Capitolo 3


~ Valentina ~

Non credevo di sopravvivere, ho temuto fosse davvero la fine. Invece eccomi qui, con un fianco bucato, dentro questo minuscolo appartamento. Alzo gli occhi alle finestre in alto che toccano il soffitto, entra appena un po' di luce e quelle sbarre mi smuovono dentro una rabbia che devo reprimere. Non dovevo finire io in galera, ma lui. Invece lo immagino già a Santo Domingo in un hotel di lusso. Da lì, muove le fila di quei burattini che paga o ricatta per trovarmi. Non mi darà mai pace e la polizia non lo troverà. Come ho potuto pensare di fermarlo? È vero, ho fermato il suo orrido giro d'affari per adesso, ma lui non lo fermerò mai; ci metterà poco a rimettere in piedi tutto. Avrà dei soldi su conti all'estero di cui non sono a conoscenza.

Basta! Non posso torturarmi con questi pensieri o finirò per impazzire, devo impegnare la mente e ambientarmi qui. Comincio a guardarmi intorno, non c'è molto. Una semplice cucina dell'IKEA presumo, lo stile sembra quello, lo stesso della mia camera. Poi giro lo sguardo verso quella porta chiusa: la camera di Gabriella. No, Gabri; ha detto che preferisce essere chiamata così.

Perché è andata via stamattina? Non è proteggermi il suo lavoro? Forse arriverà qualcun altro a darle il cambio. È stata molto discreta in questi giorni, non è come i poliziotti della squadra che mi proteggeva prima di arrivare qui. Quel taglio di capelli rasato dietro, con le ciocche mèchate bionde sempre in disordine sulla base castana. I suoi occhi di ghiaccio, freddi come se portassero dentro un dolore che tiene nascosto anche a sé stessa. Il modo buffo di sedere sempre disordinata, e spero non cucini mai più. È la poliziotta più strana che abbia mai visto.

Il silenzio di questa stanza viene rotto dalla porta che si apre.

Scatto spaventata, poggiandomi al pensile della cucina.

È la direttrice che entra con il suo sorriso rassicurante, tenendo il vassoio della colazione tra le mani, e mi dà il buongiorno. Dietro di lei c'è Giulia, di cui non ho ben chiaro il ruolo qui. Poi scorgo un uomo alto, con i capelli brizzolati e la barba incolta. Ho la sensazione di conoscerlo. «Buongiorno Valentina, sono il maresciallo Luigi Di Stefano, si ricorda di me?» È l'uomo che mi ha portato qui, adesso ricordo. Faccio cenno di sì, non mi sento a mio agio. «Facciamo colazione e parliamo un po'?», mi chiede il maresciallo con fare molto formale. Acconsento e Carmen e Giulia ci lasciano da soli. «Come si trova qui?»

Vuole rompere il ghiaccio e mettermi a mio agio, ma io ho molte domande da fargli. «Avete preso mio padre?» Vado dritta al punto, anche se conosco già la risposta.

«No, la squadra che la proteggeva ha preso i due uomini che le hanno sparato.»

Mi lascio sovrastare dallo sconforto. «Non parleranno mai.»

«Non con i poliziotti, ma nella stessa cella con loro c'è un nostro infiltrato, speriamo così di avere le informazioni che cerchiamo.» So che vuole rassicurarmi, ma in questo momento vedo solo nero. Nonostante tenti di trattenerle, le lacrime iniziano a invadermi il viso. «Non si scoraggi così, prenderemo suo padre e nel frattempo qui lei sarà al sicuro.»

«Non esiste un posto sicuro!», affermo con convinzione; lui non si fermerà mai.

«Invece sì.» Si accarezza la barba, fa una pausa bevendo il caffè, poi torna a guardarmi. «Sono un maresciallo dell'Arma dei Carabinieri, non sto collaborando con la polizia che segue il suo caso. Il programma protezione testimoni è fallito. C'è una talpa all'interno, e speriamo che il nostro infiltrato possa scoprire chi è.» Si ferma, notando la mia espressione preoccupata. Lui non collabora con la polizia? «Il magistrato Bianchi, che ha in carico il suo caso, ha contattato tempestivamente una collega qui a Catania, Vittoria Scalici, giudice minorile. So che le sembrerà strano, ma in casi particolari, esiste un codice d'emergenza che i magistrati usano per comunicare. Quello è stato l'unico contatto telefonico, dopodiché la Scalici è venuta a trovarmi. Seguiamo spesso gli stessi casi di minori. Stia tranquilla, il nostro incontro non desta alcun sospetto.» È molto meticoloso nello spiegarmi ogni cosa, la sua espressione è molto rassicurante.

