Capitolo 3 - Ricerca sul campo (R)
Anno Domini 2531 - 468 della Nuova Era
Stazione di Ricerca di Superficie - SRS 39.72.A
Una serie di sequenze di tripli beep mi fa riemergere dal dormiveglia in cui comunque stavo già galleggiando. "Dio, quanto odio questo suono che mi sveglia ogni mattina con la delicatezza di una martellata sulle tempie!".
Allungando un braccio alla cieca per spegnere la sveglia diversi minuti dopo apro a fatica un occhio dalla palpebra pesante quanto il piombo. Mi sento come se fossi andata a dormire cinque minuti fa e invece...
-Porca...!- esclamo di colpo perfettamente sveglia - sono già le 7:45 e il mio orario di lavoro inizia alle 08:00.
"Ma che diavolo, non imparerò mai ad essere puntuale? Ed anche oggi la colazione se n'è andata a quel paese".
Trascino pigramente le gambe giù dal bordo del letto mettendomi a sedere sentendo il corpo indolenzito e pesante per il sonno che ancora fatica ad abbandonarlo.
Strofinandomi gli occhi mi alzo e mi avvio a piedi nudi verso il minuscolo bagno per darmi una sistemata veloce: una doccia sarebbe l'ideale, ma ovviamente non ho tempo come tipo cinque mattine a settimana... devo decisamente darmi una regolata sul fatto della puntualità.
A tempo di record sono di nuovo di ritorno in camera. Mi avvicino al piccolo armadietto di metallo per recuperare un paio di jeans, una maglietta leggera e le scarpe. Solo quando mi sono completamente vestita mi azzardo a voltarmi per guardarmi nello stretto ed alto specchio a parete. La tizia che mi fissa di rimando ha uno sguardo parecchio critico, ma nessuno direbbe che si è svegliata da pochissimi minuti mentre alza le braccia dietro la testa per legare i capelli che le arrivano poco sotto le spalle in una coda alta.
Solo ora che il mio lungo collo è un po' più scoperto noto il bagliore argentato che lo attraversa. Sbuffando sgancio la piccola catenina prima di riporla nel comodino insieme all'anello che porto all'anulare sinistro. È un oggettino di valore modesto, ma a me piace un sacco perché è un ricordo di mia madre: una fascetta di metallo ricoperta di incisioni di strani ideogrammi orientaleggianti ed al centro porta incastonato un piccolo rubino dalle molte sfaccettature. Mi spiace un sacco, lasciarli qui...! Normalmente se fossi sul lavoro da sola potrei anche tenerli se pure è contro le regole... basta farsi furbi e sapere come e quando nasconderli. Oggi, però, sarò convocata dal Capo - anche se non so bene a che ora - quindi non conviene rischiare perché quello è letteralmente ossessionato dalle regole... penso che se gli capitasse di vedere un'infrazione come un anello ad un dito potrebbe avere un infarto! E forse pensandoci bene... non sarebbe neppure una brutta idea.
Riposti i gioielli mi volto di nuovo verso l'armadietto adocchiando la lucina lì accanto, giusto sopra ad una specie di sportello metallico ricavato nel muro: quando mi sono messa a letto era rossa, ora ammicca brillando di un verde intenso. Apro lo sportello che scorre verso di me come una sorta di cassetto e ne prelevo camice e mascherina. Appena estraggo gli indumenti un forte odore di disinfettante mi assale le narici, mentre mi infilo il camice e lego la mascherina intorno al collo pronta all'uso. È un odore pungente e vagamente fastidioso, ma non inaspettato visto da dove ho appena recuperato questa roba. La macchina dove si trovava il camice è una specie di moderna lavatrice istantanea. Il funzionamento è molto semplice: quando la macchina è vuota il led lampeggia di rosso, basta inserire un qualsiasi indumento nel cassetto e chiuderlo e la luce rossa diventa fissa mentre il lavaggio a base di acqua con una piccola dose di un disinfettante estremamente potente ha inizio. Il tutto, compresa l'asciugatura, dura poco più di un'ora, al termine della quale il led diventa verde per segnalare che è possibile rimuovere il contenuto.
L'unica cosa scomoda di questa macchina è che asciuga con estrema velocità i vestiti, lasciandoli praticamente bollenti fino alla mattina dopo, e dato che qui dentro fa già discretamente caldo il fatto è un po' fastidioso, anche se non è comunque questa gran tragedia.
Alle otto meno tre minuti sono finalmente fuori di casa: anche oggi ce l'ho fatta per un pelo.
Uscendo dalle mie stanze l'enormità del complesso in cui mi trovo mi colpisce, anche se ormai sono qui da un sacco di tempo. Devo voltarmi quasi di centoottanta gradi per poter percorrere tutta l'ampiezza di questa Stazione di Ricerca.
