Capitolo 10 - Scoperta (R)

Anno Domini 2531 - 468 della Nuova Era
Laguna veneta

-Come ti senti, Giuly?-
Sono ormai un paio d'ore che ci siamo fermati al margine della prateria in attesa che mia nipote si riprenda dalla ferita che le ha inferto quello strano rettile prima di svignarsela. Mia sorella le si avvicina preoccupata e le si siede accanto sull'erba.
-Non mi sento proprio, mamma!- risponde lei tentando un mezzo sorrisetto che però le esce più come una smorfia dolorosa -Mi sa che quella roba non ha antidoto... non mi sento più neanche le gambe, adesso, e... e faccio fatica a respirare.-
-Dovremmo riportarla al Rover. Non può proseguire in questo stato e non possiamo portarla con noi.- suggerisce Caled alzandosi dal suo punto d'osservazione un po' in disparte ed avvicinandosi a noi.
-Te lo puoi anche scordare, Cal!- ribatte mia nipote brusca dando quasi l'impressione di potersi riprendere all'istante -Col cazzo, che vi aspetto chiusa là dentro per Dio solo sa quanto tempo... puoi anche scordartelo! Piuttosto rimango qui fuori ma non dentro a quella cosa.-
-Calmati, Giuly!- la rassicuro appoggiandole una mano sul braccio anche se non sono sicuro che riesca più a percepirlo -Non ti riportiamo al Rover, ok? E... no, Cal, tanto meno la lasciamo indietro. In questa Squadra non si lasciano indietro compagni in difficoltà finché ci sono io al comando, chiaro?-
-Ma Mike...- comincia il gigante tentando secondo lui di farmi ragionare, ma con un gesto impaziente della mano tronco il suo discorso sul nascere:
-"Ma" un cazzo! Qui non siamo fra i Lunari, ok? Noi non lasciamo indietro i feriti ad arrangiarsi, chiaro? Quella è roba da cyborg, non da esseri umani... No, non insistere, Cal! Non rompere, ok? Non la faccio portare a te, se pensi che ti sia d'intralcio, me la porterò a spalle per tutta la missione, se sarà necessario!-
-Ben detto, fratellino!- approva annuendo vigorosamente mia sorella. -Non ci possiamo permettere di lasciare indietro nessuno, e poi... Oh, che cazzo mi guardi così? E' mia figlia, accidenti!-
Ad uno sguardo dubbioso di Caled Giorgia scatta in piedi come una molla portando la mano guantata all'arma al suo fianco.
-Vedo che l'altra volta durante il black-out eri anche tu preoccupato per la tua sorellina, mi pare!- gli ricorda Giorgia acida in tono basso e piatto, stranamente quasi più minacciosa di quando stava urlando un attimo fa -È la stessa dannatissima cosa. Non lascio un pezzo della mia famiglia a marcire sotto il sole o dentro una maledetta scatola di metallo, ok?-
-E per cosa pensi che non la voglia portare con noi? Per lo stesso motivo!- sbraita Caled colpito sul vivo. -Mi preoccupo anch'io per lei anche se sembra che ve ne stiate dimenticando tutti! Avevo intenzione... di restare io indietro con lei... mentre voi andavate avanti con la missione.-
Le ultime parole le pronuncia a voce molto bassa, chinando il capo come se l'avessimo ferito attribuendogli intenzioni diverse da quelle reali.
-Non possiamo dividere la Squadra, Cal!- gli rispondo io cercando di suonare il più conciliante possibile -Non possiamo permetterci di dividerci in nessun modo, fisicamente o come gruppo. Quindi vedete di chiarirvi voi due e...-
-Zio...- suona la voce di mia nipote da qualche parte sotto di noi interrompendomi nella mia tirata nei confronti di Caled e Giorgia.
-Cosa c'è, Giuly?- le domando tornando ad inginocchiarmi accanto a lei. "Dio, se è suonata bassa quella chiamata... come se le costasse una fatica incredibile". Giulia ci guarda con gli occhi leggermente velati, e, improvvisamente me ne rendo conto, ansima vistosamente.
-Non... voglio... che litigate p... per colpa... mia...- ci prega respirando a fatica come se le mancasse l'aria.
-Stai tranquilla. Ci penso io, a quei due testoni! Tu stai il più calma possibile che cerchiamo un modo per rimetterti in sesto, ok?-
-Non... respiro...- è la sua unica risposta . Vedo l'espressione di mia nipote farsi improvvisamente tesa e concentrata.
