le chiedo di rimando subito dopo.

Mi fissa. «Ehm, niente. Che cosa ci dovevi fare?»

«No, non lo so, io... Vabbhè lascia stare. Volevo dirti che domani in mattinata usciamo.»

«Per me va bene.» Mi risponde facendo una faccia spavalda.

«Dorothy.»

«Sì?»

«La mia non era una domanda.» Le riposando lasciando la sua stanza e andando poi in camera mia.

🌲🌿🍂🌱🌳

«Allora, quando impugni l'arco la mano deve essere tesa e decisa.» Mi spiega Dorothy posizionandomi meglio le mani sull'arma, toccandomi con le sue. Il calore che emana è impressionate, è come una scossa elettrica.

«Così?»

«Sì, così. Sicuramente è meglio di prima.» Mi risponde sorridendo.

Penso che si stia divertendo. Mi sento un po' imbranato con quest'arma, ma è così bello vederla ridere che potrei continuare in eterno a non saperla usare.
Ho sempre pensato che l'arco fosse un'arma nobile, non è come una pistola, ma molto più sofisticata, difficoltosa, precisa, però non mi sono mai deciso a imparare ad usarla, e in questo momento non mi pento di questo.

«Adesso prova a tendere.»

«No, dai, non sono pronto.» Ci scherzo su.

Ma lei invece mi esorta. «Dai, davvero. Prova.»

Provo davvero. Prendo un bel respiro, cerco di individuare il bersaglio e tendo l'arco.

«No, non così.» Dice lei posizionandosi accanto a me. «Le spalle devono stare così. Poi non tenere mai l'arco teso. Tendi e scocca la freccia mentre butti fuori l'aria dai polmoni. Non devi mai rimanere con il respiro sospeso. È come correre alla fine.»

Dorothy mi sistema la posizione delle spalle con le mani, cerca di raddrizzarmi in un certo senso.
Mentre lei si adopera ruoto leggermente gli occhi nella sua direzione, verso il suo viso, e soltanto adesso ci faccio caso: alla fine non è così tanto più bassa di me come invece pensavo, forse giusto una spanna.
In questo momento siamo davvero molto vicini e posso notare questi piccoli dettagli. Probabilmente lei lo ha fatto involontariamente ma siamo praticamente appiccicati. Non riesco ancora a capire se si rende conto dell'effetto che mi fa fisicamente, non riesco mai a decifrare il suo sguardo. Ogni volta è un enigma. Spesso e volentieri sembra che non abbia emozioni, come se niente la toccasse, la scalfisse, ma io penso che tutto questo sia solo una maschera. Secondo me Dorothy non sa come comportarsi a riguardo, in queste situazioni, e allora cerca di nascondere le sue emozioni, sembrando apparentemente un pezzo di ghiaccio.
Giusto per dire, io non sono affatto bravo in questo, anzi, spesso e volentieri mi faccio condizionare dalle mie emozioni, sopratutto quando sono con lei.

«Bene.» Dice mentre io sono ancora in tilt con il cervello. «Adesso sta a te.»

Mi metto a ridere. «Dorothy, questo non è un gioco, non dobbiamo rispettare dei turni! Se vuoi continuare con l'arco possiamo fare anche domani la mia parte!»

«No ma io voglio che tu mi insegni a difendermi!» Mi risponde aggrottando le sopracciglia e dicendolo con un tono che non riesco a capire se è deluso e rimproverare.
Poi improvvisamente si rende conto del tono che ha usato e spalanca gli occhi. «C'è, nel senso, mi piacerebbe che tu mi insegnassi!»

Rido.«Hahaha. Non ti preoccupare, ho capito, ho capito.»

Poso l'arco per terra accanto ad un albero, con anche le frecce. Il luogo dove ci siamo fermati è una radura molto piccola, in luogo ideale per fare questo tipo di allenamenti.

«Allora, incominciamo con la base: che cosa sai fare?» Le chiedo. Nel dirlo uso un tono divertente, come se la volessi mettere alla prova. Penso che la prenda bene perché la sua bocca si piega in un sorrisetto furbo.

«Un po' so.»

«Il fatto è proprio questo: capire quanto sai e come lo sai. Chi ti ha insegnato le cose che sai?»

«Nessuno.» Mi risponde disinvolta.

«Eh allora come...» Mentre ragiono vedo Dorothy fare una faccia strana, quel genere di faccia che di solito una persona fa quando la risposta alla domanda che viene posta è più che ovvia. «Niente, ho capito.» Scuoto la testa. «Niente domande.»

«Quando cominciamo allora?» Chiede Dorothy. Sembra essere elettrizzata dall'idea di prendermi a pugni. Fantastico.

«Se ti senti pronta possiamo anche cominciare subito!» La esorto.

«Fantastico.» Appunto.

Poi si mette in una strana posizione, come se dovessimo combattere una lotta di karatè. Mi viene da ridere ma cerco di trattenermi.

La invito ad avanzare e a fare la prima mossa con un gesto della mano.
Gli occhi di Dorothy si illuminano, come se aspettasse questo momento da tanto tempo.
Viene verso di me facendo delle finte, ma poi mi tira un pugno, che però io blocco prima che possa arrivare a destinazione. Tengo stretto il suo pungono della sua mano.

Dalla faccia che fa capisco che non si aspettava questa mia reazione. «Come? Come hai fatto a prevedere che avrei fatto questo?»

