Capitolo 4 - Sotto pressione (R)
Anno Domini 2531 - 468 della Nuova Era
Stazione di Ricerca di Superficie - SRS 39.72.A
- Sottomarino da ricognizione Spear, qui Sala Controllo. Qual è la Vostra situazione? -
La voce dell'addetto di turno in Sala Controllo giunge appena un po' distorta attraverso la radio di bordo.
- Qui Spear, Sala Controllo. Tutti i sistemi online e pronti. Procedete pure.-
- Ricevuto, Spear, restate in attesa. -
Dopo qualche secondo si sente una sorta di scroscio all'esterno del minuscolo locale in cui mi trovo seduta ai comandi del primo sommergibile che sta per avventurarsi all'esterno degli Insediamenti dai tempi della Separazione. Il rumore arriva leggermente cupo ed ovattato mentre l'acqua riempie la Camera di Lancio diffondendo lungo lo scafo del sottomarino una leggera ma costante vibrazione. Spero solo che quelli del Reparto Tecnico abbiano fatto bene i conti e le pareti di metallo resistano, altrimenti...
Appena il livello dell'acqua è tale da permettere al mio mezzo per lo meno di galleggiare apro la comunicazione con la Sala Controllo.
- Camera di Lancio al 50% ed in riempimento. Luce verde, Controllo, liberatemi pure. - dico attraverso il microfono.
Con due scatti metallici sotto di me, attutiti dall'acqua che invade la camera, i sostegni a U che ancoravano il sommergibile si ritirano.
- Sostegni ritirati, Controllo, inizio riempimento casse di zavorra. -
Dietro la mia schiena si sente un gorgoglio, mentre grosse bolle d'aria escono dalle valvole esterne lasciando il posto alla quantità di liquido che permetterà al sottomarino di restare in immersione.
Mentre attendo che la camera si riempia a dovere e l'assetto raggiunga i parametri ottimali mi lascio andare per qualche momento contro lo schienale del sedile. Sembra impossibile che solo mezz'ora fa fossi una ricercatrice come tutti gli altri, come le decine che popolano questa Stazione di Ricerca, ed ora invece mi ritrovi qui, dentro questa specie di scatoletta di tonno ipertecnologica, in procinto di essere sparata Dio solo sa dove. Non è decisamente roba per me... ok, non sono così fifona, ma non sono neppure mai stata una tipa così avventurosa da poter pensare di fare da pioniere in qualunque cosa. "Sulla mia targhetta c'è scritto Ricercatrice, non Esploratrice, accidenti!", penso mentre l'agitazione mi prende sempre di più.
Istintivamente porto una mano alla gola, ma non c'è quello che cerco. Purtroppo ho dovuto lasciare la mia collanina, insieme all'anello, nello spogliatoio. Peccato... avrebbe proprio fatto comodo avere con me quel piccolo pendente argentato a forma di quadrifoglio. D'altra parte un tempo quell'erba aveva la fama di portare fortuna, no?
- Camera di Lancio pronta, Spear. Preparatevi all'avvio dell'idrogetto principale. - mi chiama la solita voce dalla Sala sotto di me.
- Ricevuto, Controllo, idrogetto avviato ed a regime: potenza minima. Idrogetti secondari online ed in standby. -
"Ok... calmati, l'hai provato mille volte al computer... non c'è niente di diverso", cerco di convincermi mentre con un boato sordo che mi arriva fin dentro le ossa la porta rotonda inizia a scorrere lateralmente. In un minuto circa si apre, ad una ventina di metri davanti a me, un foro circolare del diametro di quasi dieci metri illuminato dall'esterno.
- Tunnel di Lancio libero. Potete procedere, Spear! In bocca al lupo, Dottoressa McCoy! -
La comunicazione si chiude e mi ritrovo veramente, completamente sola. Anche prima ero sola, naturalmente! Lo Spear è un minisommergibile progettato per trasportare una sola persona, ma avere in comunicazione la Sala Controllo dava almeno una parvenza di compagnia.