La protezione esterna è formata da un'ampia cupola di metallo di oltre due metri di spessore per poter resistere alla corrosione delle acque acide all'esterno e tenere al tempo stesso a bada i livelli di radiazioni: la nostra è infatti una postazione sottomarina. L'ambiente interno, seppure apparentemente confusionario, è in realtà molto ben organizzato. Alla base della cupola, delle dimensioni di un quartiere di una delle più grandi città antiche, sono disposti gli alloggi di scienziati, tecnici e tutto il personale che lavora qui dentro, compreso il mio. Al centro dell'ambiente si erge quello che sembra un enorme pilone di metallo largo diversi metri con all'interno due ascensori: uno che ospita il vagone del Trasporto, che ci permette di andare e venire dalla Stazione, l'altro che conduce ai piani superiori. Lassù, in una zona separata da quella sottostante, si trovano le officine ed i reparti tecnici e di sviluppo. Il resto della cupola è occupato da postazioni di lavoro, fra cui la mia, disposte su vari livelli e collegate da passerelle di metallo che fanno assomigliare quest'area ad un enorme alveare. Alzando gli occhi verso il soffitto che ci separa dal piano superiore porto lo sguardo al pilone dell'ascensore, a cui è appollaiata lateralmente una sorta di boccia da pesci rossi al termine di una passerella solitaria: è là dentro che si trova l'ufficio del Capo.
Quasi senza che me ne accorga i miei piedi si mettono in moto, portandomi automaticamente lungo le passerelle fino alla mia postazione. Ormai sono anni che lavoro qui dentro lasciando la Stazione solo a rari intervalli di qualche giorno per tornare a casa. Ed è una fortuna che ci trascorra così tanto tempo da far sì che non mi serva neppure guidare il mio corpo, perché forse se stessi a pensarci troppo mi perderei... tutto è un alternarsi di differenti sfumature e riflessi dello stesso grigio metallico e volute più o meno intense di fumi di diverse sostanze chimiche dagli odori pungenti.
Solo il suono dà un minimo di armonia a questo ambiente altrimenti così freddo ed asettico: sopra il costante ronzio basso dei generatori è un continuo sbuffare di vapori e vociare basso di conversazioni scambiate a mezza voce; se non sapessi altrimenti potrebbe quasi sembrare di ascoltare quello che dicono sia il rumore del mare in Superficie.
La mia postazione di lavoro, come le altre, è in sostanza un cubicolo formato da pannelli in plastica e metallo delle dimensioni di un ufficio standard con un piccolo armadietto ed un Sintetizzatore per i materiali più deperibili in uso durante le analisi scientifiche. Al centro si trova un tavolino poco più grande dei banchi di scuola con un terminale informatico, e ricavati all'interno del banco stesso una serie di scomparti simili a piccoli cassetti destinati alle analisi vere e proprie dei vari elementi e composti chimici.
-Hey, Boss!- mi chiama una voce dall'alto -Pronta per un'altra giornata di lavoro, eh?-
Alzando gli occhi noto immediatamente di chi è quella voce: sulla passerella che attraversa il soffitto del mio cubicolo sta passando uno degli altri scienziati.
-Buongiorno a Lei, Dottor De Caroli!- mi rivolgo all'uomo che si sta sporgendo dal bordo della passerella. Si tratta di un tipo basso dai capelli biondo chiaro talmente grasso da avere più l'aria di un pulcino che sbuca da un gigantesco uovo che quella di un vero e proprio essere umano.
-Tutto bene.- continuo -A che punto è con le analisi sui batteri marini che le ho richiesto la settimana scorsa? Ne abbiamo bisogno, se vogliamo proseguire con il progetto!-
-Lo so, Boss.- risponde il pulcino gigante facendosi improvvisamente serio -Infatti le ho terminate giusto ieri sera sul tardi. Appena arrivo alla mia postazione gliele faccio avere.-
-Grazie, De Caroli! Non so se riuscirò a dargli un'occhiata subito: aspetto da un momento all'altro una chiamata dai piani alti, ma appena riesco a verificarle Le farò sapere se servono altri dati.-
-D'accordo, Dottoressa! Allora ci sentiamo più tardi... E auguri col Capo!- esclama lo scienziato ritirando la testa e proseguendo lungo la passerella con tutta l'aria di rotolarci sopra più che camminare.
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-Il Responsabile della Squadra Scientifica si presenti nell'ufficio del Capo della Stazione al più presto. Ripeto: il Responsabile della Squadra Scientifica dal Capo della Stazione al più presto.- La voce dei sistemi elettronici degli Insediamenti echeggia distorta rimbalzando sulle pareti curve della Cupola frammentandosi e frantumandosi fra le passerelle ed i cubicoli.
