𝑪𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 𝟏𝟐
17 giugno 2023
«Ma quante ne hai?»
Gongolai dello stupore di Filippo appena mise piede nel mio garage. Era uno spettacolo che impressionava anche chi non fosse interessato al mondo delle due ruote.
«Otto, di cui quattro d'epoca,» risposi orgoglioso. «Quelle sono i gioiellini di mio papà, però. Le usa solo per andare ai raduni di appassionati.»
Si aggirò osservando ogni moto, le sue piccole dita scivolavano delicate dalle selle ai manubri. Provai un'invidia irrazionale verso le mie bambine a motore: avrei voluto che riservasse a me lo stesso trattamento, accarezzandomi la pelle con tutta la cura di cui era capace. Volevo di nuovo le sue mani addosso, dannazione, e portarlo in moto con me era l'unico modo per realizzare quel desiderio inopportuno che non potevo esprimere a voce alta.
Chiedergli di vederci era stato naturale. Cercavo Filippo perché necessitavo della sua allegria, della sua freschezza, della sua ironia... ogni suo messaggio mi faceva stare bene e non riuscivo a privarmene. Per questo vederlo era diventato un bisogno che non ero più riuscito a tenere a bada, e Brando mi aveva dato semplicemente la scusa per sentirmi meno in colpa nei suoi confronti. Se lui usciva con i suoi amici, io avevo il diritto di farlo con i miei. Non stavo facendo nulla di male.
"E allora perché gli hai detto che avresti fatto un giro in solitaria? Perché sai che Filippo non potrà mai essere solo un amico per te."
Maledetta coscienza! Aveva ragione, ma non ero intenzionato ad ascoltarla. Mia nonna, quel pomeriggio, aveva detto che dovevo iniziare a pensare a me stesso, a domandarmi cosa volessi davvero per il mio futuro. Ma come facevo a esserne sicuro se rimanevo ancorato alla mia vita attuale? Dovevo affidarmi all'istinto, interrogare il mio cuore e trovare la risposta. Avevo già tentato una volta, con conseguenze disastrose, ma non avrei ripetuto lo stesso errore. A questo giro, sarei stato più cauto, agendo nel rispetto sia di Filippo che di Brando.
Sto ragionando come un pazzo...
«Qual è la tua preferita?»
La voce di Fil mi fece tornare alla realtà e mi resi conto che non avevo smesso di fissarlo. Quando i nostri sguardi si incrociarono, le sue guance si imporporarono. In una situazione diversa non avrei esitato un secondo a baciarlo.
«Ehm... la mia preferita? Beh, direi il Ninja. Quella con cui sono passato a prenderti e andremo in giro stasera.»
«È la più veloce?»
«È quella con cui mi diverto di più a correre.»
Un'ombra gli oscurò per un attimo il viso, perciò chiesi con malizia: «Ti spaventa che possa andare forte?»
«In effetti, un po'.»
«Beh, dovrai tenerti bene allora. Non vorrei mai che volassi via, leggero come sei.»
A quel punto, il colore della sua faccia si era uniformato a quello dei capelli, ma non perse l'occasione di controbattere.
«Ti starò talmente appiccicato che mi scambieranno per il tuo zainetto.»
Scoppiai a ridere pensando a quella buffa immagine. Non vedevo l'ora di partire e che mettesse in pratica quanto aveva appena detto.
«Dai, provati questa roba così andiamo.»
Gli passai i jeans tecnici e le mie vecchie scarpe con protezione. Sicuro, quelle gli sarebbero state grandi ma meglio delle sue All Stars.
«Grazie. Ehm...» Si bloccò imbarazzato, guardandosi attorno.
«Sì?»
«Potresti voltarti mentre mi cambio?»
«Oh! Certo, certo. Scusami.»
Mi girai a fissare la serranda chiusa del garage. Lo sentii spogliarsi alle mie spalle e resistetti alla tentazione di sbirciare. Se lo avessi visto mezzo nudo non so come avrei potuto reagire.
Ma che cazzo, Enri... Mica sei un animale!