«Dorothy, era decisamente prevedibile. Questa mossa iniziale è quasi un cliché.»

«Bene, era solo per scaldarsi.» Risponde lei di rimando, facendosi scrocchiare il collo.

Non capisco se sia seria oppure no. «Bene. Allora continuiamo. Prova a fare qualcosa che io non potrei prevedere. È una lotta difensiva ma può benissimo diventare offensiva se riesci a capire il tipo di mosse che farà il tuo avversario.»

Dorothy prende Il parola quello che ho detto ed infatti fa una cosa che non mi sarei aspettato. Un gesto non da combattente, ma di chi vuole scappare da qualcosa.
Mentre penso che farà la stessa identica mossa di prima, lei mi prende il braccio, e non so come ma riesce a ribaltarmi di lato, facendomi sbattere contro la terra. Dopodiché si mette sopra di me con il peso, per immobilizzarmi, mentre mi tiene sempre stretto il braccio, che in questo momento mi sta bruciando per la pressione che ci mette.

«Allora? Anche questo lo considero un cliché?» Mi chiede mentre la vedo ridere sopra di me. In effetti ha agito molto bene, ma non perfettamente.

«Dorothy, non devi mai sottovalutare il tuo avversario in questo modo» Le rispondo.

Le blocco il piede con la gamba e lo immobilizzo. Dorothy urla dal dolore. Sì, so che fa estremamente male. Grazie a questo suo momento di distrazione riesco ad invertire le posizioni.
Adesso sono io ad essere sopra di lei. Cerco di tenerla ferma, tenendo le sue braccia ferme all'altezza delle spalle con le mani, le sue sono sotto le mie ginocchia, e le gambe ferme sotto il peso delle mie.

«La prima cosa che devi fare è essere totalmente sicura di controllare il tuo avversario. Devi averlo in pugno e essere sicura di questo al cento per cento.» Le spiego.

Dorothy è furiosa per questa sua sconfitta, più morale che fisica. Cerca di dimenarsi, ma invano.

«Non sprecare le forze. Quando ti trovi in questa situazione non c'è niente che tu possa fare. Ovviamente nel caso in cui tu ti trova da sola.»

Le nostre faccio sono davvero vicine. Posso sentire il suo respiro affannoso che va pian pianino a regolarizzarsi.
Guardo Dorothy negli occhi. Mio piccolo. grande enigma, che devo fare con te?
I suoi occhi viaggiano da una parte all'altra del mio viso e poi, non so come, finiscono per fissare per un decimo di secondo la mia bocca. È un decimo di secondo ma io lo noto. Sì, lo noto decisamente perché è una vita che aspetto che lei si accorga di me.
Dentro di me sto combattendo tra le mie due personalità, per non fare niente di cui mi potrei magari pentire,  ma è così difficile... Sopratutto con lei così vicina, così curiosa.

In questo momento sono distratto e meno deciso nella mia presa. Infatti Dorothy si libera e inverte nuovamente le posizioni, solo che questa volta sa come bloccarmi.

«Non c'è niente che tu possa fare eh?» Mi chiede soddisfatta.

Sbuffo. «Questo non vale. Sono stato distratto.»

«È una prerogativa che devi tenere in considerazione! Ho vinto io comunque!» Scherza e nel farlo la sua faccia scende leggermente verso la mia.

In questo momento potrei scommettere che Dorothy stia provando le stesse sensazioni e dubbi che io ho provato qualche minuto fa. La vedo indugiare sul mio viso, e il suo sguardo casca di nuovo sulla mia bocca. Forse è una mia impressione, forse sto letteralmente sognando, ma mi sembra quasi che Dorothy si stia abbassando verso di me.

Tutto questo per pochi secondi, perché poi si tira su velocemente, mettendosi in piedi, come se qualche cosa l'avesse spaventata.

«Hai sentito?» Mi chiede guardando tra gli alberi intorno a noi.

«No! Che cosa?» Gli chiedo io abbastanza irritato.

«Quel rumore. Tra gli alberi.» Risponde prendendo l'arco che io prima avevo appoggiata vicino ad un albero.

«Io non ho sentito niente.»

Ma Dorothy continua a fissare un punto a caso nel bosco. Poi improvvisamente gira la testa dall'altra parte.

Punta lo sguardo verso quella direzione. «Adesso?» Mi domanda a bassa voce. «Adesso lo hai sentito?»

«Dorothy io continua a...» Mentre dico quelle parole lo sento anche io quel rumore. Vedo Dorothy girarsi da un'altra parte ancora.
Ci sta girando intorno.

Mi alzo in piedi. Dorothy prende una freccia dalla faretra.

«C'è qualcuno, e ci stava spiando.» Conclude lei mentre guarda verso il bosco.




Spazio autrice.
Quasi 2800 parole! Questo capitolo è lunghissimo! Non ho voluto dividerlo perché ho pensato che avrei annullato la suspance che poi si crea al momento finale! Per questo mi sto ricredendo se mettere insieme alcuno capitoli precedenti, che alla fine ho diviso perché pensavo fossero troppo lunghi.
Allora, la storia vi sta piacendo? Dall'ultimo capitolo non ho visto molto interiezioni e infatti ero molto giù e non trovavo la spinta per scrivere questo nuovo capitolo.
Spero vi piaccia.❤️

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