"Ok, è il momento. Fatti forza!" mi dico spegnendo la mia postazione di lavoro e riordinandola al meglio in quattro e quattr'otto prima di lasciarla.
Cercando di tenere sotto controllo la tensione percorro a passo svelto ma deciso le passerelle di metallo inerpicandomi su scaletta dopo scaletta. Non sono particolarmente agitata... non è insolito, infatti, essere chiamati a colloquio dal Capo della Stazione. Quello che mi confonde è il fatto che non mi abbia accennato nulla riguardo all'argomento dell'incontro, fatto per lui estremamente inusuale, ed io odio essere confusa o incerta in questo modo... è una cosa che mi rende inquieta e nervosa.
La passerella di metallo si allontana di colpo dalla folla di cubicoli di lavoro per dirigersi apparentemente nel vuoto, isolata e dritta come una freccia. In realtà giunta al termine del camminamento mi ritrovo davanti ad una porta automatica affiancata come tutte le altre dal solito tastierino. La lastra di metallo si alza addirittura prima che io abbia il tempo persino di piegarmi verso di esso.
-Venga avanti, Dottoressa!- mi chiama l'uomo all'interno.
-Buongiorno, Capo! Ma come sapeva che ero io?- domando oltrepassando la soglia mentre la porta scorre di nuovo verso il basso e prendendo posto davanti alla scrivania.
-Potrei dirLe che si tratta di intuito, - osserva l'uomo di fronte a me - ma in realtà so benissimo i discorsi che girano su di me giù ai laboratori e che quindi tutti cercate di rispettare le scadenze al secondo... "altrimenti quello scatena un casino da tirare giù la baracca".-
Mentre fa quella citazione sgangherata fa una voce acuta e un po' nasale che normalmente se fosse stata fatta da qualcun altro mi avrebbe fatto morire dal ridere. In questo caso, invece, non ha niente di comico... sembra, anzi, più un rimprovero.
-E comunque, al di là di quello...- continua il Capo facendo cenno al soffitto immediatamente sopra la porta con un dito e lanciando un'occhiata al suo terminale -c'è una telecamera là fuori sopra alla porta.-
"Ok, devo ammettere che questo spiega tutto... e fra l'altro devo ricordarmi di dire ai miei colleghi di stare più attenti a chi hanno intorno quando fanno certe osservazioni."
-Immagino che non mi abbia chiamata solo per dirmi della telecamera, no?- osservo mettendomi più comoda e dritta sulla sedia. Contemporaneamente fisso negli occhi l'uomo di fronte a me per cercare qualche indizio riguardo alle vere motivazioni del colloquio in corso.
La persona davanti a me sull'altro lato della scrivania è sorprendentemente piccola rispetto a quello che ci si aspetterebbe dal Capo di una struttura complessa come questa e che occupa diverse decine di persone. Si tratta, invece, in realtà, di un omino basso che arriva a malapena al metro e mezzo, sempre vestito in completi giacca e pantalone impeccabili col fazzoletto nel taschino. A vederlo si direbbe che dovesse andare ogni giorno ad un matrimonio. Nonostante la statura molto ridotta la camminata e la postura sono comunque decise, imponenti e precise, rigide come quelle di un robot. Lo stesso aspetto dei baffetti a manubrio, del pizzetto e della riga fra i capelli grigi sembra studiato apposta per trasmettere la rigidità e precisione della persona. In giro si dice che si pettini ogni mattina con righello e squadra per quanto è centrata e perfettamente dritta la riga di quei capelli grigio chiaro da nonnino.
-In effetti l'ho convocata qui per un motivo molto importante. - conferma il Capo fissandomi con due occhi neri gelidi, taglienti come laser. - È al corrente del progetto a cui stanno lavorando di sopra, vero?-
-Ne so qualcosa, ma... voci, niente di preciso.-
-Immaginavo. Proprio per questo ho convocato anche il nostro Responsabile del Reparto Ingegneria, il Signor Montero. Ora che ci penso... dovrebbe essere già stato qui.-
Proprio mentre il Capo smette di parlare lo schermo del suo terminale si illumina, mostrando un'inquadratura dall'alto dell'ultima porzione della passerella all'esterno.
-Eccolo, infatti!- conferma il Capo allungando una mano distrattamente per sbloccare il meccanismo di apertura della porta.
Nel vano compare un uomo imponente. Il nuovo arrivato è molto più alto di me, robusto e muscoloso con due spalle ampie che imprimono una discreta tensione al tessuto della tuta da lavoro perfettamente stirata ed immacolata. Gli occhi color sabbia del Signor Montero scorrono rapidamente per l'ampiezza della stanza mentre avanza per accomodarsi sull'unica sedia rimasta libera.
