Capitolo 15 - Ho paura

Dorothy

Subito non ho capito bene che cosa stesse succedendo, il perché Sebastian fosse così nervoso. Poi ho compreso, e anche velocemente. Precisamente dal momento in cui ho visto venirmi in contro non Dorian, ma un soldato dunkisjista che mi ha letteralmente trascinata in casa.

«Lasciami immediatamente!» Gli sputo acida.

Cerco di mollarmi dalla sua presa: non mi devono toccare. Solo il pensiero mi fa venire la nausea, questi venduti. La maggior parte dei soldati dunkisjisti sono vecchi cittadini liberi che per qualche razione di cibo in più o denaro, si sono venduti all'opposizione. Vigliacchi.

Cerco Dorian con lo sguardo, ma lo trovo lì, fermo, che non fa niente. Con tutta me stessa sono convinta che lui vorrebbe impedire tutto questo, che alla fine un po' si senta legato a me e non voglia che qualcuno mi faccia del male. Lo spero, davvero, perché per me è così.

Il soldato mi trascina fino alla porta con fatica dato che sto facendo il peso morto. Una volta arrivati sulla soglia lo strattono e mi libero dalle sue mani, ma la mia resistenza dura ben poco.

«Smetti di opporti. - Dice riacciuffandomi e stringendo ancora di più la sua presa attorno ai miei polsi.- Sennò dovrò usare la forza, piccola testarda. Quindi ora smettila e stai in silenzio.»

Questa frase mi sembra un affronto. La sua faccia, il modo di guardarmi mi sembra un affronto. Anzi, mi sembra quasi di averlo già visto da qualche parte.

«Mai. Non mi piegherò mai a voi.»

Scandisco bene le mie parole perché voglio che le capisca bene. Io non mi piegherò mai ai dunkisjisti, mai e poi mai, mi dovranno togliere la vita affinché questo avvenga. Potranno portarmi via tutto, ogni cosa che mi è rimasta: la mia famiglia, la mia vita, il mio corpo, ma mai, mai potranno cambiarmi.

Anche Sebastian e Dorian hanno sentito. Loro sanno che questo è quello che penso, non ho paura del loro giudizio.

Cerco di avvicinare la mano libera che mi rimane al coltello che ho sulla cintura, ma una voce mi blocca.

«Dorothy...»

È Sebastian a parlare, ma viene subito interrotto da Dorian. «Dorothy - fa una breve ma intensa pausa.- Fai come dice.»

Nel dire questo sposta lo sguardo dai miei occhi al posto dove ho nascosto il coltello, affinché io sola possa capire. Cosa? Ho capito bene? Vorrei ribattere ma sono troppo scioccata da quello che Dorian ha detto, da quello che mi ha fatto intendere. Nella mia testa pensavo che neanche lui gli appoggiasse, mi sembrava che condividesse ciò che ho detto su di loro.

Sto in silenzio e mi faccio trasportare dentro la casa senza opporre resistenza.

🌲🌿🍂🌱🌳

Sono dentro casa.
Con loro dentro tutto sembra diverso, più buio, più cupo, meno felice. Le tende sono tutte tirate, probabilmente non vogliono che qualcuno guardi dentro, come se qualcuno potesse passare da qui.

Vedo Peeter seduto in cucina, sorvegliato da due soldati. Alza lievemente lo sguardo verso di me, ma anche lui senza dire niente. Non riesco a capire se non parlano perché non vogliono, o perché non possono. Non capisco.

Anche Dorian e Sebastian mi hanno seguita dentro. Il militare continua a tenermi stretta, come se potessi scappare da qualche parte, e Dorian continua a fissarlo imperterrito.
Non continuo a capire.

«Che succede?» Urlo cercando di liberarmi.

«Stai zitta!» Mi urla di rimando il militare. Nel mentre mi strattona e stringe così forse che credo di aver sentito le sue unghie conficcarsi nella pelle del mio braccio.

Cercando di ignorare il dolore ribatto. «No! Ditemi che cosa sta succedendo!»

Perché non parlano? Ho paura. Ho paura che sia arrivata già quel giorno e che mi portino via. Ma non è possibile, non è passato neanche un mese!