Allungo le gambe per poggiare le suole sui pedali che controllano gli stabilizzatori esterni ed afferro la leva di fronte a me tirandola con forza. Con un rombo il piccolo sottomarino schizza in avanti a velocità paurosa lungo il tunnel, sballottato da ogni parte dalla turbolenza generata dall'idrogetto sulle pareti curve. Per qualche momento mi manca il respiro, e puntini bianchi compaiono ai margini del mio campo visivo mentre vengo scaraventata con forza all'indietro.
- Attenzione: livello di compressione critico. Allarme generale. - annuncia una voce registrata attraverso gli auricolari del mio casco. A quanto pare ho esagerato con l'accelerazione, ed i sistemi di monitoraggio medico della mia tuta stanno rilevando una situazione critica per la salute. Sarà meglio diminuire la velocità almeno di un po'.
Appena esco dal tunnel di lancio la luce invade il portello circolare in alto davanti a me, riempiendo l'abitacolo dello Spear di strani riflessi azzurro-verdognoli.
- Inizio diario di missione - annuncio premendo il pulsante per avviare la registrazione audio ambientale - sono appena uscita dal tunnel di lancio. È assolutamente una cosa incredibile: i colori, i suoni... è una cosa inimmaginabile... guardate, questo è quello che si vede fuori dal portello. -
Mentre parlo con nessuno in particolare, in realtà con chi esaminerà i diari di missione al mio ritorno alla base, avvio anche la registrazione video rivolgendo la piccola telecamera montata su un collo d'oca verso il portello in modo da farle inquadrare il mondo esterno.
La missione di oggi prevede l'analisi delle acque marine a diversi livelli e la raccolta di alcuni campioni: è una procedura abbastanza lunga, quindi sarà meglio cominciare.
Affondo le punte dei piedi sulla parte anteriore dei pedali per far scendere lo Spear più in profondità. La struttura di metallo della Cupola coperta di piante e strane incrostazioni scorre sotto la pancia del sottomarino fino ad inabissarsi in un ammasso informe di detriti difficilmente identificabili. Se finissi là dentro non ne uscirei facilmente... meglio tenersi più in alto e cercare un punto più adatto all'ammaraggio.
Riporto quindi la macchina in assetto orizzontale, e ridotta la potenza dell'idrogetto centrale al minimo attivo anche quelli secondari ai lati, per poter dirigere il mio giocattolino anche a destra e a sinistra.
Sotto i riflettori accesi del sottomarino scorre una distesa interminabile di... "roba"... non so come altro definirla. C'è di tutto, là sotto: quelle che sembrano navi, barche ed altri mezzi accartocciati e corrosi, pietre ed altri frammenti, detriti di antiche costruzioni. Intrecciate inestricabilmente in mezzo a tutto quel materiale si intravvedono grandissime formazioni vegetali nero-verdastre dall'aria decisamente inquietante. Sembrano tentacoli in decomposizione di un qualche enorme mostro marino nascosto sul fondale.
Avanzo nel silenzio per qualche centinaio di metri. Intorno a me solo il fruscio degli idrogetti ed il gorgogliare dell'acqua, sopra di me un caleidoscopio di verdi ed azzurri.
Quando finalmente la distesa di detriti sembra diradarsi inizio a scendere di profondità, orientando i getti laterali verso l'alto ed inclinando gli stabilizzatori per cercare un posto adatto per l'ammaraggio.
- Ho stabilito il punto di contatto. - annuncio continuando a registrare il diario di missione. - Circa... due miglia dalla costa. Estraggo i sostegni e mi preparo alla prima rilevazione. - Mentre parlo imposto una serie di comandi, e mentre lo Spear si abbassa dal suo ventre fuoriescono quattro punte angolate verso l'esterno che vanno infine a conficcarsi nel fondale sabbioso.
Chiudo un momento gli occhi, ora che finalmente mi posso rilassare parzialmente: per lo meno la fase di manovra per qualche minuto è finita.
Le analisi che devo eseguire riguardano diversi valori, fra cui i livelli di acidità e di radioattività delle acque; quando si deciderà di poter finalmente lasciare gli Insediamenti sotterranei l'acqua sarà una delle risorse principali da poter sfruttare. Improvvisamente le responsabilità connesse alla mia missione sembrano gravarmi sopra le spalle come le tonnellate di acqua sopra la mia testa, e ad un tratto e praticamente dal nulla mi sento schiacciare come se le pareti del mio piccolo sommergibile si stessero accartocciando attorno a me.
