𝑪𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 𝟒

ENRICO

25 dicembre 2008

Dopo la messa di mezzanotte, ci eravamo trattenuti con la vecchia compagnia del catechismo in una delle sale della parrocchia per mangiare una fetta di panettone e fare un brindisi, rigorosamente analcolico, visto che noi ragazzi più grandi avevamo solo quattordici anni. Gli adulti avevano aperto lo spumante, ma non lo avevano condiviso con noi. Una vera ingiustizia, ma l'unica cosa che mi importava in quel momento era porre fine alla serata e andare via. Il giorno dopo, io e la mia famiglia avremmo passato il pranzo di Natale a casa dei miei zii, sempre se i miei genitori non avessero trovato una scusa per non presentarsi. Era già accaduto, dunque, non ne sarei rimasto sorpreso. Loro odiavano le festività, li distraeva troppo dal lavoro e, da quando era arrivato Brando, avevano trovato il modo migliore per lavarsene le mani: la sera della Vigilia mi mandavano a dormire dagli zii, in modo che la mattina dopo avrei aperto i regali di Natale in un ambiente più caloroso.

Io ero felice così. Mamma e papà mi davano tutto senza darmi niente che importasse davvero. Per anni avevo cercato di farmi vedere da loro, sia con le buone che con le cattive, ma quando avevo capito che tutto quello che facevo era inutile, che i miei capricci e i miei dispetti servivano solo a irritarli di più, avevo messo il cuore in pace e deciso di prendere solo quello che erano in grado di offrire: soldi e beni materiali.

L'affetto lo avrei ottenuto da chi era disposto a donarmelo senza che lo chiedessi: al primo posto c'era mia nonna, poi Brando. Erano cinque anni che Brando era in affido dai miei zii. Dal primo giorno in cui ci eravamo incontrati, si era creata subito una forte intesa tra di noi, come se avessimo riconosciuto che avevamo bisogno l'uno dell'altro. Io avrei lenito le sue ferite, e lui avrebbe riempito la mia solitudine. Così era stato e così continuava a essere. Frequentavamo la stessa scuola, perciò, passavamo tantissimo tempo insieme. Ma non ci pesava, anzi, quando eravamo distanti, ci cercavamo per ricongiungerci.

Eravamo cugini, ma soprattutto migliori amici.

Solo che, da un po' di tempo, qualcosa era cambiato. Le notti che passavamo uno a casa dell'altro erano diventate un tormento. Dormivamo nello stesso letto, spesso abbracciati, e con i visi talmente vicini che i nostri respiri si mescolavano. La prima volta che avevo sentito qualcosa di duro contro la mia coscia, rimasi sconcertato. Brando aveva continuato a dormire, forse senza neanche accorgersi della situazione, ma io avevo creduto di morire per l'imbarazzo. Soprattutto, perché anche a me era venuto duro, e non sapevo come gestirlo.

Quando capitava, cercavo di rilassarmi pensando a qualcosa di poco eccitante, ma non sempre funzionava e molto spesso dovevo andare in bagno a scaricare la tensione che si era accumulata.

Quella notte, però, ero intenzionato a scoprire se anche lui avesse i miei stessi desideri. Dovevo correre quel rischio, o sarei presto impazzito.

Arrivammo a casa dei miei zii, dove ci accolsero le luci accese dell'albero di Natale e del presepe. Vivevano nella stessa via della mia famiglia, un paio di ville a destra della nostra.

«Buonanotte, ragazzi. Fate bei sogni» Mia zia ci schioccò un bacio sulla guancia e si ritirò in camera sua con mio zio.

Io e Brando ci preparammo indossando i pigiami e, dopo pochi minuti, ci coricammo a letto.

Eravamo posizionati su un fianco, in modo da guardarci negli occhi. Lui era molto più alto di me, perciò, stava rannicchiato con le ginocchia quasi al petto. Da sempre, teneva i capelli neri lunghi, mentre non era tanto che una timida peluria gli stava sbucando sulle guance. Era... bello, e avrei voluto toccarlo.

«A cosa pensi?» Mi chiese, dopo diversi minuti di silenzio.

«A niente.» Mentii, con il cuore che cominciava a martellarmi nel petto. Speravo che non ne sentisse il rumore, o avrei fatto la figura dello stupido.

«Bugiardo. È tutta la sera che nascondi qualcosa. Sei strano da quando è iniziata la messa.» Brando sapeva leggermi dentro meglio di chiunque altro.