-Cosa stai cercando di fare?- le domando preoccupato.
-Devo togliermi questo coso. Devo... riuscirci...- risponde lei prima tutto d'un fiato presa dallo sforzo, ma anche il pensare un semplice comando come quello deve risultarle difficile nello stato d'ansia in cui si trova in questo momento.
-Hey no, cosa fai! Ferma!... aspetta.- le rispondo allarmato -Prima dobbiamo verificare com'è l'aria qua fuori.-
Così dicendo penso a mia volta di voler rimuovere il casco dalla tuta e la voce del microcomputer risuona negli auricolari:
-Attenzione: operazione non autorizzata. Analisi atmosferica preliminare richiesta.-
Non appena penso di eseguire i rilevamenti necessari una serie di voci incolonnate compare sulla visiera del casco che funge anche da visore di realtà aumentata: compaiono voci come il livello di ossigeno e di altri gas, la temperatura, il tasso di umidità, i livelli di radiazione ed acidità ed un sacco di altra roba che francamente non so quanto sia utile al momento. Tutte le voci sono al momento prive di riscontro numerico ed in fondo alla lista lampeggia per qualche secondo una scritta: "Analyzing... Please Wait". Dopo qualche attimo quest'ultimo messaggio scompare e tutte le voci della lista si aggiornano corredate ora da numeri. "Che diavolo, non sono un chimico... che vuol dire tutta questa roba?", penso un po' disorientato cercando di raccapezzarmi in mezzo a percentuali ed altri dati a me incomprensibili. L'unica cosa che attira veramente la mia attenzione è un led verde lampeggiante nell'angolo inferiore destro del visore. Appena mi concentro su quella zona la solita voce femminile torna a comunicare negli auricolari:
-Condizioni atmosferiche accettabili al 75%. Possibilità di sopravvivenza in condizioni standard 90%. Rimozione casco protettivo autorizzata.-
-Tutto ok, Giuly! Puoi levarti quella cosa, se vuoi!-
-Lo so, ma... non ci riesco...- si lamenta lei sempre più debolmente. Ormai dev'essere arrivata al limite delle forze. Devo trovare assolutamente un modo per aiutarla ma non ho la minima idea di come fare... forzare l'apertura del casco è fuori questione per due ottime ragioni: la prima è che non ho la più pallida idea di come fare, la seconda è che se anche lo sapessi poi non ci sarebbe garanzia che la sigillatura ermetica funzionerebbe di nuovo in caso di necessità. Alzando lo sguardo per cercare un suggerimento dai miei compagni li vedo un po' appartati a parlottare: sono ancora un po' alterati ma pare che la situazione stia migliorando rispetto a prima quindi non ho nessuna intenzione di interromperli proprio ora. Prima si chiariscono meglio sarà per tutta la Squadra.
Mentre penso ad un modo per risolvere la situazione ancora una volta la tuta stessa mi viene in soccorso. Sul visore compare un'immagine che più chiara non potrebbe essere: due omini affiancati collegati per la schiena da una sottile linea orizzontale e sopra a quella una freccetta che la indica con la scritta "Data Transfer".
"Ok... il sistema più vecchio di questo mondo", penso allungando una mano dietro la schiena per frugare all'interno del mio zaino. Scosto prudentemente un'arma dopo l'altra cercando di non togliere la sicura a nessuna e rischiare di spararmi da solo nel sedere. Alla fine sul fondo dello scomparto trovo quello che sto cercando: un quadratino di un centimetro di spessore e due di lato. Dal lato del computerino esce in automatico un cavetto con una spina in fondo, che a giudicare da quello che sento coi polpastrelli assomiglia molto ad una vecchia USB ma un po' più piccola. Dopo un attimo che frugo con una mano nello zaino di Giulia reggendo il cavo con l'altra trovo anche il computer della sua tuta e lo collego al mio. Un indicatore si accende sul visore riempiendosi velocemente di verde e scomparendo dopo un paio di secondi con un beep che conferma il trasferimento dei dati che avevo richiesto poco fa.
Un momento dopo, inviato un altro comando, riesco a disinserire la chiusura ermetica del casco di mia nipote prima di scollegare le nostre tute e risistemare entrambi gli zaini. Con un po' di sforzo dato che non riesce assolutamente a collaborare in nessun modo riesco a spostare Giulia facendole appoggiare le spalle sulle mie ginocchia in modo da riuscire a sfilarle il casco.