«Ho fatto. Come sto? Spero tu abbia anche una cintura»
Tornai nella sua direzione e osservai il suo corpo minuto dentro quei pantaloni che gli stavano grandi il doppio. Li stava tenendo su con le dita dai passanti, poi mollò la presa lasciandoli cascare lungo i fianchi, finché i jeans non si bloccarono sulle sue curve appena accennate. Aveva alzato un po' la maglietta sopra l'ombelico per farmi vedere il risultato, scoprendo un tratto delle mutande nere firmate D&G sull'elastico spesso.
Deglutii fissando la sua pelle bianca cosparsa di lentiggini. Me lo stavo immaginando o si stava accarezzando la pancia in maniera quasi impercettibile?
«Enri?»
«Sì?»
«Hai o no una cintura?»
Sbattei le palpebre per scacciare quel sogno a occhi aperti che stava diventando a luci rosse. Era già la seconda volta in poco tempo che mi incantavo, e fu la chiara dimostrazione che avevo fatto una pazzia a chiamarlo. Sperai che non si accorgesse della sistematina che avevo dato al cavallo dei pantaloni mentre mi allontanavo dandogli le spalle.
Frugai nei cassetti dell'armadio che conteneva tutto il mio vestiario da moto, e trovai una cintura così logora che quasi avrei preferito dargli dello spago.
Non ebbi il tempo di pensare a un'alternativa che Filippo si avvicinò facendomi sobbalzare e me la rubò dalle mani.
«Ora direi che sono ufficialmente pronto», affermò soddisfatto mentre chiudeva la fibbia sul buco più stretto.
«Perfetto, allora metti i tuoi vestiti in questo zaino, e indossa il paraschiena sotto la giacca. Aspettami fuori, io intanto chiudo tutto.»
Controllai che non avessimo lasciato niente in disordine, spensi le luci e chiusi la saracinesca.
Benissimo, si parte.
***
Curva a destra, curva a sinistra e poi di nuovo a destra. Non piegavo tanto quanto avrei fatto di solito per non spaventare il mio zainetto che si era davvero aggrappato a me con l'ansia di essere perso per strada. Lo strato della giacca di pelle era troppo spesso per poter godere davvero di quel contatto ravvicinato, ma ogni volta che acceleravo lo sentivo stringere le braccia sulla mia vita e le ginocchia contro i miei fianchi. Quando frenavo, invece, faceva cozzare il casco contro il mio e il suo bacino scivolava sulla sella fino a aderire sul mio sedere.
Concentrati sulla strada.
A quell'ora del sabato non c'era anima viva su quelle vie. Il silenzio era infranto solo dal rumore dei miei centoquarantasette cavalli. Era eccitante sentire il motore ruggire arrabbiato tra le mie gambe, dominarlo per avere il controllo e spingerlo al limite della sua potenzialità. Scoprivo in quel momento, però, che era altrettanto bello condividere la mia passione con qualcuno; Filippo, nonostante un po' di timore iniziale, sembrava si stesse rilassando dietro di me, godendo del panorama a strapiombo della città e del mare. O almeno, era quello che speravo. Brando non era mai voluto salire su una moto. Diceva che non ci teneva ad andare a schiantarsi da qualche parte ma, per fortuna, non aveva mai riversato le sue ansie su di me. Da un lato, meglio così... le moto erano il mio mondo privato, la mia unica via di fuga quando la vita si faceva troppo pesante e dovevo alleggerirla.
Arrivammo all'inizio del lungo rettilineo in costa al Monte Fasce, dove accostai un attimo a bordo strada. Era il luogo preferito dei motociclisti per correre, ma quel giorno avrei rispettato i limiti di velocità.
Tirai su la visiera del casco e mi voltai verso Fil. «Com'è andata finora?»
«Bene. Sei stato bravo come mi avevi promesso. Spero di non essere un fastidio per te.»
«No, a parte un po' di rigidità iniziale poi ti sei sciolto e hai sempre assecondato i movimenti della moto. Per essere il tuo primo giro, direi niente male!»
«Ammetto che mi sto divertendo.»
«Sono contento! Dai, ora goditi il pezzo di strada più bello che appena finisce avremo raggiunto l'area picnic.»
Le sue parole mi avevano reso felice come non lo ero stato da molto tempo. Sperai di farglielo capire dando un paio di gasate roboanti con l'acceleratore, poi lasciai il freno e tornai a essere un tutt'uno con la mia moto.