- "Forza, fatti coraggio, Ellie!" - mi dico lanciando un'occhiata allo schermo nero del computer di bordo dove s'intravvede appena, dietro la visiera del casco ermetico, l'espressione tesa e preoccupata del mio sguardo.
Un segnale d'allarme a sequenza di due beep risuona nel silenzio dell'abitacolo, facendomi sobbalzare sul sedile. Sulla console di comando sta lampeggiando un'icona gialla a forma di scudo, e contemporaneamente la solita voce comune a tutti i sistemi computerizzati degli Insediamenti comunica il suo preoccupante messaggio:
- Attenzione: rilevato elevato tasso di corrosione. Integrità dello scafo in diminuzione. -
"Che diavolo... di già? Sarà meglio muoversi." Prima di tutto spengo l'allarme acustico, lasciando solamente in vista l'icona lampeggiante. Non voglio altre voci che mi distolgano dal lavoro...
- Attenzione: rilevati livelli critici di adrenalina. -
"Ecco, appunto... pure la tuta, ci si doveva mettere...! Calmati, Ellie!" In sovraimpressione compare un indicatore lampeggiante giallo che segue le pulsazioni accelerate dei miei battiti cardiaci.
Con una serie di respiri profondi riesco a riprendere un minimo la calma, ed infatti la lucina sul casco diminuisce il ritmo virando gradualmente verso il verde fino a spegnersi.
Attivando i bracci meccanici in dotazione allo Spear espello il contenitore per il prelievo del campione d'acqua da analizzare, e ritirato quello raccolgo anche qualche frammento di vegetali. Si tratta di una specie di grosso cespuglio che cresce accanto al sommergibile, una cosa alta circa tre metri a forma di palla costituita apparentemente da lunghe e sottili liane aggrovigliate inestricabilmente di colore verde scuro con piccole escrescenze che variano dal violetto al rosso scuro... decisamente poco attraente.
Decido di non soffermarmi qua giù per svolgere le analisi dell'acqua, ma di provare invece a risalire. In teoria dagli studi fatti in laboratorio la situazione dovrebbe migliorare man mano che ci si avvicina all'aria aperta; ora vedremo se la teoria coincide alla pratica, altrimenti... altrimenti saranno cavoli amari.
Mentre riavvio velocemente gli idrogetti imposto i parametri per la risalita. I sostegni, nel frattempo, rientrano automaticamente in sede all'interno del ventre metallico dello Spear.
Mentre la macchina si rimette in movimento, con una serie di colpi e gemiti di metallo torturato, un'immagine terribile mi attraversa la mente rapida e tagliente come un laser: nella mia mente compare un'immagine del mio sommergibile adagiato sul fondo sabbioso, accartocciato e corroso dalla pressione delle acque acide come una vecchia lattina di bibita abbandonata. All'interno, attraverso gli squarci nello scafo, si scorge un cadavere in tuta protettiva, un casco scrostato e dalla visiera sfondata da cui mi fissa attraverso orbite vuote un teschio reso molle ed inconsistente dall'acido.
Mi alzo di scatto dalla console scuotendo la testa. Devo assolutamente riprendere il controllo di me stessa o sarà la fine. Ho proprio bisogno di sgranchirmi le gambe, ormai anchilosate dalla posizione non proprio comodissima e dalla tensione. In parte, però, mi alzo anche solo per distrarmi dai miei pensieri cupi. Decido quindi di fare un salto nel retro per estrarre dai bracci meccanici i contenitori dei campioni prelevati ed avviarne l'analisi, per lo meno dell'acqua. Il resto lo farò al mio ritorno.
I miei passi echeggiano nell'ambiente tubolare, suonando stranamente pesanti sopra le vasche di zavorra che si vanno svuotando per agevolare la risalita.
Non appena entro nello scompartimento dove si ritirano i bracci meccanici dello Spear a riposo noto all'istante che c'è qualcosa di estremamente sbagliato, quindi mi avvicino alla parete dove si trova una stazione di ricerca con terminale annesso.