Inspirai per prendere coraggio.

«È che... da un po' di tempo vorrei fare una cosa. Ma ho paura.»

«Di cosa hai paura?»

«Che le cose tra noi si rovinino.»

«È impossibile. Io non lo permetterò mai.»

«Non puoi saperlo con certezza.»

«Lo so, invece.»

«Perché?»

«Perché non rinuncerò mai a qualcosa che è mio.»

Ebbi un brivido a quelle parole. Erano possessive, ma mi davano sicurezza e uno scopo. Aveva ragione, niente avrebbe rovinato le cose tra noi.

«Ora dimmi a cosa pensi.» Continuò, senza smettere di fissarmi negli occhi.

«A baciarti.»

Tu-tum. Tu-tum. Tu-tum.

Rimasi immobile in attesa che facesse una mossa. Lo avevo detto e non potevo più rimangiarmi quelle parole.

Brando fece un ghigno dei suoi. I suoi sorrisi non erano mai allegri, c'era qualcosa nel suo animo che gli impediva di essere felice al cento per cento. Lo capivo, con tutto quello che aveva passato da bambino...

Senza rispondermi, avvicinò il suo viso al mio fino a far scontrare i nostri nasi. Un dito si posò sulle mie labbra e iniziò a muoversi come volesse disegnarne i contorni. Ero eccitato da matti, curioso di scoprire come sarebbe stato baciarlo e timoroso delle conseguenze a cui avrebbe portato.

«Quindi, per Natale vorresti soltanto un bacio?»

«S-sì. Credo sarebbe un bellissimo regalo.»

«Sei proprio dolce, sai?»

Dopodiché, realizzò il mio desiderio. Unì le labbra alla mie, inizialmente facendo solo una leggera pressione. Poi, con la lingua cercò il punto di accesso per la mia bocca. Dischiusi le labbra e, finalmente, demmo inizio al nostro primo bacio.

Il mio corpo era diventato rovente, e più le nostre lingue si intrecciavano, più avrei voluto che quella notte non finisse mai. Continuammo a lungo, entrambi insaziabili ed esigenti, ma mantenemmo la distanza dei nostri bacini perché non eravamo pronti per altro.

Non scambiammo nessuna parola, e alla fine ci addormentammo con le fronti che si toccavano e le mani intrecciate ai capelli dell'altro.

Sì, era il più bel regalo di Natale che avessi mai ricevuto.

3 giugno 2023

Un urlo mi svegliò all'improvviso. Non mi spaventai, però, perché dopo tanti anni ero abituato ai suoi incubi. Fortunatamente, con il passare del tempo, erano diventati sempre meno frequenti, ma non sarebbero mai spariti del tutto.

«Ehi, calmati, sono qua.» Afferrai le braccia di Brando che si stavano muovendo convulsamente, e cercai di tenergliele ferme.

«Tranquillo, è solo un sogno.» Le mie parole, appena sussurrate, ebbero un immediato effetto calmante. Il suo corpo si quietò, così presi ad accarezzargli la fronte che era madida di sudore.

«Mamma... papà... perché?» Mugolò nel sonno prima di riprendere un respiro regolare.

Certi traumi non erano facili da superare e ne avrebbe patito le conseguenze per tutta la vita. Fino alla maggiore età, Brando era stato seguito dagli psicologi. Ne aveva cambiati parecchi, e aveva passato lunghi periodi senza fare psicoterapia. A detta sua, nessuno lo aveva mai aiutato davvero ed era sempre stata una perdita di tempo. Così, all'età di diciotto anni, aveva interrotto definitivamente il percorso. Diceva che gli bastava la mia presenza per stare meglio. Come in quel momento.

Dipendevo da lui perché aveva bisogno di me.

Lo abbracciai stringendolo forte, poi mi abbandonai nuovamente al sonno.

***

«Enri?»

«Uhm?»

Una stilettata di piacere infiammò un punto imprecisato del mio basso ventre, seguito da una scia umida che si mosse fino al mio inguine.

Mi svegliai del tutto e per istinto portai una mano tra le gambe, con il risultato di impattare sulla testa di Brando che aveva deciso di occuparsi della mia erezione mattutina.

Cazzo!

Brando mi aveva sfilato le mutande per liberare il sesso duro e masturbarlo, mentre con la lingua stuzzicava la punta bagnata. Sapeva quello che mi piaceva, e si prodigava nel farmi godere.

