Capitolo 33 - Tu chi sei? (R)
Anno Domini 2531 - 468 della Nuova Era
Isola di Poveglia
La notte è finalmente calata sulla laguna, una notte tersa e serena con una luna piena brillante straordinaria che troneggia al centro del cielo. Sarà che prima non la potevo vedere per i miei vecchi problemi agli occhi, o forse è colpa semplicemente dell'anno trascorso praticamente sempre nel sottosuolo, in ogni caso non credo di aver mai visto una luna così grande e brillante: sembra quasi che sia più vicina alla Terra questa notte di quanto non sia realmente.
Ed è anche una fortuna che il tempo sia così buono. Per lo meno ci ha dato l'opportunità di formulare un piccolo piano attraverso il quale forse riusciremo a farci, se non proprio accettare, almeno tollerare per un po' dalla comunità e persino, speriamo, da quel brontolone di Pavel.
È stata un'impresa farsi capire senza che i nostri interlocutori indossassero le cuffie, ma già poter comprendere quello che si dicevano ci ha dato un minimo vantaggio rispetto a prima. Alla fine siamo riusciti in qualche modo a far capire loro che saremmo stati io e le ragazze a fare il turno di sorveglianza questa notte e avvertire per tempo in caso salga la nebbia acida o, come la chiamano loro, "aria morta".
Al calare delle tenebre ci siamo quindi portati in posizione nei punti che avevamo brevemente stabilito: le ragazze si trovano sulla costa dell'isola a Nord, Sud ed Est; Caled sorvegli la situazione dal Rover a Ovest. Io invece mi trovo al centro dell'isola in cima a un antico campanile così da poter avere una visuale il più completa e ampia possibile.
Forse però, ora che ci penso meglio, avrei dovuto riflettere un momento prima di assegnare le postazioni e prendermi proprio questa qui: certo, da quassù posso tenere d'occhio gran parte dell'isola e vedere prima delle ragazze se sta per succedere loro qualcosa, però non ho fatto assolutamente i conti con i miei ricordi che ora cominciano a riaffiorare.
Non sono mai stato un tipo particolarmente impressionabile e neppure superstizioso, questo no, eppure quest'atmosfera così strana, la notte così scura e immobile, il silenzio quasi assoluto, persino la fiammella della torcia che brucia al centro del pavimento alle mie spalle mi fanno venire alla memoria cose decisamente spiacevoli: mi tornano alla mente le scene di quel programma televisivo ambientato proprio qui a Poveglia che già avevo ricordato alla vigilia della scorsa visita e, in particolare, un dettaglio; in quella trasmissione si diceva, infatti, che questo antichissimo campanile in rovina fosse infestato da spiriti e, in particolare, da quello di uno dei medici che vivevano qui quando l'isola fungeva da lazzaretto. Si dice che, a causa dell'isolamento e delle condizioni di vita, l'uomo sia impazzito e si sia gettato proprio dalla cella campanaria dove mi trovo anche io in questo momento.
Forse è la suggestione portata da questi pensieri, non saprei dirlo precisamente, ma le ombre generate sulle pareti irregolari della stanza dalla luce della torcia sembrano assumere forme inquietanti e grottesche, quasi umanoidi, mentre la brezza che si infila fra le fessure nelle pareti produce fischi e brontolii sinistri facendo cigolare lo strumento simile ad un antico corno da caccia che pende da una corda al centro del soffitto al posto dell'antica campana.
Eh già: puoi ricevere tutto l'addestramento militare che vuoi, puoi essere lontano nello spazio e nel tempo quanto ti pare dalla fonte di un determinato ricordo, ma quando questo rappresenta una tua passione passata o un tuo punto debole non c'è modo di lasciarlo completamente da parte, di riuscire ad isolarlo come in un cassetto della mente e buttare via la chiave; quel ricordo, quella sensazione, quel sentimento, troverà sempre il modo di risorgere come un tappo di sughero che, gettato in acqua, inizialmente viene sommerso per poi riemergere senza possibilità di farlo affondare definitivamente.
Un rumore all'interno del campanile mi riporta alla realtà diradando un tantino la nebbia dei ricordi in cui mi ero perso.
Giù in basso, presumibilmente a terra, si sente parzialmente coperta dal soffio della brezza una serie di deboli fruscii.
Forse sono gli ultimi residui dei ricordi che stanno ancora abbandonando la mia mente, ma quei suoni mi ricordano, più che i passi che credo rappresentino, il solito vecchio medico della peste col suo respiro soffocato dalla maschera a forma di becco riempita di erbe e polveri.
