#4
BACKSIDE BIGSPIN
James rovistò tra le cianfrusaglie stipate da tempo immemore in garage. Aveva ben chiaro cosa stava cercando. Spostò il vecchio triciclo, consumato e senza una ruota, e lo spinse contro il muro. L'urto provocò un tonfo. La voce di sua madre risuonò: «Jaaamees, che stai facendo? Cos'è sto baccano?!»
James alzò gli occhi al cielo. «Niente, ma'! Sto cercando una cosa in garage, tranquilla.»
Si riconcentrò sulla sua missione. Ficcò il naso dietro uno scatolone, contenente i lego con cui giocava quando era bambino. "Trovato!" I suoi occhi zampillarono di gioia. Allungò il braccio e acchiappò lo skateboard. Se lo passò tra le mani, rimirandolo. Recuperarlo era stato più facile del previsto. Pensava che la madre l'avesse buttato via nei rifiuti, invece era ancora lì. Il grip slavato reggeva ancora, sopra al legno usurato, e le ruote giravano senza problemi: era utilizzabile. Aveva appreso le basi dello skate nel periodo dell'elementaryschool[1], non addentrandosi mai in trick complessi, poi crescendo si era stancato e aveva abbandonato quell'hobby.
Lo portò fuori, ci montò sopra e si diede una spinta.
"Okay, l'equilibrio fortunatamente ce l'ho ancora", attestò. Gli era venuta voglia di dedicarsi di nuovo, nel tempo libero, al passatempo che gli aveva arricchito l'infanzia. Si ricordò di quando, da piccolo, tentando l'ollie sul selciato appena fuori dal garage, era caduto sbattendo il ginocchio ed era scoppiato in lacrime.
Si legò i capelli in un codino e inforcò gli occhiali da sole, dopo impugnò lo skate sottobraccio e uscì in strada. Non essendoci molto traffico a quell'ora, poteva spingersi sullo skate senza particolare apprensione.
Si diresse verso lo skatepark di 4th Street. Henry avrebbe dovuto essere là, stando a quanto gli aveva detto. Avrebbe fatto progressi più velocemente con uno come lui in grado di dargli due dritte.
"Henry senza dubbio se la cava", auspicò. "Se mi ha detto che l'avrei trovato lì, presumo che passi molto tempo sopra allo skate."
Scansò una macchina in procinto di parcheggiare, poi aumentò la spinta fino a raggiungere una velocità sostenuta. Il vento gli sfrecciava lateralmente e la città era ora mutata in un entusiasmante parco giochi. Una sensazione di libertà gli gonfiò i polmoni.
Arrivò a destinazione in una decina di minuti. Lo skatepark in cemento, a cielo aperto, era stato ristrutturato da poco. In mezzo c'era una bowl concentrica, attorno cui erano situati vari box e rail per eseguire le acrobazie. Un muro era stato abbellito con dei graffiti colorati e delle scritte simbolo di ribellione giovanile, tra cui il noto slogan ACAB[2]. Musica di genere punk e metal risuonava da un boombox che faceva capolino da uno zaino rovesciato vicino a una rampetta. Alcuni skaters si stavano allenando tra salti e rovinose cadute, mentre altri si rilassavano seduti all'ombra passandosi uno spinello. In quel gruppo c'era anche Henry.
Un po' imbarazzato, James si avvicinò. I tre ragazzi a fianco di Henry alzarono lo sguardo verso di lui, diffidenti.
Quando Henry si accorse della sua presenza, guizzando in avanti gli strinse la mano. «Uo, chi si rivede! Il "fuggiasco", ahah... l'altra volta gli abbiamo fatto mangiare la polvere a quel figlio di puttana.» Esclamò di buon umore, poi si rivolse agli altri fieramente: «Gli ho praticamente salvato la vita, scappava da un fighetto piuttosto incazzato».
Gli altri tre scossero la testa ridacchiando. I loro occhi rossi e stanchi parlavano chiaro: erano fatti.
James alzò la mano in segno di saluto.
«Bella raga, sono James. È la prima volta che vengo qua, il posto spacca.»
Ad uno ad uno gli sballati pronunciarono i loro nomi: Noah, Anthony, William. Avevano dei modi di vestire diversi l'uno dall'altro. Noah, filippino, indossava una longsleeve a righe e un beanie della Dickies. Anthony vestiva una felpa senza maniche con grafica giapponese e un cappello da pescatore. William invece si avvicinava di più allo stile tendente al punk di Henry: Vans sgualcite, jeans neri e gilet denim. Stili diversi, ma stessa passione per lo skate. Era quell'hobby ad accumunarli.