-Va un po' meglio, ora?- le domando, appoggiando l'accessorio sull'erba accanto a me.
-S... sì, un po', ma...- risponde mia nipote un po' a fatica. Non è che ora riesca a respirare meglio, ma forse per lo meno la sensazione di soffocamento si è un po' attenuata ritrovandosi di nuovo all'aria aperta. Mi incuriosisce scoprire come sia l'atmosfera di questo nuovo mondo così strano, quindi visto che non ci sono problemi apparenti rimuovo anche il mio casco appoggiandolo accanto a quello di mia nipote.
"Wow!" - penso fra me - Avevo dimenticato quanto piacevole fosse la brezza naturale sulla propria pelle, con la corrente del sistema di ventilazione giù negli Insediamenti!
Gli aromi, almeno quelli, non sembrano essere cambiati molto. La natura, pure bruciata e mutata dalle radiazioni, sembra aver conservato almeno in parte gli odori che ricordo. Qui, però, davanti a queste rovine, i profumi che accarezzano i miei sensi si mischiano con un vago sentore di polvere in sospensione ed un piacevole salmastro portato dalla brezza che spira dal mare.
Senza quasi rendermene conto sfioro con le dita il viso scoperto di mia nipote trovandolo ricoperto di sudore freddo... Dio mio, è peggio di quel che pensavo!
Alzo gli occhi per chiamare i miei compagni. Dobbiamo iniziare a pianificare seriamente l'avanzata e soprattutto dobbiamo deciderci a cominciare davvero la missione perché prima finiamo questa cosa prima torniamo a casa e Giulia potrà essere curata.
Ma niente, neppure l'Addestramento Speciale avrebbe potuto prepararmi a quello che vedo alzando lo sguardo e che mi fa morire all'istante i nomi dei miei compagni in gola.
"No... devo essermi sbagliato... non è possibile... non è dannatamente possibile".




Anno Domini ????
Territori del Reggente Pavel

Lancio per un momento un'occhiata alle mie spalle per controllare se la mia barca è ancora dove l'ho lasciata; sono certa di averla legata più che saldamente ma non si sa mai... meglio controllare. Eccola là, nascosta fra le canne alte, un albero nero che ondeggia in mezzo ad altri fusti più chiari, appena visibile forse solo perché io so che c'è.
Tecnicamente non dovrei essere qui, al limitare del territorio della mia gente, e se mio padre lo venisse a scoprire... diciamo che non passerei sicuramente un bel quarto d'ora. Il fatto è che la pesca oggi è andata particolarmente bene, tanto che ho recuperato abbastanza pesci da bastare per un paio di giorni già dopo solo mezza giornata, però non ho nessuna voglia di tornare già a casa. Laggiù sembrano tutti perennemente arrabbiati... c'è un'aria così pesante e cupa... ed oggi è così una bella giornata, invece...
Devo ammettere che il racconto di questa mattina di mio padre mi ha un po' confusa. Ne avevo già sentiti ovviamente anche da altre persone, soprattutto dai Primari che sono i più anziani fra noi, ma pensavo che da mio padre avrei trovato qualche risposta ai dubbi che mi erano venuti. E invece... ancora più incertezze.... Ora ho capito perché hanno fatto prigioniera quella donna, perché la sua gente uccide quelli diversi da loro, quelli come noi, e quindi per questo dobbiamo odiarli ed imparare a difenderci da loro. E devo ammettere che ora che so qualcosa di più della storia della mia famiglia... devo ammettere che in effetti passando accanto alla prigioniera l'istinto di piantarle una lancia nel cuore è stato molto forte. Ma poi... poi per un brevissimo istante i miei occhi ed i suoi nascosti dietro quella cosa trasparente si sono incrociati e... e tutte le mie certezze sul fatto di doverla odiare mi sono parse meno salde, come se avessero preso a sgretolarsi come i palazzi sulle nostre isole. Perché dovrei odiarla se lei personalmente non mi ha fatto niente di male? È come se io facessi uno sgarbo ad un nostro concittadino e quello invece che prendersela con me andasse a questionare con il nostro vicino... che senso ha? Ok, la sua specie è malvagia e violenta e tutto il resto, ma... ma lei, lei personalmente, intendo, cosa ci ha fatto? Assolutamente niente. Ero presente quando l'hanno portata sull'isola e da allora è stata sempre legata davanti casa mia o all'interno durante l'aria morta. Ha