11.0

Max

🏎️

Senza fiato

Principato di Monaco,
Agosto 2022

🏎️

Essere me, poteva stressare qualunque essere umano. Non intendevo avere la mia vita, le vittorie, la popolarità, ma parlavo del lato mentale. Come si può sopravvivere sapendo di essere un pezzo di puzzle che è stato creato per restare solo?

Passi la tua infanzia a vedere come tutti quanti i bambini, vivono spensierati, senza doversi sentire plasmati per la solitudine. Vivendo solo momenti, che riflettendosi negli occhi del proprio padre, delusi, abbassano le aspettative di ogni vincita, di ogni successo.

Un ragazzo mediocre, che non sarebbe mai cresciuto, non sarebbe stato mai abbastanza, per le aspettative cucite su di lui. Una maglietta confezionata per non entrare mai.

Tu non vali così tanto e io non valgo così poco, avrei voluto sbattere sul viso di quell'uomo. Che sarei potuto crescere, forse migliorarmi, imparare dai miei errori… Ma come puoi apprendere le tue mancanze, se l'insegnante decide che l'inesattezza sei tu?

Jos Verstappen aveva trovato la sua carriera difficile, senza vittorie importanti. Il figlio doveva essere un grattacielo, soprattutto perché lui non si era mai evoluto a diventare nient'altro che una casa.

Cosa succede quando superi i sentimenti deboli? Rimangono solo quelli forti, abbassando sulla tua vista, una patina così sottile e leggera chiamata indifferenza. Nella sua esile tenuta, ella ti protegge, donandoti la possibilità di fregartene dell’esterno.
Ma c’è un foglietto illustrativo, che ti mostra tutte le controindicazioni. 

Verrai sempre etichettato come bastardo, meschino, disonesto, crudele, qualunque aggettivo negativo conosciuto, tu sappi che verrà usato contro di te. Dalla tua però avrai il potere della noncuranza, a patto che possa accettare di rimanere un solo pezzo di cartone, che non avrà mai la possibilità di appaiarsi con qualcuno. Un pezzo di puzzle creato per vivere in solitudine.

«Sei sicuro di non voler bere? Poi non potrai farlo per un po' appena ricomincia il campionato.» Mi richiese per la settima volta, Alex, un mio amico di lunga data nel Principato di Monaco. Avevamo parlato per la prima volta a una festa, quasi senza motivo, ma avevamo preso confidenza quasi istantaneamente e tutt'ora non era cambiato il rapporto.

«Sta sera non mi va, sono ancora rincoglionito da ieri sera, sai com'è Danny, mi fa superare ogni limite.» Sbuffai una risata, appoggiando l'unica birra che, da ore stavo sorseggiando, sul tavolo finita.

«Vado a fumare una sigaretta. Non ubriacarti troppo…» Avvisai il ragazzo moro, che annuì e riprese a ballare con una donna.

Cercai di farmi spazio tra le persone; il caos del locale spegneva per un secondo il mio, dandomi quel senso di confusione gradita. Meno capivo, meno pensavo.

Chiedendo permesso e dovendo arrivare quasi a spingere due ragazzi che stavano esagerando con le effusioni, mi accorsi come il telefono stesse vibrando nella tasca e così lo tirai fuori. 

Segnalava un numero sconosciuto e non avendo niente di meglio da fare risposi: «Pronto?» Mi dovetti tappare l'orecchio e aumentai il passo per uscire dalla porta principale.

«Pronto, chi è?» Domandai nuovamente una volta che la mia pelle venne a contatto con l'aria fresca. Appoggiai il filtro aranciato tra le labbra, con l'accendino accesi la fiamma per arrivare a bruciarne l'estremità.

Dall'altro lato sembrava regnare il silenzio, alcuni respiri attutiti però mi misero in allerta.

«Mi senti? Chi sei?» Continuai, senza ricevere risposta, il fiato soffocato continuava ad aumentare il ritmo, potevo sentirlo. Buttai fuori il fumo, aspettando qualcosa, che però non arrivò, all'interno della mia mente venne ricostruita un'immagine.

«Kyla, sei tu?» Azzardai, rimanendo in ascolto a ogni minimo rumore dall'altra parte.

«Ti prego… No… Non…» La sua voce arrivò, diversa, spezzata, quasi stanca. Nella mia mente partì un campanello d’allarme, ricordando la scena di qualche giorno prima e l'istinto reagì ancora prima che potessi pensare lucidamente.

«Sto arrivando.» 

Cercai nella rubrica il numero dell'australiano, digitando velocemente la richiesta della via dell’appartamento, lui ci mise qualche minuto a rispondere ma senza fare domande, la inviò, aggiungendo il piano. Tra me e Daniel, il rapporto era basato sul chiedere e avere, dare fiducia senza esitare, per questo riuscivamo a rapportarci in questo modo. Così pulito e liscio.

Ingranai la marcia della Porche, senza esitare, quasi non riuscendo a controllarmi. Perché stavo agendo così? Riordinai i pensieri e catalogai ogni mio movimento; non era nuovo che scegliessi di fare determinate cose senza un minimo di ragione, ma lei cazzo, aveva distrutto la mia reputazione ancor prima che io sapessi il suo nome.

Mi scervellai all’idea di girare l’auto e tornare alla serata, più e più volte incontrando delle rotonde ripensai a curvarla completamente e lasciar perdere. 

Il pensiero di sapere che cosa stesse succedendo però, mi tormentava e arrivai finalmente sotto il palazzo delle due ragazze. Scesi quasi correndo e incrociai una signora che proprio in quel momento, stava uscendo dal portone e gentilmente tese la mano per tenerlo aperto. 