"E riprenditi, accidenti a te!", mi impongo scuotendo il capo come se in questo modo potessi togliere da davanti agli occhi l'immagine della maschera grigia appuntita caratteristica di questo posto e di quel periodo in particolare.
No, ora che riesco finalmente ad analizzare di nuovo la realtà in maniera un minimo lucida me ne rendo conto: quello che la mia immaginazione assurdamente mi suggeriva era per l'appunto solo quello, una suggestione. In realtà si tratta davvero di passi, probabilmente di qualcuno o qualcosa che si muove in maniera lenta e circospetta nel tentativo di non attirare l'attenzione o, più probabilmente, in caccia o ricerca di qualcosa o qualcuno.
Ho appena il tempo di alzarmi dall'angolo dov'ero seduto ed affacciarmi all'esterno prima che i fruscii giù in basso svaniscano mentre un qualcosa di indefinito, forse solamente un'ombra più che qualcosa di solido, scompare dietro l'angolo della torre.
Penso che la cosa, l'essere, o qualsiasi entità fosse all''esterno del campanile ora si stia spostando all'interno: ora che i passi all'esterno sono svaniti si sentono dei rumori ai piani inferiori, dei tonfi come di porte che si chiudono seguiti da passi incerti e irregolari che vagano per la base dell'edificio e, evidentemente avendo individuato una via verso l'alto, su per la scala sempre più vicino alla stanza in cui mi trovo io.
Non so spiegarmi perché abbia avuto questa relazione: in fin dei conti non ci sono stati indizi di pericoli o minacce, eppure mi ritrovo in piedi nascosto nell'ombra dell'angolo opposto alla porta con la pistola in pugno puntata verso l'ultimo gradino.
-Diana...- sospiro a metà fra il sorpreso e il sollevato reinfoderando la pistola con il massimo della nonchalance possibile. La ragazza fa un mezzo passo all'interno della stanza poggiando a terra la lanterna che ha portato con sé mentre tiene lo sguardo fisso sul fianco nel punto dove la mia arma è appena scomparsa nella fondina: non penso abbia mai visto una pistola in vita sua e nemmeno che sappia di cosa si tratta, eppure a giudicare dall'espressione vagamente incerta e preoccupata immagino che possa aver intuito che si tratti di un qualche tipo di strumento di offesa.
-Ti ho cercato ovunque.- sussurra Diana avvicinandosi evidentemente rassicurata dal vedere le mie mani di nuovo libere e tese verso di lei che si accoccola a terra al mio fianco -Papà aveva detto che stanotte eravate di guardia tu e le ragazze, ma non sapeva dove vi foste piazzati di preciso.-
Diana sospira profondamente dopo qualche minuto di silenzio che si stava facendo davvero pesante fra noi, come se dopo lunghe riflessioni fosse finalmente arrivata a un qualche genere di decisione importante. Non so neppure spiegare perché ci troviamo in questo particolare stato di imbarazzo: probabilmente anche lei come me sta ricordando com'è andato il nostro ultimo incontro, la mia proposta di tentare di comunicare attraverso le nuove cuffie e la sua reazione a uno strumento così nuovo e al di là della sua comprensione.
Infine, come se mi stesse leggendo nella mente, mi guarda stranamente decisa e se ne esce con un semplicissimo "Ci voglio riprovare" mentre, a un mio sguardo interrogativo, risponde semplicemente indicandosi le tempie nel punto dove appoggiano i contatti delle cuffie.
Prima di calzarle lo strumento intorno al capo cerco con le dita il controllo del volume e lo porto su un livello di intensità medio in modo da evitare che la voce del software di traduzione le esploda di nuovo nella testa come la volta scorsa: non ci avevo pensato in quel momento, ma in effetti forse un approccio più graduale ci avrebbe risparmiato quella mezza tragedia.
-Mi... riesci a capirmi?- domando a Diana non appena ha terminato di sistemarsi le cuffie più comodamente pregando chiunque ci sia lasssù che non si ripeta la scena di poche ore fa.
-Io... sì, sembra proprio di sì.- è la sua risposta, mentre un sorrisetto per la verità un po' incerto compare sul suo volto -Ma... come hai fatto?-
-A fare cosa?-
-Questo.- si limita a rispondere picchiettando con le dita sull'archetto di plastica.
