Capitolo 32 - Crisi (R)

Anno Domini 2531 – 468 della Nuova Era
Isola di Poveglia

-Oh, guardate! Abbiamo anche il comitato di benvenuto!- risuona la voce di Giulia nella mia testa. È ancora così strano abituarsi a questo nuovo sistema di comunicazione: sarà pur comodo non avere più le auricolari ficcate nelle orecchie, ma sentire sbucare dal nulla delle voci che sembrano comparire proprio al centro del cervello dà un po' l'impressione di uscire di testa.
-Veramente non credo sarà un benvenuto così caloroso, ragazzi!- osserva la Dottoressa McCoy che vola in coda alla formazione immediatamente dietro a Giorgia e Giulia che procedono affiancate.

In effetti, ora che osservo meglio, penso proprio che la nostra compagna di missione abbia ragione.
Il profilo della costa di quella che un tempo era l'Isola di Poveglia è sì punteggiato di persone, ma risulta sempre più evidente man mano che ci avviciniamo che ogni singolo individuo è in effetti armato. Molti reggono in mano strumenti simili a lance o tozze mazze appese ai fianchi, ancora altri stringono nel pugno archi tesi con le frecce già incoccate e pronte al lancio.
-Chissà cos'è successo.- domando a nessuno in particolare -Qualunque cosa sia non credo saranno felici di vederci arrivare. Ricordate la scorsa volta?-
-E come facciamo a non ricordarcela, Mike? Legati e rinchiusi per dei giorni senza un motivo? Grazie a Dio la tua amica ha un po' più di cervello dei suoi compari! Oh, guardala, c'è anche lei!-

In effetti all'inizio del molo che abbiamo scelto come nostro obiettivo c'è una figuretta più piccola di quelle che la circondano, gli inconfondibili capelli corvini che ondeggiano appena nel vento, l'arco scarico al suo fianco e la faretra appoggiata ai suoi piedi.

Non appena siamo abbastanza vicini al punto estremo del molo da poter finalmente vedere chiaramente le espressioni sui volti degli indigeni i timori delle mie compagne trovano spiacevole conferma. Sui loro visi, su ogni singolo di loro, è dipinta la medesima sfumatura di tensione mista a quel pizzico di fanatismo che il terrore verso qualcosa di sconosciuto e probabilmente mistico ingenera nelle menti semplici. Solo tre individui sembrano rompere la regola: gli unici tre dell'intera comunità che abbiamo conosciuto seppur a livelli diversi.
Eccolo là Pavel il testone, la solita espressione da chi ce l'ha col mondo che gli stira i lineamenti irrigidendoli come una pelle di tamburo, e al suo fianco il vecchio, Anton se non sbaglio, non esattamente rabbioso come il suo compare ma comunque dallo sguardo fisso e attento, quasi volesse leggerti dentro attraverso gli occhi, una mano posata sulla spalla di Diana. Già, Diana, la più tranquilla di tutti per certi versi. Lei è l'unica in questo posto che non sia pronta a saltare a conclusioni, a saltare alla gola di chiunque al primo accenno, l'unica almeno da come l'abbiamo conosciuta fino ad ora disposta a dare una possibilità e conoscere quello che c'è al di fori del loro piccolo mondo.

Sento chiaramente un mormorio diffondersi come un'onda attraverso gli isolani schierati ordinatamente come un piccolo esercito; alcuni mettono mano alle mazze mentre altri portano le lance in posizione e gli archi si tendono ancora di più scricchiolando sotto la tensione delle corde.

Pavel alza una mano aperta e lo vedo aprire la bocca per dire qualcosa. Finalmente sapremo se i lavori di questi mesi giù al Comando sono serviti a qualcosa.
-Pronti al mio comando!- sento una voce vagamente artificiale nell'intonazione tradurre le parole in inglese.
"Wow, incredibile!", mi ritrovo a pensare mio malgrado nonostante sia evidente che quel tipo stia per ordinare ai suoi di usarci come punta spilli.
Mentre l'uomo procede con il conto alla rovescia abbassando progressivamente un dito alla volta sembra che la scena improvvisamente rallenti, come se qualcuno di invisibile abbia premuto un qualche pulsante di slow-motion.

-Che facciamo, Mike?- sento sussurrare dalla Dottoressa McCoy alle mie spalle.
-Penso che l'unica alternativa sia prendere quota all'ultimo momento.- suggerisco -Da qualsiasi altra parte ci muovessimo quelli sono troppi, ma fortunatamente stanno tutti puntando verso di noi al momento.-
-Fortunatamente?- interviene Giorgia perplessa.
-Certo, mamma!- s'intromette anche Giulia: -Pensaci: se quelli puntano dove siamo ora e noi al momento giusto ci alziamo le frecce di quei geni finiranno in acqua senza sfiorarci.-
"Un genio, la mia nipotina! Se potessi la bacerei in fronte... se non avessimo duecento archi e quasi altrettante lance puntate in faccia".

