Capitolo 14 - Incertezza (R)

Anno Domini 2531 - 468 della Nuova Era
Laguna veneta, Isola di Poveglia

-Come ci muoviamo, Mike?- mi domanda Caled distogliendo lo sguardo dall'isola -Vuoi andare ora o dici che sia meglio aspettare domani?-
Qualche minuto di silenzio durante il quale cerco di elaborare un piano di azione. Non è facile, però, con il pensiero di mia nipote che continua ad insinuarsi nella testa!
-In teoria sarebbe meglio aspettare che faccia luce per cercare di apparire il meno minacciosi possibile: non sappiamo con che gente abbiamo a che fare ma qualsiasi popolo è sempre stato tradizionalmente diffidente verso qualsiasi entità si manifesti nelle notti di nebbia, però d'altra parte... d'altra parte Giulia non può aspettare domattina, temo: sta sempre peggio e... francamente non credo che arriverebbe a vedere l'alba.-
-E allora che facciamo?- domanda mia sorella agitandosi improvvisamente nel sentire che la figlia si trova in un pericolo così grave e immediato.
-Calmati, Gio'!- le dico poggiandole una mano sulla spalla cercando di rassicurarla -Forse ho già una mezza idea. Sentite cosa faremo: Cal, tu dovrai rimanere qui a sorvegliare la via del ritorno...-
-Perché diavolo dovrei rimanere indietro io?- sbotta il mio compagno oltraggiato.
-Se mi lasciassi finire magari lo spiegherei...- replico acido -Stavo dicendo, se mi lasciavi finire il discorso, che sei quello più grande e grosso fra noi e inoltre quelli sembrano gente di razza bianca, a quanto pare! E dubito che abbiano molti contatti con gente di colore... ammesso che ci siano altri sopravvissuti in giro per il mondo. Non è una questione di razzismo, amico, ma semplicemente di strategia: saremmo già una grossa novità noi in quanto esterni al loro gruppo, sarebbe meglio ridurre le novità al minimo e quindi è meglio che si presenti almeno in un primo momento uno di noi. E poi... con la tua mole fai paura se uno ti incrocia di notte e l'ultima cosa che vogliamo, dicevo, è apparire minacciosi.-
-D'accordo, ho capito.- conferma Caled andando a sedersi su una roccia al limitare degli alberi.
-Quindi noi quando partiamo?- mi domanda Giorgia facendo per prendere in braccio la figlia dalle mie braccia.
-Veramente, Gio'...-
-Pensavi di andare da solo? Non stavi per dire una cazzata del genere, vero?- mi rimprovera lei seria.
-In realtà sì.- confermo io annuendo senza scompormi più di tanto -D'accordo non voler essere aggressivi almeno inizialmente ma... ma è il caso che vada il Capo Squadra. In primo luogo perdonami ma la presenza di un uomo inevitabilmente incute un minimo più soggezione; in secondo luogo la sicurezza della Squadra, la vostra sicurezza, è mia responsabilità quindi ci vado io. Tu rimani qui con Cal, decidete voi come disporvi per la guardia e che turni fare. Vi farò sapere il prima possibile come procede la cosa, se e quando potrete unirvi a noi o quando torneremo indietro.-
-Non sono molto convinta che sia la cosa giusta da fare, Mike! Però hai ragione, il capo sei tu quindi la missione la gestisci tu. Agli ordini, Comandante!- risponde Giorgia facendo una faccia su cui le perplessità che ha espresso appaiono fin troppo evidenti. Nonostante tutto, però, si dirige a passi lenti verso il punto dove si è appostato il nostro compagno mentre io cerco di trovare una posizione comoda con cui trasportare Giulia attraverso i canali.
I razzi della tuta si attivano ad un comando dal microchip e lentamente mi sollevo da terra reggendo Giulia fra le braccia come se ci stessimo abbracciando. È una sensazione stranissima, quella di volare: non che si senta niente di particolare, a parte lo scorrere dell'aria tutto intorno ed una lievissima quasi impercettibile vibrazione sulla parte bassa della schiena dovuta proprio all'azione dei piccoli propulsori. Più che altro la cosa strana è vedere l'acqua scorrerti sotto i piedi invece che la terra, e soprattutto vederla a più di un metro più in basso, come se stessi procedendo a bordo di un fluidissimo tapis roulant trasparente.
-Tranquilla, tesoro, tra poco sapremo come curarti!- le sussurro anche se non sono più certo che riesca a sentirmi davvero. Il successivo "almeno spero" non lo dico a voce alta, ma rimane solo nella mia testa, come se pronunciarlo ad alta voce rendesse quell'incertezza ancora più palpabile.
Mentre ci muoviamo sull'acqua il contatore geiger della tuta sembra impazzito: ogni volta che attraversiamo uno di quei piccoli vortici di nebbia la frequenza dei segnali sonori va alle stelle per poi tornare di nuovo più regolare, seppur ancora molto alta, quando ne usciamo. Sembra che si tratti proprio di una sorta di nebbia radioattiva, cosa che mi fa dubitare per un momento della possibilità che una qualsiasi forma di umanità sia sopravvissuta alla guerra. Dopotutto le prime comunità umane si sono sempre sviluppate nei pressi di fonti d'acqua utilizzabili per il proprio sostentamento, e se questa non lo era... Però d'altra parte l'essere che abbiamo incontrato poche ore fa era assolutamente reale ed altrettanto maledettamente simile ad un essere decisamente umano.
