Capitolo 7 - Superficie (R)
Anno Domini 2531 - 468 della Nuova Era
Superficie - Pianura Padana
-Cosa cavolo è, quella roba?-
La voce di Giorgia echeggia nel grande ambiente rifrangendosi sulle lisce pareti di metallo.
-Guarda... non saprei come descrivertelo, Gio! So solo che dev'essere il nostro biglietto per il mondo esterno.- suggerisco avvicinandomi lentamente alla "cosa" di fronte a noi. Collegato ad una console addossata alla parete di fondo tramite un grosso cavo elettrico c'è il mezzo più maledettamente strano che abbia mai visto in vita mia. E a giudicare dalle espressioni dipinte sui volti delle mie ragazze anche nella parte di Pre Separazione che io mi sono perso aggeggi come quello non erano ancora neppure nei più audaci progetti.
Su quattro bracci meccanici snodati ed ammortizzati in maniera indipendente l'uno dall'altro è montata quella che sembra la cabina di un Trasporto medio-grande. L'intera macchina ha un aspetto decisamente massiccio, dovuto probabilmente alla corazza antiradiazioni, e porta montati sul davanti un braccio meccanico dotato di pinze e quella che ha tutta l'aria di assomigliare alla testa di una trivella da roccia.
-Fatemi capire, dovremmo viaggiare su questo coso?!- domanda mia sorella spostando lo sguardo da me, che mi avvicino alla cabina elevata cercando un modo per entrarvi, a Caled che si dirige verso il posteriore del mezzo per scollegarlo dal cavo di alimentazione.
-Perché no, mamma? Ha l'aria di essere divertente!- esclama Giulia, picchiettando con le nocche sui cingoli posti all'estremità di ciascun braccio.
-Non dev'essere divertente, basta che ti salvi il culo dalle radiazioni.- osserva freddamente Caled con la sua voce profonda venendo a posizionarsi insieme a noi sul lato della macchina. Con la coda dell'occhio vedo Giulia stringere i pugni ed irrigidirsi per un momento mordendosi il labbro per trattenersi dal rispondere a tono.
-Dài, Cal!- cerco di tagliare un po' la tensione -Quello lo sappiamo bene tutti quanti, ma nessuno dice che non si possa provare a trovarci anche un lato piacevole, in tutta questa storia! C'è già abbastanza tensione non sapendo cosa stiamo per fare o cosa troveremo là fuori, sei poi ci togliamo anche ogni minima fonte di un sorriso anche piccolo...-
-Sì sì, ok... se lo dite voi...!-
Involontariamente alzo gli occhi al cielo esasperato dalla freddezza del nostro compagno, e ora che ci faccio caso, non sono neppure l'unico a farlo.
Non appena tutti siamo abbastanza vicini alla cabina di quella specie di mostro meccanico questa si abbassa allargando le zampe all'interno della stanza fino ad arrivare alla nostra altezza. Appena la discesa si interrompe una specie di ferita si apre sul fianco del serpentone verde, come una specie di taglio verticale che con una serie di scatti metallici ed un sibilo pneumatico si allarga progressivamente rivelando l'apertura che ci permetterà di entrare nel mezzo.
L'interno della macchina è sorprendentemente normale rispetto all'esterno: assomiglia vagamente ad un vecchio pulmino con sei sedili in pelle nera disposti su due file intorno ad un corridoio centrale. Sul davanti, di fronte al lunotto anteriore, sono approntate due postazioni: una per chi controlla la trivella ed il braccio meccanico e quella principale per il pilota. Dirigendomi verso il fondo noto una piccola porta che conduce ad un ambiente apparentemente spoglio, che però ad uno sguardo più attento vedo ospitare delle cuccette ribaltabili fissate ai lati. Oltrepassando una seconda porta sul retro di questa stanza ne trovo un'ultima che sembra contenere una sorta di magazzino o deposito di pezzi di ricambio ed altre risorse utili per la missione.
Esplorata la macchina nella sua interezza mi dirigo di ritorno nella sezione anteriore, dove gli altri stanno già prendendo posto sui sedili intorno al portello già ermeticamente sigillato.
-Chi va alla guida?- domando ai miei compagni guardandoli uno per uno.
