Capitolo 17 - Atti di fede (R)
Anno Domini ????
Isola
Legati, ecco come li ha voluti mio padre. Ho provato a convincerlo in tutti i modi che non fossero una minaccia, che fino a quando era intervenuto lui i visitatori non avevano dato cenno di violenza di nessun tipo. Ma non ha voluto capire: secondo lui la malattia della ragazza era solo uno stratagemma astuto e spietato per potersi avvicinare a noi ed attaccarci. Eppure non riesco a convincermi che sia vero. Fino ad ora non ho mai messo in dubbio le decisioni di mio padre, non così apertamente, almeno! Magari ne dubitavo la correttezza, magari pensavo che si sarebbe potuto fare di meglio o semplicemente diversamente, però avevo sempre tenuto la cosa più o meno per me parlandone solo, a volte, con zio Anton. Anche lui la maggior parte delle volte è d'accordo con me, soprattutto quando papà si dimostra troppo autoritario o aggressivo, ma almeno lui può farlo presente, almeno lui può esprimere la sua opinione ed essere veramente preso sul serio in quanto membro del Consiglio dei Primari. Noi donne possiamo dire la nostra solo riguardo alla casa ed alla famiglia, solo su quegli aspetti la nostra parola conta qualcosa. Eppure questa volta non ho potuto resistere, ho dovuto dire qualcosa. Non potevo vedere due persone fino a prova contraria assolutamente innocenti trattate come criminali. Già... due persone, perché a me questo sembrano: persone esattamente come noi, tanto più che non appaiono neppure così diversi a parte per quella specie di corazza che portano. Questa volta ho dovuto far presente che non la pensavo come papà, anche se non è servito poi a molto. Perché nonostante le mie preghiere, nonostante le rassicurazioni di zio Anton, nonostante il messaggio per me abbastanza chiaro che ci ha lasciato lo sconosciuto "non vogliamo creare problemi, lasciateci andare"... nonostante tutto questo papà ha voluto prevenire nelle sue intenzioni un qualche immenso pericolo e imprigionarli.
Non ho dormito molto, stanotte: un po' pensavo ai nostri prigionieri, a come dovessero sentirsi, soprattutto il ragazzo ora che probabilmente ha capito che nessuno aiuterà la sua compagna, un po' perché comunque amo mio padre e non posso ignorare le sue paure ed i suoi dubbi. Ho continuato per diversi cicli a rigirarmi nel letto cercando di ascoltare, anche se non le capivo, le voci dei prigionieri nella stanza accanto alla mia. Hanno parlato parecchio con la donna con la corazza bianca e ad un certo punto sono spuntate, almeno credo se non stavo sognando, altre voci più basse e ancora meno comprensibili di quelle dei prigionieri. Ma no, non è possibile, non c'era nessun altro nella stanza, erano soli a meno che non possiedano davvero i poteri soprannaturali di cui ogni tanto parlano i più anziani di noi.
Ora sono qui al porto, nella mia barca, distesa sul fondo a guardare il cielo. Intorno sembra che nulla si muova, gli unici segni di vita i versi striduli degli animali notturni che cacciano attraverso la laguna appena udibili in lontananza sopra lo sciabordio dell'acqua che fa dondolare leggermente la barca. Se non ci fosse quella questione dei prigionieri a frullarmi continuamente nella testa potrebbe quasi sembrare una nottata tranquilla, come tante altre che ho trascorso qui fuori in passato a cercare fra quelle della natura la voce dalle madre che a malapena ricordo, la madre che secondo papà mi è stata portata via da loro...
-Diana, tesoro, cosa ci fai, qui fuori?-
Non l'avevo sentito arrivare e la sua voce seppure lenta e profonda mi fa sobbalzare come se avesse gridato.
-Zio Anton! Mi hai spaventata!-
-Mi spiace, piccola! Ho visto, in effetti, che eri persa nei tuoi pensieri. Perdonami se ti ho spaventato.-
-Non importa, zio! Non fa niente. Stavo solo...-
-Stavi pensando i nostri... "visitatori"?- mi domanda lo zio fissandomi negli occhi con quel suo sguardo intenso che sembra attraversarti come una coltellata mentre sale anche lui a bordo della mia barchetta.
