Capitolo 16 - Non sono mai stata una buona forchetta

Dorian

Quando il caporale Kaventys ha preso sottobraccio Dorothy mi si è gelato il sangue nelle vene: ho avuto veramente paura che lui l'avesse riconosciuta e che glie la volesse far pagare, ma per puro, purissimo caso non è stato così. Non so che cosa sarebbe successo altrimenti, non so neanche se Dorothy si sia resa conto con chi avesse a che fare, ma non credo, perché non si sarebbe assolutamente mantenuta così calma in caso contrario.
Ma poi non è stata in grado di riconoscere me, figuriamoci lui.

Quando tra noi echeggiava il silenzio avrei tanto voluto rassicurarla, dirle di non avere paura perché quel giorno è ancora lontano, ma non ho potuto, non ho potuto perché lui era lì che studiava ogni mia mossa, per vedere come mi approcciavo nei suoi confronti.
Comunque credo che il caporale che abbia dei dubbi sull'identità di Dorothy, che lui si ricordi di lei nonostante abbia cercato di mascherarlo.

Quando le ho detto che l'avrebbero presa, e sapevo che Dorothy subito ha pensato al fatto che l'avrebbero portata via da qui, quasi non mi è venuto un accidenti nel vedere la sua reazione. Sembrava presa da un attacco allergico: le gote gonfie e rosse, gli occhi di fuori, la bocca spalancata. Mi sono sentito tanto in colpa per averglielo detto in quel modo, ma Kaventys ci stava ascoltando, e quindi non potevo agire diversamente, ne, appunto, cercare di consolarla.

«Le hai detto, in modo preciso, che cosa le faranno?» Chiede Sebastian.

È molto nervoso: da quando Dorothy è stata portata dentro la stanza continua a camminare avanti e indietro, quasi a consumare le piastrelle del pavimento della cucina dove ci hanno chiuso.
Capisco il suo nervosismo, solo che solitamente quando Seb è nervoso tende a diventare estremamente paranoico e insopportabile.

«No, le ho detto che era una visita. Ho pensato che era meglio non fasciarle la testa prima del dovuto.» Ammetto.

«Cosa? Dorian! Doveva entrare là dentro preparata, doveva sapere cosa dire, che cosa fare, non fresca di un bagno nel lago! Diamine.» Mi urla e poi sbatte un pugno sul tavolino di legno per sfogare le sua rabbia contro qualcosa che non sia me.

«Sebastian! Che cazzo urli! Se ci sentono siamo finiti!» Sbotta Peeter alzandosi in piedi. «Se anche solo sapessero che la lasciamo uscire fuori di casa con Dorian ci giustizierebbero all'istante, e con noi anche le nostre famiglie. Sai benissimo quali sono le loro regole ferree e quanto loro tengano al fatto che vengano rispettate, quindi, pensa se venissimo a sapere che facciamo il contrario!»

Solitamente Peeter non è una persona volgare, anzi, per niente. Forse prima d'ora non lo avevo mai sentito dire una parolaccia.

Seb fa un breve, ma intenso respiro e poi torna a rivolgersi a me. «Se c'è solo un piccolo, piccolissimo particolare che non va bene, la responsabilità sarà tutta tua. Tu hai voluto che fosse proprio lei, poi che fosse così libera e tu hai incominciato a portarla fuori, quindi, è solo e soltanto tua la responsabilità! Non voglio sentire storie a riguardo» Cerca di dire sottovoce nonostante sia sempre incazzato con me, lo vedo dal modo in cui mi guarda.

Ingrano il colpo e rispondo a denti stretti. So di aver sbagliato. «Ricevuto.»

Ma la mia risposta sembra non essere abbastanza per Sebastian.

«Dorian te lo giuro che se c'è qua che aspetto fuori posto ti ammazzo! E hai capito di che cosa sto parlando!» Mi urla indicandomi con il dito.

Bene è arrivato l'ultimatum.

Sebastian mi urla contro come se non contassi niente, come se non sapessi quello che faccio, come se fossi l'unico a disobbedire.

«Sebastian non mi trattare come un cretino a caso perché io so benissimo quello che faccio! Il fatto che Dorothy si fidi di me non vuol dire niente...» Incomincio.

«Invece vuol dire tutto! Come fai a non capirlo? Cosa credi che faranno se scoprissero che tu Dorothy la conoscevi già prima di essere ingaggiato da loro e l'hai scelta proprio per questo? Andranno da colui che sa tutto della sua prigioniera, sapendo che è lui colui che non ha eseguito un ordine.»

