#25
SKINHEAD
James infilò la Escort nel parcheggio debolmente illuminato del motel e spense i fanali. Un flash divampò nella sua percezione come un fuoco fatuo tra le tombe scrostate di un cimitero. C'era lui che boccheggiava disperato, la sua bocca sputava sangue, mentre una mano sconosciuta lo stringeva al collo e lo soffocava. Ricacciò via quella terrificante visione. Escluse fugaci allucinazioni come questa, lo stato di shock di cui era preda da quando si era svegliato davanti alla porta di casa sua, al sorgere dell'alba seguente al tremendo accaduto, pareva essersi infiacchito come un palloncino sgonfiato. La sua nuova routine esigeva che venisse stipato in un angolo remoto del suo cervello, che fosse da cassare in fretta e furia come un brutto episodio in cui si era imbattuto per pura imprudenza.
Tirò una sniffata veloce di coca e sgattaiolò fuori dall'auto, incamminandosi verso la parte anteriore della fatiscente struttura. Doveva fare una rapida consegna a una ragazza. Gli si era presentata in chiamata come Tina e le aveva dato appuntamento là per la sera. Richiesta: due grammi.
James svoltò l'angolo e si guardò intorno, alla ricerca di una figura femminile. La penombra che ammantava la strada non gli permetteva di vedere chiaramente. La facciata del motel era trasandata e sinistra, tinteggiata con colori che, divorati dal tempo e dall'incuria, erano sbiaditi. Una luce fioca e pallida si intravedeva oltre i vetri unti delle finestre. "Che posto da lupi... eppure è ancora in attività, assurdo", pensò. Un senzatetto era rannicchiato nel suo giaciglio raffazzonato posto dietro una fioriera, in dormiveglia.
James attese lì per qualche minuto, controllando di tanto in tanto l'orologio. Nessuno si faceva vivo. Era invogliato ad andarsene, ma non appena fece marcia indietro il maniglione della porta antipanico emise un clack. Da essa sbucò una ragazza.
«James?» Lo scrutò con diffidenza.
James le si presentò stringendole la mano. «Si, sono io.»
Tina vestiva degli stivali neri, una gonna corta abbellita di borchie e una camicetta bianca. La sua pelle cadaverica veniva messa in risalto dal contrasto con l'abbondante rossetto scuro e i crespi capelli neri.
«Ho qui con me le quantità che hai richiesto. Tu hai i soldi, vero?», andò dritto al punto.
Tina infilò una mano nella borsetta di cuoio e la perlustrò avidamente. Roteò gli occhi al cielo. «Cazzo. Li ho dimenticati... mi sa che li ho lasciati su in stanza.»
Gli venne naturale chiederle: «Stai alloggiando qui?»
«Si, per qualche giorno. Sono di passaggio, mi sto dirigendo verso la costa», spiegò lei.
James si incuriosì. «Se posso chiederti, che fai nella vita?»
Tina strinse le palle. «Lavoro in un call center. Mi son presa da poco le ferie e ora sto andando a zonzo, vagabondo senza una meta.» Si fermò, come per testare la sua reazione, poi continuò: «Può sembrare strano, ma mi piace. Vado dove mi porta il vento e mi faccio trasportare dal naturale corso degli eventi... ecco, mi reputo una persona avventurosa.»
«E non ti può mai mancare dell'erba, insomma.» James le sorrise. «In effetti credo che fumare sia un ottimo passatempo da conciliare con il viaggio.» La tensione e l'imbarazzo iniziale erano notevolmente diminuiti.
«Credi bene, è così.» Tina gli scambiò un occhiolino.
James soggiunse: «Ok. Ti aspetto qui con i soldi, va bene?»
«Che ne dici di accompagnarmi su? Ti faccio un rapido tour dell'interno di questo postaccio... non ti perdi niente eh, ma potresti aggiungerlo alla tua collezione di luoghi in cui non tornare.» Tina accelerò la parlantina e ridacchiò.
James la trovava simpatica. La sua estetica trasgressiva e leggermente angosciante cozzavano con il suo carattere amichevole e bizzarro.
«Sono un po' di fretta, ma accetto. Questo motel tetro e malmesso cattura la mia attenzione...»
Tina alzò il pollice in senso affermativo. «Andiamo.»