-Beh, il Comandante, direi!- osserva distaccato Caled allacciandosi le cinture di sicurezza come a voler dire "non pensateci neanche, che mi ci metta io!".
-Cal, se non te lo ricordi prima della Stasi non vedevo praticamente un accidente.- replico pragmatico -Non avendo mai guidato un giorno in vita mia non penso di essere la persona più adatta. Gio, vuoi provarci tu? Non sarà come guidare un'auto dei nostri tempi... ma almeno con quelle ci hai già provato.-
-Mah... ok. Spero solo di non farci spalmare contro qualche montagna.- confessa mia sorella alzando le spalle mentre si accomoda sul sedile del posto di guida. La postazione è abbastanza semplice da gestire: insieme ad una serie di indicatori, che immagino riguardino il livello energetico ed altri parametri, è presente un tasto con il classico simbolo dell'accensione rimasto evidentemente ancora immutato dai miei tempi. Accanto al pulsante sono disposte quattro spie e un pannello quadrato di vetro. Dell'antico sistema di guida con volante, pedali e leva del cambio non c'è più alcuna traccia.
-Tutti pronti?- domanda mia sorella, lanciando un'occhiata alla figlia e a Caled seduti dietro di noi mentre io prendo posto alla postazione accanto a lei.
Tutti annuiamo decisi, e per la verità parecchio tesi.
Non appena mia sorella preme il tasto per l'avvio della macchina diverse cose accadono in rapidissima successione. Sul pannello di vetro di fronte a lei compare una X luminosa i cui bracci vanno a coincidere con gli angoli mentre i quattro led lì acanto si illuminano di verde in rapida sequenza. Ogniqualvolta una nuova spia si attiva un lievissimo tremito sale da un diverso braccio; mentre la macchina si risolleva la parete di fronte a noi prende a scorrere lentamente di lato.
-Il nostro obiettivo si trova ad un centinaio di chilometri dalla nostra posizione attuale.- comunico ai miei compagni ma in particolare a Giorgia che dovrà manovrare -Ipotizzando un'andatura costante di cinquanta chilometri orari dovremmo metterci un paio d'ore più o meno.-
-Ehm... veramente qui dicono altro.- mi contraddice mia sorella, adocchiando alcuni indicatori sulla parte alta del cruscotto di guida. -Veramente qui dice che dovremmo viaggiare al massimo ad una velocità di venti chilometri orari. A quanto pare andando oltre si supera una qualche soglia di emissione di energia o una specie di campo elettromagnetico... non si capisce un accidente! Comunque la cosa importante è che sopra a quella velocità la schermatura fornita dalle radiazioni non è più sufficiente a nasconderci, quindi quelli là sopra ci potrebbero rilevare e... e buonanotte!-
-Be'... direi che è meglio andare con calma ed essere sicuri di portare fuori il culo, allora!- commento con una mezza risatina mettendomi più comodo sul sedile... "Diavolo, se sarà un viaggio lungo... almeno cinque ore..."
Appena la macchina supera la soglia del suo garage il portone si richiude in automatico lasciandoci all'esterno della Cupola.
-Come facciamo, a far girare questo affare?- domando curioso a mia sorella, realizzando improvvisamente che se manca il volante non abbiamo modo di muoverci se non in linea retta.
-Aspetta... fammi provare una cosa... credo di aver una mezza idea...- bisbiglia Giorgia esaminando la console davanti a sé. Noto improvvisamente una luce attraversare i suoi occhi mentre esercita una pressione lievemente maggiore sull'angolo superiore destro del pannello di vetro che si inclina affondando all'interno del cruscotto. In risposta a quel comando si sente una vibrazione più accentuata provenire dal braccio cingolato corrispondente che sembra improvvisamente aver accelerato o, forse, semplicemente fare più presa sul terreno facendoci ruotare su noi stessi.
-Ecco fatto!- esclama mia sorella battendo le mani soddisfatta -Basta chiedere, no?-
-Brava, Gio!- mi complimento, sinceramente colpito. Se avessi dovuto arrivarci io da solo penso che saremmo rimasti fermi fronteggiando la collina accanto alla Stazione per un'oretta buona... come minimo.