-Tre...- il dito medio di Pavel si abbassa e il suo sguardo scorre sugli uomini schierati al suo fianco.
-Due...- anche i miei occhi seguono quelli dell'uomo per controllare che tutti stiano ancora puntando dove penso e spero.
-Uno...- i nostri sguardi si incrociano per una frazione di secondo e non posso fare a meno di meravigliarmi per il terrore e la rabbia fanatica che vi leggo, considerando che non abbiamo ancora fatto nulla per minacciare questa gente.

Mentre l'uomo sta per abbassare la mano una nuova voce si intromette gridando qualcosa che il software di traduzione ci ritrasmette come "Fermi!".
"È lei, è stata lei" penso mentre i miei occhi scivolano verso il basso guidandomi inconsciamente verso la fonte della voce.
Diana sta insistentemente guardando nella nostra direzione e poi verso una barca ormeggiata poco lontano da noi indicandola di nascosto con una delle dita che stringono l'impugnatura dell'arco.
-Facciamo come dice.- bisbiglio alle mie compagne sperando con tutto il cuore che la ragazza sotto di noi abbia un'idea per toglierci da questa situazione.

Non ho neppure bisogno di voltarmi per capire che tutte hanno recepito il messaggio: oltre ai miei due si odono altri sei debolissimi sbuffi molto brevi provenienti dai razzi delle tute mentre tutti ci abbassiamo.
-Stai fuori da questa storia, Diana!- sentiamo Pavel ordinare mentre io prendo posto all'interno del piccolo scafo e le ragazze rimangono in piedi sulle mura reggendosi al sottile albero -Ti devo ricordare, figlia, che queste faccende non ti riguardano? La difesa dei nostri domini è responsabilità del Consiglio dei Primari ed io come Regg...-
-Ne sono consapevole, Padre!- sento Diana rispondere al di sotto della voce del traduttore -Ma allo stesso modo conosco le norme che regolano l'accoglienza all'interno delle proprietà di una famiglia. La casa, i terreni, e tutte le proprietà della famiglia sono responsabilità della donna più matura della famiglia. Nel nostro caso sono io, Padre, e non desidero che a queste persone venga fatto del male fintanto che rimarranno in casa nostra o... o su quest'isola. Fino a quando resteranno qui saranno miei ospiti e come tali devono essere trattati da tutti!-

"Aspettate, ha capito quello che penso? Voglio dire, quanto velocemente se l'è pensato questo piano, quel piccolo, stupendo genio... No, ok, ripenditi!"

-Venite!- ci invita Diana tendendo le mani come per aiutarci a smontare dalla barca -Ora potete sbarcare tranquillamente: nessuno oserà farvi del male finché sarete ospiti della famiglia del Reggente.-
Faccio per muovermi per primo ma mi sento trattenere per un braccio. Voltandomi scopro che la misteriosa forza che mi ferma è la mano di Giulia stretta fermamente intorno al mio gomito.
-Che fai, zio? Non li vedi, quelli?- bisbiglia lei, per altro abbastanza inutilmente dato che nessuno a parte noi quattro può capire ciò che sta dicendo -Nessuno degli altri ha ancora posato le armi, quindi non mi ci butterei in mezzo così fiduciosa.-
-Lo so, Giuly, l'avevo notato. Però mi fido di Diana: se lei dice che siamo al sicuro io scendo. L'altra volta è stata lei a slegarci e a curare te, lei l'unica a trattarci davvero umanamente.-

Ignorando le mani tese di Diana comando ai razzi della tuta di attivarsi e qualche secondo dopo quelli si spengono depositandomi al centro della lunga striscia di pietra consunta del molo insieme a Giorgia, Giulia e alla Dottoressa McCoy.
Come se fossimo una qualche specie di divinità, o più probabilmente degli schifosi insetti, i ranghi dei concittadini di Diana si aprono per lasciarci passare mentre ci dirigiamo verso il piazzale e quindi il portico davanti casa sua.
-Posso farti una domanda?- chiede Diana voltandosi a guardarmi accompagnando alle parole il solito sollevarsi di sopracciglia che era diventato parte del nostro linguaggio comune improvvisato.
Al mio annuire una fugace espressione sorpresa le attraversa ancora una volta il viso, così come è già successo prima sul molo quando deve aver capito che in qualche modo ora potrei riuscire a comprenderla meglio dell'ultima volta che ci siamo incontrati.
-Come fai, ora, a capire quello che dico?-

"Ecco, e ora come cavolo gliela spiego, questa cosa? Finché si tratta di concetti più o meno semplici non c'erano troppe difficoltà, ma ora... a parte la complessità del progetto, che io stesso devo ancora cogliere del tutto, come faccio a parlarle di computer, programmi informatici e roba simile quando la sua gente neppure conosce l'energia elettrica?"- penso sconcertato imitando le mie compagne e lei e sedendomi a terra.
Istintivamente poggio il capo fra le mani pensando a come approcciare l'argomento, ma Diana sembra interpretarlo già come una specie di risposta: deve aver pensato che intendessi dire che si sia basato solo di studio... se sapesse in realtà cosa c'è dietro.