«Ti va?» Mi chiese con un verso roco carico di desiderio. «Non ce la faccio più a farmi le seghe di nascosto. Ho una gran voglia di scopare il mio fidanzato...»

Accompagnò le sue parole cercando la mia apertura e iniziando a massaggiarla.

Non ero ancora pronto per tornare a fare sesso con lui, ma non avrei potuto procrastinare ancora a lungo. Perciò, tanto valeva approfittare del lavoro già in corso.

«Sì, d'accordo. Ma fai piano, per favore.»

«Sarò delicato come una piuma.» Il suo tono era ironico e sapevo che dopo essere entrato dentro di me si sarebbe fatto prendere dall'impeto. La maggior parte delle volte mi piaceva più rude... non sempre, però.

Cercai di rilassarmi e di concentrarmi solo sulle sensazioni che provavo. La stanza era in penombra, ma chiusi lo stesso gli occhi.

Fu un errore. La mia mente traditrice mi impose la figura di un ragazzo dal sorriso malizioso, circondato da lentiggini che raggiungevano i suoi grandi occhi verdi, e i capelli rossi. 

Dio, perché mi stai facendo una cosa simile proprio adesso?

Per tutta risposta, il Filippo della mia fantasia si abbassò a cercare la mia erezione per prenderla fino in gola. La sua bocca era delicata come una rosa, ma decisa nel succhiare, felice di assaporare ogni goccia di liquido pre-seminale che riusciva a leccare via.

Chissà come sarebbe nella realtà...

«Voltati.» Il tono basso e perentorio della voce di Brando si trasformò nelle mie orecchie in un suono più acuto e gentile.

"Che cosa ti piace, Enri?" Il finto Filippo mi fece la stessa domanda che gli avevo posto la notte che avevamo fatto sesso, e io gli risposi alla stessa maniera di come aveva fatto lui: "tu, mi piaci tu. Tantissimo."

Mi girai, mettendomi carponi. Aprii le gambe e inarcai la schiena, desideroso di essere preso da quel ragazzino solare che non aveva niente a che fare con l'uomo che stava, in realtà, dietro di me. Pochi secondi dopo, un dito lubrificato, che cercai di immaginare premuroso invece che rude, iniziò a prepararmi. Due dita, tre dita... mi allargavano muovendosi nel modo giusto.

«Ora ti scopo.» Affermò Brando.

"Sei pronto? Dimmi se lo sei." Chiese l'immagine di Filippo.

«Sono pronto.» Confermai.

«Sei proprio su di giri stamattina. Se avessi saputo che bastava un pompino a sorpresa, lo avrei fatto prima.»

"Sei stupendo... non sai quanto ti ho desiderato senza sapere se mi ricambiassi."

«Ti prego, riempimi. Voglio sentirti dentro di me.» Implorai, muovendo il sedere per andare incontro al cazzo di Brando. Ero eccitato, però, come se fossi con Filippo. Sapevo che era tutto sbagliato, ma non avrei spezzato quell'incantesimo.

La mia richiesta fu esaudita, e Brando mi prese con un'unica spinta, mozzandomi il respiro. Il fastidio fu più intenso di quanto mi aspettassi e non riuscii a trattenere un grido sofferente.

«Ops, mi sa che mi sono lasciato prendere dal momento.»

"Scusa, non volevo farti male. Posso muovermi?"

«Muoviti.» Mi sarei abituato presto.

Brando iniziò a scoparmi con forza, come mi ero aspettato, coricandosi sulla mia schiena per mordermi una spalla. Questa volta riuscii a reprimere il gemito di dolore. Nella mia testa, al posto dei denti che dilaniavano, si erano posate labbra che baciavano.

Mi afferrai l'erezione per masturbarmi, mentre i colpi battevano sul punto del mio piacere. Non ci avrei messo molto a raggiungere l'apice.

«Oh sì, come mi era mancato il tuo culo. Sei così stretto.»

"Non riesco ancora a crederci... sei così caldo. Amo poter stare dentro di te."

«Non ti fermare.» Incitai.

«Sto per venire. Oddio, sì, cazzo.»

"Enri... ci sono. Enri..."

Gli orgasmi esplosero quasi in contemporanea. Il loro dentro di me, il mio a imbrattare le lenzuola. Ero frastornato dall'intensità con cui ero venuto, talmente tanto che ormai non distinguevo più sogno e realtà.