Mi ammutolisco. Quello che dice Seb è vero, per quanto mi risulti difficile ammetterlo, è così. Se loro lo venissero a sapere verrebbero dritti da me, perché ormai gli ho dato la prova del fatto che solo e soltanto io conosco ogni aspetto della sua vita.

«Dorian?»

«Lo so che hai ragione: le conseguenze cadrebbero su di me. Ma che cosa dovevo fare Seb, conoscendo la sua situazione? Lasciarla morire, e così con lei anche tutta la sua famiglia? Almeno adesso loro stanno bene e lei è felice, per adesso.»

Rispondo senza neanche pensarci troppo, ma con sincerità. Questo è il pensiero che mi è venuto quando i dunkisjisti mi hanno chiesto di trovare una ragazza adatta. Ho pensato subito a Dorothy, non perché sarebbe stata giusta, ma per salvarla, ancora. Almeno avrebbe vissuto un anno senza dover pensare unicamente alla sua famiglia e ad aver paura. Poi mi odierà per tutto il resto della sua vita per quello che ho deciso per lei, ma non è questo il punto.

«Dorian, in un modo o nell'altro, volenti o nolenti, noi saremmo considerati comunque tuoi complici. Ormai è fatta, ma di questo io e Peeter siamo consapevoli. L'unica cosa che ti dico è che se vuoi che lei continui a fidarsi di te, devi essere sincero, perché se mai Dorothy dovesse venire a conoscenza del fatto che sei stato tu a scegliere lei, tra tutte per questo, se non sarai già morto ti ucciderà lei stessa.» Conclude Seb.

Non so che cosa rispondere perché ha ragione.

Mi metto seduto con le mani davanti alla faccia. Se Dorothy dovesse mai venire a sapere che sono stato io a metterla in questo casino mi ucciderà con le sue mani, e sono che ne sarebbe capace.

Lei non sa perché l'ho fatto, ma non ho comunque scusanti. Dico tanto che lei è egoista, ma lo sono anch'io, perché l'ho condannata per averla soli pochi mesi accanto a me, come se potesse cambiare qualcosa tra di noi.

Preso dai miei pensieri non mi accorgo neanche che il caporale Kaventys è rientrato nella nostra cucina.
Drizzo immediatamente la schiena.

«Blackburn?» Chiede il caporale, scrutandoci, come se davvero non sapesse chi fosse tra di noi.

«Sì?» Chiedo io alzandomi in piedi.

«Il dottore la vuole al piano di sopra.»

Guardo stranito i miei compagni e poi mi rivolto verso di lui. «Che cosa? Perché?»

Il caporale sbatte le palpebre, quasi infastidito dall'inutilità della mia domanda. «Lei esegua l'ordine, e basta.»

🌲🌿🍂🌱🌳

Sono al piano superiore, fuori dalla porta che chiude la stanza dove si trova Dorothy.

Non so perché mi abbiano fatto salire, spero solo che non sia niente di negativo, in caso contrario sarebbero guai.

Sorrido tra me e me ripensando a quello che mi è passato tra la mente un po' di tempo fa: che magari, se le cose si complicassero troppo, potremmo veramente fuggire, nel bosco. È un pensiero totalmente egoista ma chissà come la prenderebbe Dorothy se glie lo chiedessi. Forse accetterebbe, ma non lo so, perché di lei non si può mai essere sicuri al cento per cento.
Comunque non sarebbe una brutta soluzione.

La porta accanto alla sedia sulla quale sono seduto si apre. Sul ciglio appare un uomo con un camice bianco e occhiali, che deduco essere il dottore mandato dai dunkisjisti.

«Lei sarebbe il signor Blackburn?» Mi chiede abbassandosi leggermente gli occhiali sul naso.

Mi alzo in piedi e rispondo deciso. «Sì. Sono io.»

«Bene, entri pure.» Dice e poi apre al porta invitandomi ad entrare, spostandosi di lato.

Attraverso l'ingresso ed entro nella stanza. Tutto è stato modificato affinché il dottore potesse fare la sua visita: c'è un lettino, la bilancia, il pannello oculistico, ogni cosa. È tutto estremamente bianco e luminoso.

Dorothy è seduta sulla sedia davanti ad un tavolino che immagino sia servito al dottore per scrivere. Ha lo sguardo assente, ma comunque è seria. Quando entro si gira soltanto un attimo per guardarmi, dopodiché sposta subito lo sguardo.

«Signorina è lui quello di cui mi ha parlato?» Le chiede il dottore.

