𝑪𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 𝟏𝟗

ENRICO

15 ottobre 2003

La pista era quasi finita. Partiva dalla porta della mia cameretta e occupava tutto il pavimento fino alla finestra dalla parte opposta della stanza. Era la più grande che avessi mai costruito, con un sacco di curve e giri della morte. Non vedevo l'ora di farci correre le macchinine elettriche. Sarebbero andate velocissime, e io sarei diventato il pilota numero uno. Cercai la mia preferita, quella rossa con le fiamme sulle portiere, e la posizionai in una delle cinque corsie sulla linea di partenza. Poi, presi quella nera e la misi subito accanto. Le altre tre postazioni sarebbero rimaste libere, perché, giocando sempre da solo, non riuscivo a gestire più di due telecomandi.

«Attenzione!» proclamai mettendo le mani a megafono davanti alla bocca. «Sta per partire il gran premio di macchinine elettriche. I piloti Nicky Lauda e James Hunt si scontreranno per il titolo di campioni del mondo. Pronti, partenza e...»

«Enrico?»

Non ebbi neanche il tempo di far partire la gara che la porta si spalancò, e mio padre entrò in camera inciampando sulla pista che esplose con un rumore fastidioso.

«Papà, no! L'hai rotta.» Urlai, lanciandomi a recuperare i pezzi di plastica prima che venissero calpestati ancora di più.

«Non dire assurdità, si è solo smontata. Se non l'avessi fatta così grande da impedire il passaggio, non sarebbe successo niente.» Invece di aiutarmi ad aggiustarla, si sedette sul mio letto con aria seria. I miei genitori non giocavano mai con me, sostenendo che non avevano tempo da perdere con le cose da bambini. Per questo, dovevo inventarmi sempre nuovi modi per non annoiarmi in quella casa. Solo a scuola mi divertivo e, infatti, odiavo il sabato e la domenica perché non ci potevo andare.

«Che ci fai qua?» gli chiesi sospettoso. Lui puntò i suoi occhi su di me, fino a farmi sentire come se avessi combinato qualcosa di sbagliato. Eppure, ero sicuro di non aver fatto niente questa volta.

«Enri, c'è una persona giù in salotto che devi conoscere, ma prima devi promettermi una cosa. Va bene?»

«Come faccio a promettere senza sapere di cosa si tratta?» ribattei solo per il gusto di non dargliela vinta subito.

«Perché se lo farai potrai ottenere una cosa molto preziosa.»

Rimasi in silenzio, soppesando le sue parole. Mio padre non mentiva mai sulle faccende importanti, e sentivo che quella lo era molto.

«Qual è il premio?»

«Un amico che avrai sempre al tuo fianco e che potrà giocare con te ogni volta che vorrai.»

***

Scesi le scale dietro a mio padre con il cuore che mi batteva all'impazzata. Stavo per ricevere il premio più bello che mi fosse mai stato promesso, ottenuto pagando un prezzo talmente irrisorio che sembrava quasi regalato. Una promessa facilissima: "Non chiedergli mai dei suoi genitori naturali". Perché avrebbe dovuto importarmene? I suoi nuovi genitori erano i miei zii, lui sarebbe stato mio cugino e il mio migliore amico. Di tutto il resto non mi sarebbe interessato.

Prima di entrare in salotto, mio padre mi afferrò per le spalle e cercò nei miei occhi la fiducia che gli avevo garantito.

«Ci siamo intesi? Se vorrà parlartene sarà lui a farlo, ma tu non farai mai domande.»

«Te lo prometto, papà.»

«Bravo, Enri. Andiamo ora.»

Mi prese per mano e mi condusse in sala, dove c'era il resto della famiglia: mia madre, nonna Augusta, zia Aurelia, zio Carlo e... quel bambino così... strano, che cercava di nascondersi invano dietro alla schiena di mia zia. Lei si spostò e, afferrandolo delicatamente per le spalle, lo accompagnò davanti a sé, così che potessimo essere faccia a faccia. Non era come me lo sarei aspettato. Era più alto di me, ma così magro che avrei potuto prendere il suo polso tra pollice e indice. I capelli lunghi e neri gli coprivano in parte la faccia, ma riuscivo a scorgere lo spavento dentro i suoi occhi neri come il mantello di Batman.