«Non vuoi proprio stare zitta!» Molla la presa su di me. «Fatela tacere vuoi, vah! Io non voglio perdere la pazienza per questa mocciosa viziata!» Dice e mi lancia verso Dorian e Sebastian.

Dorian mi prende al volo afferrandomi stretta, un po' come se si aspettasse questa sua mossa. Le sue mani mi prendono per le spalle e mi sostengono, io mi aggrappo e lo lascio fare. Le mani di Dorian sono grandi, calde, gentili: è piacevole sentirle su di me, una sensazione strana, nuova, non come quella che ho provato quando eravamo al lago. In questo momento non mi provocano brividi, incertezze e paura, ma solo caldo e fiducia. Ed io adesso ho bisogno di fidarmi di lui.

Mi rimetto dritta lentamente. «Che sta succedendo?» Gli chiedo cercando di mantenere un tono di voce basso: ho capito che agitarsi peggiora soltanto la situazione.

Dorian prima mi guarda negli occhi, come se stesse cercando qualcosa, come se mi volesse capire, poi fa una cosa che mai mi sarei aspettata: si avvicina a me con la faccia mentre io rimango pietrificata. Si avvicina fino a sfiorare il mio orecchio con le sue labbra. Chiudo gli occhi: sento il suo respiro caldo sul mio lobo.

«Adesso, con tutta calma, ti metti seduta su quella sedia. Cerchi di restare composta e ferma, ma sopratutto in silenzio.»

Non capisco.

«Non fare quella faccia da offesa. Cosa credi che loro sappiano che qui sei trattata come una principessa? Per loro potresti anche aver trascorso tutti questi giorni nella cantina. Fai finta di essere una prigioniera per ora.» Continua. «E non mi guardare con quella faccia da cane bastonato. Non l'ho scelto io tutto questo.» Conclude.

Si allontana da me guardandomi di sbieco, forse ancora una volta per dirmi io non lo volevo. Poi mi indica la sedia di cui parlava attraverso un battito di ciglia.

Faccio quello che mi ha detto, che è meglio per tutti, anche se la paura continua a mangiarmi lentamente.

Cerco di stare il più composta possibile, sopratutto quando il militare entra nella stanza. Che verme schifoso.

Ogni volta che mette piede in cucina, dove siamo adesso, Dorian si irrigidisce. Penso che in gli vada molto a genio questo individuo, e probabile ne ho capito il motivo. Si drizza sulla schiena e tiene fisso lo sguardo su di lui e mai su di me, come per provare che io sono solo una prigioniera, un oggetto, che non gli faccio ne caldo ne freddo.

Per l'ennesima volta il soldato entra in cucina. Lo studio attentamente: il suo viso è lungo, corrucciato, sembra essere arrabbiato, infastidito, e forse proprio da me, le sue sopracciglia sono dure, aggrottate. Noto che sul collo ha un tatuaggio che ne ricopre gran parte. Non penso sia tanto più grande di me, potrebbe benissimo avere venticinque anni.

Forse a causa della pesantezza del mio sguardo si accorge di essere osservato e, tenendo le mani dietro la schiena, mi squadra dalla testa ai piedi. Sposto immediatamente lo sguardo.

Il soldato si volta verso Dorian che è immobile, con la vena sul collo in evidenza: è in tensione. «Dimmi Blackburn, come hai fatto a farla chetare? Che cosa le hai detto?»

Dorian deglutisce e ma nonostante questo risponde con tono pacato. «Glie l'ho semplicemente chiesto, signore.»

«Ah sì? Uhm, interessante. Abbiamo una principessa ubbidiente allora! Le hai anche chiesto di essere rapita? Abbiamo un gentiluomo tra noi, compari!»

Gli altri soldati ridono a questa sua battuta senza senso. Dorian non si è mosso di una virgola.

Si rigira, mi scruta e viene nella mia direzione. Non appena si trova difronte a me prende una ciocca dei miei capelli e se la passa tra le dita. Istintivamente giro la faccia dall'altra parte, per cercare di essere il più distante possibile dalla sua, per non vedere i suoi occhi, per non sentire il suo respiro sulla mia pelle. Questa situazione mi sembra surreale e poi mi da il voltastomaco. Inoltre non ho mai visto Dorian così teso: i suoi muscoli sono tutti tirati, sembra un pezzo di legno. Peeter invece sta trattenendo il respiro da quella domanda.