- A quanto pare... per il primo campione non sono necessarie analisi. - annuncio proseguendo la registrazione del diario anche se non so bene trovare le parole migliori... Non mi aspettavo una cosa del genere, e nessuno, ne sono certa, se la aspetta neppure su alla Base.
- I livelli di tossicità sul fondale appaiono estremamente elevati, probabilmente fuori scala. Dico probabilmente perché... ecco... ulteriori analisi oltre a quella visiva sono impossibili. Il campione d'acqua prelevato presentava un tasso di corrosione tale da danneggiare sia il contenitore di raccolta sia il braccio dello Spear. Anche lo scafo risulta sul punto di subire danni secondo il Sistema Diagnostico di Bordo. Sto procedendo alla seconda Stazione di prelievo con la guida automatica mentre mi occupo delle riparazioni al dispositivo di prelievo danneggiato. -
Per quando ho ritrovato tutti i pezzi che mi servono dal piccolo deposito di bordo, li ho messi al posto giusto e collaudati e sono tornata in cabina di pilotaggio, lo Spear si è già fermato da qualche minuto.
Ora la luce che entra dal portello è decisamente di più rispetto a prima, anche se la superficie prima trasparente risulta ora un po' opaca, come se la si guardasse attraverso un paio di lenti fuori fuoco.
La prima cosa che faccio dopo essermi seduta di nuovo ai comandi è richiedere un'analisi completa dello stato del sommergibile. Lo scafo non sembra esattamente ben messo, ma il tasso di corrosione è diminuito di molto rispetto a prima: forse il 70% di integrità strutturale mi basterà per compiere la missione e levarmi di torno senza rischiare di finire bollita nell'acido.
Anche qui a profondità media devo ripetere gli stessi prelievi fatti in precedenza; speriamo solo che la diminuzione della corrosività sia sufficiente a non distruggere di nuovo l'equipaggiamento..
Neanche questa seconda volta va tutto alla perfezione. Di nuovo mi tocca impostare i dati di navigazione e tornare a controllare i danni al braccio meccanico del sommergibile. "Poteva andare anche peggio", penso una volta nel vano di carico mentre esamino le pinze all'estremità del braccio. Non si può dire che siano esattamente immacolate come quando le ho montate poco fa, ma almeno esistono ancora, hanno solo perso gran parte della verniciatura e sembra che siano state appena sabbiate. La superficie del metallo, infatti, appare annerita, opaca e molto ruvida al tatto, proprio come se fosse stato rimosso lo strato più esterno del materiale con qualche tipo di abrasivo. Poco male, c'è solamente un'ultima analisi da svolgere prima del secondo ammaraggio.
Di ritorno nella cabina di guida noto con soddisfazione che la luce che filtra dal portello si fa sempre più intensa nonostante quello stia diventando sempre più opaco a causa della corrosione... chissà com'è ridotto lo scafo all'esterno.
Dato che lo Spear sta procedendo ancora con la navigazione automatica posso prendermi un po' di tempo per levarmi questo diavolo di casco, inizia davvero a soffocarmi dopo tutto questo tempo anche se ci sono stata addestrata. Non serve far altro che pensarlo ed il mio microchip invia alla tuta l'ordine di sbloccare la chiusura ermetica, che scatta immediatamente lasciando entrare un filo d'aria dall'esterno con un lieve sibilo.