Nella stanza era calato il silenzio. Sembrava che gli adulti si fossero accordati per lasciare a noi la prima mossa. Non sapevo cosa fare, ma avevo la sensazione che toccasse a me parlare.

Mi umettai le labbra con la lingua e deglutii per prendere coraggio: «Io sono Enrico, e tu come ti chiami?»

Il bambino continuava a osservarmi, indeciso se rimanere fermo o venire verso di me. Per toglierlo d'impaccio, mi mossi io e allungai una mano nella sua direzione.

«Se mi dici il tuo nome,» continuai, cercando di infondergli sicurezza, «posso diventare il tuo migliore amico. Papà ha detto che possiamo giocare insieme quando vogliamo perché abitiamo vicini e ora sei parte della famiglia.»

A quel punto, sembrò convincersi delle mie parole. Si avvicinò e, quando mi fu di fronte, toccò con timidezza la mia mano protesa.

«M-mi chiamo Br-Brando. Posso davvero essere tuo amico?» La sua voce era così bassa che non fui neanche sicuro di averla sentita davvero, ma era carica di sorpresa. In quel momento capii che io e lui eravamo uguali: soli e bisognosi di qualcuno che fosse sempre al nostro fianco.

«Certo, saremo amici per sempre. Tu ed io.»

24 luglio 2023

«Conosco Brando da vent'anni. Lui non mi ha mai parlato di cosa è accaduto ai suoi genitori naturali e io ho mantenuto la promessa che feci quel giorno a mio padre.» Concluso il mio discorso, mi sentii improvvisamente più leggero. Non avevo mai raccontato il mio primo incontro con Brando in maniera così sincera, senza cercare di omettere il bisogno che sentivo all'epoca di avere qualcuno di importante nella mia vita.

La dottoressa Caligola aveva ascoltato attentamente senza interrompermi mai, annuendo di tanto in tanto in segno di comprensione. Sedevamo nel suo studio su due comode poltrone, uno di fronte all'altro senza alcuna scrivania tra noi. Era la prima volta che decidevo di andare in terapia e non avevo nessuna idea di cosa aspettarmi. La psicologa, una giovane donna che non raggiungeva i quarant'anni, mi era stata consigliata da Paolo, ed era la stessa che lo aveva seguito quando ne aveva avuto bisogno lui l'anno precedente.

"Il primo passo per iniziare a star bene è ammettere di avere un problema e decidere di affrontarlo", aveva detto mio cugino quando gli avevo chiesto l'ennesimo consiglio su come uscire dalla mia situazione. Ci avevo messo una settimana per decidermi a prendere l'appuntamento e altre due per ottenerlo. Avevo dunque perso quasi un mese di tempo, giorni preziosissimi in cui Filippo aveva iniziato a uscire ufficialmente con quel figlio di puttana che si era pure preso il merito del mio regalo di compleanno.

Quando avevo visto la storia su Instagram dei fiori, a rimetterci era stato il posacenere in cristallo che tenevo sulla scrivania del mio ufficio come porta graffette. Era esploso in mille pezzi, e a quel punto avevo capito di aver raggiunto il mio limite di sopportazione. Congratularmi con Fil per la sua nuova frequentazione era stata una delle cose più difficili della mia vita, ma in quel momento non avevo potuto fare altro. Non ero pronto per lui, i fiori dovevano essere un gesto per fargli capire che gli sarei stato lontano ma senza arrendermi del tutto, certo che Filippo mi avrebbe dato il tempo necessario per chiudere la mia vecchia vita e iniziarne una nuova.

Ero sicuro che avrebbe avuto la sensibilità giusta per concedermi questo spazio, senza chiedermi niente, ma non avevo tenuto in considerazione che i fiori sarebbero finiti nelle mani sbagliate rovinando tutte le mie buone intenzioni. Dopo aver raccolto tutti i cocci, avevo chiamato Paolo per implorarlo di non dire la verità a Fil. Lui aveva acconsentito con un sospiro esasperato; forse, non sopportava già più di essere coinvolto nei miei casini, ma ero grato di averlo al mio fianco come amico.