Il soldato continua a tenere in mano i miei capelli. «Dimmi principessa, noi due ci siamo già incontrati? Mi sembra di averti già visto, il tuo viso ha qualcosa di familiare.»

A quella domanda il mio cervello schizza pronto a rispondere, ma mi fermo quando sento un'altra voce. «No, è improbabile che vi siate già incontrati, signore.» Risponde Dorian, così sicuro di se da non farla neanche sembrare una bugia. Come fa a sapere che non l'ho mai visto?

«E tu, dimmi, come lo sapresti caro Blackburn?» Gli domanda di rigetto il soldato.

«È una mia prigioniera e come tale sono incaricato a conoscere ogni dettaglio della sua vita.» Risponde Dorian senza mai spostare lo sguardo dal soldato.

Io non capisco. Che cosa ne sa lui? Perché sta rispondendo al posto mio?

«Bella risposta Blackburn, anche se questo sarebbe il compito assegnato a Harchywell. Ma l'importante è che eseguiate gli ordini, poi se Harchywell si fa sottomettere da te, che sei di altezza militare inferiore, non mi interessa assolutamente.» Risponde il soldato lanciando una frecciatina a Sebastian.

Evidentemente Harchywell deve essere il suo cognome e, da quanto detto dal militare, sembra essere quello che deve dettare le regole nella casa, ma sopratutto quello che mi dovrebbe controllare ventiquattro ore su ventiquattro, un compito che invece svolge Dorian.

«Torniamo a noi.» Dice rivolgendosi direttamente a me. «Te chiedo un'altra volta, ci siamo già incontrati noi due?»

Non so che cosa rispondere. Vorrei cercare lo sguardo di Dorian ma non riesco a vederlo perché la figura del militare me lo impedisce.
Appena l'ho visto entrare mi è venuto il dubbio di averlo già visto, forse proprio quel giorno, ma faccio finta di non averlo pensato.

«Credo proprio di no.» Rispondo alla fine decisa.

«Bene.» Conclude staccandosi da me e, dopo aver lanciato un'occhiata veloce a Dorian, lascia la stanza.

Vedo Peeter buttare fuori l'aria, tirare un sospiro di sollievo. Dorian invece non fa niente, continua a fissare in cagnesco la porta da dove è uscito il militare. Mi sembra turbato.

Mi alzo dalla sedia su cui sono stata seduta tutto questo tempo e vado verso di lui.

Non appena mi muovo Dorian sposta il suo sguardo su di me. Non so come descrivere il modo in cui mi sta guardando, non riesco a capire se sia soddisfatto o amareggiato. Proprio per questo sono del tutto convinta che Dorian nasconda qualcosa, che mi nasconda qualcosa.

Mi avvicino al tavolo, mettendomi di fronte a lui. «Perché hai risposto al posto mio?» Gli chiedo con un sussurro, dal momento che ho sempre paura che quello possa sentirci. «Come facevi a sapere che non lo avevo mai visto?»

«Perché, lo avevi già incontrato?» Risponde facendomi a sua volta una domanda.

«Io, no, ma... Questo che cosa c'entra? Non hai risposto alla mia domanda!»

«Quello che ho detto non ha importanza. La cosa importante è che tu sia convinta di non aver mai avuto a che fare con quel elemento, che tu non l'abbia mai visto prima, anche quando eri libera, prima che tu venissi qui. Lui ha cambiato fazione già da tempo, e non lo ha fatto per denaro o altro,... È semplicemente convinto che gli ideali che portano avanti i dunkisjisti siano giusti, è proprio per questo motivo è estremamente pericoloso.» Spiega gesticolando.

Non so perché ma tutto questo non mi convince, la sua reazione alla vista di quel soldato non mi convince, la sua risposta pure.

«Non capisco.»

«Non è necessario che tu capisca.» Dice alzandosi in piedi dalla sedia, facendo il giro del tavolino e mettendosi in piedi accanto a me. «L'unica cosa importante e che mi interessa è che tu sia al sicuro. E adesso non dire più niente che sta tornando indietro.»