Con mia grande sorpresa noto, osservando il fianco della collina dai finestrini laterali, che la vegetazione a prima vista non sembra essere stata alterata in maniera così profonda come avevo immaginato fino a questo momento. Certo, tutto ha un'aria decisamente incolta, per lo meno dal poco che si può vedere dalla specie di vialetto che è stato ricavato fra la collina e la Cupola che abbiamo appena lasciato. Non ci sono animali o piante particolarmente complesse, questo no, ma solamente pendii ricoperti da alte erbe ed altri vegetali simili a canne. Probabilmente queste forme di vita relativamente più semplici hanno subito un influsso inferiore da parte delle radiazioni provocate dalla Terza Guerra.
-Da che parte siamo diretti?- domanda Caled allungandosi verso il vetro anteriore quando ormai siamo in vista dell'aperta pianura e stiamo per lasciarci alle spalle la Cupola e le colline che la nascondono.
-Secondo il briefing di missione la Dottoressa McCoy è scomparsa appena sbarcata sulla costa.- rispondo io lentamente, cercando di ricordare quanto ci è stato comunicato ieri sera dal Comandante Adams -Quindi appena usciremo all'aperto dovremo dirigerci a sinistra, verso Est.-
Mentre la macchina avanza per l'ultimo tratto al riparo delle colline consulto velocemente la mappa della Superficie che ci è stata inviata sui cronografi dal Comando. "No... non è possibile. Mi avevano detto mesi fa, al mio arrivo qui, che ci trovavamo più o meno nelle zone dove ho sempre vissuto. Non pensavo, però, che...".
-Ragazze, sapete dove siamo?- domando alle mie compagne. Non è che voglia tenere Caled fuori dalla conversazione, ma solo loro possono capire cosa comporta essere tornati finalmente in Superficie e proprio qui.
-Non ne ho idea.- commenta Giorgia fissando lo sguardo davanti a sé: -In mezzo al nulla, probabilmente...! Giulia, prova a dare un'occhiata tu, ok?-
Mia nipote annuisce, e dopo un momento in cui imposta qualche comando sul suo orologio la sento trattenere il fiato e sgranare gli occhi.
-Cavolo, mamma... Siamo... siamo a casa.- bisbiglia con un filo di voce, e un momento dopo la macchina si ferma di botto mentre mia sorella lascia i comandi per avvicinarsi alla figlia.
-Per la miseria! Quindi quelle colline là dietro sono...?! Oh porca...!-
-Si può sapere cosa diavolo sta succedendo?!- domanda Caled tra l'innervosito e l'esasperato per tutto quel mistero e, forse, soprattutto per essere completamente isolato dalla conversazione.
-Scusa, Cal! - gli rispondo io per tutti lanciandogli un'occhiata mentre quello si avvicina per sbirciare a sua volta la mappa -Il fatto è che... che appena al di là della Cupola... c'è la nostra città. Anche se non abbiamo idea di come sia... per noi è come tornare a casa... a Verona.-
-Ve... Verona? Cosa sarebbe?- domanda il nostro compagno grattandosi la testa confuso.
Istintivamente mi scappa quasi da ridere. "Dio mio, se è strana, questa situazione!". Ormai siamo nel XXVI secolo da parecchi mesi, ma è ancora così strano che non ci sia nessuno che conosce più le vecchie città, le nostre città, il nostro mondo! E forse anche per questo motivo in certi momenti mi sento ancora più vicino a mia sorella e mia nipote: perché si tratta di una cosa solo nostra, dei nostri ricordi e del nostro passato.
Caled ci guarda, se possibile più confuso di prima. Lui è nato all'interno degli Insediamenti, quindi non può capire cosa possa voler dire per noi aver lasciato il nostro mondo così caotico e vitale per risvegliarci in un futuro completamente differente e, una volta tornati per certi versi a casa, trovare tutto così cambiato. Perché quello che c'è fuori dai finestrini davanti a noi non è più il nostro mondo di un tempo.