-Scusate il ritardo... di sopra stavamo ultimando le sistemazioni e ho avuto qualche ritardo nel completare la presentazione.- annuncia il gigante biondo.
-La prossima volta ce lo notifichi per tempo, Signor Montero! Ma veniamo a noi. Immagino che non vi conosciate... in effetti non c'è mai molto tempo per socializzare, qui intorno. Montero, Le presento la Responsabile della Squadra Scientifica, la Dottoressa Ellie McCoy. Dottoressa, questo è il Signor Esteban Montero, uno dei progettisti più di talento dell'intera comunità degli Insediamenti Umani. Normalmente lavora principalmente per la Difesa, ma negli ultimi mesi ci è stato "prestato" per completare un nostro progetto. Ce lo vuole illustrare, Montero?-
-Volentieri, Capo! Non ho avuto tempo di collaudarlo, però... spero che tutto funzioni a dovere.- comincia l'Ingegnere Capo alzandosi ed estraendo un piccolo oggetto da una tasca.
-Signore e Signori... vi presento l'ultima mia creatura: l'S-001, noto anche col nomignolo di Spear, il primo sommergibile da ricerca con equipaggio.-
Mentre parla l'omone appoggia al centro della scrivania un piccolo oggetto simile ad una vecchia scatoletta di fiammiferi e ne preme un pulsante sul lato. La macchinetta inizia a ronzare, emettendo un globo di luce bianchissima che poi si allunga ai lati diventando un ovale per lasciar emergere dalle sue profondità un'immagine totalmente inaspettata... al posto del globo di luce compare, sospeso nel vuoto, quello che sembra un modellino di sommergibile lungo circa un metro che prende a ruotare su sé stesso in modo da mostrare progressivamente a tutti i presenti ogni sua parte. Sembra un po' un cucciolo vanitoso che sfili mostrandoci il profilo migliore.
La macchina olografica rappresentata davanti a noi ha una forma affusolata ed allungata. Ha tutta l'aria di un grasso pesciolone bianco lucido con uno sportello trasparente simile ad una cupoletta posizionato sulla sommità della sezione di prua. Ai lati della parte inferiore si aprono altri due fori rotondi, che ospitano su ogni lato del sottomarino quello che sembra un qualche genere di dispositivo di illuminazione esterna. La coda del mezzo è la parte se possibile anche più strana. Al Centro della sezione di coda che si va progressivamente restringendo si trova una specie di corto tubo puntato all'indietro affiancato da altri due molto più piccoli dietro i quali si estendono due ampie pinne triangolari che si muovono verso l'alto e verso il basso.
-Lo Spear è l'ultimo gioiellino dei nostri cantieri...- prosegue il Signor Montero -Abbiamo incorporato tutte le più recenti tecnologie per l'analisi biologica e chimica in un ambiente confortevole ed abitabile al meglio da un singolo membro di equipaggio. Sul fondo sono stati inseriti, oltre ai fari, anche una serie di sostegni per gli ammaraggi ed un vano dotato di bracci meccanici per la raccolta dei campioni.-
-Impressionante, Montero!- lo interrompe il Capo con un tono che però ha ben poco dell'impressionato, è infatti freddo e distaccato esattamente come in qualunque altra occasione.
-È a questo, che vi servivano le stime sulla composizione delle acque esterne, allora!- osservo fissando incuriosita l'uomo che guarda l'ologramma della sua creatura con lo stesso sguardo che un padre avrebbe parlando del suo primogenito.
-Esattamente. Lo scafo esterno e tutte le componenti che potrebbero entrare a contatto con sostanze corrosive sono state rinforzate e trattate chimicamente appunto per prevenire incidenti.-
-E... scusate la domanda stupida, ma... l'occupante del sommergibile, come farà ad accorgersi di eventuali problemi? Prima di finire bollito, intendo!-
-Ah già, dimenticavo una delle peculiarità dello Spear.- riprende l'Ingegnere grattandosi il mento con aria riflessiva. -Questo giocattolino incorpora uno dei sistemi informatici di bordo più complessi mai creati dall'uomo. Non si tratta di una vera e propria intelligenza artificiale perché non è in grado di assumere iniziative proprie. Il computer è però dotato di un'interfaccia a controllo vocale ed output audio-video che interagisce con una rete di sensori e sistemi diagnostici interni ed esterni.-
-Ottimo, ottimo! Mi sembra che abbiate compiuto come sempre un ottimo lavoro, Montero! Può andare, per ora!-
Il gigante biondo si alza di nuovo dalla sedia spegnendo il dispositivo prima di intascarlo e dirigersi senza dire altro verso la porta.
