Capitolo 20 - Mute richieste (R)
Anno Domini 2531 – 468 della Nuova Era
Laguna veneta, Isola di Poveglia
Questa diavolo di giornata proprio non vuole decidersi a passare. Sembra impossibile, ma ogni volta che aspetti qualcosa il tempo per qualche misterioso motivo ci mette il doppio del solito a passare quando invece è come se raddoppiasse la velocità se invece sei in attesa di un qualche evento spiacevole.
Insieme a Giorgia avevamo deciso di fare dei turni per vegliare su Giulia in attesa che si svegli, ma quando ci ha sentiti anche la Dottoressa McCoy ha voluto partecipare. Non so bene se l'abbia fatto per un qualche senso di riconoscenza nei nostri confronti per essere venuti a recuperarla fino a qui o se sia semplicemente un tentativo buono come un altro per passare il tempo in attesa della partenza, fatto sta che ha deciso di aiutarci anche lei per qualche ora a sorvegliare i progressi di Giulia e questo non ha potuto che farci piacere: dopotutto anche se non si tratta di un medico vero e proprio è comunque una persona di scienza e che quindi saprà riconoscere eventuali segnali di miglioramento o, speriamo non sia il caso, di pericolo.
Nel frattempo il padre di Diana dev'essersi ripreso dal momento che Giorgia ha riferito, nel suo turno libero, di averlo sentito gridare contro la figlia sin quasi dal molo. A quanto pare non gli dev'essere andata giù la decisione presa dalla figlia e da Anton non solo di soccorrere mia nipote ma addirittura di liberarci, di farci girare indisturbati per la loro isola senza un minimo di sorveglianza. Qui non è ancora venuto, e non credo sia per rispetto della condizione ancora precaria di Giulia; secondo me la sua latitanza è più che altro dovuta ad un profondo terrore di qualcosa che non comprende a pieno. Fino a questo momento si è sempre limitato a sbraitare, a brandire la sua autorità come una specie di spada da cerimonia priva del benché minimo filo lungo la lama, non ha mai agito direttamente neppure quando siamo stati legati lasciando che fossero gli altri membri della sua famiglia ad entrare più direttamente in contatto con il pericolo mortale che ai suoi occhi dobbiamo probabilmente rappresentare.
Ok, mi sto decisamente perdendo in troppi pensieri, ma d'altra parte non c'è poi molto da fare fino a quando Giulia non si sarà ripresa e dovremo aggiornarla su quanto a successo mentre era incosciente.
Mentre finalmente il treno dei miei pensieri ripassa dalla stazione occupata da mia nipote abbasso gli occhi su di lei, ancora distesa a terra accanto a me. Non si è ancora mossa e non ha dato segni evidenti di ripresa: solo l'indicatore dei suoi segni vitali fornito dal microchip mostra che qualcosa sta effettivamente succedendo, anche se molto lentamente. La barretta con la scritta "Warning", infatti, che fino a prima dell'intervento della giovane Diana era di un color rosso molto cupo tendente quasi al nero, ora si sta gradualmente rischiarando virando verso una tinta più accesa mentre i segnalini che la attraversano riportando il respiro ed i battiti cardiaci di Giulia si fanno via via più evidenti e regolari.
Tre tocchi delicati alla porta mi fanno sollevare di nuovo gli occhi dal volto di mia nipote mentre sull'uscio compare Diana. Incredibile come questa ragazza riesca sempre ad approcciarsi alle altre persone con il sorriso, nonostante l'ennesima lite con il padre per Dio solo sa quale motivo sia terminata appena da un paio di minuti.
La giovane entra senza proferire parola e lascia la porta aperta alle sue spalle: evidentemente quel brontolone di Pavel non si fida a lasciarla sola in presenza di noi "stranieri cattivoni".
Passandomi accanto Diana mormora appena qualche parola a mezza voce prima di accucciarsi accanto a Giulia poggiando a terra una ciotola piena d'acqua calda ed alcuni panni puliti sopra una coperta dall'aria pesante.
Appena la medicazione lascia il braccio di Giulia e la ferita viene scoperta noto che, almeno a prima vista, appare abbastanza brutta, come se non riuscisse a rimarginarsi.