Con Brando, invece... stavo ancora procrastinando, ma solo perché non volevo farla finire in tragedia e avevo bisogno dell'aiuto di chi mi stava di fronte in quel momento.

«In tutti questi anni, come ti ha fatto sentire non conoscere il passato di Brando?»

Riflettei su quella domanda qualche secondo, prima di rispondere. «Per diverso tempo, non mi è davvero interessato sapere la verità. Pensavo fosse un aspetto della sua vita che meritasse di rimanere intima. Però, oggi, sento che questo segreto ha messo una barriera tra noi. Non dico che sia l'unica causa che ci ha portati negli anni ad allontanarci, anzi, ma mi fa chiedere come mai non abbia mai sentito l'esigenza di aprirsi con me. Sono sempre stato al suo fianco e continuo a tenerlo tra le mie braccia quando si sveglia nel cuore della notte in preda agli incubi, o durante i suoi attacchi di panico. Non capisco, perché non mi ha mai dato la sua fiducia?»

Mi resi conto di aver alzato il tono della voce, ma una rabbia nuova si era impossessata di me. Una che mi diceva che avevo buttato anni a prendermi cura di una persona senza sapere se lo stessi facendo nel modo giusto.

La dottoressa Caligola non si scompose per il mio cambiamento repentino; immaginavo assistesse a reazioni ben peggiori della mia. «Non conoscendo Brando e la sua versione dei fatti, non posso azzardare ipotesi sulle sue motivazioni. Quel che vorrei chiederti, Enrico, è la ragione che tiene te ancora legato a questo ragazzo. Sei venuto qua con l'obiettivo di trovare il coraggio di separarti da lui. Mi hai raccontato la vostra storia, compresi i suoi frequenti tradimenti e il suo rapporto con la tua vitiligine. Sei il primo a percepire un allontanamento reciproco, e non è una sensazione degli ultimi giorni ma di anni. Dunque, perché sei ancora con lui?»

Eccola lì, la fatidica domanda che da troppo tempo rimbombava violenta nella mia testa. Pronunciata da una voce pacata e rassicurante, che non giudicava ma aiutava a mettere ordine nel mio caos.

Paura.

Paura.

Solo.

Ed esclusivamente.

Paura.

«Non devi rispondermi adesso.» Continuò, perché io ero rimasto immobile al mio posto, incapace di muovere un qualsiasi muscolo del corpo. «Siamo alla prima seduta e sarebbe troppo semplice risolvere tutto in un'ora, no? Quello che intraprenderai a partire da oggi sarà un percorso. Non sarà una gara e non ci saranno tempi prestabiliti per raggiungere i tuoi obiettivi. Sarai solo tu a dettare il ritmo del tuo cambiamento.»

Per quanto apprezzassi le sue parole, mi agitai nel constatare quanto mi fosse difficile affrontare tutto quello.

«Ma io non ho tempo. Devo uscirne prima che sia troppo tardi...»

Mi morsi la lingua, perché non sapevo se fosse già il caso di parlarle di Filippo. Avevo il timore di mettere troppa carne sul fuoco per il tempo limitato che avevamo a disposizione.

«Tardi per cosa?» Ovviamente, la dottoressa non si lasciò sfuggire l'opportunità di indagare più a fondo. Del resto, non era proprio quello il suo lavoro?

«Ho paura che il ragazzo per cui sto provando dei sentimenti si innamori di un'altra persona prima che io riesca a risolvere tutti i miei casini. Ho deciso di tenerlo lontano perché mi ha chiesto di parlargli chiaro delle mie intenzioni; solo che queste non sono ancora del tutto chiare neanche a me, e finirei per ferirlo più di quanto abbia già fatto, ma... non voglio assolutamente rischiare di perderlo.»

Si fece pensierosa, forse stava ragionando sulle ultime informazioni ricevute per capire come rimpostare il lavoro da fare con me.

«Ora capisco. Questo ragazzo di cui parli ti ha fatto mettere in discussione la tua relazione con Brando. È la spinta che ti ha portato a essere qui oggi. Giusto?»