-Per... quell'altro progetto, Signore? Mi faccia chiamare quando vuole.-
-Naturalmente, Montero, naturalmente!-
Appena la porta dell'ufficio si richiude il Capo torna a rivolgersi a me.
-Immagino che abbia capito come mai è stata convocata, Dottoressa McCoy!-
-In realtà... no, Signore!-
-Mi sembra ovvio, Dottoressa!- sbotta l'omino allargando le mani sulla scrivania -Sarà Lei a guidare lo Spear nella sua prima missione esterna.-
-Io? Cosa? No! Io non...-
-Lei "non" cosa?- mi aggredisce quello.
-Non sono qualificata per questa cosa! Chiami qualcuno della Difesa o non lo so! Ma non me, non una scienziata! Non ne so un accidente, di quel coso!-
-Quel "coso" è la nostra speranza più prossima di riconquistare la Superficie, Signorina!- esplode il Capo scattando in piedi e picchiando le mani sulla scrivania.
-E posso per lo meno prepararmi per questa cosa o...?- domando io a voce più alta di quello che avrei voluto, ma la cosa mi sta creando un certo panico.
-Ma non faccia domande senza senso, McCoy! Certamente, che riceverà una preparazione adeguata! Le verrà fornito un programma per le Simulazioni computerizzate... purtroppo sa bene che non possediamo stazioni olografiche qui. Inoltre al termine della teoria svolgerà sessioni di prova nella Camera di Lancio con l'equipaggiamento completo.-
-Equipaggiamento completo?-
-Sì. Quando sarà il momento il Signor Montero Le mostrerà tutto. Ora andiamo di sopra a prendere possesso del suo "compagno di avventure".-
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Una decina di minuti dopo siamo alla base del pilone centrale della Stazione di Ricerca. Il Capo ignora bellamente il portello marcato "Level-1-Transit System" per dirigersi verso quello sul lato opposto che reca un cartello con la scritta "Level-2-Authorized Personal Only".
La cabina dell'ascensore è di poco più piccola delle postazioni di lavoro, e a giudicare da dove ho la sensazione di avere le budella deve viaggiare ad una velocità notevole.
Pochi momenti dopo le porte dell'ascensore si spalancano su un ampio ambiente in penombra stretto e lungo che sembra occupare almeno metà della sommità della Cupola.
Avanzo insieme al Capo Stazione ignorando gli sguardi curiosi degli operai e cercando di evitare di inciampare in pezzi sparsi ovunque o nei cavi di alimentazione dei saldatori laser. In fondo a questa specie di galleria la mia guida si ferma di fronte ad una specie di cilindro metallico incastonato nella parete laterale affiancato da una cabina di metallo simile ad un armadio.
-Lì dentro troverà il suo equipaggiamento per la missione quando sarà il momento.- mi informa l'omino puntando un dito verso l'armadio -Quel cilindro, invece, contiene una porta rotante a tenuta stagna che conduce alla Camera di Lancio... No, non è possibile visitarla ora, se lo sta chiedendo: lo Spear sta ancora ricevendo le ultime migliorie e non è consigliabile entrare senza protezioni adeguate, e quella mascherina sicuramente non è sufficiente. Si tratta comunque di una galleria speculare a quella in cui ci troviamo ora con all'estremità il Portello di Lancio che conduce al mondo esterno.-
-Wow...- è l'unica cosa che riesco a dire mentre la tensione mi paralizza. Contemporaneamente, però, una nuova emozione si fa strada fra le spire dell'ansia che mi avvolge: un certo senso di eccitazione e di attesa per quella che, sono sicura, sarà una delle cose più importanti che potrò mai compiere in tutta la mia vita.
6 settimane dopo...
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Non so come abbia fatto a completare la fase teorica dell'Addestramento.-
Non so perché ma l'osservazione dell'uomo al mio fianco mi urta parecchio... forse pensava che non sarei stata all'altezza del suo programma?
-Be', sa, anche noi scienziati non ce la caviamo male, anche se non siamo delle macchine da guerra come voi della Difesa! - rispondo acida con una mezza risatina sarcastica.
Non mi fraintenda, Dottoressa McCoy! Se il Capo l'ha assegnata personalmente a questo progetto non ho nessun dubbio sulle Sue capacità!-
"Eh? Cosa? Ma se ha appena detto... Aspetta, mi sono persa un passaggio"
-Quello che volevo dire è che non so come abbia fatto a gestire quel programma. Cristo Santo... lavorate su reperti archeologici di vent'anni fa! Le confesso che non so neppure come abbia fatto il programma a girare sul Suo terminale, dato che era progettato per l'ultima generazione di Simulatori olografici.-
-Quindi non crashava ogni 2 minuti perché faceva schifo il programma?- domando con un mezzo sorriso sarcastico, non ancora proprio convinta che mi stia facendo un complimento.