***
Ci fermammo all'area picnic e ci sedemmo al tavolo più lontano dalla strada. Non che ci fosse in giro qualcuno pronto a disturbarci, eravamo letteralmente gli unici che avevano deciso di passare il sabato sera sul Monte Fasce.
«Cosa hai preparato di buono?» iniziò a curiosare nel sacchetto che gli avevo passato con la nostra cena.
«Semplici panini. Uno con la mortadella e l'altro con bresaola e formaggio di capra.»
«Uh, i miei preferiti!» Si entusiasmò.
Non avevo dimenticato che alla festa di laurea di Paolo si era ingozzato di tutti i mini-panini alla mortadella e che quando ci eravamo visti a marzo aveva ordinato una pizza Valtellina. Erano solo un paio dei tanti dettagli che avevo memorizzato su di lui in quelle poche occasioni in cui avevamo passato del tempo insieme.
«Preparati con tanto amore. Allora, dimmi, come mai ti sei ritrovato senza impegni stasera? Mi sembra strano per un ragazzo socievole come te.»
Aveva già la bocca piena e iniziò a masticare più velocemente per potermi rispondere.
«In realtà...» mandò giù il boccone, «avevo un appuntamento con un ragazzo...» e addentò di nuovo il panino lasciandomi con la suspense di sapere come fosse finita con lui. Non avrei dovuto sentire il morso della gelosia, era assurdo considerando che tra noi due non c'era niente, ma volevo sapere chi fosse questo ragazzo: se era bello, simpatico, sexy, se gli avrebbe fatto perdere la testa e se si sarebbero rivisti ancora una volta.
«E com'è andata? Il fatto che ora sei a fare un picnic con me, mi fa pensare male...» Buttai lì, cercando di non palesarmi troppo interessato.
«Beh, sto cercando di perdere l'abitudine ad andare subito a letto con le persone con cui esco. A volte, sarebbe meglio conoscerle senza mettere di mezzo il sesso... giusto per non incappare in spiacevoli situazioni.»
Cazzo, quella frecciatina fece parecchio male e sentii addosso il suo sguardo tagliente che cercava di perforarmi l'anima. Mi ero già scusato con lui, però, e non era il caso di farci rovinare la serata da spiacevoli ricordi. Non colsi dunque la provocazione.
«Quindi, lo rivedrai?»
«Forse, perché no? A meno che non mi si presenti un valido motivo per non farlo.»
La luce intorno a noi era calata lasciando il posto al crepuscolo, ma le iridi verdi di Fil erano due piccoli fari puntati su di me, e ne ero attratto come una falena impazzita. Non so se stessi andando fuori di testa, ma sembravano colme di speranza, di aspettativa. Sembravano chiedermi "dammi questo valido motivo". Volevo darglielo, sul serio. Dio solo sapeva quanto volessi mandare a puttane tutta la mia vita, prendere con me quell'esserino malizioso che mi stava di fronte e chiedergli di mostrarmi cosa fosse la vera felicità.
Sentivo la voglia di urlare risalire dal petto per poi sbattere contro la mia bocca serrata, che non voleva saperne di emettere un suono. Sentivo gli arti che volevano tendersi per afferrarlo e stringerlo, lo desideravano con forza ma non ci riuscivano perché erano paralizzati. Qualcosa bloccava tutto il mio corpo, e sapevo benissimo cosa fosse: la paura. Quella dannata paura di perdere tutto quello per cui avevo lottato per tredici anni, che mi sussurrava che avevo sprecato il periodo migliore della mia vita per qualcuno che non mi aveva dato altrettanto, a costruire una felicità effimera e fragile come il cristallo. Quella dannata paura che mi rendeva consapevole ma mi faceva temere ancora di più il cambiamento, perché sarei dovuto ripartire da zero, rimettermi in gioco, rischiare e dimostrare che nonostante tutto il mio passato ero qualcuno che meritasse una seconda opportunità. Quella dannata paura che davanti a uno sguardo così limpido e puro mi impediva di dirgli "sono io il tuo valido motivo". Quella dannata paura che dovevo superare.
Avevo tergiversato troppo nei miei turbamenti, però, perché quando finalmente le mie labbra si schiusero per parlare, lui mi anticipò: «Sai, credo proprio che gli proporrò di rivederci. Alla fine, è stato un bell'appuntamento e non mi dispiacerebbe provare a baciarlo.»