Finalmente libera per un po' appoggio la testa all'indietro sullo schienale della poltrona osservando il mio riflesso distorto dalla visiera convessa del casco poggiato sulle ginocchia. La ragazza che mi fissa di rimando ha un'espressione strana, indecifrabile: gli occhi un po' stretti per la stanchezza e la tensione mi fissano attraverso quelle iridi grandi del colore delle nocciole mentre le labbra rosse si increspano in un sorriso un po' stanco. Istintivamente porto una mano al collo, dove dovrebbe vedersi il tatuaggio che ho fatto anni fa. Sopra il margine della tuta protettiva si scorge la parte superiore di quello che, mi hanno detto, è un simbolo molto antico. Ricordo che mi era piaciuto da subito, quel disegno, e soprattutto il nome, Albero della Vita, mi sembrava bellissimo. Non so bene perché ma evocava in me una specie di... di forza, se così si può dire, una determinazione a portare avanti i miei obiettivi qualunque essi fossero al momento. Ma soprattutto mi ricordava lo scopo ultimo per cui sono entrata a far parte di questo progetto di ricerca: riuscire a riportare proprio la vita sulla Superficie del pianeta. Ed è esattamente per quello che sotto all'albero ho fatto inserire un cuore, per ricordarmi qual è il nostro obiettivo principale così come il cuore è il componente principale di un organismo vivente.. "Ok, ti stai perdendo troppo in pensieri strani", mi dico sorridendo - sarà l'effetto dell'ossigeno, che qui dentro inizia a scarseggiare. Scuoto la testa per riprendere un minimo di lucidità ed i miei capelli lunghi con la frangetta danzano intorno alle mie spalle. Normalmente mi piace il colore biondo-rossiccio dei miei capelli, con quei riflessi ramati che escono sotto determinate angolazioni di luce. Qui sotto invece con questa luce verdina che filtra dal portello assumono un colore... boh, decisamente strano: non so come identificarlo ma so solo che non mi piace per niente.
Proprio mentre alzo lo sguardo verso il portello trasparente un raggio di luce mi ferisce gli occhi costringendomi a coprirli con una mano. A quanto pare lo Spear deve aver finalmente raggiunto la terza fermata, oltre il pelo dell'acqua... in superficie.
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Eccomi qui, finalmente fuori, in piedi sul dorso dello Spear immediatamente dietro al portello di accesso.
Il sommergibile si è fermato semi-emerso a pochi metri dalla terra ferma. Devo dire che avrei immaginato la mia prima uscita in Superficie in maniera diversa, più colorata... più luminosa... più... non lo so, diversa. Invece appena ho ficcato la testa fuori dal sottomarino mi sono trovata circondata da una specie di spessa nebbiolina grigio biancastra. Inizialmente sono stata sul punto di aprire la visiera del casco per controllare che non fosse quella ad essere danneggiata o per lo meno appannata, ma appena ci ho pensato un led a forma di fiammella rossa è comparso sul casco e la voce della tuta mi ha informato dei livelli di acidità sopra al limite consigliato all'interno di questa specie di nebbia radioattiva.
Non posso restare ferma qui in eterno, devo finire l'ultima parte della missione e tornarmene a casa, possibilmente intera.
Mentre rimango lì, ferma qualche minuto cercando di mantenere il precario equilibrio, sul dorso ondeggiante del mio sommergibile intorno a me si alza una leggera brezza e la nebbia inizia gradualmente e molto lentamente a sollevarsi.
Devo ammettere che, pur all'interno di questa specie di scafandro protettivo, è una sensazione bizzarra sentire per la prima volta la brezza terrestre soffiarti intorno... non è spiacevole, intendiamoci... è solamente strano... insolito. Quello che invece è abbastanza spiacevole e spaventoso è la vista che mi ritrovo davanti una volta che il velo di nebbia si è sollevato a sufficienza. Davanti a me, sulla riva del mare, si estende quella che sembra una grande ed antica città. Tutto intorno ci sono isole più o meno grandi ricoperte di rovine polverose e strani vegetali mutati dalle radiazioni. Qui e là tra le isole si scorgono i monconi degli antichi ponti cittadini crollati per il tempo o spaccati dalla vegetazione dirompente o, più probabilmente, semplicemente corrosi dalle acque acide della laguna. Un fischio mi attraversa le orecchie facendomi istintivamente alzare lo sguardo al cielo preoccupata: che sia un drone dei Lunari? Non posso fare a meno di pensarci, anche se so benissimo dagli studi fatti giù al laboratorio che è impossibile. Qui noi umani possiamo girare in relativa tranquillità, se si escludono le radiazioni, le piante forse velenose, l'acqua tossica e le creature mutate in chissà quale strana maniera. Per lo meno i Lunari qui non ci possono identificare, dal momento che gli elevati valori di metallo nelle acque circostanti creano una sorta di schermatura contro le loro rilevazioni.