Un tempo, anche se non si trovavano proprio in centro storico, ovviamente, comunque le colline che ci siamo appena lasciati alle spalle facevano parte della città con i loro locali e ristoranti, mentre ai loro piedi si estendevano i quartieri residenziali e più lontano la parte più antica. Ora di tutte quelle strade, quei ponti, quei palazzi non è rimasto quasi più nulla. Non appena il paesaggio si apre un minimo davanti a noi ci troviamo di fronte ad una specie di prateria di erbe alte costellata da gruppi più o meno grandi di alberi dalle forme ed i colori strani ed alquanto improbabili. Solo occasionalmente fra la vegetazione emergono sporadiche tracce del passato della nostra bella città: frammenti di palazzi, tronconi di ponti crollati, antichi campanili e, sullo sfondo, sorprendentemente conservati un po' meglio del resto, i ruderi di un'antica porta merlata e di un anfiteatro romano cadente. Da questa distanza non si riesce a vedere molto bene, ma sembra di scorgere del movimento fra le erbe, le piante e le pietre. Non si capisce se si tratti di animali di terra o uccelli o magari di qualche mutazione umanoide. Si tratta solamente di indizi appena percettibili di movimento che però potrebbero benissimo essere causati da una qualche brezza a noi impercettibile all'interno del nostro Rover corazzato.
-Wow... Non c'è più... niente.- mormora Giulia, sconvolta, alzandosi dal sedile per avvicinarsi il più possibile al finestrino anteriore per osservare la scena da sopra la spalla della madre.
Facendomi più vicino alle ragazze non posso fare a meno di notare che entrambe hanno gli occhi decisamente lucidi anche se stanno cercando in tutti i modi di trattenere le lacrime. In fondo, come posso dar loro torto?! Anch'io sto facendo molta fatica a digerire le immagini, completamente diverse dai miei ricordi... Diamine, è come osservare due scene di parti diametralmente opposte del mondo. È quasi impossibile sopportare il ricordo di tutto quello che ho vissuto fra quelle vie distrutte, in mezzo a quei palazzi praticamente scomparsi. Mi tornano alla memoria le persone, le auto, i turisti, gli spettacoli che si tenevano tutte le estati all'interno di quel teatro, che, dopo essere sopravvissuto a millenni di storia, in poche decine di anni è quasi distrutto... No, non ce la posso fare...
-Come ti senti, Giuly?- domando posandole una mano sulla spalla. Lei non si volta ma scuote leggermente il capo e, voltandola verso di me, noto che anche lei ha ceduto improvvisamente ai ricordi come sto per fare io: il suo volto ancora da bambina è rigato di lacrime che scendono silenziose dagli occhi chiusi... come se in quel modo, non vedendo, potesse cancellare ciò che ha appena visto.
-Dài, forza Giuly! Adesso abbiamo una missione da portare avanti e poi... poi magari potremmo trovare una maniera per tornare qui a vedere la città. Poi un giorno... un giorno vedrai che noi o qualcun altro riuscirà a tornare a vivere qua su e... e tutto tornerà come prima. Adesso, però, dobbiamo fare la nostra parte, sennò quel momento non arriverà mai.- cerco di confortare ed incoraggiare mia nipote stringendola velocemente. È così difficile, però... provo a tirare su il morale a lei ma... ma come posso riuscirci se anche il mio è sotto terra, più sotto, infatti, di quanto lo sia il nostro Insediamento...
-Andiamo, Gio! Al Comando contano su di noi.- dico a mia sorella scuotendo la testa lievemente per riprendermi e schiarendomi la voce - prima ci togliamo da questo posto prima probabilmente ci passerà questa malinconia.
A quanto pare anche Giorgia condivide la mia visione, perché senza dire niente annuisce riprendendo posizione ai comandi del Rover che immediatamente si rimette in movimento lasciandosi le rovine dell'antica città di Verona sulla destra mentre procede silenziosamente verso Est.