-No, è perché sono i vostri terminali, a fare schifo, in realtà! - risponde il gigante in uniforme accanto a me alzando le spalle. Devo ammettere che al momento ha un'aria un po' minacciosa, o forse è solo perché sono più abituata a vederlo nella versione in tuta da ingegnere e non in mimetica con un'arma alla cintura e l'elmetto calcato sui capelli biondo cenere.
-Dove stiamo andando, di preciso, Signor Montero?- domando incuriosita. Perché ultimamente nessuno si degna di darmi una cavolo di spiegazione, quando mi convoca?
-Ora che l'Addestramento in Realtà Virtuale è terminato è tempo di passare alla fase pratica. Ricorderà che il Capo Le aveva menzionato un "equipaggiamento" che avrebbe dovuto utilizzare nel corso della missione all'esterno.-
-Sì, ricordo! È quello, il progetto di cui avete parlato mentre Lei lasciava l'ufficio?- rispondo ricordando nella mia mente la riunione di sei settimane fa.
-Esatto, Dottoressa! Stiamo andando proprio a prendere possesso del Suo nuovo equipaggiamento!-
Quando le porte dell'ascensore si aprono sembra di precipitare nel vuoto. Sono già stata in questo locale simile ad una larga e lunga galleria, ma quella volta era molto più luminoso ed affollato. Comunque appena attraversiamo la soglia e le porte si richiudono alle nostre spalle i faretti rotondi al centro della volta si accendono automaticamente, gettando sullo spazio davanti a noi una luce lattiginosa. L'ambiente dove ci troviamo è completamente deserto, a quanto pare i lavori sullo Spear sono terminati definitivamente. Tutte le macchine, i piccoli generatori ed i pezzi di ricambio sono ora addossati alle pareti ai lati, mentre i saldatori laser agganciati ad uncini sul muro penzolano inerti dai loro cavi. Al centro dello stanzone troneggia su supporti mobili a forma di U la versione in carne ed ossa... ehm no, in acciaio e Dio solo sa che altro... dell'immagine olografica che abbiamo visto già nell'ufficio del Capo. L'S-001 Spear è una specie di enorme siluro di una quindicina di metri di lunghezza per un paio di metri di diametro dallo scafo bianchissimo e lucente tanto che i riflessi che trae dall'impianto di illuminazione fanno quasi male agli occhi.
-Questo è il Suo Spear.- annuncia il Signor Montero fermandosi di botto sul lato del sommergibile, voltandosi verso di me ed indicandolo allargando il braccio come per levare un velo immaginario che coprisse il sottomarino.
"Plateale, questo tizio, eh?", commento nella mia testa. Non riesco ancora a capire se mi sta simpatico o se mi sta sulle palle coi suoi modi a momenti quasi cordiali ed un attimo dopo da "Io sono io e voi non siete un cazzo".
-Già, l'avevo intuito! - mi limito a commentare non sapendo che altro dire, poi il solito commento cretino che fra i tanti che mi girano per la testa scivola fuori dalle mie labbra... bruttissima abitudine che devo farmi passare come quella dei ritardi.
-Carino.-
"Ok... sono ufficialmente una stupida".
-Sì, be', non è il suo lavoro... poteva anche fare schifo, basta che Le salvi il culo dalle radiazioni.- commenta il soldato accanto a me a metà fra il compiaciuto ed il sarcastico -Ora procediamo. Non è qui, la nostra fermata!-
Avanziamo superando la prua leggermente appuntita dello Spear i cui riflettori sembrano fissarci come occhi e ci dirigiamo verso il fondo della galleria, verso l'armadio dove, ricordo, mi era stato detto che avrei trovato il resto dell'equipaggiamento che mi servirà per il mio viaggio all'esterno.
-Qui dentro troverà le Sue protezioni anti-radiazioni per le Sue Escursioni all'esterno del sottomarino. Mi raccomando, tenga a mente che non potrà usufruire del medesimo livello di protezione. Non siamo ancora in grado di duplicare le proprietà dello scafo di metallo alla perfezione in un sistema a misura d'uomo che garantisca anche comodità e rapidità di movimento.-
Mentre il Signor Montero si lancia nella spiegazione avanzata estrae da una tasca un tesserino che infila in una fessura sulla porta dell'armadio.
-Come farò a ritirare l'equipaggiamento, se quella cosa si apre solo col Suo badge?- domando individuando immediatamente la prima difficoltà.