Sospiro sollevata riportando lo sguardo sul mondo circostante. Le acque qui intorno sono decisamente pericolose anche con la tuta protettiva, quindi se voglio arrivare sulla terra ferma per proseguire le ricerche devo trovare un modo differente dall'arrivarci a nuoto. Fortunatamente questi nuovi modelli di equipaggiamento protettivo sono stati pensati per tutte le evenienze e portano quindi incorporati dei piccoli razzi simili a quelli che un tempo usavano gli astronauti per le missioni nello spazio: non saranno un gran che ma almeno permettono brevissimi voli, abbastanza, però, da poter oltrepassare la ventina di metri d'acqua davanti a me.
Il posto dove atterro probabilmente era un tempo la piazza più grande della città a giudicare, dall'aspetto delle rovine che mi circondano: dev'essere stata una città molto antica e piena di storia ma anche di locali moderni, almeno vedendo le lastre di metallo sopra le porte, ultimi resti di quelle che dovevano essere insegne luminose e sfavillanti. L'elemento principale della piazza sembra essere stato l'enorme edificio davanti a me, a quello che ricordo dalle lezioni di storia si dovrebbe trattare di un antico luogo di culto. Il gigantesco edificio a due piani è decisamente ridotto male, come un po' tutti i palazzi intorno ed anche i marmi e le pietre sotto i miei piedi. Ovunque aleggia un sottile strato di polvere simile alla sabbia fine del fondo del mare, probabilmente dovuto all'erosione degli acidi nell'aria sulle strutture di pietra che sembrano sgretolarsi davanti ai miei stessi occhi mentre piccole schegge si staccano finendo a terra fra la moltitudine di fini detriti. Scorrendo verso l'alto i pilastri dell'enorme palazzo scorgo sulla terrazza quelli che sembrano essere stati due basamenti di antiche statue o sculture di qualche tipo. In un lampo un'immagine mi attraversa la mente, un ricordo proprio dalle lezioni di storia sul Pre Separazione che ho seguito da bambina. Se la mia memoria non mi sta ingannando di brutto il rudere di fronte a me assomiglia incredibilmente ad una palazzo chiamato Basilica di San Marco, e quindi... quindi questo posto devono essere le rovine di Venezia, una delle città più famose e almeno un tempo affascinanti della storia dell'umanità. Ricordo di essere stata affascinata dalle fotografie che ci avevano mostrato: un'intera città costruita praticamente sul mare, dove la gente si spostava abitualmente in barca e dove i visitatori dall'esterno erano praticamente dieci volte gli abitanti della città stessa tanto era piena di storia e di fascino. Ricordo le follie ritratte nelle immagini, i colori, le grosse navi stracariche di persone che passavano così vicino al punto dove mi trovo proprio adesso.
Ed ora... ora non c'è più niente di tutto quello splendore, di quella vita. Ora ci sono solo i resti della guerra, le rovine polverose e cadenti di un mondo finito, divorato sempre più dal vento carico di radiazioni e di veleni.
Non riesco a capire se sia l'oppressione generata da questo contrasto di immagini o se sia una cosa reale, so solo che ho improvvisamente una strana sensazione. È come se mi sentissi osservata. "Che cretina!" mi dico "Non c'è nessuno, qui intorno, a parte me, non ci può essere nessuno, al massimo qualche animale che, spero, non avendo mai visto un essere umano si spaventerà e se la filerà a zampe... o ali... o qualsiasi cosa abbia... levate!". Eppure non riesco a togliermi dalla mente la sensazione di una qualche presenza qui intorno... se non sapessi che è ancora meno probabile dell'alternativa precedente mi verrebbe da pensare che siano le entità delle persone che si trovavano qui nel momento in cui la guerra ha cancellato dalla storia questa città.
- E piantala, con queste cretinate, ok?! - questa volta devo dirmelo a voce alta per convincermi.
Un momento dopo alcuni rumori improvvisi mi fanno voltare di scatto: è come se il mio sbotto improvviso avesse spaventato qualcuno o qualcosa che mi stava fissando.
Proprio come immaginavo: qui intorno non c'è niente né sulla terra né nell'aria. Neppure l'acqua sembra essere stata smossa di recente da esseri che vi si siano appena tuffati.
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*** Spazio all'autore***
La mia proposta per questo capitolo:
"Dimentionless Deepness"
dal videogame Half-Life
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