Dopo circa cinque minuti di volo arrivo al molo più vicino dell'isola ed atterro tenendomi in fondo alla lunga rampa di pietra, in questo modo sarò parzialmente al riparo da eventuali azioni ostili e trasmetterò al tempo stesso una minore sensazione di minaccia agli abitanti del posto. Appena tocco terra un brivido mi pervade il corpo attraversandomi la spina dorsale. Sarà sciocco, ne sono consapevole, ma anche se so che come diceva Giorgia la peste qui non esiste più da quasi mille anni non posso fare a meno di pensarci. Se poi ci aggiungo i ricordi della prima volta che ho sentito parlare di questo posto... Ricordo che era un pomeriggio d'inverno un annetto prima della mia fallita operazione, ero in salotto e stavo guardando la televisione. Ricordo che c'era un canale che mi piaceva un sacco dove trasmettevano quasi solo programmi dedicati o alla fantascienza o all'occulto, e proprio durante uno di questi ultimi avevo sentito parlare per la prima volta dell'Isola di Poveglia. La trasmissione, se non sbaglio, si chiamava Ghost Adventures e raccontava le indagini sul paranormale svolte da una gruppo di tre amici in diverse parti degli Stati Uniti. In quella particolare puntata, però, avevano ricevuto una segnalazione riguardo ad una particolare isola nella laguna veneta su cui era addirittura vietato sbarcare a causa sia della sua storia come ex lazzaretto sia a causa delle continue storie di manifestazioni soprannaturali che arrivavano dai pochi autorizzati a circolarvi occasionalmente. Era stata una delle puntate più belle, secondo me, però non posso negare che trovarmi in quel posto ora mi faccia tornare in mente certe storie che ho sentito in quell'episodio. "Chissà se gli spiriti sopravvivono alle guerre radioattive...!" - mi ritrovo a pensare scioccamente prima di scuotermi energicamente; ho una diavolo di missione da portare a termine e prima ancora una nipote da far curare, accidenti! Devo riprendermi e subito, anche!
-Hey! C'è nessuno?- Hey, del posto, c'è nessuno?- provo a chiedere a voce alta, sia in italiano che era la lingua del posto sia in una sgangherata imitazione del vecchio dialetto di queste parti, infine anche in inglese giusto per essere sicuri di non aver trascurato nulla. Ma avrei potuto anche far finta di sapere il cinese per tutte le risposte che ho ricevuto.
Non si sente nulla tutto intorno, se non rumori sordi e indistinti provenienti forse dalle costruzioni più vicine, ma non posso essere sicuro di cosa si tratti dato il continuo sciabordare dell'acqua fra i piloni del molo e lo scricchiolare e sbatacchiare delle barche che vi sono attraccate. In realtà sembra di sentire una voce di... forse di donna ma non ne posso essere assolutamente certo.
Dato che non si vede nessuno in giro decido di provare a farmi avanti, mal che vada potrei sempre prendere il volo approfittando della nebbia e filarmela in relativa calma. In giro però non c'è nessuno, non so se per l'ora o per la nebbia radioattiva, fatto sta che non si vede una persona o un animale all'esterno delle antiche costruzioni di pietra.
Addentrandomi nell'isola mi rendo finalmente conto di cosa fosse quella nebbia sanguigna che si vedeva dalla terraferma: la nube rossastra si sta infatti diradando mentre i turbini si muovono spostati dalla lieve brezza. Ciò che conferiva all'aria quel colore inquietante non erano altro che torce, dannatissime semplici torce accese infisse nel terreno o appese ai colonnati degli edifici. Però, anche se l'aspetto da isola dei morti sta lentamente scemando, non riesco a togliermi dalla mente che i morti ci sono ancora, qui, e che ci sto camminando proprio sopra. Chissà quanta gente è stata sepolta quaggiù nel corso dei secoli e quanta altra ne sarà morta da dopo la guerra, contaminata dalle radiazioni e dai veleni sparsi dal conflitto! Non so proprio cosa troverò qui, ma qualcosa mi dice che difficilmente sarà qualcosa di buono.
Non c'era un'anima in giro neppure verso l'interno dell'isola, evidentemente dovevano essersi tutti rifugiati all'interno degli edifici come si poteva capire dai bagliori giallastri che s'intravvedevano dietro alle finestre più basse. Evidentemente doveva trattarsi di qualche genere di vetro o materiale simile, forse ricavato dalla resina solidificata delle piante che abbiamo visto appena arrivati col Rover, a giudicare dalla qualità pallida vagamente ambrata della luce che veniva dall'interno!
-Tranquilla, tesoro... tranquilla che adesso troviamo qualcuno e ti curiamo.- continuo a ripetere piano a Giulia, anche se in realtà ho l'impressione che sia più un tentativo di convincere me piuttosto che lei.
In giro però continua a non vedersi nessuno, e ho la netta impressione, quasi una certezza oramai, che nessuno lo farà fino a quando la nebbia non si sarà completamente diradata. Non c'è alternativa se non trovare un posto un po' riparato dall'aria pungente della notte lagunare ed aspettare che faccia giorno.