«Viviamo insieme, nello stesso appartamento, guadagnandoci da vivere con lavoretti saltuari e part-time», spiegò Anthony con voce roca. «Ci sentiamo una piccola famiglia.»
Henry interruppe il discorso. «Me lo fai provare?»
James fissò il suo skate e acconsentì. "Si accorgerà di quanto fa schifo", disse tra sé e sé.
Henry chiuse un kickflip in corsa, ma la sua espressione denotava disappunto. «Cazzo, sta tavola è praticamente fuori uso. A quando risale, all'anteguerra?», commentò sarcastico.
James ribatté prontamente: «È lo skate che usavo da piccolo. Son stato fermo per tanti anni, ma ora sono determinato a riprendere».
Intervenne William: «Con noi migliorerai subito. Puoi starne certo, fratello».
«Ci vuole costanza e, soprattutto, disprezzo del pericolo. Devi cadere e farti male se vuoi diventare un vero pro», appuntò Noah. Un neo di piccole dimensioni gli spiccava sulla guancia.
Anthony concluse: «Noi cazzeggiamo molto, tuttavia ce la caviamo bene con questo gingillo sotto i piedi. Dopo qualche anno, è normale...» Prese la rincorsa ed eseguì un Backside Bigspin.
"Fantastico." James era estasiato. Doveva dimostrare che anche lui sapeva fare qualcosa. Provò a chiudere un ollie, ma il tentativo per sua sfortuna non andò a buon fine. «Uff, sono decisamente arrugginito...»
Henry lo accompagnò in un angolo più appartato dello skatepark, dove cominciò a bombardarlo di consigli utili a completare i primi trick.
James approfittò del momento solo con lui per porgli una domanda. Voleva spazzare via il dubbio che lo assillava.
«Henry, volevo chiederti... conosci Mark? Il ragazzo afroamericano con la villa qua vicino.»
«Si, James. Qualcuno mi aveva parlato di lui, è abbastanza conosciuto. Perché?»
«L'ho conosciuto a una festa a casa sua. È da lì che stavo scappando, dopo un lieve scazzo. Problema risolto, comunque. Sai qualcosa in più su di lui, per caso?»
«Non molto, in realtà. So solo che non ha proprio dei bei giri; non frequenta bella gente, ecco... noi non siamo da meno però», tagliò corto Henry sfoderando una linguaccia.
~
Un'ora dopo, James chiacchierava allegramente con alcuni skater, scolandosi con piacere una lattina di Red Bull. Era felice, aveva trovato dei nuovi amici. Il tempo lì scorreva al doppio della velocità, sfuggiva via rapido e impercettibile come un battito di ciglia.
Noah si accovacciò e iniziò filmare con una videocamera Handycam le prodezze di William e Anthony. I due scivolarono con la tavola lungo il rail, per poi atterrare con destrezza sul cemento.
Di colpo gli venne in mente che quella sera aveva l'appuntamento con Ellen. "Che palle", pensò. Non voleva più andarci, e decise che così avrebbe fatto. Ellen ci sarebbe stata malissimo, ma se ne fregò. Voleva approfondire la conoscenza con Grace, il resto gli importava poco.
"Se sono così cinico e indifferente, è perché non mi piace davvero", osservò sbrigativamente. "Più tardi la chiamo e le dico che non ci sarò."
Finì la Red Bull e ruttò, poi schiacciò la lattina. Henry non c'era.
Si voltò. Lo skater era all'ingresso dello skatepark. Si era allontanato dal gruppo, senza farsi notare.
"Sembra che stia aspettando qualcuno."
Comparve in strada un tizio con un grosso Rottweiler al guinzaglio, che si diresse verso Henry con andatura sostenuta. Il cane iniziò ad abbaiare, ma il padrone con un paio di strattoni lo fece tacere. Il tizio era grasso e pelato, con dei tatuaggi in faccia. "Un punkabbestia..." Strinse la mano ad Henry e si mise a confabulare con lui. Ogni tanto Henry si guardava intorno, irrequieto.
James li osservò con insistenza, cercando di non farsi notare. Henry sganciò una banconota al punkabbestia. Quest'ultimo estrasse dalla tasca un sacchettino bianco annodato con uno spago e svelto glielo passò, poi girò i tacchi e se ne andò. Ciò che aveva visto non lasciava spazio a dubbi, il tipo era uno spacciatore.
"Henry si rifornisce di droghe pesanti?!", si chiese. Non ne aveva la certezza, ma difficilmente quella poteva essere semplice marijuana. Gli tornò alla memoria un documentario su Fox Tv che trattava le sostanze stupefacenti: quei pacchettini bianchi si utilizzavano principalmente per la vendita della cocaina.