«Esatto. Lo sto facendo per me stesso, ma non posso negare che sia anche per lui.»

«È la prima volta che ti capita un evento simile da quando stai con Brando?»

«Sì, nessun altro aveva mai suscitato la mia attenzione al punto da farmi anche solo pensare di cambiare la mia vita attuale.» Quella era l'unica cosa di cui fossi certo senza esitazioni.

«Va bene. Abbiamo ancora un quarto d'ora. Raccontami quella che ritieni essere stata la svolta decisiva.»

20 febbraio 2023

I tre incontri con Filippo avevano lasciato il segno più di quanto fossi disposto ad ammettere. Purtroppo, però, non lo avevo più visto se non sui social, dove lo seguivo costantemente. Ammiravo il tipo di vita che faceva, così diversa da quella che avevo condotto io alla sua stessa età. Era sempre circondato da amici, quelli di sempre ma anche tanti altri che comparivano saltuariamente, e tutti i weekend era coinvolto in feste e uscite. Forse era così libero perché non aveva un compagno? Probabilmente, ma avevo l'idea che non avrebbe mai concesso a nessuno di limitarlo.

Cosa che, invece, avevo lasciato succedere a me. I miei amici erano gli stessi di Brando. A parte Paolo, che però frequentavo quasi esclusivamente in contesti familiari, non avevo altri che potessero definirsi solo miei. Se mi fossi lasciato definitivamente con Brando, non avrei saputo a chi rivolgermi per ricominciare da capo.

Com'era possibile che a ventinove anni mi fossi ridotto a una condizione simile? La mia vita era costituita da una famiglia che mal tolleravo, un compagno che non amavo più e un lavoro che mi dava soddisfazioni ma non al punto da poter dire di sentirmi realizzato.

Era comprensibile che un ragazzo giovane, luminoso e vivace come Filippo fosse riuscito a far esplodere nuovi sentimenti dentro di me. E dopo un anno che l'avevo conosciuto, continuavo a desiderare di averlo al mio fianco, come amico, come amante e... possibilmente come nuovo compagno.

Era stato durante una cena a casa dei genitori di Paolo che questi pensieri avevano preso possesso della mia mente in maniera più prepotente, mentre lui raccontava una serata trascorsa con Noemi e Filippo. Lo avevo ascoltato invidiandolo, e per tutto il tempo avevo provato il desiderio di essere stato con loro.

Qualcosa era scattato dentro di me, e quando tornai a casa, vuota perché Brando era a far serata con i suoi amici che non erano anche miei, avevo preparato una valigia in fretta e furia, preso il computer per lavorare da remoto, gli sci e i vestiti da montagna, ed ero partito verso Salice d'Ulzio. Non era stata una scelta saggia partire di sera con il buio invernale e, quando ero arrivato a casa, mi ci era voluto tutto il resto della notte per riuscire a scaldarla.

Avevo mandato un solo messaggio a Brando:

"Stavolta sono io ad avere bisogno dei miei spazi. Non so quanto durerà, ma non cercarmi. Come io rispetto le tue pause, tu rispetta la mia."

Brando: Va bene... ma torna.

Avevo passato tre settimane in montagna, solo con i miei pensieri. Ero stato bene, mi sentivo rigenerato e pieno di voglia di cambiare. Una volta a Genova, chiamai Paolo:

«Ehi, cugino, come stai?»

«Enri, ma dove cazzo eri sparito? È vero quello che dice mio padre che hai lasciato Brando?»

Le voci in famiglia volavano in fretta.

«Sì... più o meno, siamo in pausa. Ma stavolta l'ho chiesta io.»

«Hai preso una botta in testa per caso?» Capii che stava scherzando perché lo sentii ridere. Mi feci contagiare dalla sua allegria e trovai il coraggio di chiedergli la cosa per cui lo avevo chiamato.

«Credo di aver avuto proprio una folgorazione. Senti... credi che una volta potrei uscire con te quando c'è anche Filippo?»

«Perché proprio quando c'è anche lui?» Il suo tono ora si era fatto diffidente.