Entrai nell’ascensore e arrivai al piano, passando in rassegna le porte sull’intero corridoio, una attirò la mia attenzione, sembrava socchiusa e lentamente mi avvicinai.

Spinsi la maniglia, ritrovandomi un piccolo ingresso, mentre a sinistra appoggiato al muro bianco c’era un mobiletto con uno specchio. Un portachiavi attirò i miei occhi, aveva il logo della Ferrari, non poteva essere una coincidenza.

Avanzai ancora, superando il varco con più sicurezza e fu quando chiusi la porta, che iniziai a udire dei sospiri, lenti poi veloci, nuovamente soffocati… Dovetti muovermi ad arrivare al soggiorno e quello che vidi lasciò me senza fiato.

Kyla giaceva sul pavimento, stordita quasi, teneva a sé strette le sue ginocchia, come se avesse bisogno di un contatto. Rimasi immobile, avrei voluto chiamare il suo nome, ma le parole erano svanite. Più la guardavo, più rivedevo la mia sorellina, esile e così incasinata da non riuscire a tirar fuori una minima emozione. Tenendosi tutti i suoi mali solamente per sé.

Mi sedetti sul tappeto, al suo fianco, indeciso sul da farsi, dato che l’ultima volta ero stato respinto. I suoi respiri erano ancora pesanti, non riuscivo a capire se fosse al corrente della mia presenza perché i suoi occhi sembravano vuoti, fermi a guardare in basso. I suoi capelli erano per metà sul suo viso, nascondendone una parte.

Notai ancora il telefono sbloccato nella sua mano, decisi di toglierlo e appoggiarlo sul pavimento, lei grazie a quel movimento sembrò svegliarsi. Quasi il fiato le mancò, accorgendosi della mia vicinanza a lei in quel momento, si sforzava di tirar fuori una parola, una frase, ma non faceva che peggiorare.

Allungai una mano sul suo viso e quasi scottandomi, mi obbligai ad appoggiarle il pollice sulle labbra, per consigliare di non parlare. Una lacrima scappò dai suoi occhi, percorrendo una linea immaginaria, come se conoscesse la strada di passaggio, attraversandola fin troppo spesso. 

«Kyla» Sussurrai avvicinandomi, portando la sua testa sul mio petto «Ora passa… Shh…» Continuai a cullarla lentamente, assaporando il suo profumo ancora una volta così vicino.
Il suo corpo tremava, a volte forte, altre diminuiva il ritmo. Qualche volta sembrava volesse dirmi qualcosa, ma riprendeva a far accelerare il suo respiro, lasciando che ogni cosa rimanesse segreta e non detta.

Dopo un tempo indefinito mi resi conto di essere sul punto di addormentarmi, sbattei più volte le palpebre per abituarmi al buio e non udii nessun suono proveniente dalla sua bocca. 

Piegai il volto nella direzione del suo, guardando come sul suo viso regnasse pace, l’esatto contrario di qualche momento prima. Senza muovermi, tirai fuori il telefono dalla tasca, osservando che non si trattasse di un momento, ma di ormai quasi due ore dal mio arrivo.

Mi alzai, portando la ragazza su e rimettendo la sua testa nuovamente appoggiata a me, quasi al rallentatore, avendo paura di svegliarla.

La scortai fino a quello che credetti essere il suo letto, con una mano aprendo la coperta. La appoggiai sul materasso, vedendo che emesse qualche suono silenzioso al contatto con il lenzuolo freddo. Mi trovai a osservarla per più di qualche momento, confuso su come comportarmi. Uno sbadiglio mi colse alla sprovvista e mi appoggiai nel lato opposto al suo per chiudere gli occhi qualche secondo, forse alla guida mi sarei addormentato.

Dov’era Max Verstappen? Che fine aveva fatto?

Sembrava che la mia abitudine al buio non facesse eccezioni, obbligando il mio corpo a rigettare la luce. Allontanandola con forza e quasi timore. 

La sensazione di dover socchiudere gli occhi alla non abitudine del sole, che ti costringe a rimanere con le palpebre abbassate, spaventandoti all’idea di non sapere se riuscirai mai ad aprirle.

Oppure la sfortuna di addormentarti al calore del giorno, la pelle soffre, così intensamente da indurti a coprirti, o a spostarti dalla traiettoria dei raggi, svegliandoti. 

Ma accettai l’idea di lasciarmi andare, sonnolento, al senso di bruciore costante che mi avrebbe carbonizzato vivo. 

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L'aesthetic di questo capitolo 👀

Come state? Vi ringrazio a chi è arrivato fino qui✨

Questo capitolo è diverso dal solito, forse anche leggermente più corto, ma racchiude più cose degli altri.

Come puoi apprendere le tue mancanze, se l'insegnante decide che l'inesattezza sei tu?
Scrivere di Max Verstappen in un certo senso, mi fa bene al cuore, tirar fuori tutte le mie debolezze, tutte le mie domande e trasformarle in quelle che credo siano le sue.

Per quello spesso dico che siamo uguali, quando nell'operazione togli le debolezze, rimane solo indifferenza, però gli altri proprio per questo ti guardano nel peggiore dei modi.
Ed è sempre un don't apologize for winning.
Perché scusarsi per i propri successi, per le vittorie, per essere quello che si è, non ha mai portato nessuno da nessuna parte.

Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, guardandolo dagli occhi di un ragazzo, che non sa che i pezzi di puzzle sono creati per il contrario della solitudine. ❤️ Ci vediamo giovedì alle 17.

Grazie per leggermi.

A presto,

ire

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