«Scheggia...»

«Scheggia?» Domandò Brando, con ancora l'affanno, mentre si sfilava via dal mio corpo

Oh, cazzo! Cosa diamine ho detto? Questo è troppo...

Rimasi immobile, aspettando l'inevitabile scoppio di rabbia. Il cuore mi batteva all'impazzata.

Ci fu, invece, una risata fragorosa, seguita dallo schiocco sonoro di uno schiaffo sul mio sedere. Ero talmente stupito che non lo sentii neanche bruciare.

«Vuoi dire che sono stato così veloce? Si vede che tutta l'astinenza a cui mi hai sottoposto ha fatto il suo effetto.» Aveva frainteso. Per mia fortuna. Con un sospiro mi accasciai sul materasso, esausto.

«Già. Velocissimo, non hai più il fisico.» Fu l'unica cosa che riuscii a rispondere.

«Ehi, fai poco il furbo, che sei più giovane di me solo di nove mesi. Vado a lavarmi che devo scappare a lavoro.» Mi diede un bacio sul collo e si alzò lasciandomi solo.

Che cazzo mi era saltato in mente? Diverse volte avevo fantasticato mentre facevamo sesso, com'ero sicuro che lui facesse altrettanto, ma non ero mai arrivato al punto di pronunciare il nome di un'altra persona. Anche perché era la prima volta che immaginavo qualcuno che conoscessi e che mi piacesse così tanto.

Mi sono fottuto il cervello.

Perché non mi passava?

***

Per pranzo, mangiai un po' di pane e prosciutto senza neanche sedermi al tavolo. Quel pomeriggio lo avrei passato in garage a fare un po' di manutenzione alle bambine, e magari il giorno dopo avrei preso il Ninja per andare a correre su qualche strada. Per il livello di frustrazione che avevo addosso, il passo del Tomarlo sarebbe stato l'ideale, con le sue curve che ti facevano accelerare sempre di più.

Brando era andato in palestra e sarebbe rientrato alle quattro. Non avevo intenzione di farmi trovare a casa fino all'ora di cena.

Indossai la t-shirt, i jeans rovinati e macchiati di grasso con cui facevo i lavori sulle moto e uscii di casa per salire dai miei a prendere le chiavi del box. Vivevo nella dependance della loro villa da quando avevo diciotto anni. A loro non era cambiato molto: continuavano a mantenermi alla stessa maniera, ma mi vedevano meno frequentemente. Per qualche anno ci avevo vissuto da solo, poi Brando si era trasferito da me e, da allora, convivevamo. Le volte che eravamo in pausa, tornava dai suoi, che a loro volta disponevano di un appartamento simile al mio destinato all'unico figlio.

Mio nonno aveva diviso equamente le sue proprietà tra le figlie, e io e Brando, a nostra volta, avremmo ereditato tutto. A differenza sua, però, io un giorno avrei ricevuto in carico anche la società informatica di famiglia, di cui mia zia aveva venduto tutte le quote a mia madre rendendola unica proprietaria. Era la sola cosa che apprezzavo davvero del nostro patrimonio, e avevo iniziato a lavorarci fin da quando avevo concluso il mio percorso di studi come ingegnere gestionale.

Entro un paio d'anni mi sarei iscritto a un MBA per completare la mia formazione da futuro manager. Avevo un destino scritto anche nella mia vita professionale.

«C'è qualcuno in casa?» Chiamai appena varcata la porta d'ingresso. Come unica risposta ci fu solo la mia eco. Ero sicuro, però, che ci fosse almeno mio padre, perciò, lo cercai nel suo studio al primo piano.

Rodolfo Bianchi, avvocato minorile, era intento a studiare le carte di qualche caso di cui si stava occupando. Tutti i bambini che rappresentava potevano stare certi che si sarebbe prodigato al massimo per garantir loro una vita migliore. Se avesse messo lo stesso impegno con me, avrebbe vinto il premio come miglior padre dell'anno.

Quando lo salutai non alzò neanche lo sguardo, troppo concentrato a cercare i cavilli a cui aggrapparsi per vincere il prossimo caso in tribunale.

«Che ti serve?» Mi chiese.

«Le chiavi del garage.»

«Sono al solito posto.»

«Lo so, ma mi sembrava carino passare a salutarti.»