Prese in mano il cellulare con nonchalance e digitò un messaggio che sembrò inviare subito.
Se avessi avuto questo tizio davanti, probabilmente avrei provato l'impulso di tirargli un pugno ma, del resto, non avevo alcun diritto di provare risentimento verso uno sconosciuto. La colpa non era sua, come non era di Filippo. Era solo mia, che non avevo le palle di lasciarmi andare. Potevo biasimare solo me stesso per i sentimenti contrastanti che provavo.
«Ti auguro che andrà bene con lui.» Potei solo dirgli.
«Grazie.» Abbassò la testa e finimmo di mangiare i nostri panini in silenzio.
***
Dopo lo scambio di battute sul suo appuntamento, l'aria tra noi si era fatta più tesa. Sembrava avessimo perso la scioltezza di quando chiacchieravamo sulla chat. Se dal mio punto di vista sapevo cosa mi turbasse, non potevo avere idea di cosa bazzicasse nella testa di Filippo. Provavo a immaginarlo, ma temevo di leggere male i suoi sentimenti e di illudermi. Quindi, era meglio cercare di chiudere quella serata senza porsi troppe domande, sperando che la successiva frequentazione sui social ci facesse tornare alla nostra spensieratezza di sempre.
«Eccoci arrivati.» Eravamo tornati in piazza della Vittoria dove lui aveva lasciato il suo scooter. Si erano fatte le dieci di sera e ormai il buio aveva preso il sopravvento. Filippo scese dalla moto cercando di toccarmi il meno possibile. Sentii l'aria frizzante della sera laddove poco prima c'era il calore del suo corpo.
Nonostante tutto, avrei voluto che il tempo si fermasse in modo che potessimo continuare a fissarci come avevamo fatto per tutta la serata, silenziosi e incapaci di distogliere lo sguardo per posarlo su qualche dettaglio insignificante attorno a noi.
Se avessi allungato una mano avrei potuto accarezzargli la guancia liscia e imberbe. Lui mi avrebbe baciato il palmo per poi risalire lungo il braccio fino a trovare, finalmente, la mia bocca. Se lo avesse fatto... io lo avrei assecondato e avremmo ripetuto lo stesso errore di tre mesi prima.
«Allora vado.» Fu lui a infrangere la magia di quell'attimo. «Grazie per questa bellissima serata. È stato davvero figo venire in moto con te. Cosa faccio con i vestiti?»
«Beh... puoi tenerli. Nel caso volessi ripetere l'esperienza.» Scherzai, ma non troppo.
Sorrise con aria triste. Non sapevo che fare per far tornare la luce sul suo volto. Non avevo niente da offrirgli, niente da promettergli. Avrebbe fatto bene a trovare di meglio con quell'altro ragazzo.
«Va bene, grazie.»
Rimanemmo in quella posizione ancora qualche secondo, ma tutto prima o poi doveva finire.
«Buonanotte, Enri.»
«Buonanotte, Scheggia.»
Si voltò e si allontanò verso il suo scooter. Non gli tolsi gli occhi di dosso finché non partì e lo vidi sparire dietro l'angolo del palazzo.
Era giunto il momento di tornare a quella realtà che iniziavo a sentire sempre meno mia.
Luglio 2018
Mi aveva mentito.
Un'altra volta.
Da un paio di mesi, era diventata una brutta abitudine dei giorni in cui aveva il turno pomeridiano a lavoro. Diceva che era colpa di chi prenotava le lezioni private all'ultimo momento, ma iniziavano a essere un po' troppe per non essere sospette.
Due settimane prima, a seguito del suo messaggio che mi diceva che avrebbe tardato di almeno un'ora, avevo chiamato la palestra fingendomi un cliente, ma mi avevano risposto che Brando era uscito già da un'ora. Quando era tornato per cena, mi aveva raccontato la sua giornata con tanto di dettagli sull'ultima ora di straordinari. La bugia era stata confezionata per bene, esposta senza la minima esitazione, e io l'avevo ascoltata senza mettere in dubbio le sue parole.
La scorsa settimana si era ripresentato lo stesso schema, e quel giorno stava per accadere lo stesso. Ero intenzionato, però, a cambiare piano anche io.