gridato e pianto, certo, e parecchio. Mai però ha fatto alcun gesto minaccioso nei nostri confronti nei pochi momenti in cui era slegata durante i trasferimenti, e anche quando si dimenava per tentare di liberarsi nei suoi occhi non c'era mai odio ma solo paura... una paura folle, questo sì, ma chi può darle torto, in fin dei conti? Cos'avrei fatto io al suo posto in mezzo a gente straniera di cui non so niente e che mi ha aggredita senza un apparente motivo? Sicuramente avrei provato a liberarmi, a fuggire, avrei gridato con tutto il fiato che ho in corpo perché i miei mi sentissero e venissero ad aiutarmi. E in quanto a gridare non si è certo risparmiata neanche lei... ma anche in questo caso, anche se non ho idea di che lingua parlasse o cosa dicesse, non sembravano mai frasi minacciose o violente verso di noi, sembrava solo che chiamasse qualcuno mortalmente spaventata. E qui arriviamo all'altro punto che non mi da pace: la sua gente. Se è vero che sono così brutti, violenti e cattivi com'è che si è fatta catturare come un cucciolo indifeso? Noi di solito in esplorazione ci mandiamo i guerrieri più forti, quindi immagino che anche un altro essere con capacità mentali simili alle nostre farebbe una scelta del genere. E se lei è fra gli esemplari più potenti della sua gente... cos'abbiamo da temere, in fondo? Anche se si rivelassero ostili dovremmo essere in grado di sopraffarli facilmente. Ma poi, ci sarebbe bisogno di sopraffare qualcuno? Se viene davvero dal mondo di cui parla mio padre e fa davvero parte di una razza così superiore come possono voler distruggere la mia gente? Potrebbero più facilmente ignorarci a meno che non vogliano il nostro territorio. Ma questo è impossibile... volere il nostro territorio... una laguna popolata da creature ostili ed invasa ogni giorno per ore dall'aria morta, quando loro invece vengono dal mondo di prima della tragedia? Non ha senso... non ha proprio senso! L'unica conclusione a cui riesco ad arrivare è che non vogliano il nostro territorio o che non abbiano ucciso quelli di noi che sono spariti... secondo me ci cercano sì per portarci via da qui ma non per quello che pensiamo noi. Secondo me potrebbero volerci portare nel loro mondo se, come si dice, i loro rifugi sono davvero rimasti protetti dai mutamenti del nostro.
"Pensi troppo, Diana, decisamente troppo!", mi rimprovero mentalmente stiracchiandomi come un gatto sulla sabbia della spiaggia arroventata dal sole. Dev'essere stato il mio stomaco che brontola a risvegliarmi dal vortice di pensieri e dubbi in cui mi stavo perdendo. Allungo istintivamente una mano dietro la testa afferrando un ramo del cespuglio più vicino e staccando dal rampicante che lo circonda un grosso grappolo di quei piccoli frutti nerissimi che adoro.
La scorza è durissima e noi umani non la possiamo mangiare salvo farla macerare nelle acque acide per ottenerne una specie di liquore di cui gli uomini vanno matti. È all'interno, però, che almeno secondo me c'è la parte migliore. Pratico con la punta del coltello un foro sull'estremità appuntita del frutto per usarla come becco di una brocca improvvisata. Appena il nettare all'interno del frutto tocca la punta della mia lingua un brivido intenso di piacere mi corre lungo la spina dorsale facendomi chiudere gli occhi e succhiare avidamente il frutto in un'unica sorsata. Il liquido rosso violaceo che ne esce è inizialmente molto aspro ma una volta che lo si tiene sulla lingua per qualche secondo ne emerge una nota dolcissima simile al miele... "Dio mio, adoro questa cosa...!".
Non ho idea di dove lasciare tutti questi gusci una volta finito di dissetarmi e sicuramente non li voglio riportare a casa con me; ne hanno fin troppo, di quel liquore, e visto quanto dà alla testa non ho nessuna intenzione di procurargliene una dose extra. Ma c'è qualcun altro a cui piacciono questi cosi, che li sgranocchia con una tale foga da pensare che non ne trovi da mesi quando invece ne trova quanti ne vuole, qui intorno! Mettendomi a sedere tolgo dalla tasca un piccolo tubicino di legno intagliato e lo porto alle labbra soffiandoci dentro producendo un fischio acuto, un suono lungo e teso.