-Mike, mi sa che è il momento di quei cosi che ti ha dato il Comandante Adams.- mi suggerisce la McCoy a mezza voce. In effetti potrebbe non essere una cattiva idea: non avevo ancora pensato a quando farlo, quindi questo può essere un momento buono come un altro.
-Ho una cosa per te, Diana.- dico alla ragazza che, sentendosi chiamare, fissa i suoi stupendi occhi neri su di me, mentre io per tentare di farle capire cosa ho detto indico me stesso, poi la mia mano e infine lei.

Le mie dita scivolano fra quelle di Diana provocandomi una scossa che non ricordo o non so se avevo notato ma che, ora che l'ho percepita, mi sembra così maledettamente familiare e piacevole.
Le nostre mani si dividono e le cuffie con il software modificato rimangono sospese in equilibrio sul suo palmo simili a un animale ferito gravemente che debba essere maneggiato con estrema cura.
-Co... Cos'è?- domanda Diana insicura spostando lo sguardo dall'oggetto fra le sue mani al mio viso.
Non saprei proprio come risponderle, quindi tanto vale metterla direttamente di fronte al fatto compiuto.

Sollevo un momento le cuffie spostando un piccolo interruttore sulla parte posteriore e proprio in quel momento il visore della mia tuta si anima.
"New Device Found" compare sulla parte superiore del visore e appena sotto quella un'altra scritta che recita "Pearing" con un indicatore lineare che si colora progressivamente di verde. Pochi attimi dopo la seconda scritta diventa "Pearing Successful" prima che il mio campo visivo torni completamente libero.

Sicuro di quel che sto facendo, eppure con mani un po' tremanti al pensiero di come Diana potrebbe reagire, prelevo le cuffie dalle sue mani e le faccio passare intorno al suo capo poggiandone le estremità squadrate sulle sue tempie fra le orecchie e gli occhi esattamente come avevo imparato nel mio secolo quando quei dispositivi erano appena nati.

-Ora dovresti capirmi anche tu. È così, Diana?- le domando lentamente in modo da permetterle di abituarsi alla cosa il più gradualmente possibile.
Lei sgrana gli occhi portandosi le mani al capo come se improvvisamente fosse stata presa da un fortissimo mal di testa.
-Cosa mi sta succedendo?!- grida spaventata, le mani che tremano stringendosi intorno all'archetto delle cuffie eppure incapaci di strapparle come sono certo il suo istinto le stia suggerendo di fare -Cosa succede?! Cos'è questo fenomeno? Ho... ho una voce... un'altra voce nella testa!-
-Stai tranquilla, Diana.- cerco di rassicurarla avvicinandomi a lei e prendendole le mani mentre le mie compagne di missione si mantengono in disparte: forse la scelta migliore per intervenire in questo caso sarebbe stata una di loro che forse possono capire meglio cosa passa nella mente di Diana. Però, come al solito, è meglio forse invece che sia io a occuparmi di lei dato che sono quello con cui ha sviluppato un rapporto più stretto.

Le mie mani si stringono decise, ma mi auguro non violente, intorno alle sue cercando di trasmetterle un po' di calma e sicurezza.
-Lo so, che è una sensazione strana, lo so bene. Però devi provare a tranquillizzarti, Diana. Non stai impazzendo e nessuno sta cercando di farti del male. La voce che hai sentito viene da questo.- le spiego mostrandole un'altra cuffia identica a quella che indossa lei ora -So che è molto strano, conosco bene questi oggetti e quanto scomodi possono essere all'inizio. È però il modo che la mia gente ha trovato, almeno per ora, per poter comunicare con voi o almeno per far sì che possiate comprendere la nostra lingua.-
Non so se Diana mi abbia capito veramente, non so neppure se mi stia davvero ascoltando. I suoi occhi velati di lacrime dovute credo alla paura continuano a saettare da me all'oggetto fra le mie mani.

-P...Per ora non lo voglio.- mormora con un filo appena udibile di voce sfilandosi le cuffie e poggiandole fra le mie mani insieme alle altre -Forse ci si può fare abitudine ma... ma non ce la faccio ora. È... è una cosa troppo grande.-
-Lo capisco, Diana, non preoccuparti.- la rassicuro mentre lei scuote il capo abbassando lo sguardo colpevole -Non c'è davvero nessun problema. Ci possiamo riprovare quando vorrai, quando te la sentirai.-

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