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Sono passate diverse ore da quando mi sono fermato sotto questo colonnato con Giulia, non so quante di preciso ma si tratta comunque di alcune ore. Mentre aspettavo che spuntasse l'alba non mi sono reso conto del rinforzare del vento, ma ora che mi fermo un momento a considerare l'ambiente intorno a me per tenerne d'occhio i cambiamenti me ne rendo perfettamente conto. La brezza delle prime ore della notte è stata sostituita da un bel vento teso ed abbastanza forte che pur avendo portato con sé grosse nubi nel cielo ha anche liberato le isole della laguna dalla nebbia malsana.
Lascio mia nipote un momento coricata a terra accanto alla colonna a cui ero appoggiato fino a poco fa e mi avvicino ad un tratto del muro di fronte a me che appare diverso dal resto. Quella porzione della parete solitamente di un uniforme color pietra appare come annerita e rovinata, non si capisce se si tratti di un materiale differente o solo un tratto magari più rovinato del resto dell'edificio.
Con il cuore in gola mi avvicino al tratto nero di parete che pur non capendo bene cosa sia vista la forma mi dà tutta l'impressione di fungere in qualche modo da porta. Chissà cosa vi troverò al di là: amici o nemici, morte o vita, ospitalità o repulsione?
Con mano incerta provo a bussare alla parete, che, ora che risuona me ne rendo conto, è in realtà un pannello di quello che sembra il legno di cui sono formate le piante di quest'epoca.
Nessuna risposta dall'interno, solo movimenti convulsi e voci agitate ma nessuna risposta. Chissà, che quelli che si trovano all'interno conoscano il significato del mio gesto per me così normale o che si stiano preparando a rispondere con la violenza a quello che immaginano come un qualche tipo di attacco?
Un altro paio di colpetti sono sufficienti per far finalmente sbloccare la situazione. Alzo le mani nel classico, e mi auguro ancora valido, segno di pace lanciando un'occhiata preoccupata dietro le spalle a Giulia ancora sdraiata in piena luce sotto la torcia appesa alla colonna. Nel frattempo con un tonfo sordo ed uno scricchiolio la porta nera inizia finalmente a muoversi.

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***Spazio all'Autore***
La mia proposta per questo capitolo
"Mysteries"
dal videogame The Legend Of Dragoon

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