James si avviò seguendola dentro all'albergo. Un panzone seduto alla reception sfogliava una rivista a sfondo sessuale, con le gambe poggiate sul bancone. Non li degnò nemmeno di uno sguardo. "Sarà troppo attratto dai seni turgidi e dalle gambe lisce delle donne che gli ammiccano dalle pagine patinate", dedusse James.
Imboccarono le scale che portavano al piano delle camere. Aver accettato quella proposta era potenzialmente un rischio, ne era consapevole: si stava inoltrando in territorio sconosciuto e la possibilità di essere raggirati era dietro l'angolo. Tina però ispirava fiducia e i suoi modi di fare strampalati gli sembravano genuini e divertenti.
"Nello zaino ho pur sempre il coltello, se dovesse insorgere qualche problema." Il suo animo si alleggerì.
Le scale di legno scricchiolavano, mentre lui procedeva dietro a Tina. Non circolava aria e un odore di chiuso aleggiava stagnante. Quando si immisero nell'angusto corridoio con le varie stanze, James domandò: «Chi ti ha passato il mio contatto?»
«Indovina... Henry, il tuo amico.»
James si stupì. «C-come? Lo conosci?»
«Sì. Ho fatto la sua conoscenza a un rave in campagna, lo scorso capodanno. Mi aveva passato il suo numero, che mi è tornato utile per chiedergli se conoscesse qualche spaccino qui della zona.»
James si compiacque che Henry le avesse inoltrato il suo contatto. Il suo nome girava ed era un bene per il prosieguo degli affari. "Appena lo vedo, devo ringraziare Henry per questo favore... potrei regalargli mezzo grammo per sdebitarmi", stabilì.
Prima che il corridoio finisse, Tina si arrestò e introdusse la chiave nella toppa di una porta. Entrarono nella camera. Un letto sfatto, quadri di basso costo alle pareti, un sentore di muffa. James si chiese come facesse un posto del genere ad essere ancora aperto, date le scarse condizioni igieniche. "Un'atmosfera decisamente decadente."
Tina si avvicinò a un tavolino, sul quale erano state lasciate un paio di banconote da dieci dollari.
James si tolse lo zaino dalla schiena e si accovacciò. Aveva già preparato i grammi nel cellophane, come al solito. Tina tamburellava col piede e lo fissava, mentre lui frugava al suo interno. Le lanciò un'occhiata fugace. La ragazza aveva spostato lo sguardo oltre di lui.
Improvvisamente venne percosso alla schiena da un forte calcio, che lo fece capovolgere in avanti. Tina lo scavalcò e si affiancò a un uomo, sbucato dal bagno posizionato appena dopo la porta d'ingresso della stanza.
Uno skinhead gli spianò contro un coltello, intimandogli di non muoversi. James si immobilizzò. Far un balzo per prendere la sua lama dallo zaino era una mossa suicida. Riuscì solo a balbettare: «O-okay! C-che volete da me? Non vi ho fatto nulla...»
Tina teneva un'espressione glaciale, che lo annichilì. Era del tutto mutata rispetto a poco prima. I suoi canini si allungarono come quelli di una vampira. Il tipo, scuotendo il coltello, gli ordinò: «Moccioso, ora farai quello che ti dico. Passami tutta la roba che hai nello zaino.»
"Vogliono derubarmi." Non erano più presagi passeggeri, ma scomoda realtà.
James pensò di urlare, ma se l'avesse fatto si sarebbe preso con buona probabilità una coltellata. A malincuore raggiunse carponi lo zaino ed estrasse il contenuto. Oltre a quella richiesta per la consegna, tirò fuori altra merce. Portava sempre con sé due grammi di riserva. Potevano bastare per calmare il suo assalitore. Posò i sacchettini sulla moquette e venne ricacciato indietro dallo skinhead. Un dilatatore all'orecchio e un piccolo tatuaggio sullo zigomo accentuavano il suo aspetto poco raccomandabile.
James ebbe la forza di dichiarare: «Non è la prima volta che lo fate, immagino. Mi sembrate esperti nell'orchestrare questi tranelli...»
Intervenne Tina: «Routine, direi. Se evitiamo di pagare, tanto meglio». Parlava con tono civettuolo. «Se poi capitate voi, pusher facili da infinocchiare, è un gioco da ragazzi.»