«Non mi sembra difficile da capire.»

«Enri, hai detto che non ti sei propriamente lasciato. Non voglio aiutarti a generare casini.»

«Ti prego, Paolo. Voglio solo un'occasione per incontrarlo. Non gli racconterò cazzate.»

«Uhm...»

Mi teneva sulle spine mentre rimuginava tra sé e sé. Capivo la sua reticenza, ma ero sincero quando dicevo che non ero intenzionato a prenderlo per il culo. Avrei messo da subito le cose in chiaro sulla mia situazione e sarebbe stato libero di mandarmi a quel paese.

«Va bene, sabato prossimo organizzerò una pizza per il mio compleanno. Ritieniti ufficialmente invitato.»

«Grazie, davvero!»

«Non ringraziarmi ancora.» Borbottò chiudendo la comunicazione.

Bene, avrei cercato di sfruttare al meglio quell'opportunità.

31 luglio 2023

«La sera del compleanno di Paolo, Filippo mi ha accompagnato fino a casa e gli ho chiesto se volesse passare la notte con me. Avevo specificato che io e Brando fossimo in pausa, ma lui ha accettato lo stesso e... fare l'amore con lui è stato bellissimo. Non mi ero mai sentito così tanto coinvolto in un rapporto sessuale. Mi ero illuso davvero che le cose per me potessero cambiare quella notte.»

Il mio nuovo racconto aveva sforato il quarto d'ora che avevo a disposizione ma, per fortuna, la dottoressa non aveva altri appuntamenti dopo di me; perciò, mi aveva dato il permesso di proseguire oltre e di non preoccuparmi del costo extra.

«Cos'è successo che ti ha fatto cambiare idea?» Mi incoraggiò a proseguire.

«Brando è tornato e ci ha trovati a letto insieme. E io sono tornato indietro su tutti i progressi che avevo fatto.»

«Ma con una consapevolezza diversa: non vuoi proseguire la tua relazione con Brando e desideri approfondire la conoscenza di Filippo.»

«Esatto.» Affermarlo ad alta voce, senza lasciare spazio ad altri dubbi, rendeva il mio obiettivo più reale.

«Bene, Enrico. Abbiamo un bel po' di materiale su cui lavorare insieme. Come ti senti?»

«Beh, direi... più leggero. E ascoltato. Come se avessi trovato la mappa giusta per affrontare un nuovo viaggio.» In quel momento mi sentivo davvero sereno.

«Mi fa molto piacere sentirtelo dire.» Mi sorrise e aprì l'agenda che aveva tenuto in grembo per tutta l'ora. «Per questo primo periodo ti suggerirei di vederci a cadenza settimanale. Io sarò disponibile ancora per due settimane, dopodiché andrò in ferie e rientrerò a settembre. Se, però, avessi bisogno ti lascerò un numero di emergenza. Può andare bene per te?»

«Certo, è perfetto. Grazie mille.»

Presi il nuovo appuntamento e mi congedai.

Quella prima seduta mi aveva dato una grande carica.

***

31 luglio 2023

Durante il secondo appuntamento con la dottoressa Caligola, avevamo ripreso il discorso sul passato segreto di Brando. Mi aveva chiesto com'era il suo rapporto con i miei zii e se da bambino avesse mai subito bullismo dai compagni di scuola per essere stato adottato. Non ricordavo episodi particolari, anche perché se mai il bullo era proprio Brando. Probabilmente, se qualcuno avesse provato a prenderlo in giro per una cosa simile, si sarebbe ritrovato appeso al muro come Giulio.

Una volta tornato a casa, preparai per cena un'insalata di feta e pomodori e, quando Brando rientrò, grigliai due fette di pollo per me e quattro per lui. Il mio allenamento settimanale era molto meno intensivo del suo e non voltato a mettere su massa, perciò, la mia dieta aveva un apporto calorico più ridotto.

Cenammo chiacchierando del più e del meno. Anche se avevo messo in discussione da tempo i miei sentimenti nei suoi confronti, non dubitavo dell'affetto che continuava a legarci.