In realtà, invece, non appena Diana immerge un panno pulito nell'acqua e lo applica intorno alla ferita strofinando delicatamente mi rendo conto che per la maggior parte si trattava semplicemente di sangue rappreso depositato sulla pelle. Dove prima c'era un taglio abbastanza profondo ora si vede una linea rossa sottile lunga un paio di centimetri mentre l'acqua dov'è stato riposto il panno usato si sta gradualmente colorando di una tenue sfumatura rosata.
Prima di fasciare nuovamente il braccio di mia nipote vedo Diana estrarre da un sacchettino in pelle una polvere biancastra e spargerne un pizzico direttamente sulla ferita lungo cui la distribuisce strofinandola col dito per poi voltarsi finalmente verso di me.
Come al solito non ho la più pallida idea di cosa stia dicendo, anche se dal tono hanno tutta l'aria di essere rassicurazioni riguardo allo stato di salute della mia piccola Giulia.
Prima di alzarsi la giovane spiega la coperta stendendola sopra a me e Giulia con altre parole basse e dal tono dolce. Non so se sia l'atmosfera raccolta di questo posto che ormai da prigione sta passando gradualmente ad essere il luogo della cura e spero guarigione di mia nipote, o magari sono semplicemente le attenzioni che le vedo rivolgere ad un'emerita sconosciuta, fatto sta che mi ritrovo a fissare il volto della ragazza di fronte a me. Non avevo ancora fatto caso alla bellezza quasi inconsapevole di questo viso, al colorito ambrato della pelle che trasmette un innato senso di calore, all'arco color fragola delle labbra che incorniciano una serie di denti perfetti e bianchissimi, ai capelli lunghi e neri e a quegli occhi... Dio, che occhi: sembra che in quelle iridi nere come la notte eppure così luminose ci sia racchiusa tutta la curiosità del mondo e al tempo stesso trasmettono una forza interiore ed un bisogno di affetto che non può fare altro che renderla dannatamente attraente... e non sto parlando solamente di aspetto esteriore.
Avrei giurato che dopo aver cambiato la medicazione a Giulia Diana sarebbe tornata nell'altra stanza con il padre, che invece, ad un richiamo dall'esterno della casa da parte di un altro uomo, lascia l'edificio facendo sì che Diana possa rimanere ancora un po'.
Invece di alzarsi ed uscire dalla stanza Diana si accomoda a gambe incrociate a fianco a me trascinanosi addosso un lembo della coperta.
Passa un lungo minuto durante il quale entrambi ci scambiamo sguardi furtivi, facendo di tutto perché l'uno non si accorga dell'altro anche se immagino che a nessuno dei due la cosa sia riuscita granché bene. Dopo un po' Diana si schiarisce la voce e riprende a parlare: evidentemente, come d'altra parte anch'io, non riesce a non accompagnare i gesti che usiamo per comunicare con le parole che vuole esprimere. Forse si tratta di un tentativo di farmi apprendere una parte della sua lingua, non lo so, oppure si tratta semplicemente, come nel mio caso, di un meccanismo più o meno conscio per seguire il filo del discorso che vuole fare. Comunque mentre parla indica prima Giulia, facendo poi un gesto verso l'alto che dovrebbe forse indicare il rimettersi in piedi o qualcosa di simile, poi indica anche me e mima con le dita due gambe che camminano allontanandosi da lei, e durante tutta questa specie di rappresentazione mi fissa inarcando le sopracciglia con aria interrogativa.
Diavolo, se non sto prendendo un granchio grosso come una casa questa qui mi sta dicendo qualcosa del tipo "Quando si sarà ristabilita ve ne andrete?"; porca miseria, cosa sto diventando, un maledetto interprete? Non ho idea di come farle capire che dobbiamo farlo, che abbiamo una serie di compiti da portare a termine altrove. L'unica soluzione è annuire, e mentre lo faccio, istintivamente abbasso gli occhi come in atteggiamento di scuse. Scuse per cosa, poi? Io questa gente non la conosco, non ho idea di chi siano o come vivano o come si rapportino con gente esterna alla loro comunità. Non ho neppure idea, in effetti, se abbiano mai avuto rapporti con gente esterna alla loro comunità. E allora perché sento, da qualche minuscola parte dentro di me, un vago senso di dispiacere nel lasciare questo posto? Be', semplice, mi dico: mi dispiace lasciare quest'isola perché significherà la fine della misssione ed il ritorno nel sottosuolo, via dal sole, dall'aria aperta, dalla Superficie che, seppure così ostile e mutata, forse sento ancora in qualche modo maggiormente legata a me rispetto al mondo degli Insediamenti sotterranei.