James tacque. Il ragazzo lo controllava senza distrarsi. Il suo sguardo era violento e un diavolo digrignante lo scrutava dalle iridi rosseggianti. Tina agguantò i pacchettini e li nascose sul fondo della borsa. Era la sua fidanzata?
«Abbiamo finito. Ora ascoltami bene: ti alzi, giri i tacchi, esci da questa cazzo di camera e te ne vai a fanculo», disse perentorio il tipo.
James non ebbe intenzione di reagire, seppur si sentisse ferito nell'orgoglio. Seguì le indicazioni senza fiatare e se ne andò. Non avrebbe allertato nessuno, né la polizia, in quanto, facendo denuncia dell'aggressione, indagando sarebbe venuta a conoscenza della sua attività di spaccio, né Mark, che l'avrebbe cazziato per aver subito un raggiro da un paio di tossici.
Mentre percorreva le scale in direzione contraria, vari dubbi cominciarono a turbinargli in testa. La vita da pusher era un costante pericolo. Conviveva con l'ansia, l'ansia di non farsi scoprire dagli sbirri, di tenere le spalle larghe per farsi valere, di aver a che fare con gentaglia senza scrupoli, di dover rispettare le aspettative di Mark. Non era così sicuro come in precedenza di voler continuare, sebbene non mancasse molto al termine dell'incarico. La sua certezza granitica vacillò. E se al posto dei due ci fossero state delle persone ben peggiori? Poteva pur sempre riaccadere qualcosa di simile in svariate occasioni, quando meno se lo fosse aspettato, di lì in avanti.
James passò davanti al barbone, intento ad arraffare della carne gelatinosa da un barattolo di latta. Il vecchio gli rivolse la parola: «Tutto bene, ragazzo? Ti vedo inquieto...»
James si fermò. «Può andare meglio, diciamo», tentò di dissimulare le sue emozioni.
Il clochard, dopo una lunga pausa, lo ammonì: «Ti ho ascoltato prima, quando parlavi con quella ragazza. Con gli impicci vai a ficcarti nei casini, giovane...» Il suo volto era serio e la sua espressione austera. «Trovati un'occupazione seria e investi nel tuo futuro... non vorrei che ti trovassi a cinquant'anni come me, a dormire per strada.»
James gli sganciò una moneta e tornò alla macchina. Non aveva voglia di sorbirsi un sermone esistenziale. Si abbandonò sul sedile, ancora scosso. Prima di accendere il motore, rimuginò sulle parole del senzatetto.
CONFIDENZA
Jeff, quando aprì la porta, si stupì di imbattersi in Grace. Le sembrò giù di umore, sconsolata.
«Ciao, Jeff. Ti disturbo?», esordì Grace, alzando il tono della voce per farsi sentire. Fuori il sole doveva ancora tramontare e la temperatura era più fresca del solito.
«Nono, vai tranquilla. Entra pure.» La musica, avviata come sottofondo alla sua cena a base di hot dog homemade, era più rumorosa di quanto si aspettasse. Si recò in salotto, tallonato da Grace, e girò la manopola dell'impianto hifi per regolare il volume. Le batterie incalzanti di "Basket Case" dei Green Day diminuirono d'intensità.
«Scusami, Grace. Volevo un accompagnamento musicale per non sentirmi masticare come a un'abbuffata... mi sono accorto soltanto quando mi hai rivolto la parola che in pratica stavo prendendo parte a un concerto», sorrise imbarazzato.
«Non farti problemi... sono io che sono comparsa qui senza avvertire.»
«Hai beccato la serata giusta: i miei sono usciti a cena. Sono a tua disposizione», la tranquillizzò. E, dopo una pausa: «Beh, cosa ti porta qui, nella dimora del nerd più brufoloso degli Stati Uniti?»
Riuscì a strapparle una risata.
«Dobbiamo parlare. Si tratta di James...» Grace si si fece immediatamente più seria.
«Lo immaginavo... vieni, andiamo in sala da pranzo.» Jeff la condusse lì. Nel tavolo al centro c'erano due hotdog, uno dei quali morsicato, e una bottiglia di Pepsi. Due barattoli, uno di ketchup e uno di senape, erano aperti, e un coltello affondava remissivo dentro uno di essi.