Mentre l'eco del fischio si perde nell'aria mi metto in piedi raccogliendo i resti dei frutti e tendendo l'orecchio in attesa di un qualche segnale del suo arrivo.
Saranno trascorsi un paio di minuti o poco più prima che un basso fruscio mi arrivasse alle orecchie dalla direzione degli alberi che separano la laguna dalle ampie praterie che si estendono oltre il nostro territorio. Il fruscio ritmato si avvicina sempre di più, ma non mi preoccupa: so benissimo cosa lo sta provocando e non si tratta di assolutamente nulla di malvagio, anzi! Ad un certo punto un animale emerge dagli alberi incespicando leggermente nel suo incedere nobile sui bassi cespugli. Si tratta di uno degli animali che hanno subito mutazioni minime rispetto alle specie che si dice ci fossero prima della catastrofe, anche se nessuno sa spiegarsi bene perché alcuni abbiano avuto questo destino mentre altri si siano incrociati ed alterati fino a creare ibridi e mutazioni totalmente nuove e spesso decisamente grottesche. La bestia emerge infine dagli arbusti rivelandosi in tutta la sua grazia e al tempo stesso maestosità. La mia cavalla si avvicina poggiandomi il muso sulla spalla per poi concentrarsi sugli oggetti che reggo fra le braccia iniziando a mangiare avidamente. È proprio un animale magnifico: la pelliccia candida come la neve, gli occhi grandi azzurro chiarissimo sempre con un'aria quasi malinconica ed una criniera folta color sabbia chiaro.
-Ciao, bella!- la saluto abbracciandole il collo prima di poggiare un piede sui rami più bassi del cespuglio più vicino per aiutarmi a montare in groppa.
-Forza, Arfax! Andiamo? - sussurro all'orecchio della mia amica battendo lievemente con i talloni sui suoi fianchi. L'animale emette un breve e basso nitrito, quasi mi stesse davvero rispondendo, prima di rimettersi in movimento costeggiando la riva della laguna e occasionalmente deviando verso l'interno ad un mio colpetto sul lato del collo per approfittare di qualche tratto ombreggiato un po' più libero dall'intrico della vegetazione.
Trascorro diversi minuti senza che nulla di particolare succeda: passeggiamo tranquille fra gli alberi e sulla spiaggia circondati dai richiami dei piccoli animali e dalle strida degli uccelli marini. Occasionalmente sono costretta a smontare da cavallo per attraversare tratti in cui le fronde degli alberi sono particolarmente basse e fitte, ma per la maggior parte del tempo rimango in groppa godendo del calore del corpo dell'animale oltre che di una vista un po' sopraelevata e straordinariamente ampia dell'ambiente che mi circonda.
Senza quasi accorgermene devo aver condotto i passi della mia cavalcatura fino quasi al limitare del nostro territorio: di colpo, emergendo da uno dei miei soliti momenti pensierosi, mi rendo conto di aver attraversato quasi tutto il bosco che delimita il territorio controllato da mio padre. I ruderi degli edifici, così comuni vicino alla costa, qui sono sempre più radi anche se sembrano essere leggermente meglio conservati. Comunque è sempre la natura a prevalere anche qui, spaccando, divorando e sovrastando le costruzioni dell'antica civiltà che ha distrutto il mondo ed ora viene distrutta a sua volta. La mia ragione, e gli insegnamenti e gli ammonimenti di mio padre prima di ogni altra cosa, mi impongono a gran voce di voltarmi indietro e ritornare verso la costa, verso la mia barca e la mia laguna. Purtroppo per me raramente do ascolto alla ragione: mio padre mi ha sempre dipinta come una persona istintiva e passionale, più incline a seguire i suggerimenti del cuore che le leggi del cervello. Penso proprio che anche questa volta sarà questa la strada che intraprenderò: ormai sono così vicina al confine che mi è sempre stato vietato di varcare e tornare indietro è tremendamente difficile. Quando mai mi capiterà un'altra opportunità ghiotta come questa? Quando mai riuscirò a tornare qui da sola, a ritrovare il percorso che senza saperlo ho seguito oggi?
Con una pressione dei talloni sui fianchi e delle mani su entrambi i lati del collo di Arfax le comando di fermarsi mentre fisso l'apertura fra gli alberi poche decine di metri davanti a me.