Appena ricevuto il solito messaggio, uscii di casa e mi diressi come un forsennato verso la palestra. Avevo una fottuta paura di confermare le mie teorie e soffrire poi come un cane, ma non potevo continuare a farmi prendere per il culo. Mi appostai in modo da rimanere nascosto ma vedere bene l'ingresso, e attesi l'orario di fine turno di Brando. Sarei stato pronto a inseguirlo sia a piedi, che in scooter.
Alle 18:45 comparve e... non stava uscendo da solo. Era insieme a un ragazzo poco più basso di lui, ma altrettanto muscoloso, che non avevo mai visto prima. Non si stavano toccando, in palestra mi conoscevano tutti e sapevano che convivevamo da un paio d'anni, ma chiacchieravano e scherzavano con quell'aria che puzzava di flirt a chilometri di distanza. Il tizio, un biondo carino che speravo fosse almeno maggiorenne, rideva con gli occhi che brillavano di malizia e Brando gonfiava il petto a quelle attenzioni come se fosse un pavone pronto a fare la ruota. Una rabbia cieca mi montò dentro e avrei voluto spaccarmi una mano contro il pilastro di cemento dietro al quale ero nascosto. Mantenni la calma perché fino a quel momento non avevano fatto nulla di male, e poteva essere ancora una mia paranoia.
Decisi di chiamarlo. Lo osservai prendere in mano il cellulare e fissarlo qualche secondo. Il biondo gli chiese qualcosa, probabilmente come mai non stesse rispondendo. Brando scrollò le spalle e chiuse la chiamata, ma mi scrisse un messaggio: "Scusa, non posso rispondere. Sto lavorando..."
Si allontanarono insieme e sparirono alla mia vista. Non riuscii a trattenere le lacrime, che mi inondarono gli occhi. Pizzicavano sulle guance come spilli, mentre il mio corpo veniva sconquassato dai singhiozzi. Non pensavo avrei mai potuto sentire un dolore così grande e mi mancava l'aria per respirare.
Dopo quasi dieci anni insieme, avevo la certezza che mi stesse tradendo. E fu peggio di una pugnalata nel petto.
***
«Come è andata l'ora extra?» chiesi al suo rientro, fingendo disinvoltura.
«Bene... una signora che voleva fare una prova per decidere se acquistare un pacchetto di lezioni a settembre.» Come gli veniva facile mentirmi, ormai. Chissà quante altre volte lo aveva fatto senza che me ne rendessi conto.
Non sarei riuscito a tenere in piedi quella farsa a lungo; perciò, mi avvicinai a lui e alzai la testa per guardarlo severamente negli occhi. Brando mi sovrastava di quasi venti centimetri, ma per una volta ero io quello più incazzato dei due.
«Ah sì? Bene, pensavo fosse un bel biondino con muscoli definiti il tuo cliente di oggi.» Lo attaccai.
Nelle sue iridi scure potei intravedere un accenno di stupore, ma durò appena un secondo. Non era ancora pronto a cedermi terreno.
«Che stai dicendo? Sei forse ubriaco?»
«Ti ho visto, cazzo. Eri con un fottuto ragazzino fuori dalla palestra mentre mi scrivevi le tue minchiate per messaggio. Da quanto te lo scopi? Perché sono sicuro che sono almeno due mesi che mi racconti balle per nascondere i tuoi tradimenti. Sei sempre con lui? O te ne sei ripassati anche altri? Voglio la verità, porca puttana!» Stavo urlando prendendolo a pugni sul petto. Brando si smosse e mi afferrò entrambi i polsi per farmi smettere.
«Enri, calmati!»
Crollai in ginocchio e ripresi a piangere avvinghiato alle sue gambe. Non potevo credere che stessimo vivendo un momento simile. Cosa avevo fatto di male per meritarmi tutto quello?
«Mi hai tradito...» singhiozzai. «Perché? Non mi ami più? È per colpa di 'sta cazzo di vitiligine? Ti faccio schifo?»
Mi sentii sollevare e fui portato sul divano del nostro salotto. Brando mi cullava e mi accarezzava i capelli sussurrandomi "mi dispiace... non volevo ferirti... perdonami...". La sua cantilena durò fino a quando non fui abbastanza calmo da sopportare una conversazione.