«Non sono più nel programma protezione testimoni?»

«Ufficialmente sì. Il magistrato Bianchi avrà un piano a riguardo, di cui al momento non sono a conoscenza. Valentina, nessuno sa dove si trova. Dal momento in cui la giudice Scalici mi ha passato il caso, io sono l'unica persona incaricata della sua protezione, nessun altro membro delle forze dell'ordine è a conoscenza della sua presenza qui, non è riportato in nessun fascicolo. Le garantisco che la proteggerò finché non potrà tornare alla sua vita senza correre alcun pericolo.» Per quanto lui voglia rassicurarmi, le sue parole mi confondono di più. Lui è l'unico carabiniere a seguire il mio caso, come può proteggermi se non sta qui? «Adesso però voglio soltanto che si ambienti qui, la professoressa Li Volsi sono certo che farà il possibile per aiutarla.»

«Chi è la professoressa Li Volsi?»

«Gabriella, non avete avuto modo di parlare e conoscervi in questi giorni?» Lo dà per scontato, Gabri è un'insegnante?

«Non molto», sussurro, cercando di immaginare Gabri in veste di insegnante.

«Gabriella è un'artista, una pittrice di grande talento, insegna al liceo che frequenta mia figlia», ne parla con molta ammirazione, ma io mi sento preda dell'ansia.

«Come posso sentirmi al sicuro senza una squadra a proteggermi?» Mi sento in pericolo. È la prima volta che lui viene a trovarmi, in questi giorni ho solo visto Gabri, che adesso scopro essere un'insegnante, e Carmen e Giulia, che chiaramente non fanno parte delle forze armate.

«I miei uomini tengono sempre sotto controllo questo edificio per via dei ragazzi che ospita. È successo più volte che un genitore tossicodipendente cercasse di riprendersi il figlio, o il pedofilo che ha abusato di uno di loro, provasse ad entrare qui per mettere a tacere il minore. Nessuno di loro è mai riuscito ad avvicinarsi all'edificio.»

«I bambini che ospita questa struttura hanno subito...» Non riesco a portare a termine la frase, le sue parole mi hanno scosso.

«Già, Carmen ha fondato questa struttura insieme a Giulia, pensando proprio ai ragazzi che subiscono questo e a quelli che hanno una scarsa probabilità di essere adottati.» Ne parla con molta ammirazione.

«La direttrice mi ha detto che solo lei, Giulia e Gabri sono a conoscenza della mia presenza qui, lei si fida di loro?» So che la mia domanda gli sembrerà banale, ma ho bisogno di sentirglielo dire, non conosco queste donne.

«Sì, sono certo che appena inizierà a conoscerle ne capirà il motivo. Ma non le ho informate dei dettagli del suo caso.» Il suo viso adesso si fa serio, è chiaro il motivo.

«Non sanno chi è mio padre?», lo chiedo sentendo una nausea nascere nello stomaco, ripensando al momento in cui ho capito quello che faceva e provo lo stesso disgusto di quel giorno.

«Nemmeno il suo vero nome, per questo io continuo a chiamarla Valentina.»

Stringo i pugni sul tavolo, per trattenere la rabbia che si scatena dentro di me. «Non voglio più sentire pronunciare il mio nome, è sporco come quello di mio padre.»

Il maresciallo si alza, mi si avvicina poggiando le mani sul tavolo, poi si china come se volesse sussurrarmi qualcosa all'orecchio. «Non lo è, lei non ha fatto nulla!»

La testa mi scoppia, mi alzo allontanandomi da lui. «Quando ho capito sono rimasta a guardare, avrei dovuto agire subito, e invece ho aspettato per troppo tempo.»

Si avvicina e mi prende per le spalle, lo guardo con le lacrime agli occhi, mentre i suoi mi fissano con molta tenerezza. «Tempo prezioso, che le ha permesso di raccogliere tutte le informazioni che ha dato al magistrato. In questi giorni ho letto tutto il suo fascicolo, la sua deposizione e la relazione del magistrato. Nessuno pensa a lei come una complice e nemmeno lei deve sentirsi tale.»

Non conosco quest'uomo, ma in questo momento è l'unico che sembra capire ciò che sento, cedo lasciando che mi abbracci, poggio il viso sul suo petto dando sfogo alla mia disperazione come fino ad oggi non ho mai potuto fare. «Valentina, è questo il nome che voglio se sopravvivrò e il cognome di mia madre.»

«Va bene, è quello che avrà!», lo afferma con una sicurezza che mi sembra di toccare stando tra le sue braccia. È paragonabile al conforto di un padre, la sensazione che mi avvolge stando tra le sue braccia, una sensazione mai provata in vita mia.


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