-Aspettami qui, bella!- sussurro all'orecchio dell'animale smontando ed accarezzandole il muso prima di avviarmi da sola verso la luce. Avvicinandomi noto che, proprio sul limitare degli ultimi arbusti, si trova un cumulo di quelle che sembrano macerie di un muro che, a giudicare dal sottile velo di polvere che vi aleggia ancora intorno, dev'essere crollato da poco fra i cespugli che giacciono spezzati e scompigliati lì intorno. L'istinto mi impone per una volta una mossa prudente: giunta a pochi passi dal cumulo di macerie mi immobilizzo di colpo prima di gettarmi ventre a terra e strisciare in avanti dietro la protezione delle pietre cadute. Mi fermo ancora un momento immobile tendendo l'orecchio ed annusando l'aria in cerca di odori e profumi nuovi.
Non percepisco niente se non l'affievolirsi dell'odore dell'acqua salmastra ed un po' ferma della laguna ormai un po' lontana ed il cinguettio degli uccelli nuovi che si mescolano a quelli a me familiari. Dio, quanto vorrei mandare all'aria la prudenza, saltar fuori dal mio nascondiglio e mettermi a correre per quel mondo così proibito ed affascinante, correre fino a non poterne più e crollare in mezzo all'erba sotto il sole!
Ma aspetta... cosa sono quei suoni? Sembrerebbero... no, non può essere... sembrano voci umane anche se un po' soffocate. Ma no... non possono essere voci. Prima di tutto vengono da una zona dove nessuno della mia gente si è mai avventurato, almeno di recente, e poi non sono voci che mi sembra di conoscere, di riuscire ad associare a volti noti. Nella nostra comunità siamo in moltissimi, questo è vero, ma bene o male almeno di vista ci si conosce più o meno tutti. Sembrano... quanti, tre interlocutori... o forse quattro? Ma no, smettila, Diana, non possono essere voci! Anche perché non si capisce un accidente di quello che starebbero dicendo... sembrano più versi che parole vere e proprie... versi o per lo meno lingue diverse dalla mia. Ma come può essere?! Non esistono lingue diverse dalla mia, perché non esistono comunità diverse dalla mia! Per quanto sia assurdo non abbiamo mai visto nessun altro venire da fuori della laguna, e seppure sembra impossibile dato quanto ci appare esteso il territorio fuori dai nostri confini col tempo ci siamo convinti di essere i soli rimasti dopo la catastrofe. Devo avvicinarmi, devo saperne di più di questo strano fenomeno. Cercando di fare il minor rumore possibile striscio sulla pancia aggirando il cumulo di macerie ed infine superandolo. Davanti a me, oltre il limitare della macchia, si apre un grandissimo spazio aperto: la prateria ricoperta di folte erbe alte anche un metro che ondeggiano nella brezza, la prateria punteggiata da singole piante come quelle della mia laguna o da gruppetti più o meno grandi di quegli alberi grigi.
E proprio sotto un gruppetto di quegli alberi... No! Non è possibile! Ci sono quelle che sembrano proprio quattro persone, quattro membri, almeno a prima vista, della stessa specie o comunità della nostra prigioniera giù in laguna. Indossano la stessa tipologia di quelle che sembrano protezioni, solo che le loro non sono bianche ma di un brillante color verde scuro: immagino che appartengano ad un'altra classe sociale o un'altra famiglia rispetto alla donna legata davanti casa mia. Uno di quegli esseri sembra ferito perché è disteso a terra ed un altro lo sta probabilmente curando trafficando con le protezioni del compagno finché ne rimuove la parte superiore lasciando libero il capo della creatura. Miseriaccia, se assomigliano a noi...! Se non sto prendendo un abbaglio grande quanto la mia isola si tratta di una femmina mentre quello alle sue spalle immagino che sia il suo uomo. Diavolo, se ci assomigliano: sono solo un po' più bassi ed hanno la pelle più chiara della nostra. Ho per caso detto più piccoli e più chiari? Non tutti, a quanto pare...! Dio, quanto è grosso, quel tipo... fa paura! Due dei quattro esseri si staccano improvvisamente dal gruppo e... oh, cavolo, vengono verso di me! No... per fortuna si fermano poco lontano dal limitare della prateria e, dal tono di voce così più alto degli altri due, immagino che stiano litigando o per lo meno discutendo parecchio animatamente. Anche qui ci sono un uomo ed, immagino, una donna. L'uomo, però, è... spaventoso, decisamente spaventoso. Per struttura fisica ed altezza potrebbe benissimo essere uno dei nostri, ma... diavolo... la pelle è scurissima, sempre che non sia un effetto della cosa trasparente davanti al suo viso, gli occhi sembrano quelli di un felino: di un color giallo chiaro o verde, ed i capelli, di cui si intravvede solo un ciuffo sulla fronte, sono bianchi quasi quanto il pelo di Arfax.