«Mi son preparato una cenetta, di certo non salutare.»
Grace ebbe un brontolio allo stomaco. «Non ho intenzione di interrompere la tua scorpacciata...»
«Grazie, ho una fame da lupi. Che ne dici se nel frattempo parliamo? Siediti pure...»
Il discorso verté subito su James: il suo disinteresse per le persone che abitualmente lo circondavano, il suo misterioso "lavoro" per Mark, le improvvise assenze, la sua lucidità alterata.
«Ci vediamo sempre meno: poche chiamate, pochissime uscite. Sono la sua ragazza, avremo fra qualche mese un bambino insieme e si comporta come se fossi una conoscente qualsiasi. Non sai quanto tutto ciò mi faccia star male...» Lo sconforto di Grace era percepibile.
«Capisco bene ciò che mi dici. Anche io, come te, noto questo in lui. È come se qualcosa l'avesse cambiato. La nostra "riappacificazione" nel bus mi aveva illuso che le cose potessero tornare come prima, ma ci ho messo poco a rendermi conto che in realtà da parte sua non c'era un sincero interesse e coinvolgimento.» Jeff bevve un sorso di Pepsi e aggiunse: «Per fortuna ho Chloè. È una vera amica, e devo ringraziarla... senza di lei, in questo momento non avrei nessun amico che mi stia così vicino».
Corrugò la fronte. «Che cavolo sta succedendo a James?! Non è consapevole di avere delle persone che tengono a lui deluse da quello che sta facendo? Sembra che viva in un'altra dimensione.»
Grace scosse il capo. «Ho il sentore che si sia ficcato in brutte faccende. Già alla festa d'istituto, quando abbiamo assunto quelle pasticche. Mi ricordo bene com'era noncurante del pericolo...»
Anche Jeff ebbe la stessa sensazione: James stava esagerando, lasciandosi andare alla smodatezza e a un lifestyle sregolato. Le nuove amicizie che aveva stretto e le esperienze per cui era passato in quei mesi estivi avevano accentuato il suo lato trasgressivo, prima rimasto recondito. Si era posto l'intento di fermarlo, ma sapeva che era difficile far presa su di lui, ancor più in un momento in cui James era distaccato e sembrava evitarlo.
«Senti, volevo dirti...», Grace continuò. «Ho maturato la decisione di lasciarlo.»
Jeff strabuzzò gli occhi. Il boccone gli rimase sulla lingua. «C-come?»
«Proprio così. Ma non è uno strappo definitivo, a quello evito proprio di pensarci. Vuole essere una mossa, forte senza dubbio, per dargli uno scossone e portarlo a riflettere intimamente», specificò Grace. «Potremmo giovarne entrambi, se lui decidesse di ristabilire le sue priorità. Voglio che torni il James di un paio di mesi fa, di quando ci siamo conosciuti e innamorati. Ecco, volevo sapere da te se la reputi una buona idea o meno...»
Jeff addentò il secondo hotdog e le rispose: «Te la appoggio. James ti ama, ne sono certo, e se messo alle strette potrebbe davvero compiere un cambio di passo. Farebbe di tutto per tornare con te, anche a costo di abbandonare il suo nuovo e dannoso comportamento».
«Ci spero, diciamo. Oltretutto lasciarmi sola adesso, che sono incinta, sarebbe davvero un colpo basso, privo di umanità. E non mi aspetterei mai questo da lui...» Grace si sistemò la piega.
La conversazione terminò. Si lasciarono, d'accordo su come muoversi: Grace avrebbe messo sul tavolo la carta più coraggiosa, confidando in una reazione risolutiva di James. Erano entrambi fiduciosi sulla buona riuscita del piano.
Jeff terminò l'hotdog con ingordigia. Calò un ultimo sorso di Pepsi e trattenne a fatica un rutto. Si sentiva più sollevato, quella confidenza gli aveva fatto bene, ed era convinto che si potesse dire lo stesso anche per Grace. Mise a posto la cucina e si diresse poi in salotto a rialzare la musica. Si stravaccò sul divano e chiuse gli occhi, mentre i The Queers intonavano le melodie scanzonate di "Fuck the world".
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