Proprio non me l'aspettavo così, la mia prima uscita di ritorno sulla Superficie! Da diversi punti di vista si sta rivelando un'esperienza al tempo stesso sorprendente e parecchio provante. Il viaggio in sé è decisamente tranquillo: i quattro motori elettrici dei bracci del Rover sono molto silenziosi emettendo appena un flebile fischio che si fa più intenso solo quando è necessaria più potenza da uno di essi. Nonostante il terreno irregolare e talvolta accidentato la cabina rimane sempre perfettamente dritta ed immobile dati gli ammortizzatori e gli snodi di cui ogni braccio è dotato, ed infatti, dopo qualche ora, il viaggio inizia a passare da essere rilassante ad un tantino noioso. Dovendo restare chiusi all'interno della macchina non abbiamo idea di quelle che sono le condizioni all'esterno: della temperatura o dell'umidità o quant'altro. Devo confessare che mi sarei aspettato di potermi muovere almeno in parte a piedi, sentire il sole sul corpo e poter percepire di nuovo la brezza, ma la distanza da percorrere e le condizioni esterne lo rendono impraticabile. Che poi, così a prima vista, non è che la situazione là fuori sia così tragica come si poteva pensare dalle informazioni che avevamo. Si penserebbe al classico deserto radioattivo dei più tragici film distopici, con pianure sconfinate prive della benché minima vegetazione, col sole che arroventa pietre e rovine ed edifici dove non si aggira alcuna forma di vita. Là fuori, invece, appare tutto diverso: come detto non si capisce di cosa si tratti ma da lontano si notano sporadici piccoli movimenti nella vegetazione che potrebbero identificare forme di vita più o meno elementari. Ho detto fra la vegetazione... Sì, perché di vegetazione ce n'è ed anche in abbondanza. I vecchi villaggi e paesi sono quasi completamente distrutti, mentre dove sorgevano le città i ruderi degli edifici sono un po' più evidenti. Ovunque, però, imperversa una natura sorprendentemente lussureggiante di erbe alte, canneti e cespugli, intervallati talvolta da macchioni di strani alberi o in certi casi da vere e proprie foreste più o meno estese. "Diavolo, se non fosse tutto mutato dalle radiazioni sarebbe quasi un paesaggio piacevole!", penso perdendomi come gli altri nell'osservazione del mondo esterno - a tratti potrebbe quasi sembrare una bizzarra interpretazione di antiche poesie bucoliche da parte di un disegnatore con una fantasia piuttosto contorta.
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-Ragazzi? Ragazzi, siamo arrivati! Giulia? Mike? Cal? Svegliatevi!-
Come cavolo è possibile che mia sorella sia lì in piedi sulla soglia della sezione centrale del rover... chi cavolo sta guidando, allora?
-Gio... che cavolo c... ci fai qui?- domanda Caled mettendosi a sedere sulla sua cuccetta, stirandosi e quindi alzandosi per fissarla di nuovo sulla parete del Rover.
-Siamo appena arrivati... in un posto. Non so come altro definirlo perché non ha più niente a che fare con quello che era una volta.-
Improvvisamente anche io e Giulia siamo perfettamente svegli: "Che cavolo succede, di nuovo? Che siamo in qualche altro posto che conoscevamo?". Non ho neanche la più pallida idea di quanto abbiamo effettivamente dormito. So solo che dopo un'ora circa di viaggio attraverso lo stesso paesaggio di prateria, alberi e ruderi abbiamo deciso di andare a fare un riposino con l'intesa che Giorgia ci avrebbe chiamati immediatamente se ci fossero state novità. Lanciando uno sguardo al mio polso sinistro stringo gli occhi per mettere a fuoco il quadrante dell'orologio: sono passate quasi quattro ore, quindi, se la memoria non mi inganna, dovremmo essere...
-Siamo arrivati alla cosa?- domando, balzando in piedi ed afferrando il casco della tuta, ficcandomelo di nuovo in testa e seguendo mia sorella sul davanti mentre tuta e casco si sigillano automaticamente.
Dal finestrino anteriore si apre ai nostri occhi uno scena straordinaria, un paesaggio al tempo stesso affascinante e terribile e, non saprei bene dire perché, circondato da una certa aura misteriosa. Si tratta di una città invasa dagli alberi, una città al tempo stesso meglio conservata delle precedenti, eppure dagli edifici dall'aria fragilissima che da questa distanza sembrano sgretolarsi sotto i nostri occhi. Insomma, una città fantasma avvolta, nonostante l'ora ormai di metà giornata, da una lieve cappa di umidità, come una nebbiolina che da questa distanza di qualche centinaio di metri rende tutto appena un po' sfuocato e tremolante. Mi sorella si volta verso di me mentre anche Giulia e Caled ci raggiungono:
-Non c'eri mai stato, vero Mike? Benvenuto... a Venezia!-
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***Spazio all'autore***
La mia proposta per questo capitolo:
"Enter The East"
dal videogame Metin2
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