Improvvisamente, mentre sono persa nella contemplazione di questi esseri inquietanti, uno alza lo sguardo nella mia direzione. I miei occhi si incrociano con quelli dell'essere che sta curando la compagna ferita e, almeno credo, lo sento chiamare i compagni che lo raggiungono immediatamente.
Anche se non capisco cosa stiano dicendo li sento parlare in tono concitato mentre mi volto di scatto spaventatissima e corro verso il mio cavallo piegata in due per non rischiare di farmi vedere.
-Corri, bella, corri più che puoi!- la incito freneticamente cercando di controllare la voce battendole forte i fianchi con i talloni. L'animale si volta e scatta in avanti con la velocità di un lampo: la lunghe e delicate zampe che sembrano sfiorare appena il terreno ricoperto di rametti e foglie morte. In un paio di minuti siamo di nuovo a riva e, quasi senza far fermare l'animale, scivolo giù dalla sua schiena lasciandola correre via... lei ha dalla sua un forte istinto di sopravvivenza tipico degli animali, riuscirà a cavarsela sicuramente.
In un attimo, inciampando lievemente per l'inerzia della caduta, precipito per metà dentro la mia barca spingendola via dalla riva con i piedi puntando le punte nella sabbia umida prima di raggomitolarmi terrorizzata sul fondo dell'imbarcazione che scivola docile fra le onde dei canali.
E' quasi il tramonto quando finalmente sbarco sulla mia isola inciampando oltre il bordo della mia barchetta ed attraversando di corsa lo spiazzo. Gli uomini sono in riunione in cerchio poco davanti al colonnato dove è ancora legata la prigioniera, mio padre e gli altri Primari al centro del cerchio e gli altri più giovani seduti intorno.
-Padre...- ansimo raggiungendo finalmente la mia gente e sentendomi di nuovo finalmente un minimo al sicuro.
-Non ora, figlia! Siamo in riunione, non vedi?!- risponde secco mio padre voltandosi appena, quel tanto per fulminarmi con lo sguardo, con quegli occhi neri in cui danzano riflesse le fiamme del braciere.
-Ma padre, devo...!-
-Non interrompere tuo padre, Diana!- mi sovrasta la voce calma e cupa del mio padrino, profonda come un tuono -Il Consiglio dei Primari è in seduta, lo sai che non ti è permesso prendervi parte! Ora siedi ed ascolta, o ritirati, se preferisci! Potrai parlare a tuo padre a Consiglio terminato. Queste sono le nostre leggi.-
-Al diavolo le leggi, zio Anthon!- urlo perdendo la pazienza ed attirandomi sguardi e mormorii scandalizzati dai Primari e da molti degli altri seduti lì intorno: -Non capite l'urgenza... Stanno... stanno arrivando... Sono qui... al limitare delle praterie!-
-Chi sarebbe, qui, ragazzina?- domanda duro un altro Primario alzandosi dal suo scranno, un tipo grosso dalla folta barba e capelli nerissimi ed un po' spaventoso.
-Parla, ragazza, ora che hai osato interrompere il Consiglio!- tuona l'uomo mettendo mano al suo bastone prima che mio padre si rivolga questa volta a lui in tono secco e perentorio.
-Attento a te, Karl, è comunque con mia figlia, che stai parlando! Avanti, Diana, parla, cos'è che sta arrivando?-
Con un sospiro cerco di farmi coraggio, devo avvertirli anche se rimango della mia idea che prima di scatenare una guerra dovremmo cercare di avvicinarci pacificamente. Ma se non li avvertissi potrebbe essere una tragedia e se poi quelli si rivelassero ostili potrebbero condannarmi a morte per aver tradito la mia gente. Respiro profondamente prima di alzare un braccio e puntare con il dito verso la prigioniera che sgrana gli occhi:
-Stanno arrivando, Padre... Loro.

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***Spazio all'autore***
La mia proposta per questo capitolo
"Mountain of death"
dal videogioco Metin2

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