-In effetti sì.- confermo io abbassando gli occhi colpevole, e una mano calda e potente si appoggia sulla mia spalla mentre lo zio si siede sul fondo accanto a me.
-Non te ne devi dispiacere, Diana. Sei ancora giovane e hai visto troppo poco del mondo per non farti domande, per non volerne sempre di più. È normale che voi giovani siate golosi di conoscenza, avidi di domande e di esperienze.-
-Può darsi, ma papà...- comincio io, ma lui mi interrompe con un cenno del capo.
-Pavel è accecato dalle sue esperienze passate. Ha vissuto momenti troppo duri, esperienze troppo strazianti, per poter affrontare questa faccenda in modo oggettivo. Non voglio dire "nel modo corretto" perché non so neppure io quale sia il modo corretto, in effetti! Quello che so è che... che temo che stiamo sbagliando tutto in questo particolare caso.-
-Tu dici, zio?- domando incuriosita; l'ho visto pochissime altre volte contraddire così apertamente papà nonostante magari in privato avessimo avuto discussioni simili a questa qualche altra volta.
-Pensaci, Diana! Sei una ragazza intelligente, mi sorprende che tu non ci sia già arrivata. Prova a pensare: se sono davvero membri di una razza così ostile non credi che sia controproducente imprigionare dei loro compagni, non credi che potrebbero interpretarlo giustamente come un atto ostile ed attaccarci per liberare i loro amici o per semplice vendetta? Ed anche se invece avessimo ragione noi non è possibile che da razza pacifica si trasformino in ostili proprio per l'accoglienza che è stata riservata loro?- spiega zio Anton con la pazienza di un maestro che insegni qualcosa di complicato ad un bambino un po' tardo.
-Be' sì... potrebbe essere. Cosa dobbiamo fare, allora, zio?- domando io per la prima volta veramente preoccupata. Posso detestare questa laguna avvelenata finché voglio, volerne fuggire per esplorare le praterie ed il resto della terra, ma rimane comunque casa mia e la gente che la popola è pur sempre la mia gente e se fossero in pericolo per le scelte di mio padre, per scelte a cui non ho avuto il coraggio o non sono stata in grado di oppormi...
-Per una volta, Diana, i malesseri periodici di tuo padre cadono al momento opportuno.- mi informa mio zio accennando agli accessi di emicrania che colpiscono spesso mio padre costringendolo per un giorno o due a rimanere a riposo in casa -Ha appena avuto un nuovo attacco, e purtroppo o per fortuna sembra che questo sia uno dei più forti i sempre.-
-Come sta?- domando allarmata facendo per alzarmi dalla barca per tornare a casa.
-Non ti preoccupare, bambina mia!- mi rassicura lo zio trattenendomi per farmi tornare a sedere -Non sembra nulla di grave, semplicemente qualcosa di più forte rispetto alla norma. Però... la cosa strana è che sia scoppiato così improvvisamente... ha incrociato lo sguardo con quello del visitatore e... e poi è successo. Tu non l'hai visto perché quando abbiamo lasciato i prigionieri lui si era già ritirato a letto, ma mi ha detto che è stata una cosa quasi istantanea. È come quando cerca di recuperare un qualche ricordo dei suoi genitori o di quando aveva la tua età. Ricorderai bene cosa succede quando sforza eccessivamente la memoria in quella direzione.-
-Sì, lo so bene. È strano perché è una cosa che succede solo ai Primari, che io sappia!-
-Infatti. Nessuno sa perché ma è una malattia che colpisce solo i più anziani di noi. Forse è un qualcosa che insorge con l'età, non si sa. Comunque sia, stavamo parlando di Pavel. Data la gravità della situazione ritiene di non poter permettere di lasciare il Consiglio dei Primari senza guida ed ha quindi deciso in qualità di Reggente di proclamare me suo sostituto pro tempore.- mi informa lo zio.
-Davvero? Ma guarirà?- domando preoccupata.
-Non c'è ragione per pensare il contrario. Fino a questo momento è sempre successo e non abbiamo ragione di pensare che quest'occasione sia diversa dalle precedenti.-
-E se fossero stati loro?- azzardo esprimendo ad alta voce il primo dubbio riguardo ai nuovi arrivati che mi abbia davvero attraversato la mente da quando li ho visti, lo stesso che credo stia visitando i pensieri di mio padre rendendolo ancora più accanito nei loro confronti quando dovesse riprendersi.