Mentre sparecchiava, decisi che era giunto il momento di tirare fuori il coraggio e infrangere la promessa che avevo fatto a nove anni a mio padre. Del resto, la minaccia di perdere Brando non aveva più alcun effetto su di me, anzi, magari mi avrebbe reso ancora più facile le cose.

«Brando, cos'è successo ai tuoi genitori biologici?» lo chiesi così, a bruciapelo, senza prepararlo ad affrontare il discorso. E, infatti, fu un grave errore.

La cucina sembrò gelarsi all'improvviso. Per diversi secondi nulla si mosse e nessun suono osò disturbare quell'immobilità preoccupante. Sentii il cuore salirmi in gola mentre fissavo le spalle tese di Brando. Non potevo vedere il suo volto, ma provai un istintivo tremito di nervosismo.

Tutto accadde nel giro di un attimo.

Ci fu prima il rumore di piatti che si scontravano, per l'impeto che Brando aveva messo nel chiudere lo sportello della lavastoviglie. Poi un primo pugno contro il muro, seguito da un urlo di rabbia e da un altro pugno. Se ne avesse tirato un terzo si sarebbe aperto le nocche della mano.

«Perché?» gridò ancora, e capii che la domanda era rivolta a me, anche se non osava guardarmi in faccia. Si era portato le mani sulla testa afferrando i capelli lunghi che iniziò a strattonare.

«Perché? Dimmi, perché?»

Io ero immobile, terrorizzato e con il cuore che mi batteva all'impazzata. Lo osservavo dimenarsi come un toro infuriato e avevo paura che, se avesse continuato così, avrebbe potuto farsi male sul serio.

«Scusa» riuscii a dire in un soffio di voce che non sapevo se avesse udito. «Scusami, Brando. Davvero.»

Quando sembrò che stesse iniziando a calmarsi, lasciai la sedia sulla quale mi ero appollaiato e lo raggiunsi.

Si era accasciato con la schiena contro il muro e teneva la faccia nascosta in mezzo alle ginocchia. Lo sentivo respirare profondamente, cercando di calmare il suo attacco di rabbia. Erano molto rari quelli così violenti.

«Brando?» Lo chiamai, posandogli una mano sulla spalla.

«Ti prego... Non... chiedere...» riuscì a dire tra un respiro e un altro.

«Non riesco... fa troppo... male»

«Ok, non te lo chiederò mai più. Promesso.» Lo rassicurai abbracciandolo. Perché quando stava così il mio corpo si muoveva in automatico per proteggerlo. Si aggrappò a me con tutte le sue forze, nascondendo la faccia contro il mio petto.

«Enri?»

«Dimmi.»

«Mi dispiace.»

«Per cosa?»

Schiuse il guscio che aveva creato e mi trascinò in mezzo alle sue gambe per abbracciarmi. Adesso ero io quello stretto in una morsa.

«Per averti rovinato la vita.»

Rovinato forse era una parola troppo forte. Ma in quel momento non riuscii a trovare alcuna scusa per contraddirlo.

Ne verrà fuori un gran casino.

***

SPAZIO AUTRICE: Buongiorno! 💕 Mi sembrava brutto farvi aspettare troppo senza sapere cosa sta combinando Enri... perciò beccatevi questo capitolo decisamente denso di cose!

Partiamo dal primissimo incontro tra Enri e Brando 🤧🤧 io mi commuovo ogni volta! Enri e Brando avrebbero potuto essere indissolubili senza mettere di mezzo sesso e sentimenti ❤️‍🩹 chissà se un giorno torneranno ad avere un rapporto più sano e genuino!

Finalmente Enri ha fatto quello che tutti aspettavamo: è andato dalla psicologa 🥳🥳 io trovo questo passaggio sempre importantissimo! L'amore da solo non cura un tubo... Filippo non avrebbe mai tirato Enri fuori dal suo pantano solo amandolo! Dunque, in bocca al lupo a Enri per il suo nuovo percorso 💕

Infine, un po' di drammino... Brando che sbrocca male a sentir nominare i suoi genitori 😰 cosa nasconde il passato di Brando? Lo scoprirà mai Enrico?

Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina e ricordate che ogni feedback è sempre gradito! 🫶🏻

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