«Enri... guardami.» Afferrò il mio mento per ristabilire il contatto visivo. «Non mi fai schifo, non pensarlo neanche. È vero che ultimamente mi sono comportato da stronzo nei tuoi confronti per via di... questo tuo problema. Il tuo corpo è meraviglioso e sai quanto l'ho sempre venerato ma... non riesco ad accettare che sia cambiato, anche se so che non è colpa tua e che stai investendo tantissimo per curarti. So di essere un egoista e sono io a farmi schifo a dirti queste cose.»
«Brando, io non so come fare per risolvere questa situazione. Che migliori o peggiori, me la porterò comunque dietro per sempre e l'unico motivo per cui la detesto davvero è perché ha cambiato le cose tra noi. Posso allenare il mio fisico e curare il mio aspetto, ma non posso controllare l'effetto pezzato della mia pelle. Hai iniziato a tradirmi perché non ti eccito più? Mi vuoi lasciare? Non puoi farlo, ho solo te!»
«No, no, no, non dirlo neanche per scherzo! Lo sai, la mia vita non ha alcun senso senza te, non potrei mai lasciarti e ti amo più di ogni altra cosa al mondo, però...»
«Però?» Lo incalzai, infilando disperato le mani tra le lunghe ciocche dei suoi capelli corvini. Come potevano esistere dei "però" in amore?
«Però... quest'ultimo anno è stato davvero difficile e dopo tanto tempo la nostra relazione è diventata una routine. Il calo di attrazione sessuale nei tuoi confronti mi ha spaventato. Non è sparita del tutto, è ancora potente o non sarei ancora qua, ma ho sentito il bisogno di cercare nuove emozioni che mi dessero una scossa in più, che mi facessero sentire vivo. È per questo che ho iniziato a tradirti, ma credimi se ti dico che non ho un'amante e che sono state tutte scopate occasionali. Non ho mai messo in dubbio di tornare da te.»
Le due parole "scopate occasionali" furono un vero schiaffo in faccia. Quante volte era già successo? Sarebbe capitato ancora? Se mi avesse promesso di non farlo mai più, avrei potuto credergli? Non volevo saperlo. La prospettiva che lui se ne potesse andare era più orribile di tutti i tradimenti. Se fosse rimasto, se avesse scelto me, sarei stato disposto a perdonarlo.
«Ok, ho capito. Sto malissimo per quello che hai fatto e mi ha quasi ucciso vederti andare via con quel ragazzo, ma capisco come ti senti. Cioè... io non ho mai provato l'impulso di tradirti, non credo lo farò mai, ma stiamo insieme da quando abbiamo quindici anni e posso capire il bisogno di fare nuove esperienze. Spero non ricapiterà mai più ma, Brando, promettimelo: promettimi che nel caso me lo dirai. Non voglio più aspettarti invano senza sapere dove sei e non voglio più sentire bugie. Puoi giurarmelo?»
«Sì, Enri, te lo prometto.»
Scrutai attentamente il volto di Brando in cerca di segni che potessero rivelare un'altra menzogna, ma non ne vidi. Non potei far altro che fidarmi, così lo baciai. Anzi, lo divorai, perché avevo bisogno di marcare il territorio, rilasciare il mio odore su di lui per sostituirlo a quello di uno sconosciuto. Dovevo riappropriarmi del suo corpo, della sua mente; fargli sentire che potevamo rivivere le scintile dei primi tempi insieme.
«Spegni la luce e cavalcami», ordinò. E fui ben felice di eseguire il suo comando.
***
SPAZIO AUTRICE: Buonasera! Vengo in pace 😬
La serata tra Enri e Fil si è conclusa con un nulla di fatto... direi che è servita soltanto per far capire a entrambi la pagliacciata che era la loro amicizia! 🤡 Enrico, però, non ce la fa proprio a muovere dei passi... SA quello che sarebbe giusto, ma ancora si fa prendere dalla paura 🥲 Fil lo punzecchia con l'altro appuntamento... tornerà Pietro o era solo un bluff?
Il flashback è un momento cruciale del passato di Enrico e Brando... quello in cui le cose tra loro si rompono davvero, ma si ostinano comunque a cercare di rimettere insieme i pezzi ❤️🩹 sappiamo che sul lungo termine questa situazione li ha logorati... e io lo so che state odiando Brando tantissimo!
Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina e ricordate che ogni feedback è sempre ben gradito 🫶🏻
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