Non faccio caso all'ultima frase che esce dalla sua bocca. Sono rimasta imbambolata da quando le sue labbra hanno pronunciato quelle parole: l'unica cosa importante e che mi interessa è che tu sia al sicuro. Questa piccola frase, nata da una banale domanda, sembra insulsa, semplice, ma non lo è. Contiene in sè una miriade di significati e sfaccettature che mi fanno comprendere il mio ruolo nella vita di Dorian: a lui importa di me.

Cerco di riconnettere il cervello concentrandomi sull'ultima parte del discorso.

«Perchè sta tornando? Per fare cosa?» Chiedo a Dorian che ormai è tornato a fissare la porta.

Continuo a fissarlo con gli occhi spalancati fino a quando gira la faccia verso di me. Butta un po' d'aria fuori e poi risponde. «Per prenderti, Dorothy.»

🌲🌿🍂🌱🌳

Sono dentro la stanza.
Quando Dorian mi ha risposto sono andata in tilt. PRENDERMI. Sentita quella parola finale sono uscita fuori di testa, ho cominciato ad urlare, sbraitare, divincolarmi, inveire, cercare di fuggire. Penso che mi abbiano dato un tranquillante, sennò non sarei qui.

Pensavo che fosse già giunto il giorno ma in realtà sono davanti ad un dottore.

Ebbene, sì, sto per fare la famosa visita medica. Non so ancora in che cosa consisterà perché da quando mi sono risvegliata su questa sedia, la persona che ho davanti non fa altro che scrivere. Annoterà qualcosa, penso tra me.

«Ehm, ehm, ehm.» Il dottore che ho di fronte si schiarisce la voce, portandosi la mano davanti alla bocca, come per farsi notare. «Lei può uscire.» Dice al soldato dietro di me, che teneva sotto controllo la stanza.

È dunkisjista, questo è evidente. Che lo sia per vocazione o per obbligo questo non lo so però. Sul camice vi è riportato lo stemma della loro nazione, per indicare il fatto che è un medico di quella fazione.

«Signorina, io sono il medico a lei assegnato e sono qui per visitarla.» Inizia, lanciandomi un'occhiata lunga. «Ebbene, prima di iniziare la visita in sè, devo scrivere tutti i suoi dati personali, che lei mi fornirà. Le è tutto chiaro?»

Annuisco.

«Bene. Cominciamo. Il suo cognome e nome, prego.» Dice e poi prende foglio e penna.

«Chamoun Dorothy.»

«Data e luogo di nascita.»

«Ventitré Novembre, Plast.»

«È nata in casa?»

Mi aspettavo questa domanda «Sì.»

«Fratelli e sorelle, sempre se ne ha ovviamente.»

«Tre fratelli, di cui uno gemello.»

«Ha dei segni particolari? Tatuaggi, cicatrici ecc... ?»

Sospiro. «In realtà sì. Ho una cicatrice dietro la schiena.»

«Interessante, beh, la vedremo dopo.» Dice appuntando anche questo aspetto. «Bene, possiamo dire di aver concluso gli aspetti formali.»

Ecco, ci siamo. Faccio un bel respiro e butto fuori l'aria cattiva.

«Prima di passare alla visita in se, siccome per me è impossibile rimanere solo nella stanza con lei mentre la visito, e siccome non mi piace la compagnia dei soldati qui presenti, le devo chiedere di scegliere uno dei suoi carcerieri, affinché assista e controlli che non ci siano errori. Magari quello che si occupa della sua sicurezza, oppure che conosce determinati aspetti di lei, .... Insomma, decida e me lo dica.»

A quella richiesta così inusuale la mia mente, senza esitazione, pensa subito a una persona, a quella di cui mi fido maggiormente.

«Blackburn, signore. Dorian Blackburn.»





Spazio autrice 🌻
Ciao a tutti lettori. Scusate se ci ho messo tanto, ma sono stata davvero impegnata con l'università che ho avuto davvero poco tempo! Comunque adesso che sarò un po' meno impegnata confido di riuscire a aggiornare sempre più assiduamente! Spero anche di ricominciare a scrivere l'altra mia storia, per chi segue anche l'altra.

Allora, questo capitolo, che cosa ne pensate?🎇

Volevo dirvi che ho aperto una pagina Instagram dove posto foto dei libri che leggo, se vi può interessare, e potrei scrivere anche delle mie storie se volete. Ho inserito il link nella mia bio.🍃

♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️

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