Diana scosta un minimo la coperta per ricavarsi uno spazio libero sul pavimento, su cui inizia a disegnare col dito una infantile sagoma di una casetta, tipo quelle che disegnano di solito i bambini con il tetto a punta e una sola finestra accanto alla porta. Quindi, terminata la sua piccola opera d'arte, indica me, poi il disegno ed infine torna ad inarcare le sopracciglia nel solito gesto che nel nostro alfabeto improvvisato identifica la sua intenzione di porre una domanda.
Non ho idea di cosa voglia di preciso questa volta: vuole sapere se torneremo a casa o mi sta chiedendo in realtà dove si trovi la nostra casa? L'unica soluzione quella di tentare di rispondere ad entrambe le domande e sperare che in effetti almeno una delle due risposte sia quella corretta per la domanda che lei intendeva porre. Non mi resta quindi che annuire di nuovo ed aggiornare un tantino il suo disegno. Traccio accanto alla casetta la sagoma di un omino e lo indico puntando poi verso me stesso, quindi traccio una linea orizzontale al di sopra della casa ed un altro omino che vi cammina sopra cercando nello stesso modo di far capire a Diana che si tratta di lei. Non so se mi sono spiegato abbastanza chiaramente e non so neppure se lei riesca a concepire una stranezza tale come quella di vivere nel sottosuolo, come mi auguro il disegno riesca a farle intuire. Comunque a quanto pare qualcosa deve averlo intuito, perché vedo i suoi occhi spalancarsi per la sorpresa e le labbra incurvarsi a forma di O.
Altre parole, questa volta in un tono più accorato, quasi urgente, e Diana riprende a disegnare sulla polvere del pavimento. In mezzo a dei riccioli simili ad onde traccia una forma che a prima vista devo dire ricorda più che altro un panettone o qualcosa del genere, salvo poi posizionarci sopra dapprima un omino solo che indica come se stessa e poi altri tutto intorno che indica come me, Giulia e Giorgia, come la chiama lei inavvertitamente storpiando appena il nome.
"Che cavolo... mi stai chiedendo di rimanere qui con voi?"- mi domando a metà fra il sorpreso e, devo ammetterlo, lo sconvolto. Ma che cavolo, ci conosciamo da tipo un giorno o poco meno e già siamo passati da invasori da tenere legati e confinati a "rimanete a vivere qui"? Ok, o ha qualche grosso problema di personalità, fatto del quale in effetti dubito, oppure si sente per qualche motivo sola o ha comunque bisogno di amici. In effetti, ora che ci penso, anche se non l'ho vista molto fuori di qui devo ammettere che non mi è mai capitato di vederla intrattenersi con altri membri della comunità della sua età: fino ad ora è sempre stata o con il padre o con quell'altro tizio, Anton. In fin dei conti è abbastanza comprensibile che, pur vedendoci come sconosciuti, voglia intrattenere una qualche forma di rapporto con noi dal momento che ci vede come quelli a lei più prossimi almeno dal punto di vista anagrafico. A quanto pare il bisogno di relazioni interpersonali, di punti in comune su cui poter costruire un rapporto, non è cambiata nonostante l'essere umano sia in effetti mutato radicalmente nei quattrocento anni che ho trascorso in stasi. In fin dei conti la tecnologia può cambiare, possono cambiare le abitudini di vita, ma la natura più profonda dell'essere umano rimane la medesima, no?
Aspetta, che diavolo sta succedendo?
Una sensazione inaspettata mi distoglie dai miei pensieri. Ricollegando il mio cervello all'ambiente che mi circonda mi rendo conto di due manine magre avvinghiate alle mie, di dita lunghe intrecciate alle mie e di una stretta molto forte. Hey, che cavolo fa, così vicina? Perché si sta avvicinando a quel modo? Diavolo, se volessi potrei contarle i ciuffi che le coprono gli occhi. Le labbra di lei si muovono ancora, ma non riesco neppure a sentire cosa sta dicendo, lasciamo perdere capirlo. E quegli occhi... Dio, se luccicano, sembra che il fuoco del camino vi si sia trasferito dentro bruciando all'interno della sua anima.
Un attimo dopo le labbra di Diana hanno smesso di muoversi, e mentre la stretta delle sue mani sulle mie si fa ancora più urgente sento qualcosa di umido posarsi sulla mia bocca, una morbidezza umida e bollente...
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