-Più tardi me lo ricordi, Le devo consegnare la Sua copia!- si limita a rispondere l'uomo senza voltarsi. -Come stavo dicendo, questa cosa non ha la stessa resistenza dello Spear, quindi difficilmente resisterà alle condizioni dell'acqua anche in Superficie, se i dati che ci avete fornito saranno confermati! Comunque non c'è motivo di dubitarne. In ogni caso abbiamo dotato l'equipaggiamento di protesi estraibili per facilitare il nuoto se invece dovessimo verificare che l'approccio diretto con le acque di Superficie non comporterà rischi.-
Quando il Signor Montero finalmente si toglie da davanti all'armadio voltandosi verso di me non posso evitare di rimanere a bocca spalancata.
-Che cavolo è, quella cosa?- mi scivola dalle labbra in un sussurro.
-Quella "cosa", come dice Lei, è l'ultimo ritrovato in fatto di equipaggiamenti di protezione personale. L'ho disegnato personalmente sulla base delle tute che utilizziamo nella Difesa per le missioni in Superficie. Ha comunque caratteristiche diverse: il comparto dorsale, ad esempio, è stato ridotto non dovendo accogliere armi e munizioni ma solamente campioni di dimensioni medio-piccole. In compenso sono stati aggiunti alcuni accessori che Le illustrerò a breve. Ora La prego di cambiarsi ed indossare il Suo equipaggiamento.-
Mi avvicino incerta all'armadio osservandone il contenuto. Appesa ad un supporto a forma di croce c'è quella che sembra una tuta completa di casco, guanti e stivali. Tutte le componenti della tuta sono di un colore bianco lucente simile a quello dello scafo dello Spear. Però, mentre gli accessori sono perfettamente lisci, la tuta è intervallata ogni tanto da fascette nere collegate da quella che sembra una ragnatela di sottilissimi fili che la suddividono in piccole sezioni quadrate. Sulle spalle della tuta è stampata in oro una sigla che non conosco: "PPE M-12". Sul petto sono state applicate, ancora in oro, altre due mostrine: lo stemma degli Insediamenti Umani su un lato ed una targhetta sull'altro che reca la scritta "STR Ellie McCoy". Spostando lo sguardo sul resto dell'equipaggiamento noto dalla forma del casco che probabilmente formerà un tutt'uno con la tuta una volta indossato, e che, come mi aveva anticipato Montero, ai lati delle punte degli stivali sono visibili due fessure che contengono delle lamine che li trasformeranno in caso di necessità in rudimentali pinne.
Una volta sfilato il camice e riposti i vestiti sento per la prima volta quanto quassù la temperatura sia diversa rispetto ai piani inferiori. Osservando le mie gambe e braccia nude mi rendo conto di avere la pelle d'oca e che sto leggermente tremando. Avanzando a piedi nudi sul pavimento di metallo dell'armadio ne prelevo la tuta cercando di capire come indossarla dato che non ha cerniere o aperture da nessuna parte.
-Il materiale è estremamente elastico, quindi può entrare tranquillamente dal collo tirando quanto Le pare; una volta collegata la tuta si adatterà al Suo corpo.- mi comunica Montero notando il mio sguardo confuso.
Non ho idea di cosa voglia dire che andrà collegata e si adatterà in automatico al mio corpo... lo vedremo tra poco. Mi infilo non con troppe difficoltà nella tuta, che, devo ammettere, è solo appena un po' scomoda ma non tantissimo. Indossati anche stivali e quanti finalmente la sensazione di freddo sembra passare mentre tolgo il casco dal suo supporto.
-Se osserva l'interno del casco noterà un connettore di metallo sulla parte posteriore, in corrispondenza della zona dove si trova il Suo microchip. Si tratta del Ricevitore della tuta che le permetterà di interfacciarsi con essa e con i sistemi interni dello Spear. Non dovrà fare nulla: il sistema si avvierà in automatico ed effettuerà le sincronizzazioni necessarie.-
-Ma cosa intende, scusi? Anche la tuta ha un computer incorporato?- domando senza capire praticamente un'acca di quello che il Signor Montero sta dicendo.
-Sì, ci stavo arrivando, in effetti!- commenta l'uomo avvicinandosi -Se prova a cercare all'interno dello scomparto dorsale troverà una specie di scatoletta quadrata... ecco, proprio lì, subito sopra ai razzi. Quello è il processore principale della tuta. Il sistema contiene un apparato diagnostico che rileva i segni vitali standard e segnala eventuali pericoli e misure da prendere. Se osserva ancora il caso, infatti, troverà due auricolari che le serviranno appunto proprio per ricevere i feedback vocali dal sistemi, mentre quelli visivi le saranno proiettati direttamente sulla visiera.-
-Ok, capito... più o meno!- dico io infilandomi il casco e sistemando gli auricolari. Comunque riesco ancora a sentire i rumori esterni: questa cosa deve avere dei microfoni sul casco per non escludere del tutto l'ambiente esterno. "Aspetta, ma non ha parlato anche di...?"