-Non abbiamo prove del loro coinvolgimento come non le abbiamo della loro innocenza.- è la risposta un tantino enigmatica di zio Anton -Per parte mia, comunque, dubito che c'entrino qualcosa. A meno che non siano dotati di poteri di là da ogni immaginazione ritengo che si tratti solamente di un caso. Ricorda che tuo padre non è entrato in contatto diretto con loro, non fisico, per lo meno, e quindi trasmettere qualsiasi malattia o infezione sarebbe stato impossibile.-
-Speriamo... non so cosa farei se papà dovesse...!-
-Non pensarci, Diana. Non succederà nulla a Pavel, e se qualcosa dovesse pure rivelarsi vero nei nostri sospetti... cosa credi, che ti abbandoneremmo a te stessa in mezzo alle praterie sconfinate? Sei comunque parte della comunità, e prima ancora sei mia nipote.- mi rassicura lo zio stringendomi velocemente in un fugace abbraccio, qualcosa a cui non sono poi molto abituata, ed infatti rimango un momento immobile come presa di sorpresa prima di rispondergli. E come potrebbe non essere così? Papà mi vuole bene, su questo non ne dubito neppure per un secondo, ma non è mai stato un uomo particolarmente affettuoso o aperto a certi tipi di manifestazioni emotive che invece ho trovato seppur raramente dallo zio.
Anno Domini 2531 / 468 della Nuova Era
Laguna veneta, Isola di Poveglia
Ormai dovrebbe essere l'alba. Da quando siamo stati catturati io e Giulia è passato diverso tempo anche se non so quanto di preciso ed intorno a noi iniziano a sentirsi distintamente i tipici rumori di una comunità che si prepara per una nuova giornata. Qualcuno dev'essere uscito senza che ce ne rendessimo conto né io né la Dottoressa, fatto sta che ora una porta sbatte e due voci si avvicinano: probabilmente si tratta della ragazza e del vecchio, se non mi sbaglio!
Un momento dopo un'altra porta si apre e la luce invade la stanza ferendomi gli occhi dopo le molte ore nella più completa oscurità. Comunque il fastidio non dura molto ed è presto rimpiazzato dal sollievo per essere tornati finalmente a poter vedere almeno qualcosa.
L'uomo entra subito dopo la ragazza reggendo una torcia accesa fra le mani e si chiude la porta alle spalle.
Il vecchio dall'aria saggia inizia a parlare con me e la Dottoressa McCoy, evidentemente sperando che dopo un po' di tempo con loro abbiamo iniziato a comprendere la loro lingua. Ma come potremmo non avendo neppure una minima base su cui iniziare a lavorare... quindi tocca alla ragazza prendere in mano la situazione ancora una volta. La giovane regge in mano una corda come quelle con cui ci hanno legato e fa il gesto di tagliarla con un coltellaccio che portava alla cintura, poi indica noi e rivolge il coltello verso il proprio petto scuotendo la testa in segno di diniego, infine finge di legare la corda intorno ai propri polsi.
Più chiaro di così... penso io con un mezzo sorriso mentre sia io che la donna al mio fianco annuiamo in segno di comprensione; se non abbiamo preso un granchio di dimensioni colossali ci è stato appena detto che stiamo per essere liberati ma che se dovessimo diventare ostili ed attaccarli saremo nuovamente confinati qui dentro.
-Sembra che inizino a fidarsi un minimo- osserva in un bisbiglio la Dottoressa.
-Già, chissà cosa ne pensa il loro amico...- osservo io di rimando mentre la ragazza si china per liberare per prima Giulia. Poi tocca a noi venire finalmente slegati.
Aspettate, chiamo i nostri due ex custodi mentre quelli ci fanno cenno di uscire insieme a loro e nel frattempo io e la McCoy scuotiamo un po' le braccia e le gambe per far riprendere la circolazione dopo parecchie ore di inattività.
-Cos'ha in mente, Comandante? -mi domanda la Dottoressa incuriosita.
Se loro si fidano di noi, almeno così sembra, è il momento di dimostrare che anche noi ci possiamo fidare di loro e che non li temiamo. Quindi penso che dovremmo mostrarci come siamo realmente e permettere loro di toccarci, se lo vogliono, di capire che tutto sommato non siamo così diversi. -spiego io, e la Dottoressa alza le sopracciglia dubbiosa: -Insomma, dato che la nebbia tossica sembra si sia dissolta, altrimenti non sarebbero in giro così tranquilli, penso che potremmo anche levarci i caschi per un po'.