Quando Henry tornò, non osò chiedere. "Chissà se anche i suoi amici ne fanno uso...", si domandò. Rifuggì da quel pensiero e balzò di nuovo sulla tavola. Henry gli aveva dato ottimi suggerimenti, che gli avevano fatto acquisire più confidenza con la tavola. L'ollie adesso lo maneggiava bene: pop e slide erano due movimenti che compiva quasi in contemporanea.
Fece insieme agli altri un ultimo giro di salti, prima di salutarsi e darsi appuntamento per i giorni seguenti.
Lo skatepark si svuotò con il sopraggiungere della sera.
A MAI PIU
L'attesa al telefono si stava facendo snervante. Ellen non rispondeva. Altri due squilli e avrebbe buttato giù la chiamata.
James si era fermato in una cabina telefonica lungo la via del ritorno, fremendo per farle sapere che sarebbe mancato all'incontro serale. Aveva digitato il suo numero, imparato a memoria, e si era messo ad aspettare alla cornetta.
Tuu-tuu. All'improvviso ci fu uno scatto. «Pronto, chi è?»
«Ciao, Ellen. Sono James. Come va?»
«Tutto bene, caro. Sto leggendo in giardino». Leziosa, aggiunse: «Sei pronto per stasera? Ho voglia di te...»
James prese coraggio e rispose secco: «È proprio per questo che ti ho chiamato. Purtroppo non riesco a venire».
Ci fu un attimo di silenzio, carico di tensione. Poi la voce di Ellen, più bassa di prima: «M-ma come, James... avevamo stabilito insieme che stasera ci saremmo visti. Qual è il motivo?»
Inizialmente aveva considerato di dirle una bugia con l'intento di sfuggire a una facile litigata, ma arrivato lì non se la sentiva più di mentire. Avrebbe detto la verità. Si preparò al grande passo.
«E-ehm, sai... ho ripensato, ecco, alla cosa tra di noi. Non sono più tanto fiducioso per una possibile relazione...»
Non gli era uscita benissimo.
Il tono della voce di Ellen si fece più alto: «James, che stai dicendo? Mi stai prendendo in giro, vero?»
La frittata era fatta, cotta a puntino da uno chef stellato.
James incalzò per riparare il danno: «No, sono serio. Tu mi piaci, ma manca qualcosa», poi con un balbettio: «N-non so come spiegarlo, s-sono confuso ora... senti, forse è meglio se mi prendo una pausa per riflettere».
Un singhiozzo soffocato dall'altra parte del filo, poi un sospiro affannoso. Non voleva dirle di Grace, reale motivo per cui la stava lasciando sola. Le avrebbe fatto ancora più male.
«James, mi stai prendendo per il culo. Tutto ciò non ha un senso.»
«Per me ha senso, invece. Accetta la mia decisione.» Il sudore gli si stava accumulando sotto le ascelle.
«Vaffanculo, stronzo! Mi stai dicendo una balla». Urlò Ellen. «Tu mi stai piantando in asso, completamente dal nulla! Se non mi vuoi più vedere, dimmi almeno il perché. Cosa c'è che non va?»
James rimase in silenzio, senza niente da dire.
Non voleva che finisse così. Non voleva discutere. Voleva solo andarsene.
«Non dici più un cazzo, eh?! Cacasotto. Sei uno stronzo come tutti gli altri. È per un'altra ragazza?»
Titubante, James si giocò la carta della sincerità. «S-si...»
«L'avevo intuito. Vai a scoparti quell'altra allora, non ti voglio più vedere!»
L'ira che si accumulava dall'altro capo del filo era tangibile.
«Ellen, non voglio che tu mi odi.»
«Sei ridicolo, vai a farti fottere. A mai più!»
Tuu-tuu: aveva riattaccato.
James sbottò e incazzato scagliò via la cornetta. «Fanculo!» Era finita, nel peggior modo possibile. Uscì dalla cabina. Qualche passante lo guardò con aria sconcertata.
"Non me ne frega un cazzo...» Scosse la testa. «No, okay... Ellen mi piaceva, ma era attrazione fisica e nient'altro. Volevo solo finirci a letto."
Cercò di sistemare il subbuglio che aveva in testa. Se da un lato era deluso e arrabbiato, dall'altro si sentì sollevato. Quell'evento spiacevole riservava un lato positivo: aveva ottenuto il via libera per provarci con Grace.
Si sfregò le mani. Il suo umore si era tempestivamente ribaltato dall'altro lato, come una carta da gioco.
"Arrivo subito, bambolina!"
[1]Le scuole elementari americane.
[2]"All Cops Are Bastards".
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