-Senta, ma... sbaglio o ha parlato di razzi, poco fa?- domando a metà tra l'incuriosito ed il timoroso.
-Esatto. Se non potrà procedere a nuoto Le servirà un mezzo per poter raggiungere la terra ferma dato che non sapremmo come ancorare lo Spear. Ho quindi installato due piccoli razzi alla base dello scomparto dorsale. Non si preoccupi, non raggiungono velocità particolarmente elevate o comunque non per molto tempo. Sono sufficienti per garantire voli di breve durata, comunque! Naturalmente sono alimentati ad energia solare dato che l'equipaggiamento Le servirà in Superficie, così come il computer della tuta. Serve a quello, il colore bianco lucido... non è per bellezza!-
-Già, lo immaginavo, sa?-
"Dio... proprio non riusciamo a non punzecchiarci a vicenda, ma è normale, penso, per chi lavora insieme così tante ore al giorno... anche se non vuoi finisci per sviluppare un minimo di rapporto al di là di quello lavorativo!".
La fase successiva dell'Addestramento è quella più strana fino ad ora. Sotto la guida attenta del Signor Montero collaudo immediatamente l'equipaggiamento iniziando, come prima cosa, dalla sigillatura della tuta. Come mi spiega l'uomo davanti a me basta pensare a questa fase ed il microchip spedisce in autonomia il comando al computer della tuta, le cui estremità si saldano con piccoli scatti meccanici ai bordi di stivali, guanti e casco.
-Buongiorno.- saluta la solita voce femminile dei sistemi computerizzati all'interno delle mie cuffie -Benvenuti al Sistema di Protezione Mark 12, in uso in situazioni di condizioni ambientali ostili. Prego, restare immobili e respirare regolarmente mentre il Sistema Medico Automatico rileva i segni vitali standard.-
Mi sento veramente stupida a prendere ordini da un computer attaccato praticamente al mio sedere, ma immagino che dovrò farci l'abitudine. Cerco di rimanere più ferma possibile e di controllare il respiro ed i battiti del cuore mentre fisso l'uomo di fronte a me e, dietro di lui, la prua dello Spear che sembra guardarmi a sua volta. In sovraimpressione compaiono alcune scritte giallo brillante sopra ad una barra di avanzamento che recitano:
"Powered Protective Equipment Loading..."
Solo quando l'indicatore completa il suo avanzamento e la scritta scompare il computer torna a farsi sentire:
-Rilevamento completato: segni vitali acquisiti. Situazione medica nella norma.-
-Ora la tuta potrà adattarsi alla Sua esatta struttura fisica.- mi comunica il Signor Montero, resosi conto non so come che il procedimento precedente è terminato.
Ancora una volta è sufficiente che pensi alle sue parole ed il computer entra in azione. Il tessuto della tuta sembra improvvisamente incollarmisi al corpo generando una pressione abbastanza forte. Fortunatamente questa sensazione dura solo qualche secondo per poi svanire, lasciando comunque la tuta perfettamente aderente ad ogni parte del mio corpo. Allungo le braccia davanti a me per provare a vedere se sia cambiato qualcosa e, in effetti, i quadratini sulla tuta ora sono leggermente sporgenti come se fossero stati gonfiati con un po' di aria assumendo l'aspetto di piccoli cuscinetti.
-Bene. Ora la PPE è ufficialmente di Sua proprietà e riconoscerà solo Lei come utente. Basterà indossarla come ha fatto poco fa ed effettuare la sigillatura, il resto delle procedure sono necessarie solamente al primo avvio. Se ora vuole provare i retrorazzi... giusto per prenderci un po' la mano...-
"Wow! Devo confessare che questi cosi sono veramente uno spasso! Lo so lo so... dovrei restare più professionale, ma tutte quelle informazioni mi stanno incasinando il cervello quindi posso permettermi di staccare per un momento". Inizio con piccoli folletti rettilinei per capire la potenza di spinta dei razzi. Una volta imparato come controllarli mi viene subito in mente un dubbio: "Che si possa usarli anche indipendentemente l'uno dall'altro o solo in coppia?". La risposta arriva dieci secondi netti dopo quando col pensiero diminuisco la potenza del razzo di destra per tentare di aggirare la poppa dello Spear... e ci finisco a sbattere dritta contro rischiando di ficcare la testa dritta dritta nell'ugello dell'idrogetto principale.
"Mio Dio che figura..." - penso facendomi una notazione mentale di esercitarmi in questa cosa- "devo imparare a controllarli un tantino meglio, questi dannati razzi!"
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*** Spazio all'autore***
La mia proposta per questo capitolo:
"Meet The Pod"
by Mako Mermaids OST - (2/12)
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