-Non sono stato io, credimi: non ne sarei capace!- replico riuscendo gradualmente a rilassarmi sempre più nel vedere che la cosa sta prendendo finalmente la piega giusta -Sono stati ... altri della mia gente... a costruire quelle cose. Non mi chiedere come abbiano fatto: non ne ho la più pallida idea! So solo che mi hanno dato quello strumento e mi hanon spiegato cosa fa, come lo faccia non lo so.-
-La tua gente...- sussurra Diana perdendosi per un momento nei suoi pensieri -Intendi le donne che sono con te? O il gigante con la pelle nera che c'era la prima volta?-
-No, Diana, neppure loro ne sanno più di me. Anzi, forse ne sanno anche meno probabilmente. Da dove veniamo noi ci sono persone che hanno il compito specifico di studiare e inventare strumenti nuovi per risolvere problemi di tutti i giorni.-
-Hanno inventato loro anche quell'oggetto che avevi in mano quando sono arrivata?- chiede la ragazza spostando lo sguardo sulla fondina per una frazione di secondo.
-In effetti sì, anche quella è una loro invenzione.-
-Cosa fa?- insiste lei facendosi involontariamente più vicina dimostrando ancora una volta la curiosità che già mi era sembrato di intravvedere in lei durante la mia prima visita.
-Se riesci a trovarmi una pietra o qualcosa del genere te lo mostro.- mi limito a risponderle enigmatico per tenerla un po' sulle spine.
Diana scende per un momento ai piani inferiori del campanile mentre io, sfoderata la pistola, la rigiro fra le mani chiedendomi se non stiamo già andanto oltre nelle spiegazioni o nelle dimostrazioni di quello che noi degli Insediamenti possiamo fare in più rispetto alla gente dell'isola.
Oramai è tardi, però, per farsi venire scrupoli di questo genere. Diana riemerge pochi minuti dopo dall'oscurità della scala reggendo fra le braccia una pietra delle dimensioni approssimative di una testa umana.
-Appoggiala a terra lì al centro della stanza.- la istruisco facendole cenno poi di tornare al mio fianco.
-Questa è un'arma molto potente della mia gente, anche se non la più potente... credo.- inizio a spiegarle prima che lei mi interrompa.
-Un'arma? Siete venuti qui armati?- esclama sconcertata mentre un lampo di preoccupazione attraversa quei suoi stupendi occhi nerissimi. "Che stia iniziando a rivalutare la posizione di suo padre nei nostri confronti? Sarà meglio chiarire questa cosa immediatamente prima di perdere l'unica alleata che abbiamo qui intorno".
-Sì, siamo venuti armati.- confermo io posando la pistola a terra per alzare le mani in quello che spero ancora adesso sia un universale segno di resa -Ma l'abbiamo fatto solo perché il nostro ruolo lo prevede. Nella mia comunità quelli che vestono in questo modo sono membri del nostro esercito e devono quindi muoversi sempre armati. Lo facciamo però solo per difesa: quando entriamo a far parte dell'Esercito dobbiamo prestare un giuramento solenne che ci impone di usare le nostre capacità e le nostre armi solo e sempre a scopo di difesa, mai per offesa. Non potremmo mai prendere l'iniziativa contro di voi a meno di non venir meno al nostro dovere. La donna vestita di bianco invece non è armata: è una di quelli che inventano le cose e quindi non è loro compito difendere gli altri membri della comunità, quindi non portano con sé armi.-
-Capisco.- è l'unica risposta che esce dalle labbra di Diana prima che si chini a recuperare la mia arma per riconsegnarmela -Fammi vedere come funziona.-
-Quest'arma distrugge qualsiasi oggetto contro cui la si usi, quindi bisogna stare molto attenti. Guarda.-
Entrambi ci voltiamo verso la finestra alle nostre spalle e io tolgo la sicura alla pistola per poi premere il grilletto facendo atenzione a non puntare verso nulla che possa provocare danni.
Sento gli occhi di Diana addosso mentre fissa intensamente la pistola, il mio dito stringersi sul grilletto e il raggio bianco azzurrino affiorare dalla canna e disperdersi in lontananza nel cielo notturno diverse decine di metri dopo in una piccola nuvoletta.
-Ora osserva la pietra e guarda cosa succede se usi questa cosa su un oggetto solido.- suggerisco a Diana mentre ci voltiamo di nuovo verso l'interno della cella campanaria.
Punto con attenzione la pistola al centro della pietra e premo nuovamente il grilletto. Il solito sibilo sfrigolante si diffonde nell'ambiente mentre la lingua di energia attraversa l'aria di nuovo colpendo il masso.
-Dov'è? Dove l'hai nascosta?- esclama Diana facendo un passo indietro sconcertata nel non vedere più la pietra al suo posto, nel non riuscire a scovarne neppure una minima traccia anche di polvere o minuscoli frammenti.