Solo a quel punto si degnò, finalmente, di dedicarmi cinque minuti del suo preziosissimo tempo.

«Scusami. Vuoi un caffè? L'ho fatto poco fa e dovrebbe essere ancora caldo.» Indicò il bollitore su un mobiletto accanto alla finestra.

Scossi la testa. «No, sai che non bevo quella schifezza americana che continui a farti. Quando mi offrirai un espresso decente, accetterò il tuo caffè.»

«Mettiti il cuore in pace allora. Domani vai in giro?»

«Credo di sì. Prenderò il Ninja.»

«Vuol dire che hai pensieri pesanti.»

Non risposi. L'unica cosa che condividevamo io e mio padre era la passione per le moto. Ne avevamo tante e per diversi scopi: viaggiare, correre, fare cross.

In base a quella con cui uscivo, lui capiva il mio stato d'animo. Non chiedeva dettagli, ma mi lanciava occhiate di comprensione, come a dire "so come ti senti, anche se non so perché".

«Ci vediamo tra qualche oretta se sarai ancora a casa.»

«Non lo so, credo staccherò per andare a tirare due colpi al golf.»

«Ok, allora ciao. Salutami la mamma.»

«Sarà fatto. Ciao.»

Presi le chiavi dal portaoggetti in argento e lasciai lo studio chiudendomi la porta alle spalle.

***

Il garage si trovava a un centinaio di metri dalla nostra abitazione. Era uno spazio enorme che valeva più di un appartamento in uno dei quartieri periferici di Genova.

Tirai su la serranda e inalai l'odore di miscela di cui era impregnata l'aria. Quel posto era il mio rifugio, il luogo dove potevo rintanarmi per stare da solo a mettere a posto i miei pensieri. Lì, o in sella a una delle mie moto.

Quel giorno avrei fatto un po' di lavoretti sul Ninja: pulizia del filtro e della catena, cambio olio, sostituzione delle pastiglie dei freni... Insomma, cose di ordinaria manutenzione a inizio stagione. Dopo il giro del giorno dopo, l'avrei lavata e lucidata rendendola come nuova. Ero maniacale con le mie bimbe.

Il mio desiderio più grande era quello di comprare una moto per andare a correre in pista ma, purtroppo, al momento non avrei avuto tempo per prendere un impegno simile e la pista più vicina era a Cremona. Non propriamente comodo. Probabilmente sarebbe rimasto un sogno nel cassetto, ma non mi lamentavo.

Passai un'oretta a lavorare, sporcandomi da testa a piedi. Alla fine, mancavano solo le pastiglie dei freni.

Mi venne in mente che le avevo comprate e sistemate nella parte alta del mobile in cui tenevo tutta l'attrezzatura necessaria.

Essendo alto poco meno di un metro e settanta, presi lo sgabello per raggiungere il ripiano desiderato. Non era, però, sufficiente e mi sollevai sulle punte dei piedi, allungando il braccio in cerca della scatola giusta. Tastai un bel po' a tentoni prima di trovarla.

«Se fossi arrivato prima, ti avrei preso io quello di cui hai bisogno.»

La voce improvvisa di Brando mi fece sussultare. Dallo spavento, persi l'equilibrio e lo sgabello scivolò via da sotto i miei piedi. Non riuscii a tenermi a niente che potesse sorreggermi.

Pochi secondi e poi un dolore acuto alla faccia fu seguito dal buio.

***

SPAZIO AUTRICE: Ok, a sto giro ho anticipato di brutto! Ma stavo in attesa del treno per una trasferta e non vedevo l'ora di pubblicare il primo capitolo (di tanti) con un flashback sul passato di Enrico e Brando 😂 quanto ero dolcini prima che le cose tra loro degenerassero? 🥹 non che qualche segnale non fosse già evidente... ma che volete farci? Sono ragazzi!

Arriva anche la prima scena spicy... una di quelle che forse il lettore non vuole vedere! ❤️‍🩹 A me piace molto... Quello che io definisco lo spicy triste 🥲 Enri, Enri... ma che ti ha fatto Scheggia??

Per finire, incontriamo il primo membro della famiglia di Enri... il simpatico papà 🥲 Decisamente a Enri servono nuovi affetti su cui contare!

E il finale?? A cosa porterà ?? Lo scoprirete giovedì sera! 💕

Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina e ricordate che ogni feedback è sempre ben gradito ! 🫶🏻

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