Qualche istante di dubbio ed esitazione durante i quali la donna guarda prima me poi gli altri due per annuire infine.
Mentre gli altri due mi guardano un po' straniti dalla nostra conversazione alzo le mani nel solito segnale di tregua e mentalmente invio alla tuta il comando necessario per far scattare il meccanismo di rilascio del casco. Si sente un piccolo scatto seguito dal sibilo che indica il ritirarsi delle guarnizioni isolanti e la ragazza di fronte a me sobbalza presa di sorpresa. Ammetto, pensandoci bene, che dev'essere strano per qualcuno di non abituato a questo tipo di cose vedere un tipo che senza fare una piega sembra essersi tagliato il collo, perché credo proprio che sia questa l'impressione che sto dando ai nostri interlocutori...
Sorridendo leggermente per rassicurarla che va tutto bene annuisco in direzione della ragazza e porto le mani ai lati del casco sfilandomelo finalmente dopo quasi un giorno intero.
Devo ammettere che per quanto sia utile e abbastanza confortevole è comunque una sensazione piacevole uscire da questo affare e respirare un po' di autentica aria esterna.
Fatto questo appoggio il casco a terra mentre anche la Dottoressa rimuove il proprio e procedo a sfilarmi anche i guanti.
-Vedete, siamo uguali.- dico ai nostri interlocutori facendo al tempo stesso cenno a noi ed a loro per poi porre le mie mani una di fronte all'altra come se si trattasse di uno specchio... Ok, non è molto chiaro questa volta come concetto ma spero che si capisca a sufficienza.
È il momento più critico dell'intera faccenda, quello che potrebbe risolvere forse definitivamente la cosa oppure farà precipitare molto velocemente. Punto incerto al coltello ancora fra le mani della giovane di fronte a me e lei me lo consegna con le mani un po' tremanti dopo aver scambiato uno sguardo confuso con il compagno.
Quando le nostre mani si sfiorano un brivido mi attraversa nel sentire la pelle così fresca rispetto alla mia fino a quel momento chiusa dentro il guanto, quella pelle così stranamente morbida nonostante l'aspetto un po' trascurato. Credo che anche lei sia rimasta sorpresa da queste differenze ma al tempo stesso dalle affinità che entrambi abbiamo percepito. I nostri occhi si incrociano per un momento mentre le mie dita si stringono intorno all'impugnatura appena sotto quelle della giovane, il marrone dei miei mescolato per un istante al nero profondo dei suoi che un momento dopo di abbassano mentre il suo viso si colora leggermente.
L'ho vista spesso, ai miei tempi, questa reazione, e devo ammettere che non mi piace ritrovarla anche in quest'epoca, anche se devo ammettere che ad un primo approccio questa comunità non sembra essere fra le più evolute. A quanto pare da queste parti le donne, o per lo meno le ragazze, non sono abituate a guardare un uomo direttamente negli occhi, ma piuttosto ad abbassare lo sguardo in un qualche discutibile segno di rispetto. Comunque non credo sia questo il momento di mettersi a questionare sulle usanze e la cultura di popolazioni della cui storia non so niente.
Ricevuto il pugnale dalla ragazza le faccio cenno di osservare la mia mano libera mentre appoggio sul palmo la punta dell'arma facendo una lieve pressione. Quando la lama lascia la mia pelle una gocciolina scarlatta fuoriesce dal forellino che è rimasto sulla mia mano raggrumandosi quasi subito in una specie di pallina rossa lucente.
Con un cenno da parte della ragazza il compagno si avvicina ed esamina a sua volta la ferita che mi sono appena procurato, quindi rivolge qualche brevissima parola alla giovane, quindi allunga una mano verso la mia con una singola altra parola. -Anton.-
-Michele.- rispondo io stringendo la mano offerta dal vecchio che passa poi a presentarsi anche alla Dottoressa.
-Diana...- sussurra la ragazza sempre tenendo gli occhi bassi mentre con la mano sinistra le porgo il pugnale tenendolo per la lama e ci stringiamo la destra.
-------
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top