-Non l'ho nascosta da nessuna parte.- le sorrido io di rimando reinserendo la sicura e riponendo la pistola nella fondina -Te l'ho detto, che è un'arma molto potente: così potente che con quel raggio può distruggere completamente un oggetto, proprio come quando l'acqua diventa vapore.-
-Cosa volete da noi? Chi siete? Da dove venite? Pe... perché siete qui?-
Diana mi investe di domande arretrando evidentemente spaventata mentre la sua voce si fa sempre più acuta e si alza di tono.
-Stai tranquilla, Diana!- le sussurro avvicinandomi lentamente a lei e prendendole le mani nelle mie da cui ho tolto i guanti per cercare di essere un po' più rassicurante nei suoi confronti attraverso il contatto diretto della nostra pelle -Devi credermi: non abbiamo nessuna intenzione ostile verso di voi, te lo giuro. Siediti un momento e ti spiegherò tutto nel modo più semplice possibile, poi deciderai se potrai ancora fidarti di me.-
Finalmente Diana sembra tornare un minimo calma, seppure senta le sue mani tremare leggermente mentre torniamo a sederci uno di fronte all'altro, e con un respiro profondo inizio a raccontare:
-Come ti ho detto siamo gente pacifica nel posto da cui vengo io. Dobbiamo avere un Esercito, è vero, ma per difenderci da altri esseri più potenti di noi... poi ti parlerò anche di loro, se ci arriveremo. Prima di parlarti del posto da dove vengo, però, devo raccontarti un po' di me, credo.-
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-Accidenti... sembra una storia così strana e incredibile...!-
Durante tutto il mio racconto Diana non ha fatto altro che apparire sempre più sorpresa e, per certi versi, sconvolta ad ogni nuova rivelazione. Eh già, ho dovuto proprio raccontarle tutto, ora che c'era l'ooccasione. Ovviamente non le ho potuto spiegare ogni cosa nei dettagli: le ho solo detto, in buona sostanza, di venire da un mondo migliore e più verde di questo, un mondo di moltissimo tempo fa che in seguito ad una terribile guerra si è diviso in tre popoli con capacità e conoscenze scientifiche molto differenti.
Diana non sembra neppure aver preso il tutto eccessivamente male, in fin dei conti siamo tutto sommato abbastanza simili nell'aspetto nonostante veniamo da mondi quasi agli antipodi e, dopotutto, anche in termini di età non non dovremmo essere così distanti... se non fosse per quegli stramaledetti quattrocento anni che mi porto a spasso in più rispetto alla mia età effettiva.
Ormai credevo di essermi abituato a vivere in quest'epoca, ci credevo davvero. Però raccontare a qualcun altro che non sa nulla quello che è successo, raccontare del mio mondo di un tempo, mi ha fatto capire quanto la persona che sono oggi dipenda da quel mondo più che da questo e quando quei tempi più di questi mi rappresentino nonostante la distanza che ci separa.
-Un tempo...- sussurra Diana quasi fra sé per poi voltarsi a guardarmi -Ma qual è, quindi, in realtà, la tua età?-
-Quando sono stato addormentato avevo ventisette anni, sono qui da un anno quindi ora ne ho ventotto.-
-Ventotto... anni? Cos'è un "anno"?- mi domanda lei sorpresa per l'ennesima volta.
-È come la mia gente misura il tempo.- spiego io stavolta quasi più sconcertato di lei per questo sviluppo inatteso -Scusa, voi come contate il tempo?-
-In lune! E come altro vuoi contarlo? Oppure in circoli, che sarebbe il tempo tra due stagioni calde consecutive. Io, per esempio, ho diciannove circoli.-
-Immagino che sia più o meno simile al nostro sistema... almeno credo.- osservo io facendo un rapido calcolo della differenza che risulterebbe dai nostri mesi ai reali mesi lunari di vent'otto giorni -Quindi penso che più o meno tu abbia diciannove anni anche per noi... e io vent'otto circoli per voi, a quanto pare!-
-Dove sarebbero, quindi, questi altri di cui avete paura anche voi?- mi domanda Diana in tono basso, quasi intimorito nonostante l'evidente sete di notizie, mentre percorriamo la scala a ritroso per tornare a terra.
-La vedi, la Luna, lassù?- le chiedo una volta varcata la soglia e tornati all'aperto indicando il disco ormai già basso sull'orizzonte.
-Sì, la vedo, ma... No, non è possibile che siano là sopra...- sospira lei ora davvero spaventata.
-Invece sono proprio là.
Già ai miei tempi si poteva viaggiare abbastanza facilmente nel cielo e... e quelli sono fuggiti dalla guerra rifugiandosi sulla Luna. Sai, una volta era molto più bella di così... più bianca...-
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