Dorothy risponde con un neutro sì, come se fosse indifferente. Lui è quello di cui mi ha parlato...

«Bene, adesso legga queste informazioni e poi potremmo proseguire con la visita.» Dice porgendomi un foglio.

Leggo velocemente tutte le informazioni che ha annotato e poi glie lo restituisco mettendolo sul tavolo.

«È tutto esatto?» Mi chiede prima di prendere in mano il foglio e archiviarlo definitivamente.

«Sì, sì, va tutto bene.»

«Bene, allora possiamo proseguire con la visita.» Dice alzandosi in piedi. «Prima gli occhi. Dorothy mettiti in piedi lì.» Indica il centro della stanza con un dito.

Dorothy si alza e, stranamente, fa come le ha detto. Questo dottore non mi sembra estremamente crudele, anzi, mi sembra abbastanza professionale.

Dorothy vede e riferisce correttamente tutte le lettere che il dottore le chiede, anche quelle più piccole che pure io ho difficoltà a distinguere da altre simili.

«Lei signorina proprio una vista di falco!» Le dice il dottore stupito.

Io rido sotto e baffi. Dorothy mi vede e accenna ad un piccolo sorriso con le labbra.

«Bene, bene. Adesso si spogli.»

Ho sentito bene?
Guardo Dorothy che è diventata tutta rossa e non ha mosso un muscolo. Evidentemente non si aspettava questa parte della visita, si è sentita in imbarazzo a spogliarsi davanti a me, figuriamoci davanti ad una persona che non conosce.

«Cosa?» Chiedo io abbastanza infastidito. Che cosa crede di fare?

«Ma sono io il dottore o lo è lei? Perché lei dovrei dare spiegazione di tutto quello che faccio?» Mi chiede alzando lo sguardo su di me, con anche un tono di sfida.

Evidentemente mi sbagliavo sul dottore. È un professionista nel suo lavoro, ma è pur sempre un dunkisjista.

Mi faccio avanti con il busto, deciso a mantenere la mia posizione. «Perché io non mi fido di lei.»

Vedo che alza gli occhi al cielo e sbuffa. «La devo pesare e misurare. Suvvia, lei si muova.» Dice in direzione di Dorothy.

Ma Dorothy non fa niente. Come se fosse così semplice spogliarsi davanti a qualcuno. Certo, io l'ho già vista, ma questo lei ovviamente non lo sa. Vedo che cerca conforto nel mio sguardo, ma io non posso fare niente.

Il dottore alza lo sguardo, guardando Dorothy severamente m. «Signorina se non si muove devo chiamare i soldati qua fuori, che non saranno gentili quanti lo sono stato io. Non vorrei farlo, ma non voglio assolutamente avere problemi con loro.»

«Non ce ne sarà bisogno.» Affermo io, rispondendo al suo posto. «Dorothy?»

Poi mi giro verso Dorothy che vorrebbe aggrapparsi a me, e capisco. Si vergogna del suo corpo, del fatto che è così magra. Semplicemente si vergogna di farsi vedere per quella che è veramente. E mi odio terribilmente per questo, per averla sottoposta a tutto questo contro la sua volontà.

Quando realizzo questo concetto capisco che il problema non è lei, o il dottore, ma io.

Mi giro con il busto verso la scrivania del dottore di fronte a me che intanto che aspetta sta continuando a scrivere dati riguardanti la vista di Dorothy.

Dopo pochi secondi sento uno sfruscio che credo sia dei vestiti di Dorothy. Bene.

«Bene.»

Dice anche il dottore mettendosi meglio gli occhiali. Si alza in piedi e va nella sua direzione. Mi trattengo dal girarmi e cerco di focalizzarmi sul mio udito.

«Prego, salga pure sulla bilancia.»

Rumori metallici di lancette e sbarre rimbombano nella stanza vuota, come se non ci fosse nessuno.
Posso anche sentire il battito cardiaco di Dorothy da quanto è forte.

«Uhm.»

«Cosa c'è?» Immediatamente chiedo preoccupato.

«Niente di allarmante ma la nostra paziente è nettamente sottopeso. Rispetto alla sua altezza ed età, dico.» Dice il dottore sfregandosi i baffi con una mano.

«Mangi?» Le chiede direttamente.

«Sì, certo.» Risponde Dorothy scuotendo la testa sù e giù, come se fosse la risposta più scontata del mondo.

Sento che il dottore ha spostato lo sguardo su di me.

«Dottore, Dorothy mangia, l'unico problema è che non era abituata a mangiare in questo modo a casa sua, e quindi ci mette un po' ad ingranare i nostri ritmi.» Dico, cercando di essere il più convincente possibile.

«Non sono mai stata una buona forchetta.» Mente spudoratamente Dorothy. Se solo lui conoscesse il perché è così magra.

«Bene. Ma da adesso alla prossima visita deve prendere un bel po' di chili. Per arrivare a pesare come una persona della sua età, dico.» Le dice il dottore annotando la sua altezza e il suo peso in chilogrammi.

«La prossima visita?» Chiede Dorothy.

«Certo. Quella che faremo insieme appena dopo la porteranno dal figlio del capo. La dovrò visitare nuovamente per verificare che tutti i parametri corrispondano a quelli rilevati oggi. Tutti tranne il suo peso, ovviamente.»

In questo momento posso solo che immaginare Dorothy sbiancare. Non prenderà mai peso, ma non è assolutamente questo quello che la preoccupa.

«Suvvia che abbiamo quasi finito! Passiamo alla visita ginecologica. Indossi pure quel camice e si stenda sul lettino. Signor Blackburn, venga qua che ho bisogno del suo aiuto.»

Ecco, lo sapevo che sarebbe stato inevitabile.

Mi alzo i piedi e mi giro, preparandomi ad una scena che nessuno vorrebbe mai vedere.

Dorothy è stesa sul lettino, Il camice che il dottore le ha detto di indossare è talmente largo sul suo corpo che la fa sembrare ancora più magra di quello che in realtà è. È tesa, tesissima, lo noto dallo sguardo tagliente che fissa imperterrito il soffitto, che non riesce a guardarmi. È rigida come un pezzo di legno.

«A che età l'è venuto il primo ciclo mestruale?» Chiede il dottore mentre si infila i guanti di lattice.

«A dodici anni.» Risponde Dorothy, decisa e fredda, senza lasciar trapelare nessun tipo di emozione.

«Bene. E adesso da quanto tempo è che non le viene più?» Le domanda nuovamente il dottore a bruciapelo.

In tutto questo mi sembra di non essere presente, mi sento come un oggetto posato lì, da una parte. Non conosco questi aspetti della vita di Dorothy e non capisco il motivo per il quale debba assistere a questa odiosa procedura.

«Ehm...»
«Le rispondo io: da tanto. Invece di fare lo sciopero della fame dovrebbe mangiare.» La rimprovera.

Che imbecille, penso. Come se lei avesse scelto di mangiare così poco e saltuariamente.

Poi alza lo sguardo verso di me. «La signorina dovrà mettere sù minimo otto chili. È estremamente magra e, in tutta franchezza, questo rappresenta un problema, di quelli molto grossi. Dovrete controllare e annotare il suo peso ogni settimana, per assicurarvi che stia ingrassando. Spero vivamente che lei abbia capito, e questo lo dico per il suo bene.»

«Certo, ovviamente. Provvederemo anche a questo.» Rispondo pacatamente.

«Bene, ottimo. Signor Blackburn la ringrazio, ma adesso può uscire. Devo parlare da solo con la paziente.»

Non capisco molto il motivo di questa sua affermazione ma rispondo in maniera gentile un va bene e dopo aver lanciato un'occhiata veloce verso di Dorothy mi avvio verso la porta della stanza, uscendo.


Spazio Autrice🔥
Lettori un capitolo da 2500 parole! Spero vi sia piaciuto!✨✨✨✨

Per chi non avesse letto l'avviso precedente!⬇️
Non mi sembra vero ma "Survival" è davvero entrata nel vivo della terza fase del concorso Advisor Awards!
Sono felicissima!✨
Allora, ho scritto questo messaggio perché nella terza fase è necessario l'intervento del pubblico, ovvero di voi, i miei lettori che leggete la mia storia.
Che cosa bisogna fare? Molto semplice. Bisogna andare sul profilo degli Advisor e selezionare la storia relativa al concorso di quest'anno, successivamente selezionare il capitolo Beyond Humanity Awards VOTAZIONI e lasciare un commento nel quale spiegate il motivo per cui vorreste salvare la mia storia. Il commento dovrà avere un senso logico è una lunghezza minima di 5 righe. Semplicemente potrete spiegare il motivo per il quale state leggendo la mia storia, che cosa vi piace o che cosa vi ha portato ad iniziarla e a continuare a leggerla.
Invito tutti coloro ai quali la mia storia sia piaciuta a farlo, ovviamente non è obbligatorio, fatelo ovviamente solo se vi fa piacere!
Grazie.♥️

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